Una striminzita sanatoria non abolirà lo sfruttamento lavorativo in agricoltura. Restano irrisolte le sue cause strutturali: l’assenza di trasporti, alloggi e collocamento per i braccianti e lo strapotere dei supermercati. Ecco cosa (non) ha fatto la ministra Teresa Bellanova

Sulla sincerità delle lacrime della ministra Teresa Bellanova, che hanno interrotto la sua presentazione a Palazzo Chigi della sanatoria per braccianti, colf e badanti prevista nel decreto Rilancio, e sul paragone col “precedente Fornero”, molto è stato detto e scritto. Per valutare l’operato della ministra dell’Agricoltura sul fronte della tutela dei diritti dei lavoratori delle campagne, però, è preferibile sospendere il giudizio sul suo linguaggio verbale, e concentrarci piuttosto sui fatti.

Innanzitutto la regolarizzazione di cui parliamo sarà “a tempo”, con forti condizionalità, relativa a solo pochi ambiti lavorativi, finalizzata in buona sostanza a rispondere rapidamente alla carenza di forza-lavoro di imprese e famiglie causata dal Covid più che a garantire il benessere delle persone coinvolte dalla misura. Proprio dal mondo delle aziende agricole, infatti, sono arrivati gli input più forti a favore della sanatoria per i braccianti.
Pur trattandosi dunque di una norma strategicamente necessaria, che può dare una piccola e momentanea boccata d’aria a tanti lavoratori, permettendo loro di rafforzare le proprie rivendicazioni, resta comunque un provvedimento che risponde innanzitutto alla logica del profitto e non a quella dei diritti.

D’altronde, ad affermarlo è stata la ministra stessa, ai microfoni dell’agenzia Vista: «Noi non stiamo facendo una cortesia ai cittadini immigrati dando un permesso di soggiorno – ha dichiarato – stiamo semplicemente registrando il bisogno che abbiamo di avere manodopera aggiuntiva». Inoltre, ancora una volta, si è preferito evitare di intervenire subito e con forza sulle cause strutturali dello sfruttamento del lavoro in agricoltura, ossia l’assenza di strumenti validi di incrocio tra domanda e offerta lavorativa, di trasporti per i braccianti, di alloggi adeguati, e soprattutto una filiera dell’agroalimentare malata, del tutto sbilanciata verso la distribuzione, che troppo spesso è in grado di dettare regole e prezzi inaccettabili a chi coltiva e raccoglie frutta e verdura. O meglio, nelle bozze del decreto (al momento di andare in stampa, a quasi una settimana dalla sua presentazione, il testo ancora non è stato pubblicato in Gazzetta) alcuni buoni propositi ci sarebbero. Vanno ricercati in…

L’inchiesta prosegue su Left in edicola da venerdì 22 maggio

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