Giovedì sera, ospite di Corrado Formigli, il giornalista – ormai quasi vate – Paolo Mieli ha auspicato una “milizia” coordinata dal papa e dal quasi papa Pizzaballa per “scortare gli aiuti umanitari dentro Gaza”. Qualcuno in studio, da Tomaso Montanari al direttore di Domani Emiliano Fittipaldi, faceva notare come non sia compito dei papi disinnescare il genocidio in atto per mano del governo israeliano. Il governo israeliano, del resto, è grande amico dell’Occidente, non è certo l’ostico Putin. Entrambi i governi – Israele e Russia – sono criminali, ma molta della forza di Benjamin Netanyahu deriva proprio dall’amicizia, ai limiti della collusione morale, con Usa ed Europa. C’è ovviamente anche l’Italia, con tutti i partiti di maggioranza che balbettano vigliacchi, quasi impauriti, inzerbinati ai piedi degli assassini del governo israeliano.
Mieli ha il grande pregio di aver sintetizzato il momento attuale, con la politica sospesa in attesa di un Papa, sperando che il Papa possa fare ciò che la politica non vuole e non sa fare. Poi accadrà, come accade da secoli, che il Papa faccia il Papa – niente più di quello – e la politica al massimo si ritroverà a strapazzarlo per usarlo come clava contro questo o quell’avversario.
Passata la sbronza del conclave che ha farcito il giornalismo da reality – con telecamere fisse per ore su un comignolo e un gabbiano (e un pulcino rivenduto come auspicio) – ci si renderà conto che le persone a Gaza hanno continuato a morire, che tra India e Pakistan si è accesa l’ennesima guerra, che Putin bombarda la tregua, che Orbán sta cacciando gli omosessuali, che Trump concima fame e odio. E a quel punto, sfumata la cerimonia clericale, ci si accorgerà che tocca affidarsi alla politica, questa politica, così pavida e deludente, senza invocare cardinali o papi.
Buon venerdì.