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L’iniziativa di D’Alema, Renzi che si vanta di aver fatto le riforme di B. Chi sbaglia più forte?

D'Alema e Quagliariello alla presentazione
Gaetano Quagliariello (s) e Massimo D'Alema durante il convegno per No al referendum al residence Ripetta, organizzato dalle rispettive fondazioni, Magna Charta e Italianieuropei, Roma, 12 ottobre 2016. ANSA/ ANGELO CARCONI

L’intenzione di D’Alema e Quagliariello è ottima: bisogna rompere il giocattolo del fronte del Sì, che vuole far passare chi vota No come un nostalgico, un passatista, un «conservatore» – parola che non ha più alcun valore politico, non indica un reazionario, ma è sinonimo di «gufo», «rosicone», dell’idea del «professorone». E per smentire la comunicazione di Renzi&co bisogna assicurare che non è vero ciò che dice la signora dello spot parodiato da Gazebo, non è vero che se vince il No «non cambia nulla».

Bocciata questa si può votare un’altra riforma costituzionale – bisogna dirlo – magari più semplice, che intervenga su alcuni punti mirati e senza toccare decine di articoli. Quale riforma abbiamo provato a raccontarvelo anche noi, insieme a due costituzionalisti, Gaetano Azzariti e Andrea Pertici, sul prossimo numero di Left che troverete in edicola da sabato 15 ottobre. Ma anche D’Alema e Quagliariello hanno tentato di fare la stessa cosa e hanno presentato la mini-riforma da varare in cinque mesi, se vincesse il No.

Taglio dei parlamentari, 400 deputati e 200 senatori, entrambe le Camere mantengono il rapporto di fiducia con il governo. La proposta è buona, una buona base, ma alla fine l’iniziativa è un autogol. Perché – purtroppo – la politica ai tempi dei social ha le sue regole, le ha la sfottòcrazia che ormai viviamo. E già D’Alema e Quagliariello hanno vita difficile in questo clima, ma se poi in platea ci sono Gianfranco Fini e Cirino Pomicino, diventa impossibile.

Fini, Ingroia, Matteoli, Brunetta, Romani, Bernini, Schifani, Malan, Rodotà, Gargani, Zoggia, Mucchetti, Giorgetti, Civati. Molti sono protagonisti degnissimi della vita pubblica e civile dell’Italia, ma per il Sì è facilissimo darsi di gomito. «D’Alema ha riunito Rodotà e Gasparri, i leghisti e Civati, Ingroia e Fini. E poi ha accusato il Pd di aver fatto il partito della nazione», dice ad esempio Matteo Orfini. Replica bene D’Alema: «Non esiste uno schieramento politico del No», dice, «mentre esiste un blocco politico del Sì, il cosiddetto Partito della Nazione, uno schieramento abbastanza minaccioso che va dalla maggioranza di governo ai poteri forti. Capita di avvertire un clima di paura e intimidazione per il quale chi non è d’accordo si deve sentire colpevole di spingere il Paese verso il baratro». Ma non basta. Il merito così viene travolto, spazzato via.

E così alla fine la miglior campagna per il No finisce per farla il comitato per il Sì, che per inseguire i voti della destra pubblica un articolo – diventato subito virale – in cui spiega i punti di contatto tra la riforma del programma del Pdl del 2013 e quella approvata su spinta di Matteo Renzi. Noi pensiamo sia un assist alle ragioni del No. E come noi la pensa – ad esempio – Enrico Rossi («Questa corsa a destra la pagheremo cara», dice a Repubblica), ma non è affatto detto, in realtà. Travaglio si compiace: «BastaunB.», scrive, «con festoso e comprensibile giubilo, il Pd è lieto di comunicare agli eventuali elettori che, sulla Costituzione, sta realizzando il programma di Berlusconi». Ma chissà che non funzioni invece la strategia di Renzi. Che sa che a sinistra saranno più i no che i sì e che quindi deve allargare, portando quanti più elettori di destra, moderati, alle urne di questo complicato referendum senza quorum e senza merito. Tutto – per il momento – gaffe, sfottò e slogan.

Il Nobel a Dylan, eterno contestatore

Bob Dylan
epa02680667 A handout picture released by vikhoa.com shows US musician Bob Dylan, whose songs became anthems of the 1960s anti-Vietnam War era, as he performs his first concert in Vietnam during a concert at RMIT University in Ho Chi Minh City, Vietnam 10 April 2011. In 2011, Dylan's southeast-Asian tour includes shows in Taiwan, China, Vietnam, Hong Kong and Singapore. Dylan, who turns 70 in May, has been on his 'Never ending tour' for the last 23 years and plays around 100 shows a year. EPA/VI KHOA / HO EDITORIAL USE ONLY EDITORIAL USE ONLY

«Quante strade deve percorrere un uomo prima di poterlo chiamare “uomo”?» (Blowin’ in the wind, 1963). Lui di strade ne ha percorse parecchie. Chitarra, tastiera e armonica a bocca. In decenni di carriera si è fatto chiamare Elston Gunn, Blind Boy Grunt, Lucky Wilbury/Boo Wilbury, Elmer Johnson, Sergei Petrov, Jack Frost, Jack Fate, Willow Scarlet, Robert Milkwood Thomas, Tedham Porterhouse. E oggi vince il Nobel per la letteratura “per aver creato una nuova espressione poetica nell’ambito della grande tradizione della musica americana”, una vita nel segno del continuo cambiamento. Contestatore impeccabile, innanzitutto di se stesso.

