Home Blog Pagina 1049

Come sta governando Virginia Raggi? Il bilancio di Left con gli interventi di Saviano e De Magistris

VIRGINIA RAGGI

Ogni giorno ha la sua croce per Virginia Raggi. E l’ultima, pesantissima, le è stata scagliata addosso da Roberta Lombardi, la deputata 5 stelle che per prima si è dimessa dal direttorio romano che avrebbe dovuto affiancare e aiutare la sindaca per tutta la durata della consigliatura. Direttorio che oggi non esiste più, sciolto senza troppi complimenti. Lombardi, per questo ennesimo scontro con la sindaca, ha scelto di cavalcare uno scoop dell’Espresso firmato da Emiliano Fittipaldi che sostiene che Raffaele Marra, fedelissimo di Raggi che è già costato numerose polemiche per via della sua vicinanza alla destra alemanniana, avrebbe comprato a un prezzo molto di favore un appartamento dal costruttore Scarpellini, un attico di lusso scontato da un palazzinaro contro cui il Movimento 5 stelle ha fatto diverse battaglie e che con il Comune di Roma ha fatto diversi affari. La storia, in effetti, non è bellissima.

In queste ore leggerete le cronache e i retroscena che arricchiranno questo ultimo capitolo delle movimentate avventure di Virginia Raggi sindaco di Roma, un libro pieno di colpi di scena e personaggi che entrano e escono rapidamente dalla storia. Le leggeremo con voi e ne scriveremo anche noi qui sul sito, naturalmente. Sul numero di Left in edicola da sabato 17, però, abbiamo provato ad andare più in profondità. Abbiamo provato a rispondere, cioè, alla domanda che più interessa i romani: che si chiedono – pensiamo – se oltre che gestire le polemiche e cercare nuovi assessori al Bilancio, Virginia Raggi e la sua giunta stiano riuscendo a fare qualcosa per la città.

Abbiamo contato le delibere approvate dalla giunta, che sono poche, 33, e sono quasi tutte nomine di collaboratori. Abbiamo visto le poche che si occupano di cose più concrete a cominciare dalla delibera con cui la giunta partecipa al bando per le periferie aperto dal governo. Quella, ad esempio, è una buona delibera, anche se gli interventi che si chiede di finanziare sono forse un po’ a pioggia e se il merito, quando e se partiranno i cantieri, andrà diviso con il governo che ha finanziato. Buona è poi la delibera che ferma una scandalosa speculazione edilizia che Alemanno aveva autorizzato su un nobiliare palazzo del ‘700, già nel mirino della magistratura. Molto altro però non c’è, e così siamo andati a vedere cosa stanno facendo gli assessori nel loro lavoro sui dossier, che non sempre richiedono in effetti un voto in giunta. Non serve, ad esempio, per riaprire una biblioteca in periferia (cosa fatta) o per dare un tetto ai migranti che dormono fuori dal Baobab (cosa non fatta), ma servono purtroppo per Raggi e Muraro per risolvere la vicenda Ama, a cui si è poi aggiunta quella dell’Ama con più della metà dei mezzi che sono fermi in attesa di riparazioni.

È un bilancio prevalentemente negativo, quello sui primi tre mesi della giunta Raggi. Ma che potrebbe rapidamente cambiare. Se, come abbiamo scritto sulla cover, Raggi, impallata, si sbloccasse. Smetendola di inciampare nelle trappole che lo stesso Movimento dissemina, tra codici etici e liti interne, e dando finalmente un profilo politico al suo governo, profilo che per ora si stenta a riconoscere. Ed è proprio per questo che Luigi De Magistris, che ha intervistato la nostra Tiziana Barillà, si offre di dare qualche consiglio («Napoli non vuole insegnare niente a nessuno, ma siamo a disposizione per collaborare. I 5 stelle si credono gli unici depositari del sapere, e invece potrebbero chiederci come abbiamo affrontato, ad esempio, il problema dei rifiuti») e che Roberto Saviano, con il contributo che ospitiamo in apertura, suggerisce a Raggi una svolta: «Non è detto che l’assessore al Bilancio debba essere un tecnico, anzi, sarebbe meglio che in questa fase la responsabilità fosse tutta politica». «Da qui una provocazione», continua Saviano: «Alessandro Di Battista assessore al Bilancio. È un fedelissimo, è romano, la base ha fiducia in lui. Dai comizi nelle piazze alle responsabilità concrete il passo è obbligato». Che poi è quello che sta scoprendo sulla sua pelle Virginia Raggi.

Ne parliamo su Left in edicola dal 17 settembre

 

SOMMARIO ACQUISTA

«500 milioni ai poveri se passa il sì al referendum». Ma i conti di Renzi non tornano

Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi durante il suo intervento al teatro Toselli di Cuneo, ad una manifestazione per il Sì al referendum costituzionale, 14 settembre 2016. ANSA / US PALAZZO CHIGI - TIBERIO BARCHIELLI +++ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING+++

Referendum show, continua il martellamento sugli effetti positivi del sì. Passato l’endorsement dell’ambasciatore americano, digerito l’ecumenico monito del presidente Mattarella su «Il popolo è sovrano», oggi torna ad affrontare l’argomento a Uno mattina, Matteo Renzi che ha ripetuto un refrain che gli è molto caro.

