È l’ennesimo colpo basso al diritto d’asilo, travestito da “efficienza” e “razionalizzazione”. In realtà è solo disumanità legalizzata

L’Unione Europea ha deciso che per rimpatriare un migrante non servirà più alcun legame personale con il cosiddetto “Paese terzo sicuro”. Basterà che ci sia passato. Come se il transito fosse una dichiarazione di residenza. Come se l’asilo fosse una concessione da sfoltire, non un diritto da difendere.

La proposta della Commissione, presentata il 20 maggio e ora al vaglio del Parlamento e del Consiglio, smonta uno dei pochi criteri che garantivano un barlume di tutela: finora, per rimandare qualcuno in un Paese terzo, bisognava dimostrare almeno un collegamento individuale. Ora, con il nuovo regolamento, è sufficiente che il migrante abbia attraversato quello Stato, a prescindere da condizioni, durata o relazioni personali. Una pericolosa scappatoia, funzionale solo a scaricare responsabilità.

È l’ennesimo colpo basso al diritto d’asilo, travestito da “efficienza” e “razionalizzazione”. In realtà è solo disumanità legalizzata. Il principio del “Paese terzo sicuro” è già di per sé discutibile, specie considerando che alcuni di questi Paesi sono teatri di guerra, repressione o violenze documentate. Ma con questo cambio di rotta, l’UE rinuncia anche all’ipocrisia di fingere un minimo di tutela.

A Bruxelles si lavora per respingere, non per accogliere. Si legifera per chiudere, non per capire. E il diritto internazionale diventa carta straccia piegata alle convenienze politiche. Altro che “valori europei”: questa è l’Europa della deresponsabilizzazione e dei confini esternalizzati. Un’Europa sempre più piccola. Sempre più indegna.

Buon mercoledì.

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