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I medici che non tutelano la salute della donna commettono un reato (Articolo 9, legge 194)

Un momento della contromanifestazione organizzata per protestare contro il presidio antiabortista con preghiera contro la legge 194 in Piazza San Domenico, Bologna, 13 giugno 2015. ANSA/GIORGIO BENVENUTI

Valentina Milluzzo, era una giovane donna siciliana di 32 anni, al quinto mese di gravidanza dopo una fecondazione assistita andata a buon fine. Era incinta di due gemelli. È stata ricoverata il 29 settembre per una sospetta dilatazione dell’utero, dopo giorni è sopraggiunta la febbre, ed è stato diagnosticato qualcosa di strano per uno dei due feti. I parenti riferiscono che, nonostante Valentina urlasse per i dolori, il ginecologo avrebbe dichiarato: «Finché è vivo io non intervengo». Il feto viene estratto dall’utero appena il cuore smette di battere. Il secondo feto, dopo poche ore, esce spontaneamente. Il 16 ottobre Valentina muore. Il primario del reparto, dr. Paolo Scollo, conferma che «i medici sono tutti obiettori e quando è il caso vengono fatti intervenire specialisti esterni. Ma qui siamo di fronte a un aborto spontaneo, non era necessario alcun aiuto esterno» continua, spiegando che c’è stata tempestività nella diagnostica e nessuna responsabilità.
Gli ispettori inviati dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin hanno fatto sapere che non c’è stata obiezione di coscienza e che bisogna migliorare la comunicazione con i pazienti.La magistratura è comunque al lavoro sul caso, dopo un esposto della famiglia di Valentina.
è inutile negare che un problema c’è.
L’abuso del termine obiezione di coscienza anche nei casi in cui non è prevista. «L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo». Questo sancisce l’articolo 9 della legge 194. L’obiezione di coscienza non prevede che il medico o il personale dell’ospedale possano sottrarsi dall’intervenire per la tutela della salute della persona. Se lo fanno, commettono reato. Sono diversi i casi di abuso di questa formula, ad esempio nessuna legge prevede che il farmacista possa dichiararsi obiettore. Come diverse sono le forme di ingerenza operata in modo del tutto ingiustificato nella vita delle donne: emblematico è il caso dell’Asl di Bari che consegna alle donne che hanno appena abortito un documento nel quale si legge «le auguriamo che l’intervento cui è stata sottoposta in data odierna rimanga unico». Oppure ricordiamo V. costretta ad abortire sola in un bagno al cambio turno in ospedale con medico obiettore.

Questo editoriale lo trovi su Left in edicola dal 29 ottobre

 

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Incandescente Basquiat. Al Mudec una mostra del “Picasso nero”

Il suo quadro preferito era Guernica e, prima d’incontrare Warhol, aveva passato molto tempo a studiare le opere di Picasso, di Van Gogh, De Kooning e Pollock. Ma la forza di Basquiat non veniva solo dallo studio. Anche se aveva letto molto ed era poliglotta. La sua forza irresistibile veniva da uno stile primitivo e di strada, capace di far incontrare il segno potente dei graffiti dell’arte rupestre con la vita metropolitana e newyorkese.  Uno stile “selvaggio” capace di dare vita a intense forme di poesia concreta. Timido, silenzioso, e insieme dirompente, l’artista scomparso nel 1988 a soli 27  anni, ancora oggi, è fra i più amti dal pubblico giovane.

Il Mudec di Milano gli rende omaggio con una mostra curata da Gianni Mercurio del Moca di Los Angeles e dal critico e curatore Jeffrey Dietch, che fu amico dell’artista con il contributo di 24 Ore Cultura che pubblica il catalogo. Dopo la storica restrospettiva alla Triennale, dal 28 ottobre a Milano si possono vedere 140 opere di Jean-Michel Basquiat  di grandi dimensioni, ma anche disegni e fotografie. Un percorso cronologico che  riporta in primo piano il periodo più fertile del suo lavoro, tra il 1980 e l’87, realizzato con opere dalla collezione  di Yosef Mugrabi. Mentre le quotazioni di Basquiat continuano a salire (presto andrà all’asta anche il quadro appartenuto a David Bowie, di cui la moglie Imam ha deciso di disfarsi) il Museo delle Culture di Milano, fino al 27 febbraio 2017, invita a rileggere la sua opera dal vivo e  e  ad approfondire in modo critico il suo percorso folgorante.
Iniziato, come racconta la prima sezione della mostra milanese, quando non aveva nemmeno 18 anni, nel 1978, con un’intervista di Glenn O’Brien su una delle mille tv via cavo e no budget della New York di quegli anni. Il giornalista era stato attratto dai graffiti firmati Samo ©, dai suoi versi e aforismi ironici, poetici, innervati di critica sociale, che Basquiat aveva tracciato sui muri di Soho. Samo© era un nome collettivo che, all’epoca includeva anche Al Diaz, e le opere che produceva avevano già l’energia incontenibile di Basquiat, capace di intercettare la corrente impetuosa della vita di Soho o dell’East Village, multiculturale e multirazziale abitati da pachistani, indiani, coreani, haitiani, portoricani. Una fucina culturale e creativa perfetta per i giovani artisti  squattrinati.

