Sta succedendo ancora. Politici e media si stanno accapigliando su un pezzettino assolutamente secondario della vicenda relativa alla nomina della Commissione europea Ursula 2.0. Si ciancia di Fitto qua, Fitto là, quanto è stato bravo o pessimo come ministro, della sua storia di vecchia volpe Democrazia cristiana, dei suoi trascorsi in Puglia.
Dall’ultradestra stappano bottiglie di champagne, esultando per il grande successo di uno dei volti pubblici dell’ultradestra assurto alla vice-presidenza della commissione Ue.
Dall’opposizione del centro-sinistra liberista si dice, a dir la verità a voce non troppo alta, che altro che successo, è una sconfitta di Meloni, non vedete che i capitoli “coesione e riforme” sono ben meno importanti di quelli che aveva Gentiloni fino all’altro ieri.
Come spesso accade, ciò che di realmente interessante c’è in questa vicenda è ciò che rimane fuori. Se proprio vogliamo parlare di Fitto, l’elemento di interesse è in realtà una conferma: la destra tradizionale si sposta sempre più a destra, arrivando a cooptare in ruoli di governo l’ultradestra, che in sempre più capitoli detta l’agenda, pur non avendo formalmente posti di potere.
È una conferma, visto che già in tanti Paesi europei destra e ultradestra vanno a braccetto: in Italia, Olanda, in alcune Regioni della Spagna, per non parlare dei casi nell’Europa dell’Est.
L’altro elemento: se qualcuno aveva pensato che la pink-socialdemocrazia e i Verdi militari europei potessero essere argine all’avanzata dell’ultradestra, è stato smentito.
A livello nazionale continueranno a gridare al “fascismo” un giorno sì e l’altro pure, ma in Ue sono nella maggioranza che sostiene l’esecutivo Ursula 2.0.
Se per un attimo osassimo alzare lo sguardo dai simulati scontri nazionali, salterebbe agli occhi un fatto talmente significativo che non si capisce come il potere mediatico di casa nostra possa puntualmente tacerlo: la Commissione Ursula 2.0 non solo si sposta a destra per l’inclusione diretta di esponenti del gruppo Ecr (quello di Fratelli d’Italia), non solo per aver ormai abbracciato su diverse materie la cornice ideologica dell’ultradestra, ma anche per la preoccupante spinta alla guerra preconizzata da alcune nomine di peso.
Ursula von der Leyen ha deciso che anche simbolicamente il mito dell’Europa sociale possa finalmente cadere. E così ha eliminato il commissario agli Affari sociali.
Per contro nasce il nuovo commissario alla Difesa e allo spazio, eufemismo utilizzato da decenni per camuffare quello che una volta con meno ipocrisia si sarebbe chiamato ministero/commissario alla guerra. A chi viene affidato? Al lituano Andrius Kubilius, membro del partito di maggioranza relativo dei Popolari europei (Ppe). Un uomo politico che alla stampa si è presentato così nel suo nuovo ruolo: “L’Ue deve essere pronta a qualsiasi evenienza, preparando i nostri depositi con abbastanza equipaggiamento militare e sufficiente personale militare pronto per una mobilitazione rapida”. I bellicisti esultano, chi vuole la pace certamente no. Kubilius dovrà lavorare a stretto contatto con la finlandese Henna Virkunnen (per gli amanti di Dune: non è Harkonnen, ma stiamo lì), commissaria alla Sovranità tecnologica, sicurezza e democrazia e vice-presidentessa esecutiva della commissione. Anche Virkunnen, come Kubilius, fa parte del Partito popolare europeo ed è tra i falchi. I due dovranno implementare i piani che inietteranno miliardi su miliardi al complesso militare-industriale europeo: Von der Leyen ha parlato di 500 miliardi di euro necessari al comparto Guerra/Difesa nei prossimi 10 anni e Draghi nel suo rapporto sulla competitività dell’Unione non è stato da meno. Nelle mani di Kubilius, dunque, c’è almeno un pezzo della strategia di riarmo europeo, con soldi pubblici che andranno a innaffiare i grandi gruppi dell’industria bellica, da Rheinmetall a Leonardo.
Alta rappresentante per la Politica estera sarà invece la liberale Kaja Kallas, che rientra anche nella rosa dei cinque vice-presidenti esecutivi. L’ex prima ministra dell’Estonia a febbraio scorso, dopo le dichiarazioni del presidente francese Macron che apriva a truppe europee sul suolo ucraino, affermava che “ogni opzione che aiuti l’Ucraina a sconfiggere Putin è sul tavolo”. In precedenza, a gennaio, aveva già affermato che il “gruppo Ramstein” – i 31 Paesi Nato più gli altri che stanno sostenendo l’Ucraina – avrebbe dovuto stanziare ogni anno lo 0,25% del proprio Pil in aiuti a Kiev, così da garantire a Zelensky 120 miliardi di euro l’anno per sconfiggere Putin.
Il riassetto degli equilibri della nuova Commissione non finisce qui.Commissario all’Economia e alla semplificazione sarà il lettone Valdis Dombrovskis, che farà coppia col commissario al Budget e alla pubblica amministrazione, il polacco Piotr Serafin (che risponderà direttamente a Von der Leyen).
Così l’austerità contro lavoratori e lavoratrici è messa in mani sicure.
In molti casi, oltre a essere politici chiaramente bellicisti, si tratta di personaggi legati a doppio filo a Washington prima e più che a Bruxelles. Lo si è visto in questi ultimi anni, quando sono sempre stati disponibili a mettersi sugli attenti dinanzi alle richieste Usa, minando quella pretesa “autonomia strategica” dell’Ue che pure qualcuno ogni tanto continua a tirare in ballo.
Anziché sprecare inchiostro su Fitto, sarebbe più utile concentrarsi su ciò che davvero ci dice la commissione Ursula 2.0: un quadro politico sempre più a destra, dove socialdemocrazia e Verdi non hanno alcuna funzione di argine; soldi negati ai lavoratori e messi a disposizione dell’industria bellica; un’ulteriore spinta alla guerra e alla subordinazione ai desiderata di Washington e Nato.
Ecco la nuova-vecchia Ue.
L’autore: Giuliano Granato è portavoce di Potere al popolo