«Se il Sì vince ci sarà un risparmio importante, si ridurranno gli stipendi dei consiglieri regionali, si elimineranno i rimborsi ai gruppi, e ci sarà un fondo di 500 milioni di euro che sarà messo a disposizione delle nuove povertà», ha affermato Renzi a UnoMattina. Lo aveva già detto altre volte: «Pensate che bello, risparmiare 500 milioni e darli ai poveri». Al di là della tattica usata, lo sbandierare davanti all’elettore il “regalo” per i poveri – iniziativa meritoria anche se si dovrebbe capire come verrebbe fatta – il premier continua a esibire una cifra che si otterrebbe dai tagli al Senato, su cui dovrebbe fornire altri dettagli. Perché non torna.

Renzi parla di mezzo miliardo di risparmio. Ma secondo i dati forniti dalla Ragioneria dello Stato (nota del 28 ottobre 2014) che è un organo non sospetto, poiché è un Dipartimento del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il risparmio si aggira su ben altre cifre. Molto, molto, più basse. La riduzione dei senatori, come si legge nel libro del costituzionalista Andrea Pertici La Costituzione spezzata – che cita il report della Ragioneria dello Stato – comporta un taglio dei costi di 49 milioni di euro. L’eliminazione del Cnel prevede un risparmio di 8,7 milioni. A queste cifre sono da aggiungere altre centinaia di migliaia di euro ricavabili da voci identificate come non quantificabili. Il pacchetto è di circa 58 milioni, ben lontano dalla cifra sbandierata di 500 milioni.

Nella stessa trasmissione Matteo Renzi ha reso noto che la data del referendum sarà stabilità nel Consiglio dei ministri del 26 settembre.
Ha ridato anche ampia disponibilità al cambiamento dell’Italicum. «Per me l’Italicum – ha detto a UnoMattina – è un’ottima legge elettorale, ma se qualcuno ha proposte che le tiri fuori. Altrimenti è un dibattito surreale. Ma se ci viene chiesto: siete disponibili a cambiare la legge elettorale come segnale di ascolto e apertura? Io rispondo assolutamente sì. Chiederemo ai partiti, gli altri partiti delle opposizioni, quali sono le loro idee altrimenti è una discussione surreale».

Dietrofront repentino, apertura e strizzate d’occhio alla minoranza Dem, come se su questa legge non si fosse chiesto il voto di fiducia, dopo una battaglia durissima. Tutto rimangiato, tutto da rifare. Chissà però se questo nuovo volto “magnanimo” di Renzi corrisponderà al vero, o sarà un’altra tecnica dilatoria per insinuare il dubbio nel già indeciso e debole fronte di quelli che “votano No se non si cambia l’Italicum…”.

Stava scioperando. Operaio muore travolto da un tir

Ieri, poco prima della mezzanotte – sono le 23,45 –  Abdesselem El Danaf sta facendo un picchetto insieme ai suoi compagni di fabbrica e del sindacato Usb. È ai cancelli, appena fuori dall’azienda per cui lavora, la logistica GLS a Montale, frazione di Piacenza. L’operaio Abdesselem ha 53 anni,  cinque figli, origini egiziane e lavora qui da tredici anni, alla SEAM, ditta in appalto della GLS.

 “Parti, vai!”. In pochi minuti accade tutto. Incitato, qualcuno mette in moto, spinge il pedale dell’acceleratore di un tir per forzare il picchetto. E travolge Abdesselem proprio lì davanti ai cancelli e lo uccide. Alla guida del tir c’è un suo collega di lavoro, ha 43 anni, è italiano, voleva sfondare il picchetto. E adesso è accusato di omicidio stradale.

«Nella logistica diritti violati fino alla morte», commenta Francesco Iacovone dell’Esecutivo Nazionale USB Lavoro Privato. «La logistica è parte integrante del sistema della Grande distribuzione organizzata, i lavoratori sono anelli della stessa catena di sfruttamento. Dove finiscono i vestiti cheap price, gli smartphone, i giocattoli, le arance, i pomodori, le bottiglie di aranciata, i barattoli di pelati? Prima di arrivare nei negozi dei centri commerciali e negli scaffali dei supermercati, questi prodotti vengono movimentati da lavoratori, soprattutto migranti, impiegati da aziende cooperative alle quali le catene della Grande Distribuzione Organizzata appaltano il lavoro nei propri magazzini. Nell’ombra fanno funzionare la grande distribuzione. Ma nell’ombra succede di tutto: salari decurtati, zero diritti, zero sicurezza e chi sciopera viene licenziato. Il gravissimo fatto di questa notte è l’epilogo di una serata di gravi tensioni, che è sfociata in tragedia. Questa volta i diritti sono stati violati fino alla morte»

Il sindacato ha indetto una conferenza stampa per oggi, giovedì 15 settembre, a Piacenza. Ecco il comunicato:

“Ammazzateci tutti” è il grido dei lavoratori della logistica di Piacenza.
Un nostro compagno, un nostro fratello è stato assassinato
durante il presidio e lo sciopero dei lavoratori della SEAM, ditta in appalto della GLS questa notte davanti ai magazzini dell’azienda.

Il gravissimo fatto è l’epilogo di una serata di gravi tensioni, la USB aveva indetto una assemblea dei lavoratori per discutere del mancato rispetto degli accordi sottoscritti sulle assunzioni dei precari a tempo determinato.

