Si celebra il Primo Maggio, festa del Lavoro, dei diritti conquistati con lotte dure, della dignità di chi ogni giorno costruisce questo Paese. Ma non possiamo farlo senza guardare in faccia, con onestà, la realtà che ci circonda: una realtà ancora troppo segnata da precarietà, sfruttamento, insicurezza, malattie professionali e morte sul lavoro.
La Corte suprema di Cassazione, aprendo l’anno giudiziario 2025, ci ha consegnato un quadro chiaro, preciso, drammatico.
Non ha usato frasi di comodo, non ha parlato genericamente di “cultura della sicurezza”. Ha indicato responsabilità sistemiche. Ha detto che i mille morti sul lavoro nel 2024, le oltre 543.000 denunce di infortunio, e le più di 81.000 patologie professionali non sono numeri, ma conseguenze dirette di un modello che mette il profitto davanti alla vita.
La Corte ha denunciato senza mezzi termini che le logiche di flessibilità esasperata, la precarietà imposta come regola, la totale assenza di tutela nei rapporti irregolari stanno trasformando il lavoro in un terreno minato.
Un lavoro che non protegge, non riconosce, non garantisce: questo è un lavoro che uccide.
Uccide fisicamente, come accaduto il 28 aprile a Carrara, dove nel Giorno mondiale della sicurezza sul savoro un uomo di 59 anni è morto in cava.
Colpisce anche nei giorni seguenti, come a Forte dei Marmi, dove due operai sono rimasti feriti, uno gravemente, nel crollo di un solaio.
Uccide nel silenzio delle statistiche, dove restano invisibili migliaia di infortuni sommersi, mai denunciati per paura, per ricatto, per vergogna.
E uccide anche lentamente, giorno dopo giorno, attraverso le malattie professionali.
Il 2024 ha registrato un aumento del 22% delle patologie correlate al lavoro: numeri in crescita che spesso passano sotto traccia, perché meno eclatanti di un crollo, di una caduta, di un incidente sotto gli occhi di tutti.
Ma guardate che invalidità o morti per esposizione a sostanze nocive, per sforzi ripetuti, per condizioni ambientali insalubri o per troppo stress lavoro correlato, ce ne sono tante: nel 2024 sono state 81000.
Sono invalidità e morti che non fanno rumore, che non aprono telegiornali, ma che segnano profondamente la vita di chi lavora e delle loro famiglie.
Anche queste sono vittime del profitto che viene prima della salute.
Anche queste sono ferite che ci interrogano su cosa significhi davvero tutelare la dignità delle persone nei luoghi di lavoro.
E davanti a tutto questo, ci chiediamo: dov’è lo Stato? Dov’è la prevenzione?
La Corte ci dice che anche il sistema pubblico è inadeguato. Mancano coordinamento tra gli organi ispettivi, interoperabilità tra le banche dati, un’effettiva registrazione del Portale Nazionale del Lavoro Sommerso.
Mancano ispettori in molte regioni. E dove ci sono, spesso sono costretti ad annunciare in anticipo le ispezioni. Il risultato? I controlli diventano inutili, le violazioni si mimetizzano, e i lavoratori restano soli.
E dentro questa solitudine si consuma un’altra grande ingiustizia: la marginalizzazione degli RLS, i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.
Gli RLS sono figure fondamentali. Sono la voce dei lavoratori nei luoghi dove si combatte quotidianamente per la salute, la dignità, la vita.
Eppure, troppo spesso vengono ignorati, isolati, svuotati di potere.
Quando ci sono ispezioni, non vengono quasi mai coinvolti. Quando ci sono tavoli istituzionali, sono gli ultimi a essere ascoltati… se va bene.
Nelle giornate dedicate alla sicurezza, parlano dopo che i politici hanno già fatto il loro giro di parole e magari se ne sono andati.
Ma noi sappiamo bene che la sicurezza non si costruisce nei convegni, ma nei cantieri, nelle fabbriche, nei magazzini, nei campi. E lì, a fianco dei lavoratori, ci sono gli RLS.
Sono loro a segnalare i rischi. Sono loro a battersi per le visite mediche, per la formazione, per i dispositivi di protezione, per il rispetto delle norme.
Sono loro, spesso in solitudine, a cercare di prevenire quelle tragedie che riempiono i giornali solo quando è troppo tardi.
Per questo, oggi da Livorno, vogliamo dire con forza: gli RLS vanno rispettati, ascoltati, sostenuti. Devono essere parte attiva di ogni controllo, di ogni valutazione, di ogni azione ispettiva. Devono avere risorse, formazione, protezione.
Non possono più essere trattati come intralci, come comparse, come figuranti di un sistema che troppo spesso preferisce guardare altrove.
E vogliamo dire di più: la sicurezza deve tornare a essere una priorità vera, non solo inchiostro su un volantino quando capitano le disgrazie o una bandiera da sventolare a maggio. Servono:
• controlli veri, senza preavviso;
• sanzioni efficaci per chi non rispetta le diffide;
• investimenti in ispettori, medicina del lavoro e prevenzione;
• una lotta vera contro il lavoro irregolare, che uccide e avvelena il mercato;
• il pieno riconoscimento del ruolo degli RLS come perno delle strategie di prevenzione.
Dunque oggi si celebra il Primo Maggio non solo per ricordare chi non c’è più, ma per pretendere un cambiamento profondo.
Perché un Paese che accetta mille morti sul lavoro all’anno, è un Paese malato.
Perché un Paese che emargina chi si batte per la sicurezza, è un Paese ingiusto.
E perché la sicurezza non è un costo, non è una concessione: è un diritto. È dignità. È vita.
In questo contesto, è fondamentale ricordare l’importanza dei referendum promossi dalla Ccil, che si terranno l’8 e 9 giugno 2025. Questi cinque quesiti referendari mirano a restituire dignità e sicurezza al lavoro, affrontando temi cruciali come:
• il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo;
• l’eliminazione del tetto massimo all’indennizzo per i lavoratori delle piccole imprese;
• la limitazione dell’abuso dei contratti a termine;
• il rafforzamento della responsabilità delle imprese negli appalti in caso di infortuni;
• la riduzione da 10 a 5 anni del periodo minimo di residenza per ottenere la cittadinanza italiana.
Questi referendum rappresentano un’opportunità concreta per tutti noi di incidere sulle politiche del lavoro e della cittadinanza, per costruire un futuro più giusto e sicuro. Partecipare al voto è un atto di responsabilità e di impegno civile.
Da Livorno, città di lavoro, di mare, di battaglie sociali, diciamo:
non c’è Primo Maggio senza giustizia sociale.
Non c’è lavoro vero senza sicurezza.
Non c’è libertà se si muore lavorando.
Buon Primo Maggio a tutte e tutti. Continuiamo a lottare, insieme.
L’autore: Stefano Santini è il segretario generale della Filctem-Cgil per la provincia di Livorno