Home Blog Pagina 1018

Fotografare le Dolomiti come più di 100 anni fa. Gli scatti di Kurt Moser

©Kurt Moser

Il fotografo altoatesino Kurt Moser è convinto che nessuna tecnica moderna al mondo sia in grado, anche solo approssimativamente, di raccontare in un linguaggio visivo così intenso le storie delle sue montagne. Ha così riportato in auge l’ambrotipia, una particolare tecnica usata agli albori della fotografia. Il nome deriva dal greco “ambrotos”, che significa “immortale” e il procedimento è più o meno questo: delle lastre di vetro nere vengono dapprima rivestite con un’emulsione di collodio miscelata appositamente, in seguito sensibilizzate in un bagno d’argento ed infine impressionate in una telecamera a soffietto di grande formato.

La fotografia ancora bagnata viene sviluppata in una camera oscura, e poi fissata e sigillata con olio profumato alla lavanda e resina Sandarak. Le lastre di vetro scintillanti d’argento sono le immagini positive, e di conseguenza uniche. Un’immagine realizzata con l’ambrotipia non può essere copiata o riprodotta, né ridotta o ingrandita. Ogni lastra di vetro è un “unicum” irripetibile. Con una bellissima macchina fotografica a soffietto dell’anno 1907, grande quasi due metri, riesce a produrre ambrotipie su vetro fino a un formato di 50 x 60 cm. Il risultato sono immagini diverse da quelle cui siamo abituati oggi. Il fotografo si è già fatto notare catturando i volti dei contadini sudtirolesi, che sembrano arrivare direttamente da un’altra epoca.

Un’immagine realizzata con l’ambrotipia non può essere copiata o riprodotta, né ridotta o ingrandita. Ogni lastra di vetro è un “unicum” irripetibile.

Il prossimo progetto di Kurt Moser, per cui ha lanciato anche un crowdfunding su Kickstarter, è andare in giro a catturare la luce delle Dolomiti con un macchina fotografica gigante su quattro ruote allestendo un camion russo Ural 6×6: «Nella parte posteriore del camion, in una cabina in alluminio resa completamente buia, verrà creata un’apertura per l’obiettivo e al suo interno verrà montato uno slot per lastre di 120×150 cm» ha spiegato il fotografo. L’obiettivo che utilizzerà in questo caso è un gigantesco e rarissimo 1.780 mm della Nikon, del quale esisterebbero soltanto 5 o 6 esemplari nel mondo.

Fotografo altoatesino cacciatore di luce con tecnica '800

Kurt Moser con la sua macchina fotografica a soffietto dell’anno 1907
Kurt Moser con la sua macchina fotografica a soffietto dell’anno 1907

© Kurt Moser
© Kurt Moser

©Kurt Moser
©Kurt Moser

© Kurt Moser
© Kurt Moser

© Kurt Moser
© Kurt Moser

© Kurt Moser
© Kurt Moser

2016-2

Fotografo altoatesino cacciatore di luce con tecnica '800

Oliver Paasch: «Solo il 13 per cento della popolazione belga appoggia il CETA»

Oliver Paasch, il Presidente della Comunità germanofona del Belgio – la più piccola delle tre comunità federali del Paese – ha affermato che soltanto il 13 per cento della popolazione nazionale sostiene il CETA.

Paasch ha anche difeso la posizione di Paul Magnette, Primo ministro della Vallonia, non tanto nel merito delle considerazioni critiche sul CETA, ma piuttosto rispetto all’onestà intellettuale che ha dimostrato: «E’ da mesi che la Vallonia solleva dubbi importanti sull’accordo e la Commissione europea ha commesso errori importanti nel condurre le negoziazioni in modo poco trasparente» .

Il Presidente della Comunità germanofona ha quindi escluso che l’atteggiamento vallone sia di natura tattica e indirizzato all’ottenimento di contropartite da Bruxelles. Paasch ha anche chiesto «rispetto per l’assetto istituzionale del Paese». che conferisce ai Parlamenti regionali la possibilità di declinare un accordo internazionale. «Ciò ha a che fare con il fatto che un trattato come il CETA va a toccare delle prerogative delle singole comunità federali».