Di fronte al comportamento dell’azienda i lavoratori, che erano rimasti in presidio davanti ai cancelli, hanno iniziato lo sciopero immediato. Proprio durante azione di sciopero, un lavoratore, padre di 5 figli e impiegato nell’azienda dal 2003, è stato assassinato, sotto lo sguardo degli agenti di polizia da un camion in corsa che ha forzato il blocco.
Questo assassinio è la tragica conferma della insostenibile condizione che i lavoratori della logistica stanno vivendo da troppo tempo. L’USB si impegna alla massima denuncia dell’accaduto: violenza, ricatti, minacce, assenza di diritti e di stabilità sono la norma inaccettabile in questo settore.

Alex Zanardi: che te ne fai delle gambe con un cuore così

“Che bello. Ringrazio mia madre che mi ha messo al mondo, mia moglie che mi ama, mio figlio, il mio allenatore. Dove prendo tutta questa forza? Ma non serve, puoi fare quello che vuoi. Tante persone credono di aver già dato tutto e ancora non hanno tirato fuori il loro potenziale. Sono tre anni che ci do dentro e sono contento di essere riuscito a costruire qualcosa di speciale.”

Alex Zanardi vince l’oro e scrive una dedica che è un manifesto alla vita. Vince la quarta medaglia paralimpica della sua carriera e al solito non perde nemmeno tempo a usare metafore: poche parole dirette, dritte e che non hanno tempo da perdere.

Alex Zanardi è uno dei simboli migliori di quest’epoca; è l’uomo che ha perso le gambe e le ha sostituite ingrossando il cuore insegnandoci che gli arti, così come le occasioni, sono banalmente potenziali canali di forza e nient’altro. Non servono gambe con un cuore grosso così.

La disabilità è una condizione mentale che si siede di fianco alla disperazione nella stanza d’aspetto degli oppressi. Se si riesce a coltivare forza alla fine si può essere veloci anche nella penuria di possibilità. Non conta quante occasioni hai ma quanta forza, voglia e speranza riesci a buttarci dentro: così lui, Alex, finisce per prendere la forma di una cometa e vince sembrando meravigliosamente normale.

“…siamo tutti diversi in questo mondo. Da vicino, perché da lontano, invece, siamo tutti uguali. Per questo io sto in aria” scrive Elisabetta Gnone. Eppure da molto vicino e da molto lontano nessuno di noi è normale. E, lasciatemelo scrivere, quanto è rivoluzionario il momento in cui qualcuno mette in discussione le nostre misure, i nostri valori e i nostri pregiudizi.

Grazie, Alex, per avere smontato tutto ciò che crediamo vero e invece non lo è.

Buon giovedì.

Kader Abdolah, scrivere nella lingua della libertà

Nel suo nuovo romanzo, Un pappagallo volò sull’Ijsse, Kader Abdolah racconta come è cambiata l’immigrazione e l’accoglienza in Olanda, che per lo scrittore iraniano resta un grande laboratorio di futuro

