«In Trump si manifestano segni di una deriva totalitaria che non vanno sottostimati» dice la scrittrice. «La mia speranza risiede nel fatto che l’America è ancora una società democratica dotata di istituzioni democratiche in grado di opporsi a lui e al suo potere»

Con il suo ultimo libro la scrittrice iraniana Azar Nafisi lancia un potente j’accuse contro le derive totalitarie, non solo denunciando quella iraniana, ma anche quella statunitense che si potrebbe concretizzare con la rielezione di Trump il 5 novembre.

Scritto in forma di lettera al padre, Ahmed sindaco di Teheran, intellettuale laico e democratico che fu imprigionato dal regime di Khomeini, Leggere pericolosamente (Adelphi, tradotto da Anna Rusconi) di Azar Nafisi è anche un omaggio a sua madre, Nezhat Nafisi, prima donna ad essere eletta nel Parlamento iraniano. Ed un omaggio a tutte le giovani donne che in Iran portano coraggiosamente avanti- e a rischio della propria vita – il movimento Donna, vita, libertà. Tuffarsi in queste pagine è fare il pieno di energia, riscoprire la potenza dell’immaginazione, per vedere profondamente la realtà da un altro punto di vista, da un’altra prospettiva e cominciare a prefigurare le strade che portano al cambiamento. La letteratura per Azar Nafisi non ha nulla di consolatorio, semmai è uno strumento di resistenza. Di più: è un mezzo per trasformare se stessi e il mondo, che mette radicalmente sotto inchiesta il potere politico e quello degli ideologi e dei filosofi più astratti. Per questo, scrive Azar Nafisi, Socrate era ostile a poeti e narratori. E Platone voleva ostracizzare tutti gli artisti. «In quel sistema gerarchico – nota – non c’era posto per quanti si crogiolavano nella natura irrazionale. Per Platone i poeti come Omero portavano confusione». Nafisi discuteva di questo con i compagni di dottorato negli Usa. Qualche anno dopo ritornò in Iran proprio sul nascere della rivoluzione islamica finendo per ritrovarsi «in mezzo a una moderna versione teocratica della Repubblica di Platone». Da allora poco è cambiato in Iran tanto che oggi il regime teocratico iraniano manda in prigione e al patibolo rappers, cantanti, scrittori. Ma attenzione, avverte Nafisi, la peste dell’autoritarismo non è qualcosa che riguardi solo il passato o che tocchi solo Paesi lontani dall’Occidente. Ci lambisce da vicino, dice la scrittrice che vive a Washington e guarda con grande preoccupazione alla possibile rielezione di Trump alla Casa bianca. «Lo so, lo so Trump non è Khomeini e l’America non è l’Iran. Tuttavia Trump condivide con gli ayatollah una specifica forma mentis, un atteggiamento mentale e io vedo agire qui le stesse tendenze, gli stessi aspetti» È aggiunge: « In Trump si manifestano segni di una deriva totalitaria che non vanno sottostimati. La mia speranza risiede nel fatto che l’America è ancora una società democratica dotata di istituzioni democratiche in grado di opporsi a lui e alla sua amministrazione», scrive Nafisi, ricordando come anche in Iran in tanti ignorarono i segni premonitori, fecero finta di non vedere la violenza nelle parole e nelle azioni di Khomeini. In molti credettero alle sue bugie come molti oggi credono a quelle di Trump. «Per questo dico che al posto delle menzogne propinate da Trump e dai suoi sodali abbiamo bisogno della verità offerta dalla letteratura». E di libri per resistere e opporsi alla deriva autoritaria e misogina di Trump Azar Nafisi ne evoca molti in questo libro, dall’ultimo lavoro di Salman Rushdie a un classico come Il racconto dell’ancella (Ponte alle grazie) di Atwood. «Lo lessi per la prima volta nel 1998 e mi colpì anche perché la storia è ambientata in una teocrazia, dopo che il governo Usa è stato rovesciato e a narrarla è una donna chiamata Offred, una delle ancelle che hanno il compito di procreare per l’élite maschile dei comandanti. Leggevo il romanzo accompagnata dai ricordi brucianti della Repubblica islamica», annota la scrittrice, che ben presto si è resa conto di quanto la storia fosse invece universale. «Sia in Iran che a Gilead a essere negata è l’autonomia della donna, la sua individualità, la sua identità». Una distopia non troppo lontana da quello che prospetta l’ultra destra del Project 2025 che sostiene Trump.