“Blowin’ in the wind”, deve in parte la sua melodia a “No More Auction Block”,
la canzone tradizionale degli schiavi

Robert Allen Zimmerman è nato il 24 maggio di 75 anni fa a Duluth, in Minnesota. Cantautore, compositore, poeta, scrittore. Ma anche attore, pittore e scultore. Più volte candidato a quel Premio Nobel per la Letteratura che oggi gli viene assegnato era stato insignito del premio Pulitzer alla carriera nel 2008. È la scrittura delle canzoni a essere generalmente considerata il suo più grande contributo. Con le sue canzoni ha saldato storia e letteratura con la musica country, blues, gospel, rock and roll, rockabilly, jazz,swing e Spiritual.

DYLAN

A lui si deve più d’un primato: l’ideazione del folk-rock, con Bringing It All Back Home (1965); il primo singolo di successo con una durata non commerciale con Like a Rolling Stone, oltre 6 minuti (1965) e il primo album doppio della storia del rock con Blonde on Blonde (1966).  Per la rivista Rolling Stone è il secondo nella lista dei 100 miglior artisti, secondo solo ai Beatles, e il più grande cantautore di tutti i tempi.In tour con una formazione cangiante, con lui hanno suonato Joan Baez, George Harrison, The Grateful Dead, Johnny Cash, Paul Simon, Eric Clapton, Patti Smith, Bruce Springsteen, U2, The Rolling Stones, Joni Mitchell, Neil Young, Van Morrison, Ringo Starr, Mark Knopfler, Stevie Ray Vaughan, Carlos Santana, The Byrds.

Per qualcuno, il video promozionale del brano “Subterranean Homesick Blues” (1965) 
è il primo videoclip della storia

Minneapolis. Dal Rock’n’roll al folk
Nel suo sangue scorrono le origini turche dei nonni paterni, emigrati da Odessa in fuga dai pogrom antisemiti del 1905, e quello ebreo lituano di nonni materni, anch’essi emigratii negli States. Nasce a Duluth ma cresce a Hibbing, nel Minnesota. Qui ascolta blues, country e rock’n’roll alla radio, e forma le sue prime band al tempo della scuola: The Shadow Blasters, The Golden Chords. E si esibisce in due concerti con Bobby Vee suonando il pianoforte. Robert si iscrive alla University of Minnesota Twin City e si trasferisce a Minneapolis.

Bob Dylan ritratto da Richard Avedon, New York 1965.
Bob Dylan ritratto da Richard Avedon, New York 1965.

Il rock and roll lascia il posto al folk. Galeotta fu Odetta che, racconta Dylan, una volta ascoltata, lo convinse a dar via la chitarra elettrica e l’amplificatore per comprare una Gibson acustica. «Sapevo bene, quando mi sono dedicato alla musica folk, che si trattava di una cosa molto più seria… C’è più vita reale in una sola frase di queste canzoni di quanta ce ne fosse in tutti i temi del rock’n’roll». In quei giorni, Zimmerman abbandona il college. E comincia a presentarsi come Bob Dylan.

Bob Dylan con Joan Baez

New York. I primi contratti e le canzoni di protesta
È al suo idolo Woody Guthrie che si deve il trasferimento di Dylan nella Grande mela, per una visita al New Jersey Hospital dove Guthrie è ricoverato. A New York City, Dylan suona per club finché attira una recensione positiva sul New York Times e viene notato dal talent scout della Columbia Records, John Hammond, che lo scrittura per il suo primo disco: Bob Dylan è una raccolta di canzoni della tradizione folk, blues e gospel, con due inediti di Dylan. L’album vende solamente 5mila copie nel primo anno, abbastanza per pagare appena le spese.

Bob Dylan performing on TV show, BBC TV Centre

Non stracciarono il suo contratto, a difenderlo si alleò anche Johnny Cash. Nel ’62 cambia nome all’anagrafe (in Robert Dylan) e cambia manager assumendo Albert Grossman uno che, scherza Dylan, «sapevi che stava arrivando dal profumo», dice Dylan nel documentario No Direction Home: Bob Dylan. Il secondo album, The Freewheelin’ Bob Dylan (1963) è l’inizio della sua fama da autore di canzoni di protesta. Molti artisti, tra cui The Byrds, decidono di incidere sue canzoni, portandole a un rinnovato successo. In poco tempo,insieme a Joan Baez, diventa un punto di riferimento per il movimento per i diritti civili.