Memed Kamal dice all’avvocato dell’ufficio immigrazione olandese di essere un curdo che fa parte della resistenza a Saddam Hussein. Ma l’accento e il nome del gruppo a cui dice di appartenere tradiscono la sua origine iraniana. Comincia così la sua vita nel Paese dei tulipani che dopo l’assassinio del regista Theo van Gogh, nel 2004, sta cambiando volto. Nella storia di Memed, scappato dalla vivace metropoli iraniana e approdato nel piccolo borgo riformato di Zalk, risuona quella del suo autore, Kader Abdolah: studente di fisica che militava in organizzazioni clandestine di sinistra in lotta contro il regime teocratico e che sognava di diventare scrittore. Da piccolo aveva inventato un linguaggio segreto per comunicare con il padre sordomuto, come la bambina che compare in questo nuovo romanzo Un pappagallo volò sull’Ijsse (Iperborea). Nell’85 scappò dall’Iran per non morire nelle carceri dell’ayatollah, come era accaduto a molti suoi amici, fra i quali un medico e un architetto, di cui porta il nome firmandosi con lo pseudonimo Kader Abdolah. In Olanda si è trovato a dover rinascere in una nuova lingua, imparata da autodidatta. Oggi i suoi libri sono tradotti in 25 lingue ed è diventato il più grande scrittore contemporaneo in nederlandese. Un pappagallo volò sull’Ijsse racconta di un gruppo di immigrati musulmani costretti a fare i conti con la diffidenza dell’Europa dopo l’11 settembre. Ma che non mollano la speranza. Che si innamorano. Cercando con disarmante ostinazione di intrecciare rapporti veri. In un’Olanda che l’autore di Scrittura cuneiforme vede ancora come un laboratorio di nuove identità e di futuro.
Kader Abdolah, al protagonista di questo suo nuovo romanzo ha regalato qualcosa di sé?
Potrei dire che ho incontrato queste persone che racconto nel romanzo, le ho “viste” e cerco di raccontare l’emigrazione attraverso i loro occhi. Sì, è vero (dice ridendo), c’è qualcosa di me in Memed, mi è piaciuto dare qualcosa del mio carattere a questo personaggio.
Quando approdò in Olanda trovò un Paese molto diverso da come appare oggi?
Quando arrivai dall’Iran, dopo essere passato per la Turchia, trovai un Paese che guardava i primi immigrati – che eravamo noi – con gli occhi di un bambino. Non sapevano nulla dell’immigrazione, non sapevano nulla dell’Islam, non sapevano niente di Kader Abdolah e della cultura da cui proveniva. Ti guardavano con occhi curiosi, ti venivano incontro, cercando di conoscerti, provando ad essere amici. Ma dopo l’11 settembre e dopo che gli immigrati sono diventati milioni qualcosa è cambiato. Gli olandesi, -ma anche gli italiani, è la stessa cosa – hanno mutato atteggiamento. Gli immigrati sono cambiati e gli olandesi sono cambiati a loro volta. Niente era più come prima. Hanno cominciato a guardare gli stranieri con occhi diversi, sono diventati più diffidenti, hanno cominciato a chiudersi. Perfino io, Kader Abdolah, sono rimasto stupito vedendo così tante persone arrivare in città. Ma questo flusso di emigrazione così massiccio non si può fermare. Cambierà il nostro futuro. Vogliamo accettare la sfida? Tra cinquant’anni avremo una società culturalmente più ricca e integrata. Altrimenti sarà per tutti un incubo.
Dopo la strage al Bataclan in Francia e gli attentati in Belgio le destre hanno soffiato sul fuoco della paura alimentando sospetti verso i migranti. Come possiamo combattere questi pregiudizi?
Cinque o sei anni fa eravamo immigrati “normali”. Dopo l’11 settembre si è smesso di guardare ai migranti vedendo delle persone costrette a lasciare il proprio Paese, ma in loro si è cominciato a vedere dei musulmani. Intanto alcuni gruppi si sono molto radicalizzati. Io stesso che vengo da un Paese musulmano, che vivo da molti anni in Olanda e mi sento di appartenere ad entrambe le culture, sono rimasto scioccato, mi sono chiesto: che cosa sta accadendo? Che c’è in questa religione? Chi sono queste persone così violente? Come possiamo affrontare questa situazione? Ho moltissimi amici che vengono da Paesi musulmani e come me si chiedono da dove venga l’estrema violenza di questi fanatici. Non la conoscevamo.
Nel romanzo Catherina racconta a Memed un episodio di iconoclastia protestante accaduto secoli fa. La violenza dei cristiani in fondo non è stata molto diversa da quella dei wahabiti?
È proprio così! Io vivo in Olanda dove c’è stata l’iconoclastia protestante, ma potremmo parlare anche di quella cristiana delle origini. Vicino a casa mia c’è una grande Chiesa, dall’esterno architettonicamente molto bella, ma se vai dentro non c’è niente, quattro secoli fa i protestanti hanno distrutto ogni opera d’arte, ogni quadro in cui erano raffigurati la Madonna o Gesù. Ma così hanno distrutto ogni bellezza. L’iconoclastia religiosa è estremamente violenta, accade lo stesso nell’Islam fondamentalista, è come se questa violenza religiosa dovesse distruggere il gusto e il senso del vivere insieme, la bellezza, l’arte. I miliziani dell’Isis operano come i cristiani che distruggevano l’arte pagana.
C’è una radice di violenza in ogni monoteismo basato su un Dio assoluto e trascendente?
Io penso che ci sia un fondo di violenza in ogni religione. Questo è accaduto anche in Iran con la taeocrazia degli ayatollah, ma la grande tradizione letteraria e poetica persiana, i grandi maestri del passato hanno sempre cercato di opporsi alla violenza religiosa trasformandone gli aspetti negativi. Cercavano la bellezza attraverso la poesia. È la specificità della letteratura far nascere il bello anche dal dolore e dalle macerie.
Tornando là dove eravamo partiti: Meded che si spaccia per curdo mi ha fatto pensare a quando lei giovanissimo andò nel Kurdistan per scrivere un libro reportage, che poi nessuno voleva pubblicare perché era troppo pericoloso…
Andai nel Kurdistan iraniano per scrivere un libro a metà strada fra il giornalismo e la letteratura. Gli ayatollah perseguitavano i curdi, era in atto uno scontro feroce in quella zona del Paese e ho scritto un romanzo per raccontare più in profondità la realtà che avevo visto, per mostrare il dolore, la lotta, la resistenza di quelle persone, l’incanto della natura, dei fiumi, ma soprattutto per far sapere a tutto il resto della nazione cosa stava accadendo. Riuscire a farlo fu una vera sfida perché all’epoca le notizie su quelle aree erano censurate, come succede oggi in Turchia, dove i curdi sono oppressi dal governo di Erdogan. Il popolo curdo ha una lunga storia, una straordinaria lingua e letteratura, ma per ragioni politiche è stato frammentato e diviso fra curdi iraniani, curdi che vivono in Turchia, in Siria, in Russia. Ma io penso che sia un diritto umano inalienabile poter parlare la propria lingua, coltivare la propria letteratura, avere i propri rappresentanti politici. È giunta l’ora che i diritti curdi siano pienamente riconosciuti.
I curdi non hanno scelto la via delle armi, in qualche modo vi sono stati costretti?
I curdi sono belle persone, gentili, non vogliono usare la violenza, ma i regimi iraniani, turchi siriani li hanno spinti a imbracciare le armi per difendersi. Nel libro ho cercato di raccontare soprattutto le donne, appassionate, forti, bellissime.

