Festa della Costituzione con Left, Villone e Marino: evviva la casalinga di Voghera e il barista di Trani
Grazie, Michele Serra. Sì, davvero grazie. Perché se non avesse scritto quella sua Amaca ieri su Repubblica, il dibattito alla festa della Costituzione ieri pomeriggio a Roma con Massimo Villone, Ignazio Marino e Ilaria Bonaccorsi non sarebbe stato così efficace. E così necessario per far comprendere cosa sia veramente la democrazia. “.. ci sono materie che competono gli esperti e i nostri rappresentanti eletti – scriveva Serra riferendosi alla questione “difficile” del referendum – e chiedere alla casalinga di Voghera e al barista di Trani di pronunciarsi sul bicameralismo imperfetto è puro sadismo”, aggiungendo di essere “un antireferendario”.
Ricordiamo che la casalinga di Voghera è una definizione uscita 50 anni fa da un’inchiesta Rai per indicare un “prototipo” di donna poco colta e incapace di spiegare il significato di alcune parole che allora, guarda un po’, erano “leader” “scrutinio” e “referendum”! Il barista di Trani invece non sembra abbia ascendenze così gloriose. Ma ai due modelli di cittadini “beoti”, con un aggettivo usato dallo storico Emilio Gentile per definire le folle dominate dai capi, il direttore di Left ha aggiunto un’altra categoria, questa volta “alta”: l’ingegnere che si chiede “ma perché tanta agitazione sul voto per il Senato?”.
Il costituzionalista Massimo Villone ha risposto così a Serra: “Il peccato della democrazia sarebbe quindi che votano tutti, e allora torniamo a prima della Rivoluzione francese: o tagliamo le teste o tagliamo il diritto di voto!”. La tentazione – anche a sinistra – di tornare alle elezioni per censo o grado di istruzione è uno spettro che ieri sera è stato confutato dall’impegno e dalla concretezza con cui il costituzionalista e l’ex sindaco di Marino, hanno spiegato perché votare no alla revisione costituzionale. E non è vero che la riforma non interessi la casalinga di Voghera e il barista di Trani: la vita di ognuno, dalle tasse al diritto alla salute, dai trasporti alla scuola, è segnata dalla modifica della parte seconda della Costituzione.
Le risposte alle domande puntuali di Ilaria Bonaccorsi – nel secondo incontro che ha visto Left protagonista, dopo quello di venerdì – sono state di “esperti” che si mettono al servizio della comunicazione e del dibattito politico, nell’interesse di tutti i cittadini, senza fare distinzioni di serie A e B, ingegneri compresi. Una riforma che serve a mettere il bavaglio alla minoranza interna del pd e alle comunità locali, un Parlamento non disponibile all’ascolto dei cittadini nel fare le leggi, un Senato che sarà eletto nel silenzio, come è accaduto una settimana fa per le città metropolitane, insomma, un “disegno di normalizzazione” del Parlamento e del Paese, ecco cosa ci aspetta.
Un Paese dove la democrazia rischia veramente, nel senso che viene meno ogni tentativo di uguaglianza anche solo nei saperi, perché se già adesso chi si dichiara di sinistra e si schiera per il sì, considera una fetta di cittadini esclusa a priori dal dibattito sulla “riforma”, figuriamoci dopo, nel caso passasse il ddl Renzi-Boschi.