Seal & Jeff Beck in una delle tante versioni di “Like A Rolling Stone”

Da leader folk a rockstar
Ma è un uomo dalla “claustrofobia” facile, Dylan. Non è ancora finito il 1963 che già si sente imprigionato dal movimento folk e di protesta. Un anno dopo, in una sera soltanto, registra Another Side of Bob Dylan dove sfotte se stesso e torna agli esordi rock and roll. Da leader del movimento folk diventa una rock star: il guardaroba di Carnaby Street prende il posto dei blue jeans usurati e delle camicie da lavoro.
Con Bringing It All Back Home (1965) arrivano anche gli strumenti elettrici, l’influenza di Chuck Berry e la poesia beat. Per il nuovo Dylan è ora di salpare verso l’Inghilterra. La rocambolesca esibizione di quell’estate al Newport Folk Festival, dove viene pesantemente fischiato, è la molla che lo porta in studio per registrare Positively 4th Street, capolavoro di paranoia e vendetta. La collisione s’è fatta guerra, il movimento folk per Dylan è morto e sepolto. Adesso è il momento di scalare le classifiche. E il momento arriva con il singolo “Like a Rolling Stone”, (secondo negli Usa e quarto in Uk): inno contro l’ipocrisia del benessere sociale.

Continuare è impossibile, la carriera di Dylan è un fiume in piena, un incessante susseguirsi di successi e cadute di stile, concerti e leggende misteriose, di conversioni religiose. Fino a giungere ad oggi: Fallen Angels, 37esimo album in studio in cui rilegge dodici classici del canzoniere Usa e della storia della musica.

Obama premia Bob Dylan, che oggi ha vinto il Nobel
Obama premia Dylan con la Medal of Freedom la più alta onorificienza civile negli Usa. EPA/JIM LO SCALZO

Crisi migratoria: l’Europa non va d’accordo

Stamani, poco prima dell’inizio del Consiglio “Giustizia e affari interni” dell’Ue, il ministro dell’Interno austriaco, Wolfgang Sobotka, ha espresso in maniera chiara e netta il suo pensiero sulla crisi migratoria:

“Finché un salvataggio nel Mediterraneo [da parte delle guardie costiere degli stati membri] implica automaticamente l’accesso ufficiale al territorio dell’Unione europea [da parte dei migranti], il flusso migratorio vero l’Italia e la Grecia non avrà fine. Viviamo una situazione paradossale nella quale le persone che non godono tecnicamente del diritto d’asilo non posso essere ritrasferite nei loro Paesi d’origine. Abbiamo bisogno di un cambio di mentalità e di condizioni tecniche chiare per i respingimenti”.

Insomma, dopo il caso del referendum ungherese e le esternazioni critiche sul tema di Matteo Renzi, le parole di Sobotka dimostrano che le posizioni dei Paesi membri sulla crisi migratoria sono ancora molto distanti tra di loro.

Sul fronte della “Balkan Route” invece, secondo il quotidiano 24 Chasa, il Primo ministro bulgaro, Boyko Borisov, avrebbe inviato una lettere al Presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, facendo pressione per la chiusura del rapporto CVM (“Cooperation and Verification Mechanism”). Di cosa si tratta e cosa ha a che fare con la crisi migratoria?

Il CVM è un rapporto che valuta, nel caso bulgaro, il progresso del Paese sul fronte delle riforme del sistema giudiziario, della lotta alla corruzione e della lotta al crimine organizzato. La chiusura del rapporto è condizione necessaria per l’accesso della Bulgaria all’area Schengen. Secondo quanto riportato da 24 Chasa, Borisov avrebbe ricordato a Juncker che “solo con la chiusura del CVM, i cittadini bulgari potranno godere di tutti i vantaggi dell’Unione e, solo allora, condivideranno per intero le responsabilità derivanti dalla partecipazione all’Ue”. Tradotto: fino a quando non cade il CVM il resto dell’Europa non può lamentarsi se i migranti continueranno ad arrivare attraverso la Bulgaria.

E, a proposito di Schengen, è di ieri la notizia che re-introdurre blocchi frontalieri avrebbe un costo iniziale di 20 miliardi di euro per i Paesi Ue e, di 3 miliardi negli anni a seguire.

Intanto, secondo Handelsblatt, la Grecia affronterà una nuova ondata di critiche da parte dei Paesi membri dell’Ue durante il Consiglio di questa settimana per la scarsa capacità di gestire gli arrivi e i respingimenti verso la Turchia. Nelle scorse settimane era stato soprattutto il ministro dell’Interno tedesco, Thomas de Mazière ad accusare lo stato ellenico, suggerendo di voler reintrodurre le procedure degli accordi di Dublino. Parole che però avevano creato soltanto confusione dopo l’accordo sulle quote migranti.

Nel frattempo però, la Germania può rifiatare: proprio ieri de Mazière ha comunicato che tra gennaio e settembre del 2016 sono state registrate 213mila richieste d’asilo. Nel 2015, nello stesso periodo, erano state “soltanto” 890mila.

Leggi anche:

Europa – Politico.euGli europei hanno perso fiducia nelle istituzioni europee e sarà una sfida recuperarla

Germania – Handelsblatt – La Corte Costituzionale tedesca da un primo via libera al CETA 

 

Con Left alla Festa della Costituzione, le ragioni per dire NO al referendum

Left sarà presente alla Festa della Costituzione, alla Città dell’Altra Economia questo fine settimana, da venerdì 14 a domenica 16, con uno suo stand dove troverete la rivista e molto altro!