Il gatto nero che ha fiuto per i buoni libri ci porta a #Pordenonelegge

pordenone-legge-2016

Un gatto lucido e nero su campo giallo è l’avatar da seguire se si vogliono fare interessanti incontri con autori e buone letture. La felpata creatura guida i lettori a Pordenonelegge, la rassegna che dal 14 al 18 settembre trasforma la cittadina friulana nella capitale della narrativa e della saggistica impegnata e di qualità.  Anche quest’anno infatti sono molte le proposte che approfondiscono temi sociali e di attualità, come l’emigrazione, la guerra, i diritti umani.  Guardando al futuro e alle nuove frontiere della ricerca e della medicina, ma senza perdere di vista ciò che più ci caratterizza come esseri umani, la creatività, l’arte, la poesia. Nel ricchissimo programma della rassegna suggeriamo qui un nostro percorso con interviste e approfondimenti. Cercando di prendere il gatto per la coda e farsi trasportare in un mondo di fantasia.  Come le favole per grandi e bambini di Roberto Piumini che il 15 settembre dà il via alla giornata di Pordenonelegge incontrando il pubblico per parlare del suo nuovo Io pi, una raccolta di poesie edita da Gallucci in cui reinventa l’eredità di Gianni Rodari. La fantasia di Shakespeare, invece, èal centro dell’incontro con Piero Dorfles che si avventura nell’opera del bardo a 400 anni dalla sua morte.  L’attualità comincia ad affacciarsi con Filippo La Porta che racconta come è nato il suo nuovo libro Indaffarati ( Bompiani) in cui racconta i giovani di oggi, fra mille impegni e lavori precari ma che chiedono di mettere a valore tutto di sé. Pordenonelegge è la festa dei libri, dicevamo,  ma “leggere, cosa e come”? Questo è il tema che indaga Giorgio Zannchini parlando di giornalismo e l’informazione culturale nell’era della rete, a cui ha di recente dedicato un  interessante saggio per Donzelli. Nella serata del 15 settembre invece il gattonero invita a seguirlo in un viaggio lungo La strada del Donbas con l’omonimo libro di Serhij Žadan edito da Voland. Fino ad arrivare nella lontana Mongolia che nel suo nuovo monumentale romanzo pubblicato in italia da Fazi diventa terreno per una storia noir nelle mani di Ian Manook ( ecco la nostra intervista allo scrittore francese).

La giornata di venerdì si  con un importante incontro con l’oncologo e immunologo Alberto Mantovani ( che abbiamo intervistato sul numero di Left in edicola). Incontra il pubblico e gli studenti per  parlare del suo Non aver paura di sognare. Decalogo per aspiranti scienziati ( La Nave di Teseo) e  del lavoro di ricercatore e scienziato. Interessante anche l’incontro con Alessandro Dal Lago e Serena Giordano che discutono con Carlo Sala di un loro graffiante lavoro Mercanti d’aura. Logiche dell’arte contemporanea uscito qualche anno fa da Il Mulino e attualissimo per comprendere le radici della “finanziarizzazione” dell’arte e dello strapotere del mercato sull’arte contemporanea.  Si parla invece dell’esplosione della creatività nella preistoria e del lungo camino di Homo sapiens con Telmo Pievani,  che presenta in anteprima sulle Tracce degli antenati, un bel libro di divulgazione scientifica per i bambini pubblicato da Editoriale Scienza,  mentre è da poco uscito il suo nuovo libro Libertà di migrare, scritto coon Valerio Calzolaio ( ecco l‘intervista di Left a Pievani).

Parlando di letteratura e diritti umani, da non perdere l’incontro con l’attivista e scrittore turco Burhan Sönmez ( L’intervista qui) che ha da poco pubblicato con Nottetempo Istanbul, Istanbul. Che con Marco Ansaldo parlerà anche della Turchia oggi, sotto la stretta autoritaria di Erdogan. Mentre  l’iraniano  Kader Abdolah presenta il suo nuovo, bellissimo, libro Un pappagallo volò sull’IJssel  il (16 settembre alle ore 16.30 nello spazio BCC Fvg dialogando con Alessandra Tedesco).

Si parla invece del libro Premio Strega 2016
La scuola cattolica (Rizzoli) di Edoardo Albinati intervistato da  Filippo La Porta. (Qui l‘intervista di Left ad Albinati).  Per i più festaioli da non perdere di vista  il rave letterario con Natalino Balasso e Massimo Cirri. Con la partecipazione straordinaria di Monia Merli. Lo psicologo e autore di  Caterpillar su Radio 2 Massimo Cirri interverrà anche domenica per parlare del suo ultimo romanzo L’altra parte del mondo (feltrinelli) che racconta il dramma di Aldo Togliatti ( ecco Cirri intervistato da Left).

E ancora nella giornata di domenica, segnaliamo la lezione  di Luciano Canfora su Tucidide, a partire dal suo saggio  pubblicato da Laterza. ( ecco l‘intervista al grecista e filologo dell’Università di Bari).  Ma consigliamo anche  l’appuntamento Haiku e sakè con Susanna Tartaro, che ha da poco pubblicato  un volume di haiku con l’editore torinese ADD e a Pordenonelegge in dialogo con Loredana Lipperini.  Che nel pomeriggio presenta anche Gli ultimi libertini (Adelphi) di Benedetta Craveri. Infine assolutamente da non perdere  domenica  alle 17  l’incontro con l’ambasciatore Gerard Russell autore di  Regni dimenticati. Viaggio nelle religioni minacciate del Medio Oriente (Adelphi) in cui racconta le minoranze  zoroastriane, yazide, druse che oggi sono nel mirino dei fondamentalisti dell’Isis.