Negli scorsi giorni alcuni eurodeputati avevano criticato il fatto che un Parlamento regionale, rappresentativo di meno dello 0,6 per cento della popolazione del continente, sia in grado di bloccare un accordo internazionale. Alessia Mosca, eurodeputata del Partito Democratico ha affermato che «esiste un problema di forma democratica». Pochi però si interrogano sul problema democratico di fondo: la resistenza al CETA e al TTIP è diffusa. Lo dimostra il 13 per cento di consenso della popolazione belga, nonché numerosi sondaggi condotti in passato. I dati dell’Eurobarometro sul TTIP, analizzati da Vote Watch nel maggio di questo anno, dimostrano per esempio che in  Germania soltanto il 27 per cento della popolazione è favorevole all’accordo. Insomma, di deficit democratici, come minimo, ne esistono di diversi tipi.

Nel frattempo continua la corsa contro il tempo per trovare un accordo sul CETA. Due giorni fa, il Primo ministro Belga, Charles Michel, ha confermato che il suo Paese non è in grado di firmare il trattato. Nonostante ciò, il Primo ministro canadese, Justin Trudeau, e il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, non si danno ancora per vinti. Apparentemente le negoziazioni tra le istituzioni europee e lo stato federale belga stanno proseguendo senza soluzione di continuità.

Leggi anche:

BruxellesEuractivNon solo l’Italia: la Commissione europea ha seri dubbi anche sulle leggi di bilancio di Cipro e Finlandia. Chiesti chiarimenti anche a Belgio, Lituania, Portogallo e Spagna

UngheriaEuronewsL’Ungheria ha iniziato a costruire una nuova barriera anti-migranti lungo il suo confine con la Serbia

TurchiaBBCZara, Mango Jeans, Marks and Spencer:  quando i profughi minori siriani vengono sfruttati per realizzare i capi d’abbigliamento che indossiamo in Europa  

Oggi in Aula la legge per proteggere i bambini non accompagnati

Alcune delle 140 persone, di cui 18 bambini e 38 donne, tratte in salvo da La Bourbon argos, una delle tre navi di Medici senza Frontiere impegnata in operazioni di ricerca e soccorso in mare di migranti, 16 giugno 2016. ANSA/ UFFICIO STAMPA - MEDICI SENZA FRONTIERE ++HO - NO SALES EDITORIAL USE ONLY++

Fra i respinti di Goro, soprattutto bambini con le loro mamme. Quella che dovrebbe essere la natura, diventa una fortuna per molti di loro. Perché invece a sbarcare da soli sulle nostre coste, non accompagnati, sono in migliaia. Almeno 20.160, secondo le stime ufficiali, i bimbi arrivati senza genitori dal 1 gennaio al 20 ottobre 2016 nel nostro Paese. Circa il doppio rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, e rappresentano il 14% del totale degli arrivi.

Ma finalmente sbarca anche alla Camera una buona legge, in votazione oggi, riguardante il riordino del sistema di accoglienza e protezione dei minori stranieri non accompagnati. Il ddl (“Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e altre disposizioni concernenti misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati”, leggi il testo) prevede il divieto di respingimento per i minori non accompagnati e disciplina in modo organico il loro percorso una volta arrivati in Italia, dall’identificazione alla prima accoglienza ai percorsi di integrazione. Soprattutto, rafforza istituti fondamentali come quelli dell’affido familiare e del tutore.

“Se, come mi auguro fortemente, questa legge verrà approvata”, spiega Raffaela Milano, Direttore Programmi Italia-Europa di Save the Children Save the Children, che ha collaborato alla stesura del testo, “l’Italia avrà finalmente un sistema nazionale strutturato di accoglienza e protezione, lasciandosi alle spalle anni in cui si è continuato a seguire un approccio emergenziale, con le istituzioni nazionali e locali spesso costrette a rimpallarsi competenze e responsabilità, esponendo così bambini e adolescenti vulnerabili a ulteriori gravissimi rischi”. Tra gli altri punti del disegno, la regolamentazione delle procedure di accertamento dell’età, in modo che i minori non vengano più sottoposti inutilmente a esami medici invasivi, e un punto fondamentale, se applicato nella prassi: il diritto all’ascolto.