Il video del dibattito
Notwist. Quando la musica è über Alles
Una nave a tre alberi galleggia e taglia le onde in mezzo alla tempesta, tra grida di gabbiani e lavorìo di marinai, mentre i suoni lontani dell’oceano colpiscono i timpani. Ricordate le grandi avventure di The Sea-Wolf di Jack London? Facevano da sfondo allo scontro di personalità tra il cinico e brutale cacciatore di foche, il capitano Wolf Larsen, e il giovane e sensibile scrittore Humphrey van Weyden salvato da un naufragio ma costretto a lavorare come mozzo. A Weilheim, Monaco di Baviera, i fratelli Markus e Micha Acher immaginavano di salpare, diretti verso quelle avventure, con navi fatte di suoni. Così nascono i Notwist, nel 1989. E «The Notwist è sempre rimasta la madre nave», dice Markus. Che, al timone di voce e chitarra, per questo nuovo album, oltre al fratello Micha al basso, ha caricato a bordo Andi Haberl, Max Punktezahl, Karl Ivar Refseth e Cico Beck. Quelle avventure hanno «scatenato forti raffiche nei nostri cuori, spingendoci verso viaggi immaginari, abbiamo sognato a gonfie vele e con il vento in poppa. Anche se era solo per una o due ore, è stata una grande fuga per luoghi nuovi ed eccitanti». Sul wimmelbook immaginario, come su un nastro di Moebius, la musica dei Notwist non prevede un livello inferiore o superiore, né interno o esterno. Laddove c’è interconnessione sonora, la musica si esprime come riconciliazione tra pop, sperimentale e jazz kraut-infused, tra lo spirito dell’Illuminismo e la giocosità del barocco, modernismo e minimal music, tenendo dentro persino tendenze dub, hip-hop e musica house. Tutto questo è Superheroes, Ghostvillains + Stuff (in uscita il 14 ottobre per Alien Transistor, 2016), il primo live album della band. Nelle 16 tracce, l’acqua che dapprima si presenta come una pericolosa minaccia si trasforma fino ad assumere sembianze di speranza. Il che, nel disco, si traduce con riprese melodiche che si infrangono in euforia. Eccole, le onde alte e le raffiche di vento che i fratelli Acher sognavano ad occhi aperti sulle rive di Weilheim.
«Non dimenticare mai il passato senza però rimanerci legati». Cosa vi siete portati dietro da Monaco 1989?
Beh… nell’89 siamo andati in giro per Monaco con parecchi concerti punk-hardcore, ricordo che ogni settimana andavo al negozio di dischi più vicino. Adesso non ricordo di più, se non che non viviamo più a Monaco… perciò…

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Un Nobel scippato alla ricerca italiana
Premio Nobel per la Chimica 2016 al francese Jean-Pierre Sauvage (università di Strasburgo), allo scozzese Fraser Stoddart (Northwestern University, Evanston, Stati Uniti) e all’olandese Bernard L. Feringa (università di Groningen) per «la progettazione e la sintesi di macchine molecolari».
Primo dei non eletti, l’italiano Vincenzo Balzani dell’università di Bologna. Molti, non solo in Italia, pensano che Balzani il premio Nobel lo meritasse, come e forse più degli altri tre. Intanto perché con Sauvage e con Stoddart ha lavorato per anni, in maniera complementare, ma assolutamente alla pari. E poi perché delle “macchine molecolari” Vincenzo Balzani è uno dei riconosciuti pionieri. Per cercare di capire perché – ancora una volta – il Nobel non è stato assegnato a un ricercatore italiano, dobbiamo cercare di comprendere cosa sono le “macchine molecolari”. In fondo, è abbastanza semplice a dirsi (un po’ più complesso a farsi). Una macchina è un dispositivo che compie lavoro. Macchina è l’automobile che ci trasporta. Macchina è l’asciugacapelli che utilizziamo dopo la doccia. La grande intuizione di Vincenzo Balzani e del suo gruppo di Bologna è aver capito (e dimostrato) prima di altri, negli anni 80 del secolo scorso, che i concetti macroscopici di “dispositivo” e di “macchina” possono essere estesi a livello molecolare, al livello dei nanometri.
Prendiamo il caso del rotassano, che ha meritato a Stoddart il Nobel. È l’aggregazione di due molecole: una lineare e l’altra ciclica. Simulano, rispettivamente, un filo e un anello. L’anello circonda il filo. E poiché il filo ha due blocchi, in testa e in coda, l’anello non si può sfilare: può andare solo avanti e indietro lungo il filo. Si tratta di un dispositivo nanoscopico che compie un movimento meccanico del tipo di quello che si ha in un pallottoliere.
I catenani, realizzati da Sauvage nel 1983, sono invece aggregati di molecole cicliche infilate l’una nell’altra. E, dunque, sono l’analogo nanoscopico degli anelli di una catena (da cui il nome). Mentre gli “ascensori molecolari”, poi ribattezzati “nanospider”, sono dei veri e propri ascensori. Sono stati descritti da Balzani e Stoddart (e dai loro rispettivi gruppi) su Science il 19 marzo 2004. In parole povere, quelle “molecolari” sono le più piccole macchine del mondo.