Left promuove e coordina due dibattiti. Il primo, venerdì alle 18.10, “Riforma, grandi opere, tutela del territorio e sanità” vedrà sul palco due assessori della giunta Raggi: Paolo Berdini (Urbanistica) e Luca Bergamo (Cultura), insieme con Giulia Sarti (deputata alla Camera del M5s), Walter Tocci (senatore Pd), Pancho Pardi (leader dei Girotondi e docente di Urbanistica), i giuristi Claudio De Fiores e Anna Falcone (avvocato e vice presidente del Comitato per il NO) e Giulio Cavalli (scrittore e attore), protagonista di una performance alle 18. Il secondo, domenica 16 ottobre, sempre alle 18.10 “Le ragioni per dire NO”, insieme al costituzionalista Massimo Villone e l’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, il quale, dopo l’assoluzione per l’accusa di truffa e peculato, ha pubblicamente annunciato la sua partecipazione alla battaglia per il NO.

Saranno presenti anche Roberto Speranza che presenterà i democratici per il NO e fuoriusciti del Pd, del Movimento 5 stelle, di Sinistra Italiana, ci saranno Maurizio Landini e gli studenti per il No, Stefano Fassina, Roberto Zaccaria. Si parlerà di diritto al lavoro e allo studio, di ricerca e di informazione, di sanità e naturalmente di democrazia con “lezioni di Costituzione”, ogni giorno, su aspetti specifici della Carta del ’48. Tra i giuristi, Paolo Maddalena, Giovanni Bozzi e Massimo Siclari. Domenica a conclusione della festa parleranno Alessandro Pace, Elena Fattori, Armando Spataro, Alfiero Grandi, Guido Calvi.

La festa è popolare anche perché ci saranno tanti spettacoli, cinema, teatro, jam session, spazio per il cibo, giochi per bambini. Monologhi di Francesca Fornario e Ugo Dighero, protagonista tra l’altro, di una esilarante lettura dell’art. 70. Vi aspettiamo tutti. (qui il programma completo)

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A Roma continuano gli sgomberi. Oggi tocca al Corto Circuito

Stamattina è toccato al Corto Circuito di Roma svegliarsi sotto sgombero. Idranti e celere. Non erano neanche le 7 quando decine di blindati e centinaia di uomini – raccontano i presenti – si sono presentati in via Filippo Serafini a mandare via le persone e sigillare la struttura. Un quartiere intero alla periferia sudest della Capitale è stato chiuso, sette strade. Possono passare solo i residenti.

Palestra popolare, scuola popolare, cucina popolare, attività per il popolo. Lo spazio in cui risiede da 27 anni il Corto Circuito è di proprietà comunale, è stato occupato e pre-assegnato nel 1997. Oggi, su disposizione della magistratura viene posto sotto sequestro. È uno dei pochi spazi di un’area enorme di Roma dove sono assenti servizi culturali e sociali.

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Dopo gli studenti, al Point break del Pigneto, e i migranti al Baobab di via Cupa, è la volta del centro sociale. La stagione degli sgomberi non è mai finita. Lo spettro della delibera 140 del 2015, approvata dalla Roma di Marino, continua ad aggirarsi per la Capitale. Anche con la giunta Raggi. Gli spazi sociali sono avvisati.

È morto Dario Fo, maestro di teatro, Nobel e giullare militante

È morto oggi a Milano Dario Fo, autore di teatro, innovatore, militante, attore superlativo e premio Nobel per la letteratura del 1997, che si è sempre definito “giullare”. E persino pittore. Aveva 90 anni ed era stato ricoverato 12 giorni fa. Qui sotto un’intervista che aveva concesso a Left lo scorso febbraio.

Dario Fo è sempre stato un artista spiazzante: quando nel 1962 presenta Canzonissima ma non risparmia sketch provocatori, e dopo essere stato censurato abbandona il programma; quando nel 1970 in Morte accidentale di un anarchico si ispira al caso di Pinelli ricevendo decine di denunce; quando nel 1977 torna in Tv in prima serata con Mistero buffo raccontando il Vangelo in modo poco canonico.

E Dario Fo è spiazzante ancora oggi: quando entrando nella sua casa normale in un condominio normale in Corso di Porta Romana a Milano, troviamo la porta aperta, come se fossimo nella bottega di un artigiano che ci deve aggiustare una cinta e non di un premio Nobel, e dentro capiamo che è tutto vero, che è tutta creatività e ricerca allo stato puro, senza pause. Con poca vanità, con niente di appariscente ad arredare tra i tanti quadri; quando lo vediamo spettinato, ma vestito come in scena, mentre sposta le tele e le tavole, con la voce più afona e sofferente, un po’ infastidito dalla luce, con la fede al dito, guardando un suo nuovo dipinto, mentre saremmo lì per parlare del suo ultimo romanzo, Razza di zingaro, ma lui ha già lo sguardo orientato al futuro, alla sua nuova opera, in fase di scrittura, di cui ci vuole parlare in anteprima: i Menecmi, non di Plauto, i suoi.