Perché cosa succede oggi a questi bimbi una volta arrivati nel Belpaese? Vengono trattati come adulti, quindi spesso come non persone, rimpatriati, confinati in qualche centro di accoglienza. O magari si trovano a Goro. O persi nelle maglie dello sfruttamento e della pedofilia.
“Questi bimbi arrivano in Italia dopo viaggi terribili, lunghi e pericolosi”, continua Raffaella Milano “e devono avere la certezza che ci sia un adulto che gli dia fiducia e protezione”. Invece, l’accoglienza con la conseguente tutela che si dovrebbe loro, è fino a oggi, “uno dei punti più critici che si riscontrano nella prassi, con la conseguenza che, mancando una persona di riferimento che curi gli interessi di questi ragazzi, è impossibile attivare le procedure a loro protezione, tra cui quella del ricollocamento in altri Paesi europei”.

La legge è stata presentata dalla maggioranza, prima firmataria Sandra Zampa. Ma trova anche l’opposizione più che favorevole ad appoggiarla: “Noi la voteremo senz’altro”, ci dice Celeste Costantino, deputata di Sel-Si, “perché quando si tratta di stare dalla parte dei più vulnerabili, non esiste opposizione”.

È una legge seria, ci conferma Costantino, che “introduce una sere di misure normative che assolutamente migliorano la vita dei minori non accompagnati. L’unico dato negativo sono i vincoli dal punto di vista finanziario, li abbiamo scoperti stamattina”, dice. “Avremmo voluto un finanziamento maggiore, perché tutto il ramo dell’accoglienza è il settore che soffre di più dal punto di vista delle coperture, e avremmo voluto che gli venisse dedicato un maggiore investimento”. In ogni caso, la legge deve passare, perché “aumenta la tutela, e pone garanzie in


tutto il percorso. Cosa fondamentale visto che oggi i bambini o scompaiono o in finiscono in mano ai trafficanti e perfino ai pedofili, come è emerso dalle indagini. Anche per questo è un segnale estremamente importante, che il Parlamento se ne occupi. Mi auguro solo che non si fermi in Senato, come è successo per lo ius soli e la legge sul caporalato. Perché sono tre anni che lavoriamo a questo testo”. E il tempo, in questo caso, è tiranno.

Afghanistan. La fame, killer silenzioso

I bambini arrivano per essere vaccinati alla clinica mobile di MSF nel villaggio di Speena Posa, nella periferia di Kabul. Dopo più di dieci anni di investimenti e aiuti internazionali, l'accesso alle cure mediche di base e di emergenza in Afghanistan resta seriamente limitato e assolutamente inadatto a soddisfare i crescenti bisogni causati da un conflitto ancora in corso. Lo rivela il nuovo rapporto presentato dall'organizzazione Medici Senza Frontiere (MSF). ANSA/ANDREA BRUCE +++EDITORIAL USE ONLY - NO SALES+++

Pubblichiamo la testimonianza di Giorgio Cortassa, medico che sta prestando servizio in Afghanistan. A partire dal luglio scorso Intersos è tornata nel Paese dove è presente dal 2001 lavorando con la popolazione locale. Il progetto “Intervento multi-settoriale integrato alla lotta contro la malnutrizione acuta nella Provincia di Herat” è finanziato dall’Agenzia Italiana Cooperazione allo Sviluppo, è realizzato da Intersos in cooperazione con la Ong Italiana Gvc Gruppo Volontariato Civile e con la Ong Afghana Bdn Badakshan Development Network.