Sono il prodotto più avanzato della chimica supramolecolare, ovvero della chimica che – per dirla con Jean-Marie Lehn, premio Nobel per la chimica e maestro di Sauvage – sono «aggregati molecolari di più alta complessità risultanti dall’associazione di due o più specie chimiche legate insieme da forze intermolecolari». Le “macchine molecolari”, in particolare, sono aggregati capaci di compiere movimenti di tipo meccanico e anche di effettuare un “lavoro utile” in maniera reversibile se sottoposti a un’opportuna stimolazione esterna (in particolare mediante la luce).
Spiega Vincenzo Balzani: «Per capire il significato di congegno o macchina a livello molecolare e anche la logica che i chimici devono seguire per costruirli, possiamo ricorrere a un’analogia molto semplice. Se nel mondo macroscopico un ingegnere vuole mettere a punto un’apparecchiatura come, a esempio, un asciugacapelli, prima costruisce i componenti – l’interruttore, il ventilatore, la resistenza – ciascuno dei quali è in grado di svolgere un’azione specifica e poi li assembla in modo opportuno: nell’asciugacapelli, per esempio, la resistenza va messa davanti al ventilatore, non dietro. Infine l’ingegnere collega i componenti secondo uno schema appropriato e si ottiene un’apparecchiatura che, alimentata da energia, compie una funzione utile. Il chimico procede allo stesso modo, con una complicazione. Deve lavorare non con componenti macroscopici, ma a livello molecolare, cioè nanometrico. Prima di tutto deve costruire molecole capaci di svolgere compiti specifici e poi deve assemblarle in strutture supramolecolari organizzate, in modo che l’insieme coordinato delle loro azioni possa dar luogo ad una funzione utile. Si tratta di una vera e propria ingegneria a livello molecolare».
Per almeno venti anni Balzani (che ora è in pensione) e il suo gruppo agiscono come ingegneri molecolari. E costruiscono “dispositivi” e “macchine” molecolari in grado di svolgere “funzioni utili”. I principi di queste ricerche ed i risultati ottenuti sono presentati in un libro, Molecular devices and machines – A Journey in the Nano World (Congegni e macchine molecolari – un viaggio nel nano mondo) che Vincenzo Balzani, con Alberto Credi e Margherita Venturi, pubblica nel 2003. Del gruppo fa parte anche Nicola Armaroli.

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E adesso le single italiane ci prendono gusto
Dopo essere diventata la relazione strutturante la vita quotidiana degli adulti nelle società sviluppate, per molti abitanti di queste stesse società la coppia è divenuta una condizione intermittente/sequenziale, oltre che assente per larghi tratti della vita adulta. Ciò non significa necessariamente che chi non vive in coppia non stia vivendo una relazione di coppia in forma Lat – living apart together (vivere insieme a distanza) – o che non abbia avuto in passato, o non avrà in futuro, una relazione di coppia. Tra chi non vive in coppia, infatti, si trovano sia persone che non hanno ancora trovato un compagno/a con cui hanno voglia e abbastanza fiducia di condividere la vita quotidiana, che lo hanno fatto, ma la coppia è finita per ragioni diverse (morte, separazione), che hanno un saldo rapporto di coppia con qualcuno con cui, però, non condivide in modo esclusivo e permanente il tetto. E non dobbiamo dimenticare che in Italia, tra i giovani, la vita da single spesso si svolge all’interno della famiglia dei genitori, dato che sono percentualmente pochi i giovani che vanno a vivere per conto proprio prima di, o senza, andare a vivere con un partner.
Se molte di queste vite da single sono tali per necessità, più che per scelta – perché un rapporto è finito, oppure non si è trovato (ancora) qualcuno con cui valga la pena di iniziarlo, o perché la precarietà economica non consente di fare progetti di vita comune – un numero crescente di donne sperimenta l’assenza – definitiva, ma più spesso temporanea – di una vita quotidiana di coppia come una forma di libertà e l’opportunità per investire sulle proprie capacità e progetti non famigliari. Perché sanno dall’esperienza delle loro madri e delle loro coetanee che già vivono in un rapporto di coppia quanto questo possa diventare rapidamente squilibrato nelle aspettative reciproche e quanto siano le donne a perdere più spesso sul piano delle opportunità di autonomia. I dati sull’abbandono dell’occupazione da parte delle donne in Italia a seguito di eventi famigliari come matrimonio e maternità sono eloquenti, così come quelli sulla asimmetria nella divisione del lavoro famigliare gratuito, anche quando la donna è occupata.