 

Pordenonelegge e la poesia. Quasi un festival nel festival. Un’ampia senzione del programma è dedicata all’arte dello scrivere versi, forma sintetica ( e per questo quanto mai contemporanea),evocativa, densa di senso. A curare questa sezione sono il direttore artistico di Pordenonelegge Gian Mario Villalta insieme ad Alberto Garlini e a Valentina Gasparet.  Fra i protagonisti Anna Maria Carpi  che il  15 settembre con Gianluca D’Andrea e Paolo Lanaro introdotti dall’editore Claudia Tarolo animano l’i ncontro “Alla sera la poesia… La poesia secondo Marcos y Marcos”. E poi il poeta Maurizio Cucchi che presenta l’Oscar Mondadori “Poesie 1963 – 2015” che raccoglie la sua opera ma parla anche della nuova stagione della collana Lo Specchio, dialogando con Rosita Copioli, Roberto Mussapi e Vivian Lamarque, autrice per Mondadori di “Madre d’inverno”. In primo piano anche i libri in uscita i nuovi titoli delle collane Gialla Oro e Gialla: sono da poco uscite le raccolte di Luciano Cecchinel, Da un tempo di profumi e gelo, e di Francesca Serragnoli, Aprile di là. Seguiranno i volumi, altrettanto attesi, di Maria Grazia Calandrone, Gli scomparsi, Luca Grippa e Gaia Danese. pordenonelegge Poesia sara’ vetrina per i nuovi titoli di questa collane curate dalla Fondazione Pordenonelegge.it con l’editore Lieto Colle, nelle giornate di venerdi’ 16 e sabato 17 settembre. E ….molto altro ancora, qui il programma completo: www.pordenonelegge.it

L’inaugurazione di PordenoneLegge con Dacia Maraini (andata in diretta video)

Europa, i nazionalisti xenofobi accerchiano Juncker

epa05538807 Photographers take pictures of President of the European Commission Jean-Claude Juncker (L) delivering the annual State of The European Union speech in the European Parliament in Strasbourg, France, 14 September 2016. EPA/PATRICK SEEGER

Non si può dire che lo Stato dell’Unione europea sia granché. E neppure che il discorso del presidente della Commissione sia stato all’altezza delle enormi difficoltà in cui versa l’Europa a 27. Se un anno fa Juncker volava alto e usava molta retorica, specie sulla Siria e i rifugiati, il 2016 è l’anno in cui si ammettono le difficoltà, si propone più Europa e si avanzano alcune proposte di quelle incapaci di scaldare i cuori.

Juncker propone di raddoppiare i fondi gestiti dalla commissione da investire in crescita sostenendo che il piano dello scorso anno si sta rivelando un successo, chiede più controllo comuni alle frontiere e un registro dei passeggeri che entrano ed escono dall’Europa, un passo in avanti verso una integrazione dei sistemi fiscali per evitare casi come quello di Apple, Google e le altre multinazionali che evitano di pagare le tasse per i profitti fatti nei singoli Stati membri dell’Unione e un salto di qualità nella costruzione di un esercito comune, creando un comando europeo e istituendo un quartier generale. In sintesi e per slogan, Juncker chiede di rispondere alla crisi dell’Europa e al «populismo galoppante» con più Europa. A partire dall’atteggiamento nei confronti della Siria: «Dov’è l’Europa nei colloqui sul futuro di quel Paese?» si chiede il presidente della Commissione. La risposta è ovvia: non c’è perché su quella, come su molte altre crisi internazionali, l’Europa ha diverse posizioni.

Ma evita attacchi, aggira ostacoli, chiedendo alla presidenza ceca di turno di cercare di comporre le divergenze, specie sul tema dell’accoglienza ai rifugiati – il vertice di Bratislava è tra due giorni, si tratta di un incontro informale il cui obbiettivo è trovare strade per rilanciare il percorso europeo.

Tra le proposte concrete e piccole che Juncker ha fatto c’è quella di corpi volontari di solidarietà, una specie di servizio civile europeo che se esteso e moltiplicato favorirebbe la coesione e consentirebbe di fare esperienze importanti ai giovani d’Europa – un po’ come ha funzionato l’Erasmus.

Il tema del giorno, forse, è però un altro: la platea che il discorso sullo Stato dell’Unione offre alla furibonda e unitaria offensiva dei nazionalisti e anti-europeisti. Mentre, insomma, Juncker abbassa i toni rispetto allo scorso anno, Farage, le Pen, Salvini e simili usano toni feroci ed esagerati e danno risposte per slogan che si vendono bene. Molto meglio di quelle usate dai popolari, dai socialdemocratici e dalla sinistra, specie quella mediterranea, che critica l’Europa, ma non fornisce risposte con lo stesso appeal truce di quelle della destra nazionalista.

Nigel Farage consola Juncker sulla Brexit parlando di Barroso: «I big boys delle banche si prenderanno cura di lei, mr Juncker, come si sono fatti carico di Barroso quelli di Goldman Sachs». Farage insiste sul successo del suo referendum e attacca con violenza Guy Verhofstadt, incaricato del Parlamento come negoziatore: «Le vostre idee non fermeranno i No, i referendum e l’opposizione di diversi Paesi centro ed est europei. Lei è un nazionalista europe, la sua nomina a negoziare è una dichiarazione di guerra». Il leader dell’Ukip aggiunge, e sarebbe interessante capire cosa pensano nel governo conservatore di Theresa May: «Se davvero volete mantenere il trattato commerciale in cambio della libera circolazione di persone, non avremo un accordo».