di Giorgio Cortassa*
Da gennaio a giugno, quest’anno, in Afghanistan, 388 bambini sono stati uccisi nell’ambito di conflitti a fuoco terrestri tra forze governative e gruppi di opposizione. Nello stesso periodo, si stima che i bambini di età inferiore a 5 anni morti per causa diretta o indiretta della denutrizione siano stati oltre 63.000. Quelle morti violente fanno scalpore, ma le altre non solo sono tantissime di più: esse sono anche lente e terribili, dovute a un colpevole vile e spietato che si cela nell’ombra. Un killer silenzioso.
La guerra NON è “meno peggio” della denutrizione. Questi bambini sono malnutriti, cosi come le loro mamme, anche e soprattutto perchè il loro Paese è in guerra da anni ed anni. Non esiste – ovviamente – un “troppo”, per lo stato di guerra. Anche un solo giorno, anche una sola ora sono già troppo. Ma per l’Afghanistan si è al di là di ogni limite. Questo Paese affascinante e terribile, con la sua posizione strategica al centro dell’Eurasia, è sempre stato, fin dai tempi di Alessandro il Macedone, un crogiolo di popoli e delle loro culture con le loro differenti espressioni religiose, filosofiche, artistiche, economiche e – purtroppo – anche belliche. Nessuno meglio degli afghani conosce la guerra, e in particolare la guerriglia: attualmente abbiamo ogni settimana una media di oltre 700 “incidenti” con scontri a fuoco di vario livello, dalla bombetta fai-da-te all’auto-bomba con 500 chili di C4, su su fino all’attacco complesso organizzato. Ma l’attenzione internazionale in questi mesi si appunta sul Nord Africa, sul Medio e Vicino Oriente – Siria e Libia, Iraq – e allora qui il demone della guerra continua a colpire, approfittando della distrazione, con sempre maggiore virulenza.
Come sempre accade in questi casi, ed ancor di più oggi in questi nostri tempi moderni di cosiddette tecnologie “avanzate” (come mitragliatrici, razzi, bombe intelligenti, droni e chi piu ne ha piu ne metta) sono gli innocenti e i più deboli, coloro che la guerra non la fanno ma la subiscono, bambini, donne, anziani a pagarne – e di gran lunga – le maggiori conseguenze. L’Afghanistan ha i peggiori indicatori di salute del mondo. Secondo alcuni la mortalità infantile ad un anno di vita sarebbe addrittura di 115 bambini su 1000, quella a 5 anni sembra comunque sicuramente non inferiore al 55/1000. La malnutrizione cronica, sotto forma di mancato sviluppo, colpisce il 41% di tutti i bambini: oltre 2 milioni e mezzo di esseri umani la cui vita, comunque andranno le cose, resterà comunque compromessa da questo grave difetto di crescita. Di questi, secondo le stime attuali, almeno un milione peggiorerà ulteriormente andando incontro a malnutrizione acuta, grave, e per questo motivo oltre uno su quattro di loro morirà entro un anno.

Abbiamo formato un gruppo infermiere e ostetriche afghane per operare nei distretti lontani e nei villaggi sperduti dove la loro azione è più necessaria. Abbiamo insegnato loro a riconoscere i primi segni di malnutrizione e quali siano le migliori pratiche nutrizionali per bambini grandi e piccoli, pratiche fattibili qui e da insegnare alle loro mamme. Stiamo fornendo i libri e i poster d’informazione oltre ai medicinali ed ai nutrienti necessari al lavoro nelle cliniche. Stiamo facendo sessioni di sensibilizzazione nelle comunità rurali sull’importanza di riconoscere la malnutrizione e su come prevenirla. Stiamo avviando lavori di ristrutturazione dei pozzi e delle reti idriche danneggiate. Distribuiremo 600 capre gravide a 300 famiglie tra le più bisognose, semi e materiali per la coltivazione degli orti domestici, insieme alle istruzioni per come farli al meglio.
Naturalmente ci rendiamo conto che tutto questo non rappresenta che una goccia nel mare delle necessità di questo popolo. Ma anche un viaggio di 10.000 leghe inizia con un piccolo passo. E poi non siamo soli: anche se a ranghi ridotti la comunità degli aiuti umanitari internazionali è ancora qui e anche la Cooperazione Italiana è ancora qui, ad Herat, dove in passato ha investito tanto. Allora se noi riusciremo a fare il nostro progetto, un progetto molto difficile e complesso, nelle zone lontane e molto, molto difficili che ci sono state affidate, allora la nostra goccia nel mare, il nostro piccolo passo, avrà un grande valore simbolico, perchè darà un messaggio importante: il messaggio che si può fare.