Ci sono differenze territoriali e per livello di istruzione, particolarmente forti in Italia: per le donne meno istruite e per quelle che vivono nel mezzogiorno è più difficile accedere al mercato del lavoro anche senza essere coniugate o con figli, e ancora di più quando lo sono. Le loro opzioni sono più ridotte di quelle aperte alle donne più istruite che possono accedere a professioni di qualità e salari decenti. Anni fa, quando erano le convivenze senza matrimonio ad essere individuate come un fenomeno nuovo nelle relazioni tra i sessi, si diceva che si conviveva “per negoziare” rapporti nella coppia meno asimmetrici di quelli che si davano nel matrimonio.

L’articolo di Chiara Saraceno continua su Left in edicola dal 15 ottobre
«Da medico vi spiego il caos dei reparti d’emergenza»
Cosa c’è dietro le lunghe file, la frustrazione dell’attesa e i disservizi del pronto soccorso e della medicina d’urgenza? Lo abbiamo chiesto a chi sta dall’altra parte di quel faticoso front office della sanità italiana, un medico di medicina d’urgenza con esperienza ultraventennale in una grande struttura ospedaliera del Sud, che per ragioni di “gerarchia” ci chiede di conservare l’anonimato.
Dottore, perché i pronto soccorso sono così affollati e caotici?
I fattori sono molteplici. Pesano enormemente i tagli di fondi, di posti letto e di personale. I tagli lineari e anche le inefficienze hanno portato alla chiusura di molti centri di pronto soccorso, perfino strutture specializzate per la cura dei tumori non garantiscono più l’intervento di urgenza per i loro pazienti. Le liste d’attesa lunghissime per alcuni esami clinici spingono molte persone a fare in modo di ottenerli in tempi brevi nelle stutture di medicina d’urgenza. In particolare, poi, mancano gli operatori socio-sanitari, quelli che un tempo si chiamavano portantini: sono già pochi e quando si assentano, ad esempio per ragioni di salute, si paralizza l’intero flusso di lavoro.
Sta dicendo che può accadere che i medici non visitino e gli esami non vengano effettuati perché non c’è chi porta da una parte all’altra i pazienti?
Può sembrare paradossale ma è così. A questo si aggiunge l’invecchiamento del personale dovuto al blocco delle assunzioni.

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Dalla gara di nuoto delle Hawaii alle case distrutte di Gaza. La settimana in foto












Gallery a cura di Monica Di Brigida
Aborti in picchiata con la pillola EllaOne
Come dovrebbe essere il contraccettivo ideale? «Semplice da utilizzare, poco costoso, facile da reperire». Parlando con Left il professor Carlo Flamigni entrava così nel rovente dibattito sulla (dis)informazione istituzionale in materia di contraccezione e sui metodi a disposizione delle donne per poter scegliere di non rimanere incinte dopo un rapporto sessuale. L’anticoncezionale ideale, secondo il ginecologo e componente del Comitato nazionale per la bioetica, «è quello capace di irritare i teologi e mistificatori di professione che affermano falsità antiscientifiche in base al criterio antidiluviano della dignità della procreazione, per cui vita sessuale e vita riproduttiva nell’essere umano secondo loro non si possono disgiungere». Era l’inizio del 2011 e da alcuni mesi si discuteva in Italia la vendita della EllaOne, la cosiddetta pillola dei 5 giorni dopo. Due studi su Lancet ne avevano certificato una maggiore efficacia nello scongiurare gravidanze rispetto al levonorgestrel, la pillola tradizionale “del giorno dopo”, e la francese Hra pharma – produttrice di entrambe – aveva chiesto all’Aifa l’autorizzazione a entrare nel mercato italiano. Il via libera arrivò il 2 aprile 2012 con un ritardo di tre anni rispetto agli altri grandi Paesi europei e agli Stati Uniti.