Nel 1981 la prima personale in Italia, organizzata da Emilio Mazzoli a Modena. in quel periodo Basquiat comincia a cambiare stile, che diventa più voloce e incisivo, usando anche lo spry. “Quella di Jean‐Michel Basquiat è una pittura drammatica, alimentata dall’orgoglio del proprio essere nero dall’affermazione e dalla difesa dei valori etici e morali che si possono riscontrare nella cultura degli afroamericani. – scrive il cocuratore della mostra Gianni Mercurio – L’energia e la determinazione con cui egli ha affrontato questi temi sia sul piano dei contenuti sia su quello del linguaggio fanno sì che la sua sia un’arte epica, che ha aperto la strada agli artisti neri che sono venuti dopo di lui”.

Le testimonianze – in particolare quella intensa e schietta di Jennifer Clement, ora pubblicata da Electa storie con il titolo La vedova Basquiat –  ci dicono di un giovane uomo, amatissimo dalle donne, che sapeva cogliere stimoli e modelli dalla cultura di strada e che leggeva Kerouac, sapeva di jazz, conosceva la storia dell’arte. Questo mix inedito, in cui tuttavia gli afroamericani erano ancora emarginati, (anche se ricchi) emerge potente dai suoi lavori. Che tuttavia hanno sempre una cifra molto personale nel mescolare cultura “alta” e cultura di strada, dando vita a uno stile Basquiat che in tanti poi hanno cercato di imitare e di emulare.  Opere come grandi murales in cui ritmicamente tornano alcuni “segnali”: l’ uso della cancellazione per evidenziare un dettaglio, uso di materiali extra artistici, parole ossessivamente ripetute. Tanto che per lui si è parlato di pittura rap. E poi teschi, scheletri, maschere ghignanti prestate dalla mitologia caraibica, pittogrammi, frasi celebri ironicamente riviste  del tipo “Vidi, vici, vini” per raccontare l’Italia idiomi che raccontano la furia di vivere i un’intera generazione. E di quella fragilità che lo portò a perdersi nella Factory di Warhol e nella droga. Fantasmi che le sue pitture tribali  apotropaiche non esaltano, ma al contrario vogliono scacciare.

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Marche e Umbria, dopo le nuove scosse è il giorno della reazione

Rubbles and damaged houses in Camerino, near Macerata, a day after two big earthquakes shook central Italy, 27 October 2016. At least 200 aftershocks followed the first of two big earthquakes to hit central Italy on Wednesday, the National Institute of Geophysics (INGV) said Thursday. The first 5.4 magnitude quake struck at 19:10 Italian time and was followed by an even bigger one, of magnitude 5.9, at 21:18. But there were at least 200 aftershocks too. ANSA/ CRISTIANO CHIODI

Dopo la paura e l’angoscia per una ferita che si riapre, e non è solo quella della terra, oggi si cerca di voltare pagina. In Umbria e nelle Marche, purtroppo anche negli stessi paesi colpiti dal sisma del 24 agosto, oggi è il giorno della reazione. Una reazione che arriva dopo il sospiro di sollievo per il fatto che le scosse di terremoto di mercoledì 26 (5,4 e 5,9 di magnitudo) non hanno fatto vittime, solo danni agli edifici. Il ministro dell’Interno Alfano ha parlato di “bilancio miracoloso”, affermazione un po’ troppo enfatica, anche perché questo ennesimo terremoto punta l’indice sulla enorme fragilità dei borghi e paesi della fascia appenninica. Un’area il cui rischio è conclamato e su cui bisogna intervenire con la prevenzione, non a sisma avvenuto. Come giustamente ha detto Paolo Messina, geologo del Cnr a La Repubblica, «l’unica arma che abbiamo è costruire case a prova di terremoto».

