Green line di Sylvie Bayllot (Francia, Libano, Quatar- 2024) è stato premiato con il Mubi Award Debut feature al Festival di Locarno 77, da poco concluso. Ma il pubblico del Festival gli ha tributato un’accoglienza speciale, più che al film che ha vinto il Pardo d’oro attribuito quest’anno al film lituano Akiplėša per Toxic. Forse perché, in un momento storico in cui la guerra è tornata a straziare Europa e Medio Oriente, suggerisce riflessioni su come si dovrebbero impostare trattative di pace.
Il film racconta i traumi di chi ha vissuto l’inferno della guerra e più in particolare della guerra civile che ha spaccato, attraverso una simbolica “linea verde”, il Libano in due fra il 1975 e il 1990. Nel film la linea verde separa le strade di un quartiere di Beirut dove Fida Bizri, la protagonista del film, viveva da bambina e dove vide accadere, da un giorno all’altro, cose ai suoi giovani occhi “inspiegabili”. Uomini e donne sdraiati a terra nelle strade dove passa a piedi tutti i giorni. Una novità che non sa interpretare: è gente che dorme per strada o sono morti? Saprà, crescendo, che è scoppiata una guerra civile che ha insanguinato le strade per lunghi anni.l
Questo film trae ispirazione dall’aiuto che la francese Sylvie da all’amica e collaboratrice libanese Fida a superare il dramma che si porta dietro. La Bizri, oltre che protagonista e voce narrante, è co-screenwriter di questo documentario.
Sylvie le consiglia di tornare, dopo che sono passati più di 40 anni, nelle strade del suo quartiere e, con l’aiuto di statuine e di mappe delle strade, ricostruire i suoi ricordi, raccogliere testimonianze di quello che è successo, per elaborare un lutto che da piccola non le poteva riuscire. Fida inizia a parlare con chi trova per strada per sapere cosa hanno visto e ricordano. Alcuni forniscono dettagli, altri si rifiutano, dicendo che hanno voluto dimenticare. Prosegue con domande dirette come sciabolate a chi ha ammazzato persone fino a poco prima vicini di casa. Riesce a ottenere risposte perché il ricordo degli scontri è mediato dalla ricostruzione del teatro di guerra con statuine e plastici che rendono altro da lei e dagli interlocutori la drammatica storia recente che in quelle strade si era svolta.
L’idea di questa trasposizione della realtà è venuta alla Bayllot durante dei colloqui con Fida, che cercava di elaborare, dopo più di quarant’anni, quello che aveva vissuto nell’infanzia. La prima statuina realizzata è stata di lei bambina, un vestito rosso sovrastato da una massa di capelli neri.
Nel film appare per prima proprio la statuina, mentre la splendida voce narrante di Fida, sicura ma insieme senza pregiudizi, guida lei e noi alla ricostruzione del passato. E quando appare inquadrata lei in carne ed ossa, ripresa di spalle, la riconosciamo, emozionati dalla somiglianza: l’abito della protagonista, che cammina per le strade del quartiere, è rosso. I capelli sono una massa nera. Un colpo di Cinema che, senza parole, narra di una donna che si porta la bambina che era, di cui conserva il candore, per le strade di Beirut alla ricerca, se non altro, della pace interiore. Per sé e per i protagonisti che riconoscono di avere sbagliato. Un’opera che ci fa ripensare al discorso di chiusura del 77mo Locarno Film Festival da parte del direttore artistico Giona A. Nazzaro, che ha detto, fra l’altro: «Il cinema è un motore trainante e Locarno ne è un fiore all’occhiello per la capacità del Locarno Film Festival di individuare i talenti più innovativi del settore. E ne sono anche la prova, insieme al Premio Speciale della Giuria a Mond di Kurdwin Ayub, al Premio MUBI Opera Prima a Green Line di Sylvie Ballyot o addirittura al Premio per la Miglior Regista Emergente del Concorso Cineasti del Presente alla ticinese Denise Fernandes (Hanami) , della grande attenzione che le nostre giurie hanno riservato alle autrici più audaci. Locarno77 ha affermato con ancora più forza la centralità delle voci delle donne nel cinema contemporaneo».
l’autrice: Lucia Evangelisti è giornalista freelance