* medico e coordinatore del progetto Intersos sulla malnutrizione in Afghanistan

 

E invece noi li avevamo accolti, quelli di Goro

Chissà cosa ne pensano i nonni di questi nipoti scapestrati che a ieri Goro (e Gorino) si sono barricati cacciando un manipolo di donne e bambini rifugiati mentre loro stavano  travestiti da gladiatori rendendosi patetici agli occhi dei una nazione intera. Chissà se loro, i nonni di Goro, gliel’hanno mai raccontato che il 12 novembre del 1958 all’una e venti l’argine della marina davanti a Ca’ Romanina cedette invadendo il Bonello appena bonificato e al mattino tutto il paese si trovò sommerso dall’acqua.

Chissà se questi trecento vigliacchi che si sono schierati per rimbalzare una decina di madri con i loro figli scampate alla guerra hanno ascoltato gli anziani del paese raccontargli che al tempo gli abitanti di Goro trovarono ristoro nella solidarietà di tutti gli altri, dopo l’alluvione. Chissà se gli hanno raccontato che quando i goranti nel 1958 hanno chiesto un rifugio hanno trovato tutte le porte aperte: niente inumani dementi o cataste di bancali quella volta.

Chissà perché quando la storia si ripete c’è sempre qualcuno che non se ne ricorda e solitamente è anche lo stesso che sbava rabbia, sventola false verità e vorrebbe legittimare i suoi istinti più bassi. Il contrappasso di quei 300 sarebbe tornare in classe a scuola degli anziani del loro paese per imparare che la solidarietà a volte è l’unica salvezza possibile quando troppe nubi si addensano. Quella stessa solidarietà che loro hanno tradito insieme alla dignità di un Paese intero che si vergogna per loro.

Loro vi diranno, vedrete, che lì nel 1958 però si trattava di italiani, senza sapere che la distinzione tra nazionalità e razze è una codardia che appartiene solo a loro e che rischia comunque di ritorcersi contro. Perché se dovessimo stupidamente sezionare le caratteristiche comuni che tengono insieme un popolo in nome dei confini e delle divisioni beh, allora sono in molti a pensare di non essere della stessa razza e di non voler essere concittadini di quei 300 di Goro.

Buon mercoledì.

(p.s. che tristezza Renzi e Bersani che parlano di “stanchezza” e “comprensione”. Che tristezza)

Bocciata la legge M5s sul taglio agli stipendi dei parlamentari

Il leader del M5S Beppe Grillo in tribuna durante la discussione generale sulla proposta di legge sulla riduzione delle indennità dei parlamentari nell'aula di Montecitorio, Roma, 25 ottobre 2016. ANSA/ANGELO CARCONI

C’era da aspettarselo: la Camera boccia la legge sul dimezzamento delle indennità dei Cinquestelle. La cosiddetta “legge Lombardi” è stata rispedita in commissione Affari costituzionali. Contrarie alla bocciatura, tutte le opposizioni dell’Emiciclo, da Sinistra italiana a Fratelli d’Italia.

schermata-2016-10-25-alle-16-58-42

 

A niente erano serviti gli appelli ammorbiditi di Beppe Grillo, oggi in tribuna per assistere alla votazione, che vestendo – letteralmente – i panni di un francescano, lanciava il “Pace e bene Day” accompagnandolo con l’hashtag #siategenerosi e invocando perfino il Papa

pacebeneday

«Nessun parlamentare morirà di fame o stenti», assicurava. E questo è vero, perché la proposta di legge non rivoluzionava particolarmente gli stipendi della casta. Si al dimezzamento, si al tetto sulle spese di soggiorno e di viaggio entro il limite massimo di euro 3.500 mensili, e pubblicazione online dell’estratto conto delle carte di credito, ma resta il rimborso spese di 3.690 mensili e resta l’indennità di fine mandato, il cui importo è commisurato all’importo dell’indennità da parlamentare (5.000 euro) e alla durata complessiva del mandato rappresentativo svolto.