Territori già colpiti dal sisma. Il Consiglio dei ministri ha esteso lo stato di emergenza per il nuovo terremoto e lo stanziamento per decreto è di 40 milioni. Con le “garanzie” di Vasco Errani, commissario alla ricostruzione dopo il terremoto del 24 agosto. «Ricostruiremo tutto, compresi i nuovi danni prodotti da queste ultime scosse», ha detto Errani a Visso, uno dei centri più colpiti nell’area tra Macerata e Perugia. Gli altri centri sono Ussita, il cui sindaco Marco Rinaldi, ieri sera a Rai News 24 ha pronunciato quella frase straziante: «Il mio paese è finito». Poi ci sono Camerino, città universitaria dove è crollato su una palazzina adiacente il campanile della chiesa di Santa Maria in Via, Castelsantangelo sul Nera e Campi di Norcia, dove la Chiesa di San Salvatore, un bellisismo edificio romanico, è venuto giù come fosse di cartapesta, un crollo immortalato da un operatore di Rai News 24 e che è diventato virale, un po’ il simbolo di questo terremoto d’autunno. Ad Amatrice il sisma si è sentito e ha prodotto altri danni: è crollato il palazzo rosso, detto “il palazzo della banca” che era rimasto in piedi dopo il 24 agosto. Gli sfollati sono circa tremila.

I soccorsi e il governo. Secondo quanto ha detto questa mattina a Radio 1 il ministro Alfano, sono 980 i vigili del fuoco al lavoro nelle zone colpite dal sisma, con 450 mezzi e 4 elicotteri. I volontari arrivano da tutta Italia, come era accaduto due mesi fa. I volontari dell’Anpas sono già arrivati a Foligno, presso la sede della protezione civile della Regione Umbria individuata come punto di raccolta, in arrivo anche la Colonna mobile delle Misericordie, tra cui quella dell’Emilia Romagna. Per le 18 è convocata dalla presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini, a Norcia, una riunione operativa con il commissario Vasco Errani e il capo della protezione civile Fabrizio Curcio. Sempre nel pomeriggio è atteso l’arrivo del presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Una giornata di pubblicità per il nuovo albergo di Trump

Republican presidential candidate Donald Trump, together with his family, from left, Donald Trump Jr., Eric Trump, Trump, Melania Trump, Tiffany Trump and Ivanka Trump, cut the ribbon during the grand opening of Trump International Hotel in Washington, Wednesday, Oct. 26, 2016. Donald Trump and his children hosted an official ribbon cutting ceremony and press conference to celebrate the grand opening of his new hotel. (AP Photo/Manuel Balce Ceneta)

New York City – Davanti alla Trump Tower, piazzata in quello che resta uno dei quadranti del lusso di una Manhattan che sta rapidamente diventando tutta di lusso, con attorno le boutique di Saint Laurent, Prada e molte altre case di moda della gamma alta e a due passi da Central park, c’è sempre del teatro. Sostenitori e oppositori si sfidano, prendono in giro, insultano. Qualche turista, più del solito, si ferma, entra, beve un caffé o una birra nello scuro Trump Bar, fotografa. Tre poliziotti fuori, due nella hall di marmo rossastro e specchi, molto anni 80, cascata compresa.
Oggi c’è una signora grassotta che ricorda a tutti che «se non volete morire schiavi dovete votare Trump». E quando arriva un colosso vestito con il pigiama a strisce da galeotto e la maschera di Hillary con le corna gli chiede: «Non starai mica con Hillary?». «No! È il diavolo e dovrebbe stare in galera» risponde lui infilandosi la maschera». Il pugno di intesa che si scambiano è qui sotto. In strada, sotto la Trump Tower i fan di TheDonald sono così.

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Poi ci sono tre signore e un ragazzo in sedia a rotelle che si fanno un selfie tenendo in mano il cartello della campagna Trump-Pence. Sono, in piccolissimo, due campioni della gente a cui piace il candidato repubblicano: gente strana, un po’ marginale e bianchi non giovani. Loro, ci sperano ancora: «Trump può vincere e i sondaggi non sono affidabili: non voglio morire pagando le tasse, hai visto che è successo con Obamacare? I premi aumenteranno? E chi paga?». Marie-Ann è quella non bizzarra del gruppetto, vive a Staten Island, uno dei cinque borough in cui è divisa New York City, quello più simile a un suburb, meno metropoliano e più anziano degli altri.