Veniamo all’oggi. «Semplice da utilizzare, poco costoso, facile da reperire»: Flamigni sapeva quel che diceva. La vendita senza ricetta della EllaOne ha difatti favorito un improvviso crollo degli aborti nel nostro Paese. È quanto dovrebbe emergere dalla Relazione del ministero della Salute sull’attuazione della legge 194/78 sull’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg). Il documento viene presentato ogni anno in Parlamento tra metà ottobre e metà di novembre, ma Left è in grado di anticipare i risultati più rilevanti della Relazione 2016, vale a dire i dati definitivi sulle Ivg del 2014 e quelli preliminari del 2015.
Analizzando i bollettini statistici dell’Istat, realizzati sulla base dei dati trasmessi dall’Iss-Sistema di sorveglianza dell’interruzione volontaria della gravidanza, la prima cifra che balza agli occhi riguarda il drastico calo degli aborti nel periodo preso in esame. Si passa infatti dalle 96.232 Ivg del 2014 alle 87.590 del 2015, vale dire 8.642 interruzioni volontarie in meno, con un calo annuo del 9,87%. Già questa è una notizia. Tuttavia, entrando più nel dettaglio si scopre un altro fatto interessante. Fino ad aprile 2015 il trend di diminuzione delle Ivg è in linea con le percentuali del 2014 e degli anni precedenti: -5% circa. Risultato, questo, strettamente connesso al contestuale calo delle gravidanze – il tasso di fecondità, che tanto preoccupa la ministra Lorenzin e la sua consulente sui temi etici nonché editorialista di Avvenire Assuntina Morresi, diminuisce del 3-4% l’anno -, e al maggiore utilizzo di contraccettivi orali (+2%/anno circa). Ebbene, a maggio 2015 lo scarto sull’anno precedente risulta quasi triplicato rispetto alle medie consuete. Il bollettino Istat segnala 7.776 Ivg nel 2015 contro le 8.888 nello stesso periodo del 2014, cioè -14,3%. Nei mesi successivi la differenza si attesta intorno al 6-10% mensile fino ad arrivare alla media annua del -9,87% di cui si è parlato in precedenza.
Cosa è accaduto tra aprile e maggio del 2015 e nei mesi seguenti? L’unico elemento di novità tra i fattori presi in esame (tasso di fecondità e ricorso alla contraccezione orale) consiste nel picco di vendite della pillola EllaOne. Un dato tutt’altro che casuale. Proprio ad aprile 2015 una determina dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) in linea con le norme Ue ha consentito la vendita in farmacia della pillola dei 5 giorni dopo senza obbligo di prescrizione medica. Risultato? In un anno, tra maggio 2015 e aprile 2016, secondo quanto emerge dai dati di bilancio dell’azienda produttrice HRAPharma Italia, la pillola a base di ulipristal acetato ha decuplicato le vendite. Passando dal 6,8% al 53,8% del mercato della contraccezione d’emergenza, che peraltro nel complesso è rimasto inalterato (365mila confezioni annue, in media con gli ultimi 15 anni), con punte di oltre il 70% in alcune regioni e una crescita sull’intero territorio nazionale del 686,7%. A riprova del ruolo di EllaOne nella diminuzione degli aborti, notiamo che nello stesso periodo considerato dagli analisti dell’azienda farmaceutica (escluso il mese di aprile 2016) l’Istat ha censito 77.875 Ivg, contro contro le 86.309 del periodo maggio 2014-marzo 2015. Vale a dire che nel passaggio dal 2015 al 2016 è calata ulteriormente – meno 10,8% – la percentuale delle donne che hanno fatto ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza, avendo potuto optare con maggiore facilità per un anticoncezionale d’emergenza.