Ma di fatto, il dimezzamento avrebbe garantito un risparmio di 61 milioni di euro. Comunque la si voglia pensare, attualmente i parlamentari più pagati del mondo resteranno tali.

schermata-2016-10-25-alle-17-27-23

Alla notizia della bocciatura, parlamentari e attivisti grillini si sono radunati in piazza Montecitorio per protestare «Stateci vicini e fatevi sentire», ha scritto Di Maio. Più amaro Alessandro Di Battista, che ha pubblicato un indignatissimo post: «Oggi l’Italia intera si è resa conto che coloro che vanno in TV dicendo che occorre cambiare la Costituzione per tagliare i costi e per velocizzare il processo di approvazione delle leggi, sono gli stessi che hanno appena evitato addirittura di votare la legge per il dimezzamento degli stipendi dei parlamentari», scrive. «Neppure hanno avuto il coraggio di votare. È sotto gli occhi di tutti la loro ipocrisia, la loro meschinità, la loro mediocrità etica e morale. Per valutare invece le loro qualità politiche è sufficiente vedere come sta l’Italia».

Sul prossimo numero di Left, continua l’approfondimento sui rendiconti e le indennità Cinquestelle.

Obiezione di coscienza. Adesso basta

È disumano e inaccettabile che una giovane donna incinta di due gemelli,  muoia per infezione, alla diciannovesima settimana, a causa di un mancato intervento medico- sanitario. Un caso di mala sanità, ha scritto il quotidiano L’Avvenire. Non c’entra nulla l’obiezione di coscienza, dice la relazione della “task force” del ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Una tragedia dovuta all’obiezione di coscienza affermano invece i familiari di Valentina. Ovvero, a ragioni ideologiche e confessionali accampate dal medico di turno, che nulla hanno a che fare con la scienza. Dopo l’aborto spontaneo del primo dei due feti bisognava evitare la sepsi. Anche chi non ha una specializzazione o una laurea in medicina può arrivare a pensarlo.

La magistratura sta indagando su ciò che è accaduto nell’ospedale Cannizaro di Catania, dove l’obiezione di coscienza da parte dei medici è pressoché totale; dove Valentina è stata abbandonata da chi aveva gli strumenti e il dovere umano e professionale di intervenire.

“L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”. Lo dice l’articolo 9 della legge 194. Ma il ministro Lorenzin, invece di preoccuparsi della piena applicazione della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, concepisce iniziative come il Fertility day con campagne pubblicitarie che, nel nuovo millennio, evocano un ducesco chiedere alle donne figli per la patria.

 Ci impone di ripensare radicalmente l’obiezione di coscienza quello che è accaduto a Catania. Una tragedia simile può accadere di nuovo in tante regioni italiane dove le cifre dell’obiezione di coscienza sfiorano il 90 per cento fra i ginecologi ospedalieri. Per le ragioni più varie. Perché cattolici credenti. Perché fa comodo professarsi tali, dal momento che accettare di fare interruzioni di gravidanza in Italia non aiuta la carriera medica. Anzi. In pochi prestano servizio anche perché (visto che nessuno lo vuole fare) poi si finisce per fare solo quello.

Parallelamente va registrato un fenomeno scandaloso: alcuni obiettano nelle strutture pubbliche e  fanno interruzioni di gravidanza in cliniche private, a pagamento. Lo abbiamo documentato su Left quando in anni passati ci sono state precise denunce e indagini. Che ci hanno fatto intravedere scorci di un inquietante sommerso, difficile da scandagliare. In cui si registrano fatti  gravissimi come quello demunciato dai consiglieri regionali di Sì Toscana a Sinistra, Paolo Sarti e Tommaso Fattori, che raccontano di aborti a pagamento nella sanità fiorentina: «Interruzioni volontarie di gravidanza in regime di libera professione con tariffe che vanno dagli 800 ai 1.500 euro ad intervento». In questo caso, come precisano i due consiglieri in una interrogazione urgente al presidente della Regione Enrico Rossi, non si tratta di una pratica fuorilegge, perché in intramoenia, cioè dentro le strutture pubbliche, ma è a dir poco disonorevole.

Anche per far cessare questi abusi è necessario che il ministro della Salute lavori per la piena applicazione della legge 194, avviando una seria campagna di informazione sulla contraccezione. Come dimostra il rapporto della Smic, Società medica italiana per la contraccezione,  che riporta i dubbi e le domande delle giovanissime, ce n’è un gran bisogno. In questo quadro, va registrato anche un dato incoraggiante: il drastico abbassamento del numero degli aborti che si è registrato dal 2015, da quando la pillola dei cinque giorni dopo (ellaone) è acquistabile senza ricetta.