Davvero ce la può fare Trump? Gli ultimi sondaggi lo danno in lieve recupero, secondo Bloomberg, in Florida sarebbe persino in vantaggio di un punto. Vedremo, ma un ribaltamento dei sondaggi è improbabile. Senza farla lunga ed entrare in lunghi e noiosi particolari – un post dedicato solo ai numeri nei prossimi giorni –  a oggi dovrebbe riprendere Clinton in almeno una decina di Stati per vincere. Non impossibile, ma difficile. Nonostante le continue fughe di notizie (o meglio i leaks di Wikileaks), che rende Hillary un candidato debole più di quanto non sia, Trump ha più falle nella nave della sua concorrente.

E allora a che gioco sta giocando? La giornata di ieri l’ha passata inaugurando un hotel di lusso a Washington. Una scelta che può essere interpretata in due modi: sta passando ad altro e promuove il suo marchio, cerca di ricordare a tutti di essere un imprenditore di successo. Il discorso ai suoi dipendenti era pacato e meno teatrale del solito, ma non continuerà così. «Se parlo davanti a ventimila persone che vogliono fa tornare l’America grande devo entusiasmarli», ha commentato. Lo stesso giorno la sua campagna segnalava che TheDonald smetterà di partecipare a grandi eventi di fundraising. Un dramma non tanto per lui, quanto per il partito repubblicano, alle prese con i danni che il suo candidato potrebbe produrre alle maggioranze in Senato e alla Camera.

Volendo dare una spiegazione a un comportamento singolare per un candidato a due settimane dal voto, si può prestare un orecchio a un lungo podcast del New York Times che ha sentito ore di interviste registrate per la biografia di TheDonald. Il succo estremo è – ma si vede anche per televisione – è che Trump desidera essere amato, è terrorizzato dall’idea di fare la figura del perdente e tende a dare la colpa agli altri di quanto male gli capita – che è un tratto caratteristico di tutti i populisti. E soprattutto, dice di se stesso, detesta guardarsi dentro, fare introspezione.  E così si starebbe preparando ad accusare il suo partito di averlo portato alla sconfitta e contemporaneamente starebbe tornando al ruolo di principe dei casinò e degli alberghi di lusso, presenzialista e pacchiano come solo lui. Le conseguenze per i repubblicani saranno comunque disastrose: oggi il Grand Old Party è diviso tra una banda di trumpiani agguerriti, i conservatori religiosi e non solo e i moderati, in netta minoranza.

Poi c’è la promozione del marchio: se Trump perderà, il suo status verso un pezzo importante di America sarà cresciuto enormemente. La stessa America che oggi twitta, come un suo follower ha fatto, “l’8 voto Trump, il giorno dopo, se perde, imbraccio il fucile”, è un bel mercato per merci di ogni genere. A partire da un canale Tv, che tutti dicono si stia preparando a lanciare. C’è un sondaggio Gallup che dice che il 78% degli americani ha sentito parlare di Clinton in questi mesi e che l’83% ha sentito parlare di Trump. Un paradosso per un candidato che è indietro nei sondaggi. Ma anche una bella pubblicità.

La stessa che si è fatto in questi mesi tenendo comizi e conferenze stampa nelle sue proprietà: dal campo di golf in Scozia, al resort in Florida, passando per la sua Trump Tower. Ogni volta ne parla un po’. In diretta Tv. L’inaugurazione del suo albergo di lusso, insomma, è andata in diretta sui canali all news per tutto il giorno. Non male come spot.

I suoi prodotti, che vedete qui sotto nelle vetrine della Trump Tower, come le cravatte e le linee di vestiti e gli oggetti per bambini, i gioielli firmati Ivanka, non sono merce di lusso ma illusione di lusso. E Trump forse si prepara a inondare l’America con quelli. E a inventare qualche altro modo per stare al centro dell’attenzione. Il contrario del bravo candidato presidenziale che perde. Ma dopo un anno come questo, il buon Donald non sopporterebbe di starsene buono a casa.