Ne parliamo su Left in edicola dal 15 ottobre
Polonia, quei bigotti che si oppongono alle donne in nero

Varsavia – Per il momento la Czarny Protest, la protesta in nero ha ottenuto il passo indietro (non definitivo) del governo sulla legge che cancellava definitivamente il già relativo diritto all’aborto in Polonia. Ma in quel mare nero, arrabbiato e rumoroso che si è riversato nelle piazze era possibile scorgere anche qualche goccia di bianco. Accanto alla protesta delle 200 e più piazze è nato altrettanto velocemente il “Giorno Bianco”, Biały Dzień, con il quale i favorevoli alla difesa della vita dei bambini «non ancora nati», vestiti completamente di bianco, hanno inteso mostrare il proprio dissenso. «Io lunedì vado a lavorare», recitava l’hashtag della Comunità carmelitana della nuova evangelizzazione “Saliera”, che invitava a contrastare lo sciopero della Czarny protest. Preghiera individuale, ma anche mobilitazione organizzata, e perfino un appello dei sacerdoti: «Contro gli atteggiamenti anticattolici degli ambienti di sinistra e femministi chiamiamo a raccolta tutti coloro che operano il servizio liturgico. È tempo di lasciare le mura delle nostre Chiese per mostrare quanti siamo!».
La discussa proposta di legge sull’aborto porta alla luce una frattura latente. «In Polonia c’è un conflitto di valori che è andato accentuandosi negli ultimi anni», conferma la sociologa Marta Brzeżyńska-Hubert. «Da che io ricordi, dalla fine dell’epoca comunista non c’è mai stato un tale divario nella nostra società. La frattura prima correva lungo il solco dell’appartenenza politica, adesso invece la situazione si è estremizzata: da un lato a causa del disastro aereo del 2010 – in cui sono morti il presidente Lech Kaczyński, funzionari del governo, e diciotto membri del Parlamento polacco e in seguito al quale l’ala più conservatrice della destra ha preso il potere – dall’altro per il partito d’opposizione Piattaforma civica che è stato travolto da uno scandalo per corruzione dal quale non si è ancora ripreso». Gli attori sono cambiati e la dialettica fra conservatori e progressisti è uscita dal campo della politica: «La situazione è molto delicata perché mette al centro qualcosa che non si può negoziare: valori, e non interessi economici o politici. Allo stesso tempo qualsiasi scontro, anche di natura politica, si connota subito come emotivo, rendendo più difficile assumere una prospettiva diversa dalla propria. Il conflitto è esasperato ulteriormente dalle narrazioni dei nostri media, che riportano fatti radicalmente diversi a seconda dell’orientamento politico», prosegue Hubert.
Nella impossibilità di comunicare, si è giunti dunque a protestare gli uni contro gli altri. Czarny protest, infatti, non è l’unica mobilitazione del 2016: in maggio un numero dieci volte maggiore di dimostranti sfilava contro il regime illiberale del partito di maggioranza, Giustizia e Libertà.
Esiste, poi, una “terza Polonia”, poco interessata alle battaglie politiche. «Generalizzando, i polacchi tendono a non credere nella possibilità del singolo di poter cambiare qualcosa, persino a livello locale. Oppure lavorano così tanto che non hanno energie ulteriori da investire nella sfera civile che li circonda», spiega ancora Hubert. La questione dell’aborto però ha toccato ben altri nervi: non astrazioni politiche ma interferenze molto concrete, di portata letale, in una sfera estremamente privata come quella della gravidanza. «È qualcosa che ha un impatto su tutti: nonne, figlie, vecchie e nuove generazioni», dice Katerina, psicologa di Cracovia. Il movimento è eterogeneo e non interessa solo la capitale Varsavia ma «trova la sua forze nei piccoli centri» aggiunge Marta Lempart, che da Breslavia ha dato il via all’iniziativa: «Varsavia e le altre grandi città non sono molto importanti: il fatto che ci si sia mobilitati a livello locale lo è».

Su Left in edicola dal 15 ottobre due servizi da Varsavia
Bombe Usa e saudite sullo Yemen. Pinotti in Aula: «regolare la nostra vendita di armi».
Gli Stati Uniti bombardano postazioni strategiche dei ribelli Houtii in Yemen, bersaglio dei sauditi, che l’8 ottobre hanno ucciso 150 persone lanciando bombe su civili radunati per il funerale del padre di un ministro. Fra morti e feriti ci sono stati più di 750 i civili colpiti.
E se i raid Usa mirano a far saltare i radar dei ribelli sciiti, gli strateghi a stelle e strisce avrebbero dovuto prevedere che l’intervento americano avrebbe scatenato la reazione dell’Iran sciita, che infatti ha mandato navi da guerra nel golfo di Aden.