Siamo agli inizi del ’700. Il personaggio centrale è un fuciliere di marina. In un’osteria si sta celebrando il suo ritorno in Danimarca dalle Indie, quindici anni dopo essere stato dato per morto. L’uomo di mezza età racconta alla gente del paese la sua avventura e di come lui, abituato a commerciare schiavi, fosse diventato a sua volta schiavo di aborigeni tagliatori di teste. Aveva imparato l’Indio «per curiosità, e aveva scoperto l’intelligenza e il sapere di questi selvaggi che venivano trattati come bestie, e grazie a questa conoscenza era riuscito a salvare la vita a sé e alle altre persone della sua Compagnia, con arguzia e intelligenza». Dopo il racconto delle peripezie, tornando a casa, ubriaco, «sul suo carro trainato da un paio di cavalli di grande stile e forza viene proiettato fuori dal veicolo e per poco non s’ammazza». Un gruppo di nobilastri della zona assiste all’incidente accorgendosi che l’uomo ha la stessa faccia di uno di loro, un duca. «Questo straccione ha la tua faccia… è un tuo sosia perfetto! Facciamogli uno scherzo incredibile».

Bonifacio VIII, dal Mistero Buffo, trasmesso in Tv nel 1977

Fo scrive nei suoi appunti che il doppio in scena sarà reso da una marionetta. Il marinaio malconcio e puzzolente viene dunque lavato e vestito da nobile. Al risveglio nella reggia il medico di famiglia compiacente gli fa credere di avere un’amnesia. «Gli fanno conoscere la moglie e lei non capisce perché il marito dopo tanti anni sia così preso d’amore». «Il tema del doppio – ci dice l’autore – determina dei contrappunti molto strani e divertenti». Questa commedia, che sarà uno spettacolo o forse un romanzo, è tratta da un vecchio intreccio che ispirò anche Alberto Sordi nel Marchese del Grillo. «Ma lui l’ha usato trattandolo male, perché con lui vincono i padroni e i furbi, mentre il mio personaggio, quando si accorge dell’inganno, ribalta tutto e dà una lezione ai prepotenti». Il Duca è un truffatore e un corrotto e il marinaio che lo impersona, quando ormai è consapevole del gioco, all’arrivo della polizia che lo accusa, ammette le colpe del nobile che a quel punto vuole ucciderlo. «E lì c’è una catarsi, uno sballo che è inutile che ti racconti». In questo canovaccio riconosciamo alcune fra le caratteristiche più note dell’opera di Fo: la critica verso le istituzioni, nella figura del Duca, ma anche in quella della Compagnia delle Indie che fa affari depredando terre e schiavizzando popolazioni; la capacità di costruire delle macchine per far ridere con l’uso del sosia e degli equivoci che si porta dietro; il teatro nel teatro, sia all’osteria quando il marinaio racconta come fosse un attore, sia a corte nella messa in scena dei ruoli; la presenza del matto, che può dire verità scomode, ovvero il finto duca che confessa le le “sue” malefatte. E quando il protagonista si rivolge in dialetto Indio ai temibili cacciatori della foresta non possiamo non pensare al suo vecchio grammelot: «Esu tu stranchalì trenchinò eisesal» (Noi non siamo venuti qui per catturarvi ma per essere catturati, siete contenti?).

La sensazione più forte incontrando il Maestro alla vigilia dei 90 anni è che tutto il suo mondo creativo sia fluido. Si intrecciano i mezzi espressivi, ad esempio pittura e scrittura, in attesa del palcoscenico: dipingere lo aiuta a superare il blocco dello scrittore e soprattutto a portare avanti la storia. Ugualmente narrare, affabulare, genera idee e spunti che poi finiranno sulla tela. Per lui che nasce pittore, avendo frequentato l’Accademia di Brera e che è anche scenografo dei suoi spettacoli, abbozzare con i colori, o semplicemente con un pennarello e il bianchetto, delle situazioni, significa immaginare uno storyboard trasversale che conduce al testo e poi alla scena.
Poi questa osmosi si riscontra nella costruzione delle trame, tra vita, arte e sogni. Nei personaggi mette inevitabilmente se stesso: il protagonista di Razza di zingaro, un boxeur gitano realmente esistito che dopo la prima guerra mondiale sfidò il nazismo, è visto come un mimo, più attento allo spettacolo che alla violenza dei colpi. Lo ritrae con un dinamismo alla Fo, con tratto michelangiolesco, con le movenze della Commedia dell’Arte.
Il percorso di mediazione è sempre stato il cuore del suo stile: più che mettere in scena direttamente l’azione, Fo preferisce farla raccontare da un personaggio, meglio se giullare o cantastorie.

Il romanzo edito da Chiarelettere ha più lo stile della storia narrata che della prosa. E pure nei Menecmi il clou, ritratto nel quadro, non è la storia nel suo compiersi ma il suo racconto: il superstite riporta la sua vicenda alla gente del paese nel “teatro” dell’osteria. Infine in questa fluidità il passato comunica con il presente e apre squarci sul futuro: prende davanti a noi un suo vecchio dipinto di Franca Rame e ne ridisegna la silhouette su un foglio per poi ridurla e incollarla su una tavola di legno che riproduce una messa in scena recente del suo spettacolo Lu Santo jullare Francesco. La moglie non c’è più ma è come se avessimo incontrato anche lei in quel salotto di casa dove tutto è possibile.