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Pablo Iglesias infiamma le Cortes. Oggi il primo voto, sabato Rajoy sarà di nuovo premier

epaselect epa05605231 Secretary-General of Podemos Party (We Can), Pablo Iglesias speaks during the investiture debate at Spanish Parliament's Lower Chamber in Madrid, Spain, 27 October 2016. According to the political calendar, the investiture vote of People's Party (PP) candidate and acting Prime Minister Mariano Rajoy in the Congress must be held before 31 October 2016 or the nation will go straight to its thir election in a year. EPA/Javier Lizon

«Grazie per essere venuti nella nostra patria a combattere il fascismo». Non manca di sottolineare l’importanza di queste giornate di ottobre per la Spagna, Pablo Iglesias, nel giorno dell’investitura di Mariano Rajoy. Nell’ottobre del 1936, infatti, le Brigate Internazionali fermavano le armate dei generali golpisti di Francisco Franco a Madrid, che diventava così la capitale della resistenza europea. Nel suo discorso alle Cortes, Iglesias omaggia quei «combattenti per la democrazia e la libertà nel nostro Paese, che mi fanno sentire orgoglioso di essere spagnolo». Strappa un lungo applauso, beve un sorso d’acqua e prosegue: «Una tripla alleanza va a fare presidente il signor Mariano Rajoy. Questa investitura segna un prima e un dopo nella storia politica del nostro Paese. Il carattere storico di questa investitura è ovvio, ovvero che il Partito socialista va a fare presidente il candidato del Partito popolare, e rompe un punto fondamentale della nostra storia: i tradizionali schieramenti politici. Le parti, effettivamente, come diceva il signor Mariano Rajoy, potevano anche essere d’accordo su alcune posizioni come l’economia o le relazioni con l’Europa, ma rappresentavano culturalmente due mondi diversi. Questo oggi è finito».

«L’alternativa di governo c’era, ma avete preferito il Partito popolare a noi». Parla di Stato plurinazionale, della marea di voti per il cambiamento e della cittadinanza che rimane così senza rappresentanza. Poi, sorride: «Ironia della storia, pare che l’unico partito tradizionale che rimane indenne davanti a ciò che è accaduto in Spagna sia il Pnve. Ad oggi, le due istituzioni a prova di crisi sono la monarchia e il partito nazionalista basco». Provoca Iglesias, tiene banco e non dimentica, ovviamente, le frecciate a Rivera di Ciudadanos.

A Rajoy dice: «Se in due anni e mezzo necessita del Psoe per governare, ha ragione a essere preoccupato». Ma è contro i socialisti che si scalda: «Signor Hernando ha portato qui la proiezione delle paure, ci ha detto che questo è solo un accordo di legislatura, ci ha detto che “siamo diversi, siamo diversi”, ma le consiglio una lettura… quella di George Lakoff, “Non pensare all’elefante!”». La battuta è sottile, il consiglio ai socialisti è quello di leggere lo studioso americano per colmare le carenze strategiche. In ogni confronto, secondo Lakoff, vince chi riesce a imporre il suo linguaggio. L’autore, linguista, cerca di spiegare alla sinistra (Usa) come far capire i propri valori all’elettore. E come provare a convincerlo. In Aula si ride, si provoca, si applaude. Ma il momento, ha ragione Iglesias, è forse il più serio degli ultimi decenni in Spagna. E lui affonda duro contro Hernando: «Le chiedo una cosa. Non macchiate la memoria dei vecchi socialisti. Mio nonno era uno di loro. Non vi paragonate a loro, perché con loro non avete niente a che vedere». E riserva una magra consolazione all’ex segretario dei socialisti: «Ci ha detto che il tempo le darà ragione, che è stata dura rinunciare al marxismo ma il tempo vi avrebbe dato ragione, che è stata dura la riconversione industriale ma il tempo vi avrebbe dato ragione… ha dimenticato di dire che è stata dura scavalcare Pedro Sanchez ma il tempo le darà ragione».

Oggi pomeriggio si tiene la prima votazione sulla fiducia, sabato 29 si terrà la seconda e il Psoe si asterrà. Dieci mesi di crisi politica, tre elezioni e un’infinità di carta stampata dopo, in Spagna torna a prendere le redini Mariano Rajoy. La Grande coalizione dell’austerità è tornata, alla sinistra spagnola – Podemos e Izquierda Unida – non resta che attrezzarsi per una grande opposizione. E Iglesias lo sa bene. Sul finire del suo intervento alza un polverone: «Ci sono più potenziali delinquenti in questa Camera che lì fuori, signorie». La presidente della Camera lo riprende, gli ricorda che deve rispetto all’onore dei deputati. Lui sorride beffardo: «Mi permetta di dirle che lo devo all’onore dei miei padri e dei cittadini di questo Paese e non a questa Camera». E poi chiude, «con una frase del primo socialista di Spagna che ha detto: “Merecer el odio de la oligarquía será la mayor de nuestras honras”». Meritare l’odio delle oligarchie sarà il nostro più grande onore.