La situazione in Yemen è sempre più drammatica. Quello dell’8 ottobre scorso non è stato un attacco isolato. I Sauditi , che dal 26 marzo 2015 hanno avviato una vera e propria campagna di bombardamenti aerei, «hanno compiuto crimini di guerra, colpendo obiettivi e infrastrutture civili, centri abitati e persino strutture mediche e per l’assistenza agli sfollati», denuncia Riccardo Noury di Amnesty International che, insieme ad alcune Ong per i diritti umani, ha più volte sollecitato il consiglio per i diritti umani dell’Onu perché faccia una approfondita inchiesta. Intanto la coalizione guidata dai sauditi continua a colpire deliberatamente la popolazione yemenita, già ridotta allo stremo dalla fame, dalla mancanza di beni di prima necessità, di acqua e medicine. La mortalità infantile è altissima. La fame e il colera oltre ai bombardamenti sono fra le principali cause di morte fra i minori. Soprattutto nelle zone interne, più povere, e lungo la linea del fuoco che passa sopra Aden è difficilissimo far arrivare aiuti.
«L’Arabia Saudita non è sottoposta alcun embargo», dunque vendere armi ai sauditi è un’operazione regolare, secondo il ministro della Difesa Roberta Pinotti, che il 12 ottobre ha risposto durante il Question time alla Camera. Incurante del fatto che armare l’Arabia Saudita è, in primis ma non solo, contro la Costituzione e contro le convenzioni Onu dal momento che l’intervento miliatere dei sauditi ai ribelli Houtii non è mai stato autorizzato dalle Nazioni Unite. L’azienda Rwm Italia munitions Srl – ha detto il ministro in Aula – ha esportato armi in Arabia Saudita, «rispettando tutte le procedure previste dalla normativa vigente». Il ministro nega che le bombe scaricate dai sauditi sulla popolazione civile yemenita abbiano il codice del ministero della Difesa. «Non vi è quindi alcun collegamento con la Direzione nazionale armamenti e non si tratta di materiale proveniente dallo stock dell’aeronautica militare», dice Pinotti. E ancora come se parlasse di vendita di una merce qualsiasi : «La ditta Rwm ha esportato in Arabia Saudita in forza di una licenza rilasciata in base alla normativa vigente», ribadisce il ministro della Difesa. Qui il video del’intervento del ministro al Question Time.
«Una MK82 è una bomba. Quando sull’involucro si legge “inert” significa che è “inerte”, vale a dire che non esplode. Dunque l’involucro resta intatto e rivela chiaramente codici e numeri che, in questo caso, parlano italiano . In una MK82 ritrovata in Yemen, l’identificativo “Ncage Code” (Nato, Commercial And Government Entity ) ci dice tre cose – replica in una nota la Commissione Difesa M5S Camera –-chi ha prodotto l’involucro dell’ordigno: la IMZ spa di Vicenza; che la bomba è passata per la Direzione Generale degli Armamenti Aeronautici, quindi per il nostro ministero della Difesa; che poi il ministero della Difesa italiano deve averla inviata a una terza società, con base in Germania, la Rwm, che a sua volta avrebbe come ultimo passaggio venduto l’ordino all’Arabia Saudita». Ribadendo che sono almeno tre le domande che rimangono ancora aperte e sulle quali il ministro Pinotti è chiamata ancora a rispondere: «Com’è possibile che bombe con codice del nostro ministero della Difesa-Direzione generale degli armamenti siano finite sulla testa della popolazione yemenita? E perché il ministero dell Difesa italiano ha ceduto l’ordigno a una società tedesca, che ora tra l’altro ha aperto una filiale anche a Brescia…? Lo ha fatto forse per aggirare il divieto della legge 185 del 1990? il ministro Pinotti non creda di poter fare l’indiano anche in questa circostanza. Non può e non poteva non sapere».
aggiornamento 15 ottobre: I sauditi si scusano, dicono di aver colpito per errore la cerimonia funebre a Sana’a uccidendo 150 persone. Tanto che sabato 15 tornano a fare almeno cinque raid su Sana’à , lanciando bombe