Marine Le Pen è ancora più aggressiva, dal punto di vista retorico: «Raramente abbiamo sentito un discorso così senza visione e tanto insipido. Mi è sembrato di assistere all’elogio funebre dell’Unione europea. Lei ignora la enorme spinta alla voglia di riguadagnare la propria identità nazionale. I giovani ci votano e il Brexit ha rotto un tabù. Vi sarebbe piaciuto vedere l’apocalisse abbattersi sui britannici, ma non è andata così. Terrorismo, immigrazione, agricoltura…rispondete solo con più Europa. Una formula senza speranze». Le Pen e gli altri nazionalisti hanno buon gioco a usare terrorismo e islamismo, ma anche la politica economica, le tasse, le banche: «Fate crescere l’islamismo e il terrorismo, avete distrutto la crescita del Sud per difendere l’euro», dice le Pen, che è chiaramente la leader di questa componente: «Lasciate le nazioni liberarsi, cooperare tra loro, lasciate ai popoli determinare i loro destini». La leader del Front National a domanda risponde anche sull’uscita della Francia dall’Unione: «Se diventerò presidente organizzerò un referendum sulla Frexit».

L’italiano Salvini è la fotocopia rozza di Le Pen, ma senza un bravo ghostwriter: «Ennesima farsa ed ennesime parole al vento» quelle di Juncker, «Aiutate e finanziate il terrorismo con ogni barcone che sbarca, con le folli sanzioni alla Russia e dando soldi alla Turchia in cambio di niente». Poi la difesa del gruppo di Visegrad, i governi nazionalisti dell’est che si oppongono alla redistribuzione dei rifugiati: «Alimentate la rabbia popolare prendendovela con governi democratici. È l’ultimo discorso a vanvera che lei fa perché i cittadini si stanno svegliando». Ovvero, io sto con Le Pen, Orban e la Polonia.

Il discorso di Juncker non fornisce risposte alla retorica della destra, così come nessuno, in questi anni ha saputo trovare un discorso ideale capace di contrastare i discorsi di Orban, Farage e compagnia. Ai burocrati di Bruxelles e ai governi nazionali servirebbero idee nuove e diverse dall’austerity e i patti con i Paesi terzi per gli immigrati. Uno scatto su qualche fronte che non sia quello della sicurezza o la paura del terrorismo, strada questa scelta dal francese Hollande. All’orizzonte non si vedono risposte simili. E all’Europarlamento, tranne il liberale Verhofstadt, che almeno aggredisce gli avversari politici con i loro mezzi, azzeccando le battute, non c’è nessuno capace di rispondere ai nazionalisti a tono.

 

 

È anche colpa nostra se ancora l’Italia grida puttana

Sbatti il mostro in prima pagina. «Tiziana Cantone, gira un video hard con l’amante e diventa il nuovo idolo del web». Il titolo è quello di un articolo, fra i tanti dell’epoca, comparso poco più di un anno fa sul sito del Fatto Quotidiano (il cui link ora reindirizza ad un editoriale di scuse di Peter Gomez). Tiziana Cantone è la 31 enne che si è suicidata lunedì 13 settembre dopo che un video hard girato in privato era finito in rete diventando oggetto di meme e scherni, anche se per qualcuno evidentemente aveva avuto il merito di farla diventare “il nuovo idolo del web”. La vicenda di Tiziana è tragica e riapre un dibattito dolente nel nostro Paese, dove sembra ancora impossibile scardinare la retorica sessista del “se l’è cercata”. Ma il titolo di un anno fa del Fatto Quotidiano aggiunge a ciò che è successo i toni della superficialità e del grottesco. Quel nome e cognome messo lì in bella mostra, per acchiappare qualche click sull’onda del fenomeno del momento che imperversa in rete, sembra tanto la versione pruriginosa e sciocca di sbatti il mostro in prima pagina. Si legge nell’articolo:

«Magliette, video parodia e pagine facebook dedicate: lei Tiziana Cantone, il nuovo idolo del web. “Stai facendo il video? Bravo.” Questa la frase cult di tutta la storia. Partiamo dall’inizio: un video dove una ragazza tradisce il suo fidanzato praticando del sesso orale con l’amante. Lei chiede a lui come poteva essere definito il suo compagno affianco a lei, lui orgoglioso risponde “un cornuto” e il rapporto continua. Il video ha iniziato a girare su whatsapp ed è subito diventato virale.
Rivendicazione di un amante o marketing di una futura pornostar? Pare infatti che i video in rete in cui la vedono protagonista siano più o meno cinque. C’è chi la considera vittima, chi invece pensa che sia tutto un’operazione studiata a tavolino. In Campania è diventata un vero e proprio personaggio tanto da vantare numerose parodie tra le più cliccate su youtube “Stai facendo un video? 50 sfumature di Bravoh!” un mash up del trailer del primo film tratto dalla serie di E.L. James con le immagini del video bollente.
Su Ebay sono in vendita i prodotti con su stampata la frase diventato il primo tormentone di questa primavera 2015: dalle magliette per lui e per lei alle cover per gli smartphone. Ma oggi dove è Tiziana? Al momento non c’è nessuna notizia ufficiale e nessuna dichiarazione da parte sua. C’è chi ipotizza una fuga all’estero dopo il tam tam mediatico, chi invece sostiene che questo silenzio faccia parte della strategia di comunicazione. L’unica cosa certa è che al momento la ragazza è sulla cresta dell’onda».