Se i valloni hanno ragione, gli altri stavano a guardare? Il punto sul CETA

Justin Trudeau ha cancellato il suo volo per Bruxelles, di fatto rimandando la firma del CETA. Ma il Ministero del commercio canadese ha anche fatto sapere che «il Canada rimane disponibile a firmare questo accordo chiave quando l’Europa sarà pronta».

Insomma, una settimana dopo l’enfatico discorso di Paul Magnette in cui venivano ribaditi i motivi del “no” al trattato, la verità è che si sta negoziando a tutto spiano. La conseguenza? Non si può dare per fallito il CETA.

Tecnicamente quello che manca è un accordo tra le varie componenti dello stato federale belga che permetta al Primo ministro, Charles Michel, di formulare una posizione unitaria a nome del Paese. Ieri, i rappresentanti delle istituzioni europee non avevano escluso una firma del testo per il 27 ottobre, ma Oliver Paasch, il rappresentante della comunità germanofona del Belgio, aveva già ribadito: «Sono sicuro che l’accordo non si firmerà giovedì».

Cosa accade se Paul Magnette trova un accordo con gli altri leader regionali del suo Paese? A quel punto, come spiega Euractiv, «il teso dovrà tornare nelle mani degli ambasciatori dei 28 Paesi membri dell’Ue per poi, probabilmente, passare di nuovo al vaglio del Parlamento vallone».

Intanto, la stampa europea è quasi tutta d’accordo: «La mancata firma mette a repentaglio l’immagine del nostro continente nel mondo». Eppure, qualche piccola voce fuori dal coro c’è. Ludwig Greven, su Die Zeit, scrive: «Se i Valloni riuscissero a migliorare l’accordo sull’arbitrato internazionale, nonché ottenere precisazioni sulla protezione delle industrie e dell’agricoltura del proprio Paese, non sarebbe poco». Poi aggiunge che, almeno per una volta, ci si potrebbe anche chiedere: «Se i Valloni sono riusciti a ottenere spiegazioni, chiarimenti e modifiche, perché gli altri parlamenti nazionali hanno accettato il testo come se nulla fosse? Perché non hanno voluto cambiare un testo complicato e poco trasparente? ».

 

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4 novembre 1966. L’alluvione negli scatti di Korab

L’acqua arrivò a cinque metri di altezza in piazza Santa Croce quel venerdì 4 Novembre 1966, quando l’Arno esondò travolgendo Firenze. Immediatamente cominciò una corsa contro il tempo per mettere in salvo le opere d’arte della chiesa. Accorsero migliaia di giovani volontari da tutto il mondo, gli Angeli del fango, e fu grazie al loro intervento che il patrimonio storico artistico della città fu in gran parte salvato.
Una importante mostra di fotografie scattate in quei giorni dal maestro ungherese Balthazar Korab  (1926-2013) apre il 27 ottobre alla Tethys gallery (in via dei Vellutini, 17) a Firenze per ricordare quelle terribili giornate che videro tanti fiorentini sfollati e senza mezzi eppure disposti a impegnarsi con tutte le energie per salvare il patrimonio artistico della Basilica di Santa Croce, gli affreschi di Giotto e la Crocifissione di Cimabue, che ancora oggi purtroppo è per l’ottanta per cento perduta. Ma anche i capolavori conservati agli Uffizi, i reperti del Museo di Storia della Scienza i libri della Biblioteca Nazionale centrale.