Orfini e i randellatori democratici

Il presidente nazionale e commissario romano del Pd, Matteo Orfinialla festa del PD. Napoli 7 Ottobre 2016.ANSA/CESARE ABBATE

Sarebbe bello, tra le altre cose, anche capire chi dia il comando di via, con quali parole il capetto dica al suo esercito di twittaroli che è il momento giusto per pestare e se esista magari una strategia d’insieme. Questa volta ci si è messo anche Orfini. Orfini, capite? Quell’Orfini che negli ultimi due giorni è riuscito a smentirsi e poi smentire le proprie smentite (uno smentitore al cubo) sulle vicende di Roma, su Marino e su Bersani e soci.

Quindi appena è successo che D’Alema (parliamo ancora di D’Alema, capite?) ha riunito un pezzo del fronte del NO per discutere delle iniziative dei comitati e, soprattutto, della proposta di riforma scritta da quattro costituzionalisti (Pasquino, Pertici, Viroli e Zaccaria) i bastonatori renzini, miopi, hanno pensato che fosse l’occasione giusta per raccontare che Fini, Cirino Pomicino e un paio di leghisti sono la rappresentazione plastica di quelli che dicono no.

Per carità, che dio ci scampi da Giorgetti, Gasparri e i ferrivecchi (e magari anche D’Alema, diciamo) per pensare davvero a un futuro scevro dagli errori e dagli orrori del passato ma che a forzare un’associazione che in termini politici in realtà non esiste siano proprio i renziani, no. Questo no.

Per tanti motivi, certo, ma in primis perché ritrovarsi dalla stessa parte contro una riforma è un po’ pochino per insinuare somiglianze e comunanze e poi, soprattutto, perché Renzi e soci ci governano con il centrodestra. E tra il governare insieme e l’essere insieme contro una riforma ci passa una certa differenza, per dire. Ma non solo: proprio ieri il Comitato del Sì ha deciso di scoprire le carte con un post in cui rivendica di sostenere una riforma che rispecchia il programma elettorale del PDL. In sintesi dicono a quelli del centrodestra «votate sì perché stiamo facendo le cose come piacciono a voi». Non male per chi fino a qualche giorno fa ha cercato di convincerci che la riforma costituzionale sia in linea con il programma dell’Ulivo: questi hanno una confusione politica che sfocia nella labirintite. Oppure semplicemente credono di essere furbi, loro.

Ma c’è altro ancora, più importante: tutti ululano di voler restare nel merito delle riforme (Renzi e Orfini in testa) e poi sbavano su chi è fotografato vicino a chi come un settimanale di gossip appoggiato sul tavolino delle parrucchiere.

Bene. Avanti così.

Buon giovedì.

La galleria dell’infamia, Erri De Luca contro la street art usata dalla Tav

«Molti artisti si sono messi al servizio di potenti e prepotenti. Di solito espongono le loro opere in gallerie d’arte. Qui si espone nella galleria dell’infamia». Così Erri De Luca commenta il progetto Taw, Tunnel Art Work, voluto da Telt (Tunnel Euralpin Lyon-Turin) e che vede tre street artists prestare la propria opera all’alta velocità nella tratta Torino Lione, dipingendo il contestato tunnel geognostico della Maddalena. Per il quale lo street artist Simone Fugazzotto ha realizzato, quasi a metà del tunnel, a 2800 metri dall’ingresso, un murale di 10 metri con un gigantesco cruciverba in cui s’incrociano le parole chiave della Torino-Lione: velocità, controllo, sottosuolo. Insieme a lui partecipano gli artisti  Ludo e Laurina Paperina ( che curiosamente dipinge un romantico trenino d’altri tempi per sviare l’attenzione dall’impatto ambientale dell’alta velocità).

L’intenzione di Telt è chiara: usare la street art ( da sempre ribelle e libertaria) per propagandare il discusso progetto della Torino Lione, che incontra l’opposizione della popolazione locale. Mario Virano, direttore generale della società binazionale che sta costruendo la Nuova Linea Torino -Lione ha rilasciato dichiarazioni emblematiche :«questo è un esperimento, che non si fermerà oggi. La nostra volontà è di offrire questo nuovo spazio liberamente ad artisti che possano utilizzarlo come luogo di espressione culturale. Per troppo tempo questo cantiere ha subito polemiche e pregiudizi. Da sempre la modernità è stata accompagnata e celebrata dall’arte e i nostri primi tre artisti coinvolti non sono stati da noi minimamente condizionati».

Dura e chiarissima, la presa di posizione dei No Tavmascherata da operazione culturale è una goffa risposta alle nostre iniziative. Negli anni abbiamo avuto la fortuna di incontrare sul nostro cammino molti artisti di varie discipline che hanno messo a disposizione il proprio sapere e le proprie capacità per una giusta causa come quella NoTav. Pittori, writer, musicisti, scrittori, scultori, attori, artigiani, intellettuali e molti altri, hanno sempre scelto da che parte stare, schierandosi dalla parte di chi lotta per la libertà di tutti e tutte, per un futuro diverso da quello prospettato dalla voce del padrone. L’arte del resto è una forma di espressione che incarna la libertà, per chi la fa e per chi la vive e pensare di esporre all’interno di un tunnel che scava la montagna, contestato dalla popolazione del luogo, chiuso a tutti, con polizie ed eserciti a presidiarne gli ingressi ci sembra quanto meno surreale».