In attesa che il ministro  Lorenzin cominci finalmente a fare il proprio lavoro, una importante iniziativa è partita dalla società civile: una petizione lanciata su Change.org in cui un numero crescente di cittadini dice basta alla obiezione di coscienza negli ospedali pubblici.

L’obiezione di coscienza è una possibilità concessa dalla legge 194, che poteva essere adeguata alla realtà di quasi qurant’anni fa quando entrò in vigore la legge che legalizzava l’aborto mettendo fine al dramma degli aborti clandestini. Chi era già medico e specializzato in ginecologia quando, nel 1978, entrò in vigore la nuova norma chiese di poter sceglire, ma oggi se un medico liberamente decide di fare l’operatore sanitario in un ospedale pubblico che garantisce anche il servizio di interruzione volontaria di gravidanza, perché dovrebbe avere il diritto  di dichiararsi obiettore? E soprattutto perché gli ospedali pubblici che registrano un numero altissimo di obiettori non cercano di organizzare servizi alternativi evitando l’omissione di soccorso?

Nice a Left: «Ho un sogno. Mettere fine all’infibulazione»

Venticinque anni e un sogno: far cessare la mutilazione genitale femminile nel suo Paese e non solo. Nice, Nailantei Leng’ete alla nascita, ha salvato oltre 10.500 bambine dal terribile taglio in Kenya e Tanzania, grazie alla mediazione con i capi tribù Masai e all’adozione di riti di passaggio alternativi. Celebrazioni che sostituiscono la mutilazione, in accordo con gli anziani e i guerrieri Masai che, per tradizione, non possono sposare una ragazza se non è stata “tagliata”.
Oggi pomeriggio, è venuta a trovarci in redazione e ha lanciato questo messaggio:

 

«Pronti?» Pronti. «Penso a una call to action rivolta a tutti. Il motivo per cui sono qui in Italia è porre fine alla mutilazione genitale femminile. Lo possiamo fare solo se investiamo nell’educazione femminile assicurandoci che le ragazze possano avere strumenti per realizzare i loro sogni e avere uguali opportunità rispetto a ragazzi della loro stessa età, essere davvero competitive con il resto del mondo». Questo il messaggio di Nailantei “Nice” Leng’ete è un’attivista keniota 25enne per la lotta contro le mutilazioni genitali femminili. Nel 2022 si candiderà alle elezioni politiche in Kenia per cercare di diventare deputata e portare avanti la sua battaglia #LeftLive @amref_italia

Un video pubblicato da Left (@leftavvenimenti) in data:

 

La lotta alle mutilazioni genitali femminili per Nice – scampata a 9 anni all’infibulazione fuggendo di casa – rappresenta un grande riscatto. La sua, è la storia di una ragazzina coraggiosa, che si è fatta sentire e rispettare in una tribù dominata da uomini dominanti dai quali alla fine è riuscita a farsi ascoltare. Tanto che nel 2008 i capi del villaggio scelgono Nice per farla diventare educatrice di comunità. E assieme ad Amref, parte il progetto “Salute riproduttiva delle giovani donne nomadi”. Oggi Nice è assistente dei progetti della onlus in Kenya. Diventando, per le bimbe africane, un’icona da emulare.

Il suo orizzonte: impegnarsi in politica nel 2022, ampliando così il raggio d’azione. Ma di sogni ne ha tanti altri, e ce li ha raccontati (presto l’intervista integrale).

Negli ultimi mesi, Nice è stata negli Stati Uniti per partecipare a un “corso” voluto da Barak Obama per futuri leader africani.

Il premierato all’italiana, ecco cosa c’è dietro alla riforma Renzi-Boschi

La Camera dei Deputati semideserta durante la discussione sulle linee generali del disegno di legge sulle riforme costituzionali, Roma, 11 Aprile 2016. ANSA/ GIUSEPPE LAMI

“Sarà molto più veloce fare le leggi”. Questa è una delle tante dichiarazioni-spot del comitato per il Sì al referendum. Ma la revisione costituzionale non cambia sostanzialmente nulla dal punto di vista dei tempi dell’iter legislativo. Anche perché bisogna metterci in testa una volta per tutte che è soprattutto il governo che fa le leggi, non il Parlamento, a cui toccano davvero le briciole. E quando vuole, il governo è velocissimo. Il problema se mai viene dopo, con i decreti attuativi delle leggi approvate, che non arrivano, ma questo è un altro discorso…