Lo sguardo d Korab, fotografo noto per raffinati scatti in bianco e nero dedicati all’architettura, coglie con grande umanità la disperazione e il coraggio di quei momenti  sui volti di tanti cittadini e di volontari arrivati da ogni parte d’Italia. In un contesto di bellezze architettoniche rinascimentali che paiono naufragare e sparire nelle acque davanti ai nostri occhi.

balthazar korab, piazza Duomo, Firenze novembre 1966
balthazar korab, piazza Duomo, Firenze novembre 1966

Quell’autunno del 1966 Korab era in Italia, aveva deciso di prendersi un anno sabbatico e, con la moglie e i figli era da poco arrivato a Settignano, sulle colline fiorentine. Per caso si trovò ad assistere al dramma dell’alluvione che sconvolse Firenze. Le sue immagini, realizzate con una Hasselblad medio-formato e cinque rullini fotografici camminando con l’acqua che gli arrivava al petto, oggi lo raccontano più di un libro di storia. Le testimonianze  vivissime che seppe raccogliere ci arrivano oggi fortissime, senza bisogno di parole.  La mostra I giorni dell’Alluvione, curata da John Comazzi e da Christian Korab, che si potrà vedere fino al 25 novembre propone  16 immagini, oggi di proprietà, come tutto l’archivio Korab, della Biblioteca del Congresso, divisione stampe e fotografie ed è stata realizzata in collaborazione con l’Università del Minnesota. Korab, infatti, era scappato poco più che ventenne dall’Ungheria occupata dai sovietici. Rifugiato a Parigi proseguì gli studi di architettura all’École des Beaux-Arts.

Nel 1955 decise di  trasferirsi negli Stati Uniti, facendone la base e il punto di partenza per tanti viaggi in giro per il mondo durante i quali ha raccontato progetti architettonici di Mies Van Der Roe e Frank Loyd Wrigth, di Le Courbousier, Richard Meier e soprattutto di Eero Saarinen, designer e architetto finladese, che lo aiutò ad aprire una strada nell’ambito della fotografia di architetture. Dalla fine degli anni Cinquanta i suoi eleganti lavori in bianco e mero  furono pubblicati in libri e riviste come la rivista Life che documentò l’alluvione di Firenze attraverso i suoi scatti sviluppati a Roma e diffusi dall’Associeted Press.

Poi National Geographic gli commissionò un servizio sul recupero delle opere d’arte e dei libri rari Korab allora si impegnò anche personalmente nel salvataggio delle lastre fotografiche e diapositive conservate nei più importanti archivi della città.  Si inventò rastrelliere in bambù per fare asciugare 50mila lastre nelle sale di Villa I Tatti dove temporaneamente risiedeva.

 Korab, ragazzo in strada, 4 novembre, 1966
Korab, ragazzo in strada, 4 novembre, 1966

Borab, ponte Santa Trinita, Firemze
Borab, ponte Santa Trinita, Firemze

Usa2016/ Il clima elettorale in sei punti

epa05182437 US hip-hop musician Michael 'Killer Mike' Render (R) campaigns on behalf of Democratic 2016 US presidential candidate Vermont Senator Bernie Sanders as Donnell McDaniel (L) gives a haircut to Ryan Norris (C) at Smoke's Barber Shop in Columbia, South Carolina, USA, 26 February 2016. The South Carolina Democratic presidential primary will be held on 27 February 2016. EPA/ERIK S. LESSER

1. I barbieri e i parrucchieri sono luoghi centrali della vita della comunità afroamericana. Ad essi si dedicano film, ci si ambientano video musicali, scene di sit-com e serie Tv. Dal barbiere si passa il pomeriggio, si disucte di politica, si incrociano generazioni. Nel 2008 la campagna Obama fece uno sforzo per fare in modo che le parrucchiere parlassero di politica e invitassero a registrarsi al voto. Oggi è la volta di Hillary, con questo spot qui sotto rivolto alla comunità nera.

2. Come una zanzara, Wikileaks continua a dare noia a Hillary Clinton. O meglio, gli errori di Hillary continuano a inseguire l’ex Segretario di Stato. La vicenda delle email spedite da un server privato ai tempi in cui era capo della diplomazia è al centro di una serie di leak riguardanti l’account di posta di John Podesta, il capo della campagna. Nelle mail Podesta segnala di non aver saputo nulla della vicenda del server, di averla appresa dai media. Un segnale di come Hillary non sappia rendere partecipi nemmeno i membri della sua cerchia ristretta quando si trova nel mezzo di un problema che la riguarda personalmente. Nello scambio di email tra Podesta e i suoi collaboratori, questi parlando di un pessimo istinto. Si rendono conto, insomma, di avere un candidato che si muove come qualcuno per cui non valgono le stesse regole che valgono per gli altri. Pessima pubblicità.

3. Altra pessima pubblicità è la notizia che l’anno prossimo il costo dei premi delle assicurazioni sanitarie salirà in media del 20-25%. Male per chi si vuole registrare. Malissimo per Obama e la sua riforma e per chi la difende. Bene per Trump, che se fosse bravo a fare campagna, salterebbe su una cosa come questa.