D’altronde la notizia data dall’articolo si ferma lì, “nuovo fenomeno in rete”, “la ragazza è sulla cresta dell’onda”. Quando si tratta di fare like o farsi leggere (giornali o singoli utenti) siamo subito pronti ad usare qualsiasi cosa. Senza chiedersi ma poi? È davvero solo questo? Forse è solo che la solita vecchia storia di una donna vittima di quello che è a tutti gli effetti un abuso sulla sua privacy e diffamazione della sua persona, tira molto meno di quella di una potenziale porno star. È questione di narrazioni dominanti. Dominanti nel senso aggressivo, violento e fascista della parola.
E dopo il gesto estremo di Tiziana, i giornali si gettano su un’altra narrazione dominante quella del web dei cyberbulli, la colpa per quella morte è di internet e dei suoi meccanismi perversi.
Troppo facile, la colpa invece è nostra. È nostra quando con troppa facilità usiamo gli appellativi troia, puttana o zoccola. È nostra quando chiosiamo moralisti “se l’è andata a cercare”. È nostra quando ridiamo come i coglioni su cose che ridere non fanno se ci si ricorda che dietro c’è una persona. È nostra perché in questo mondo iper connesso dove tutto corre velocissimo abbiamo troppo raramente l’intelligenza o il coraggio di fermarci a riflettere prima di scrivere, postare, linkare, taggare. E nella fretta travolti dal flusso ci scordiamo che schiacciare il tasto “pubblica” (per un video hard privato come per un articolo su un eminente testata nazionale) non è un obbligo, ma un’azione che genera conseguenze.
È colpa nostra. Si parte da qui, per cambiare le cose.

La diretta dello Stato dell’Unione di Juncker

epa05528323 Jean-Claude Juncker, the president of the European Commission, arrives for the weekly college meeting at the European Commission, in Brussels, Belgium, 07 September 2016. EPA/STEPHANIE LECOCQ

Dalla pagina dedicata, la diretta del discorso del presidente della Commissione Juncker per uno Stato dell’Unione europea molto delicato. Rifugiati, Brexit, commercio internazionale tra i temi cruciali.

Melito di Porto Salvo: un paese a forma di buco. Con una bambina dentro.

Prima fila da SX: Iamonte Giovanni, Principato Pasquale, Benedetto Daniele. Seconda fila da SX: Tripodi Lorenzo, Nucera Michele, Verduci Antonio, Schimizi Davide. Non si placano le polemiche sulla vicenda delle violenze sessuali di gruppo subite per anni da una tredicenne di Melito Porto Salvo, nel Reggino, per le quali i carabinieri della Compagnia di Melito Porto Salvo hanno arrestato nei giorni scorsi otto persone (le loro foto sono state diffuse il 12 settembre 2016) e notificato un obbligo di presentazione alla Pg ad un nono giovane. ANSA / US CARABINIERI +++ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING+++

Hanno cominciato a violentarla che aveva tredici anni e oggi ne ha sedici. L’hanno resa il loro passatempo andando a prendere a scuola per portarla dove gli veniva più comodo abusare di lei. Loro, il branco di vigliacchi schiavi di un cervello a forma di glande, sono “gente bene” di Melito Porto Salvo, il paese che ora si offende e, come spesso succede, cerca di difendersi attaccando la stampa senza capire che quello che è successo sarebbe feccia anche se Melito fosse in provincia di Aosta. Ma non è questo il punto.

Centinaia di articoli morbosi usciti nei giorni scorsi per aiutarci a immaginare la vittima. Ogni volta che c’è uno stupro la stuprata diventa prelibatissima per fantasiosi safari del prurito e così si sprecano le descrizioni, il peso, l’altezza e tutto il resto. Dopo lo stupro qui ti tocca il patibolo: nome, cognome, ricerca ossessiva di foto e profili social per la vittima mentre gli abusatori godono di un certo nascondimento approfittando di essere bestie e poco altro.

Invece qui le bestie hanno storie, nomi e cognomi. E vanno spiattellate dappertutto, spalmate nei nostri discorsi al bar e se possibile ripetute nella piazza del paese per i prossimi cent’anni perché lì dentro, tra quella banda di vermi, c’è il cancro di questo Paese. C’è Giovanni Iamonte, dell’omonimo clan di ‘ndrangheta, che gioca a fare il boss con il cazzetto piccolo. C’è un figlio di un maresciallo dell’esercito, che dovrebbe occuparsi dei figli oltre che delle reclute e c’è il fratello di un poliziotto che piuttosto che far rispettare la legge s’impegna a impartire al fratellino lezioni di omertà.

Sono da ricordarsi tutti. I nomi e le facce.

Giovanni Iamonte (30 anni), Daniele Benedetto (21), Pasquale Principato (22), Michele Nucera (22), Davide Schimizzi (22), Lorenzo Tripodi (21), Antonio Verduci (22). Il branco di stupratori di gruppo. E le loro facce:

combone-klvb-u43220786515485mkb-593x443corriere-web-sezioni

E poi c’è il paese. Diecimila anime che non riescono a mettere insieme uno sputo di fiaccolata decente. Gente che non parla, che bisbiglia sottovoce che “quella se l’è andata a cercare” e preti che minimizzano. È una colata di vomito. Tutto uno scrivere e domandare di lei, la ragazzina, che forse meriterebbe silenzio e protezione. Mentre sono queste facce da appiccicare su tutti muri. E costringere i compaesani a guardarli negli occhi piuttosto che limitarsi ad amorevoli discorsi tra compagni di taverna.

Una comunità deve fare i conti con se stessa. Che sia paese, regione e nazione. Ce la facciamo questa volta?