Fugazzotto Silenzio, cruciverba
Fugazzotto Silenzio, cruciverba

Il movimento NoTav non si limita alla critica, ma fa anche una proposta positiva: invitano Fugazzotto, Ludo, e Laurina Paperina a ricosiderare la decisione di  partecipare ad «un evento di propaganda tanto esplicito quanto brutto». «Se lo vorranno, saremo ben lieti di ospitare i loro lavori all’aria aperta, tra le montagne, dove si respira la libertà, altrimenti potremo chiedere a Blu un aggiornamento della sua opera, inserendo anche un artista al fondo dell’allegro trenino». L’artista Blu, infatti, ha già  disegnato una teoria di passeggeri che attraversano il tunnel carponi. Lo stesso Blu che, mesi addietro, aveva  ritirato alcune sue opere da una mostra a Bologna, perché i graffiti erano stati staccati dalle pareti, decontestualizzati e messi al riparo in un museo con la scusa di proteggerli.

Non ha protestato invece Banksy rispetto alla recente mostra a Roma, organizzata dalla Fondazione Roma dal titolo  Art and capitalism, vistosamente in contrasto con la location e la Fondazione bancaria che finanziava la mostra con opere di proprietà di vip e ricchi galleristi.

laurina-paperinaE qui si apre una questione annosa che riguarda il rapporto fra artisti e committenza e nel caso della street art fra writers e potere. Gli street artists hanno posto in modo radicale il rapporto fra arte e comunicazione pubblica, nell’accezione più ampia della parola. Perlopiù con formule e contenuti innovati, come fa notare il sociologo Alessandro Dal Lago, che nel libro Graffiti ( Il Mulino), scritto con  Serena Giordano, ricostruisce la storia storia di questa forma di espressione artistica dalla preistoria ad oggi . Passando attraverso molte vicende che hanno portato alla diffusione popolare della street art, a cominciare dalla pittura dei muralisti messicani come Orozco, Diego Rivera e Siqueros, tra gli anni Dieci e Trenta del Novecento.

Ma se guardiamo all’oggi, fra tante proposte interessanti, dal basso, spiccano alcuni casi più difficili da inquadrare, di writers apparentemente contro, ma che hanno  rapporti a doppio filo con il potere. Discorso scomodo  da fare, perché anche chi scrive ha apprezzato in passato opere di Banksy e di Obey e continua a farlo, ma alcune operazioni come quella che citavamo di Banksy e l’impero del merchandising che Obey ha costruito intorno a sue opere ridotte a brand non riescono ad emozionare allo stesso modo. Sembrano lontani i tempi in cui  Obey, con i suoi manifesti elettorali abusivi e carichi di speranza, aiutò indirettamente la campagna elettorale di Obama. Dovendo poi pagare i diritti della foto che aveva trasformato in un’opera coloratissima e altamente iconica.

obey_mobileQuanto all’Italia , la street art sta dilagando nei luoghi più diversi, dal basso, in maniera libera e “selvaggia”. E l’ala più vivace e imprevedibile di questo movimento di artisti armati di spray, di stencil ecc. continua a produrre opere interessanti.  Oppure – come è successo a Tor Marancia a Roma e in altre città –  la street art è fiorita su invito di amministrazioni comunali impegnate nel recupero di aree periferiche o degradate. Il caso della rinascita di Tor Marancia (di cui ci siamo già occupati in passato) viene raccontato da Tam associati nel padiglione italiano della XV Biennale di architettura a Venezia fino al 27 novembre. Ma questa “consacrazione”, per converso, ha anche riacceso le voci dei detrattori della giunta Marino che additano quella di Tor Marancia come un’operazione di mero maquillage. Qui non vogliamo addentrarci nelle questioni che riguardano il governo di Roma, ma  appunto mettere in luce il rapporto, a volte dialettico e positivo, altre volte opaco, che i writers instaurano con il “potere”, prendendo spunto dalla stimolante riflessione di Alessandro Dal Lago e di Serena Giordano nel libro Graffiti, arte e ordine pubblico , come accennvamo .

Spesso gli street artists intervengono per aprire alla fantasia il grigiore imposto da amministrazioni conservatrici o per innescare un processo di riscatto di aree povere o lacerate da conflitti. Che poi però – e non per colpa degli artisti che hanno contribuito al loro rilancio – rischiano di diventare preda della gentrification e della speculazione. La vera trappola per i writers sono le mostre, che numerosissime stanno fiorendo in Comuni piccoli e grandi. È emerso con chiarezza quando Blu ha ritirato alcune sue opere staccate dai muri di Bologna. Ma anche più di recente a Roma con la personale di Banksy in Palazzo Cipolla. La mostra che ha chiuso i battenti il 4 settembre con un record di visitatori s’intitolava War, Capitalism & Liberty, ma esponeva opere realizzate dal misterioso artista inglese in anni diversi e di proprietà di facoltosi collezionisti. Opere che sembravano esangui poster ridotte alla dimensione espositiva da salotto. Nel museo romano le opere di Banksy sembravano addomesticate avendo perso tutta la forza di contestazione e di protesta che hanno invece in spazi pubblici. Pensiamo per esempio al suo barbone che, per strada, non chiede l’elemosina, ma un reale cambiamento. Oppure alla sua bimba che scala il muro di Gaza appesa a un palloncino. La differenza è abissale. Riflettere sul rapporto fra arte e potere come suggerisce Dal Lago in Graffiti e Mercanti d’aura non è affatto riprendere un tema superato, ma anzi oggi apre nuovi  ambiti di discussione.

aggiornameto 18 ottobre 2016:

Erri De Luca l’ha definita la galleria dell’infamia. Anche perché l’azienda della Tav ha cooptato tre writers per dipingere il tunnel della Torino-Lione, plaudenti all’impresa contestata dagli abitanti della Val di Susa e dal movimento No Tav. La street artist  Laurina Paperina ci ripensa  dopo l’intervento dello scrittore su Left (leggi qui) e il messaggio di Wu Ming, mentre sta per uscire il libro di Wu Ming 1, Un viaggio che non promettiamo breve sulle lotte No Tav.

