Doveva bastare un giorno. Bastavano 24 ore, aveva detto, per far cessare la guerra in Ucraina. Ma oggi, Donald Trump parla di “odio troppo profondo”, “pace forse impossibile”, “frustrazione” e persino di uscita dal negoziato. Il messia del compromesso lampo è diventato il profeta del ritiro strategico. È il fallimento annunciato di un’impostura diplomatica.
Secondo Charles Kupchan, ex consigliere di Obama, Trump sta solo preparando l’opinione pubblica al flop. Aveva promesso la pace come si promette una svendita, ma ha scoperto che i tavoli della diplomazia non funzionano come i reality. Pensava di telefonare a Putin, blandire Zelensky, firmare e andare in conferenza stampa. Ha trovato invece una guerra vera, con morti veri, e un Cremlino che non ha nessuna intenzione di arretrare.
Nel frattempo, a Mosca i missili sfilano per la parata del 9 maggio e Putin rifiuta anche un cessate il fuoco simbolico. Kiev è sotto attacco, mentre Washington tenta di rattoppare l’illusione con un nuovo sistema Patriot riciclato da Israele. Il quadro è chiaro: la guerra non si ferma con gli slogan elettorali.
Trump ha sbagliato approccio, tempi e alleanze. Ha concesso troppo prima ancora di cominciare: Crimea, Nato, riconoscimenti a buon mercato. E ora cerca un’uscita di scena che non puzzi di disfatta. Ma il sipario è già calato. Di quelle 24 ore resta solo il silenzio imbarazzato di chi si era illuso. O peggio, aveva creduto.
Buon lunedì.