Azar Nafisi

Intervista alla scrittrice Azar Nafisi, uscita su left di agosto 2024

di Simona Maggiorelli

L’arte è la più potente arma contro l’oppressione. Non a caso è il principale nemico di dittature e teocrazie. Un filo forte del pensiero lega il nuovo libro di Azar Nafisi, Leggere pericolosamente (Adelphi), ai lavori precedenti della scrittrice iraniana che da tanti anni vive esule negli Stati Uniti. Questo appassionante saggio forma una tetralogia intellettualmente sovversiva con altre sue opere come Quell’altro mondo, Leggere Lolita a Teheran e La repubblica dell’immaginazione.
«I dittatori e i tiranni odiano le idee e l’immaginazione. Le idee e l’immaginazione si oppongono alle dittature e alla tirannia perché sono conoscenze che mettono in collegamento le cose e permettono il cambiamento della realtà», risponde Nafisi a Left. «I tiranni e i dittatori odiano i cambiamenti e la libertà. Non solo: dittature e tirannidi si basano su falsità e menzogne. Ogni vera narrazione si basa su una polifonia di voci in dialogo tra di loro. Niente di più lontano da quello che succede in dittature e regimi».

Con Leggere Lolita a Teheran lei piazzò una vitale bomba intellettuale nel cuore del regime di Khomeini e fu espulsa dall’università di Teheran dove insegnava, anche perché si rifiutava di indossare il velo. Cosa pensa oggi di quella esperienza?
Con il mio Leggere Lolita ho cercato di creare uno spazio di libertà in cui si potessero leggere i libri e usare gli insegnamenti di scrittori e intellettuali senza paure di censure, punizioni, gabbie e prigionie. La consapevolezza che ne ho ricavato è che la letteratura è esattamente questo: libertà. Così come mi è capitato di conoscere l’Italia prima di venirci per la prima volta attraverso Collodi, Calvino, e ancora attraverso Antonioni, Rossellini e De Sica, così i miei allievi imparavano il mondo senza essere mai usciti dall’Iran.

Approfondendo ancora potremmo dire che i regimi come quello di Khomeini – a cui lei si è sempre opposta – odiano gli artisti e le donne, perché sono incontrollabili ma anche perché parlano di sentimenti, di immaginazione, di una bellezza che ha che fare con il non cosciente?
Sì, concordo pienamente. Letteratura e arte servono per arrivare alla verità più profonda. Un dittatore, un tiranno deve nascondere e opporsi fermamente alla possibilità che la verità emerga. Pensate anche solo al tipo di politica e di strategie adottate da Donald Trump in un Paese democratico come gli Stati Uniti. Lo scopo dei dittatori è portare a credere a un mondo che non esiste.

I giovani iraniani che hanno dato vita al movimento culturale Donna, Vita Libertà dopo l’uccisione di Mahsa Amini lottano in maniera nonviolenta. Hanno fatto tesoro della sua lezione. Lei che segue sempre con trepidazione la loro battaglia cosa pensa di quel che sta accadendo oggi in Iran? La premio Nobel iraniana Shirin Ebadi dice che il neo presidente Pezeshkian è un burattino nelle mani di Khamenei. Quale è il suo punto di vista?
Sono pienamente d’accordo con Ebadi. Ma il regime – e quest’ultimo regime iraniano in particolare – non è così forte come dice di essere. Se milioni di persone continueranno a opporsi con la nonviolenza e a scendere in piazza, a ballare e cantare e a esprimersi liberamente, nessun regime avrà mai armi a sufficienza per mettere tutti a tacere. Chiaramente siamo tutti sconvolti dalla quantità di persone che il regime uccide, specialmente giovani e anche nei giorni scorsi, ma si autodenuncia, denuncia la propria debolezza estrema chi usa le armi al posto del dialogo.

Illustrazione di Mike Lukovich per Atlanta Journal, ispirato al romanzo di Margaret Atwood e rilanciato dalla scrittrice

Foto di Azar Nafisi di Larry D. Moore, CC BY 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=44476478