Ecco la sua lettera:

Salve a tutti,
scrivo questa lettera in risposta ai messaggi che mi sono arrivati riguardo alla mia partecipazione alla mostra nel cantiere di Chiomonte. La scorsa estate sono stata invitata dal curatore Luca Beatrice a partecipare a questo progetto, il cui scopo era far entrare l’arte in un luogo inusuale, dove solitamente l’arte non ha nulla a che fare; il lavoro l’ho realizzato mesi fa, il mio intervento è stato dipingere due dei treni che usano gli operai per lavorare nel cantiere, e l’ho fatto in maniera “inconsapevole”, convinta del fatto che il mio intervento non voleva essere né provocatorio, né tanto meno pro tav.
Leggere le vostre mail mi sconforta parecchio, non ero a conoscenza (mea culpa) di tutto quello che sta avvenendo in quella zona e mi dispiace che il mio intervento possa sembrare un’azione di propaganda, che ribadisco, assolutamente non è.
È vero che tempo fa ho ricevuto un messaggio di Wu Ming che mi chiedeva di non partecipare ma, purtroppo, il lavoro era già stato fatto e a quel punto non ho avuto la prontezza di riflessi nel prendere una posizione netta.
Molti di voi non mi conoscono e non conoscono il mio lavoro, quindi posso capire che questa faccenda possa sembrare strana, soprattutto per il fatto che quando posso cerco di dare il mio piccolo contributo per delle cause che ritengo giuste, come ad esempio contro il TTIP. Solo una persona pazza o bipolare potrebbe prima schierarsi contro questo trattato e poi fare una mostra con intenti Pro Tav…e, preso atto della situazione, non lo sono assolutamente.

Cordiali saluti
Laurina Paperina

Left alla Festa della Costituzione a Roma. Con Landini, Marino, giuristi e artisti

Come parlare di Costituzione? Naturalmente con una festa, popolare. A Roma, Città dell’Altraeconomia (Testaccio) dal 14 al 16 ottobre. Promossa dal Comitato romano per il no al referendum costituzionale, vuole essere un momento di confronto e di incontro e anche di chiarimento, perché no. Con studenti, giuristi, costituzionalisti, politici e artisti. Tutti uniti nel No alla proposta di revisione Renzi-Boschi su cui i cittadini italiani dovranno pronunciarsi il 4 dicembre. Il fronte politico è piuttosto vario: ci saranno esponenti del Pd e fuoriusciti del Pd, del Movimento 5 stelle, di Sinistra Italiana, ci sarà Maurizio Landini e gli studenti per il no, Stefano Fassina, l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino e Roberto Speranza, della sinistra dem. Si parlerà di diritto al lavoro e allo studio, di ricerca e di informazione, di sanità e naturalmente di democrazia con la “lezione di Costituzione”, ogni giorno, su aspetti specifici della Carta del ’48. Tra i giuristi, Paolo Maddalena, Giovanni Bozzi e Massimo Siclari. Domenica a conclusione della festa parleranno Alessandro Pace, Elena Fattori, Armando Spataro, Alfiero Grandi, Guido Calvi.

 

Left sarà presente alla festa con uno stand in cui si può trovare la rivista con uno speciale referendum, una “guida all’attivista per il No”. Left promuove anche due incontri coordinati dal direttore Ilaria Bonaccorsi. Il primo, venerdì alle 18.10, “Riforma, grandi opere, tutela del territorio e sanità” vedrà sul palco due assessori della giunta Raggi: Paolo Berdini e Luca Bergamo, insieme con Giulia Sarti (M5s), Walter Tocci (Pd), Pancho Pardi, i giuristi Claudio De Fiores e Anna Falcone e Giulio Cavalli, protagonista di una performance alle 18. L’altro incontro è previsto domenica 16 ottobre, sempre alle 18.10: Ilaria Bonaccorsi coordinerà l’incontro con il costituzionalista Massimo Villone e Ignazio Marino, il quale, dopo l’assoluzione per l’accusa di truffa e peculato, ha pubblicamente annunciato la sua partecipazione alla battaglia per il no. Sarà interessante sentire dall’ex sindaco “liquidato” in maniera frettolosa dal suo partito, cosa pensa della riforma costituzionale.

La festa è popolare anche perché ci saranno tanti spettacoli, cinema, teatro, jam session, spazio per il cibo, giochi per bambini. Monologhi di Francesca Fornario e Ugo Dighero, protagonista tra l’altro, di una esilarante lettura dell’art. 70 che sta girando in rete.

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