Sono importanti i dati raccolti da Openpolis l’associazione che cura da anni un osservatorio civico con il monitoraggio capillare dell’attività parlamentare e che offre sempre puntuale la radiografia dei lavori parlamentari. Sul referendum Openpolis sta raccogliendo materiale fondamentale per poter comprendere dove va a inserirsi questa riforma costituzionale. Nella XVII legislatura a inizio settembre su 6.729 proposte di legge depositate sono arrivate in fondo all’iter 243, cioè il 3,61 del totale. Tra queste 195 sono proposte del governo, mentre quelle parlamentari sono solo 46. Mentre per le proposte di leggi di iniziativa governativa ci è voluto in media sei mesi per approvarle, per le altre parlamentari i tempi si sono allungati fino a una media di un anno e mezzo. Comunque si va dai 6 ai 17 mesi.

schermata-2016-10-25-alle-12-23-49

Vincenzo Smaldore, responsabile dei contenuti di Openpolis è lapidario: «Se c’è la volontà politica l’approvazione avviene in tempi rapidi». E il governo sfruttando  lo strumento del decreto legge contingenta i tempi: occorrono infatti 60 giorni perché ci sia la conversione in legge da parte del Parlamento. Tutti i temi importanti e “sensibili” come il Jobs act, la Buona scuola, portano naturalmente la firma del governo e non del parlamento. Cosa rimane allora ai 630 deputati e ai 315 (finora) senatori? «Le leggi pro forma: per esempio per far funzionare le commissioni d’inchiesta occorrono delle leggi, ma sono adempimenti formali, non c’è una discussione», dice Smaldore. Oppure leggi per le celebrazioni di personaggi come Boccaccio o l’anno dantesco. Oppure ancora leggi su temi che non hanno una immediata ricaduta, come quella piuttosto discussa sul reato di negazionismo (1180 giorni) o il ddl antisprechi (1015 giorni). Dall’altra parte si è faticato molto anche su due leggi fondamentali per la XVII legislatura come si legge nello speciale referendum di Openpolis: l’Italicum e la revisione costituzionale (oltre 700 giorni), ma in questo caso l’argomento era fortemente divisivo.

schermata-2016-10-25-alle-13-00-29

È il governo che nelle ultime legislature ha in mano il potere legislativo. «Non a caso un altro nostro dossier si chiamava Premierato all’italiana», continua Smaldore. «Manca l’ufficialità, ma da un pezzo si sta andando in questa direzione, per cui è più forte il ruolo del governo e del presidente del consiglio. E nella revisione costituzionale questo trend viene mantenuto». Anzi. Nella riforma Renzi-Boschi si dà, in un certo senso, quell’ufficialità che mancava, per cui è vero che per i decreti legge vengono previsti dei limiti (poi è tutto da decidere) ma per contro viene introdotta la norma del “voto a data certa” per cui entro 70 giorni la Camera deve votare il provvedimento governativo considerato essenziale per l’attuazione del programma di governo. È un po’ una ratifica di quanto sta già accadendo.

«Per il fronte del Sì, questo porterà benefici visto che ci sono strumenti ad hoc, per il No invece si tratta di un avvicinamento all’oligarchia», continua Smaldore. Continuerà anche il sistema dei maxiemendamenti da approvare con voto di fiducia, in cui spariscono tutti gli emendamenti che le commissioni avevano proposto per la conversione in legge del decreto legge. E poi ci sono le leggi delega, per le quali il Parlamento affida in toto al Governo il suo potere legislativo. «Per esempio sul decreto sulla pubblica amministrazione Madia, il governo ha fatto quel che gli pareva, anche se nelle deleghe si fissano delle cornici entro le quali ci si deve muovere, ma nella prassi davvero l’esecutivo fa quel che vuole», conclude il responsabile di Openpolis. Insomma, non è vero che i tempi sono lunghi – perché volendo sono rapidissimi – e non è vero che il governo ha le mani legate con questo Parlamento, visto che la stragrande maggioranza delle leggi arrivano da Palazzo Chigi.