4. Newt Gingrich, ex speaker della Camera e uno dei sostenitori più rumorosi di Trump accusa Megyn Kelly, tra i primi volti di FoxNews, di essere schierata contro il suo candidato (che le ha detto: “le usciva sangue da tutte le parti” durante un dibattito Tv per aver fatto una domanda a cui era difficile rispondere). Le dice di essere «Ossessionata dal sesso» perché si intestardisce a volere risposte sulle accuse di molestie rivolte a Trump e poi litiga con la presentatrice FoxNews. Che per inciso ha un figlio che si chiama Thatcher e che non è una socialista libertaria. Due ore dopo Trump ha spiegato che Gingrich è stato “Amazing”, fenomenale. Un altro mezzo disastro con le donne, un altro segnale di come questa generazione di repubblicani non tolleri l’idea che le donne, anche quelle di destra, abbiano un ruolo centrale nella società.

5. Con un’opinione sul Washington Post, Deray McKesson, tra le facce più note ed esposte di Black Lives Matter, ha spiegato le ragioni del suo voto a Hillary Clinton. Il militante afroamericano dice di non essere d’accordo con Hillary su molte cose, sa di avere votato già altre volte senza che questo abbia impedito la morte di altri per le strade d’America, ma prende sul serio i suoi impegni relativi alla giustizia razziale.

6. Clinton ha compiuto 69 anni, qui distribuisce fette di torta sul suo autobus.

 

 

Ma Raffaele Cantone, ad esempio, che ci dice?

Il presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone durante la tavola rotonda su " Cultura della Sicurezza, Riforme istituzionali e lotta alla Corruzione: il paese che cambia", Roma, 30 settembre 2016. ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI

Anche se per un oscuro (ma nemmeno troppo) motivo se ne parla poco gli ultimi giorni sono stati contrassegnati da una serie di arresti che hanno sfiorato (ma nemmeno troppo) le “grandi opere” nazionali da cui in molti hanno munto per la propria propaganda elettorale; chi per farsi sindaco, chi per risultare l’ennesimo uomo del fare e insieme a loro anche una pletora di commissioni, sotto commissioni e paracomissioni antimafia che sono state sventolate come soluzione a tutti i mali.

Da Expo alla Salerno-Reggio Calabria l’Italia scopre di essere sempre quel Paese in cui mafie, corrotti e corruttori riescono a ottenere la propria fetta nonostante gli anticorpi che ogni volta vengono messi in campo per rassicurarci. E proprio poichè si parla di corruzione viene immediato pensare all’Autorità Nazionale Anti Corruzione (autoritaria già nel nome) appassionatamente voluta dal governo e muscolosamente presieduta da Raffaele Cantone. A Cantone, appunto, viene da chiedergli cosa abbia da dirci, Raffaele Cantone, sulle risultanze delle indagini di questi ultimi giorni.

Sia chiaro che qui nessuno crede (nè ha mai creduto) alla favola dell’ennesima autorità come panacea di tutti i mali (anzi su queste pagine abbiamo spesso scritto che ci avrebbe fatto bene un sano realismo al di là dei facili proclami) ma poiché lo stesso Cantone sembra avere accettato un ruolo che ogni giorno è apparso sempre più politico (non disdegnandoci pareri su tutto ciò che avesse lontanamente a che fare con il bene che deve vincere sul male) suona strano questo improvviso silenzio proprio ora che i reati toccano in pieno i mali per cui ANAC è stata istituita.

Forse sarebbe il caso rileggere, insieme alle carte giudiziarie, anche le baldanzose interviste in cui si elogiava un Expo “mafia free” (mentre Nando Dalla Chiesa, poco ascoltato, provava a denunciare che qualcosa non stesse funzionando come avrebbe dovuto) o in cui si annunciava un’Italia “finalmente cambiata”.  Sia da magistrati che da politici che da presidenti che da giornalisti sarebbe il caso di mantenere un profilo realista quando si ha a che fare con i problemi endemici di un Paese che con le mafie e la corruzione ha un rapporto storico.

Prospettare soluzioni semplici rischia di essere il trampolino per fragorosi tonfi. E non è un problema tanto del protagonista di turno quanto più per la speranza di un Paese. E la speranza è il capitale umano fondamentale per costruire futuro; per questo andrebbe trattata con cura.

Buon giovedì.