Home Blog Pagina 1109

La carica degli artisti inglesi contro la Brexit

Damien Hirst

Artistar come Damien Hirst, ma anche critici e curatori autorevoli come Hans Ulrich Obrist ae Julia Peyton-Jones della Serpentine Gallery di Londra e ancora una ridda di direttori di musei e biennali (Iwona Blazwick della the Whitechapel Gallery, Simon Wallis di Hepworth Wakefield, Sally Tallant, direttrice della Biennale di Liverpool, Caroline Douglas della Contemporary Art Societye molti altri) hanno scritto messaggi perché la Gran Bretagna non esca dall’Unione Europea. Alla vigilia del referendum, le loro lettere a Frieze.com e le immagini di opere create ad hoc sono diventate virali in rete. «Nei giorni scorsi ho inviato email ad artisti a un certo numero di artisti, scrittori, direttori di musei e curatori chiedendogli di esprimersi apertamente sulla questione referendum», scrive Jennifer Higgie su Frieze. La somanda era semplice e diretta: La Gran Bretagna deve uscire o rimanere nell’Unione europea? Quali sono i vostri pensieri su questa storica decisione?

db La risposta è stata a valanga. «Anche per la qualità e il tipo di risposte – dice Higgie, autrice dell’articolo dal titolo programmatico What is lost is lost forever-. In 72 ore sono fioccate opere d’arte, video, YouTube clips, saggi, aforismi, citazioni». Non solo da parte di artisti ma anche da parte di alcune delle voci della letteratura ingese di oggi, da Geoff Dyer a Philip Hoare a Olivia Laing. Ed è stata una valanga di messaggi a favore della permanenza della Gran Bretagna nell’Unione europea.

Damien Hirst, la star degli squali in formaldeide e dei teschi tempestati di diamanti che sono diventate icone dell’arte nel passaggio al nuovo millennio, ha creato un’icona in cui giganteggiano due lettere che dicono IN (dentro la Ue) con colonne di farfalle azzurre su fondo arancio, mentre il critico e il curatore Obrist cita Etel Adnan su Instagram sottolineando l’importanza e la necessità di una comunanza condivisa tra le nazioni.

Mia anti brexit
Mia anti brexit

«L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea rappresenta un Mindscape che ci obbliga a una regressione al passato – scrive il direttore della Serpentine gallery di Londra – Invece che guardare al futuro ci riporta ad un retrivo nazionalismo alla mancanza di tolleranza, ci costringerebbe all’isolamento». E oggi tutto questo sarebbe inaccettabile dice Obrist.

apAnche perché – prosegue il critico e curatore – «conosciamo fin troppo bene il precedente storico che risale al 1920 e  al 1930». Basta leggere i diari di Harry Graf Kessler, «che oggi sono di straordinaria attualità perché ben raccontano la terribile  svolta che si ebbe nella storia politica sociale d‘Europa nel passaggio dagli anni Venti agli anni Trenta. Quando la solidarietà e il dialogo cosmopolita che aveva permeato l’ambiente culturale dei primi anni del XX secolo fu schiacciato dal nazionalismo e  della guerra“. Una mostra al Max Liebermann Haus di Berlino, dice Hans Ulrich Obrist, mette bene in evidenza l’attualità di Kessler ed è quello che Eric Hobsbawm ha chiamato un rimedio urgente contro l’oblio».

 as La faccia peggiore e più violenta del nazionalismo delirante si è vista già anche nei nostri giorni: «La scorsa settimana il deputato laburista, Jo Cox, è stata assassinato nella sua circoscrizione West Yorkshire da un uomo che si identifica con il motto morte ai traditori, la libertà per la Gran Bretagna’. Solo pochi giorni prima della sua morte, Cox – ricorda Obrist- aveva lanciato una difesa appassionata dell’ immigrazione in un articolo , in cui scriveva: Non possiamo permettere che la brexit ci tolga l’unico modo per affrontare  in modo positivo la questione dell’immigrazione. Possiamo fare molto di più per affrontare l’ impatto dell’immigrazione rimanendo nella Ue».

st«Il pensiero agghiacciante della Brexit non mi tiene sveglia la notte», dice l’artista Cornelia Parker, che hacurato la mostra Found’ at London’s Foundling Museum, aperta fino al 4 settembre. Siamo a un punto critico della storia in cui dobbiamo essere molto vigili sulla democrazia e le molteplici minacce che stanno crescendo contro di essa. Putin si agita in Siria e perfino nell’agone calcistico, nel tentativo di disattivare l’Unione europea. Ha incentivato la crisi dei rifugiati per i suoi scopi. Anche a Trump piacerebbe vedere l’Europa al collasso Trump. Con la Brexit – prosegue l’artista inglese preconizzando scenari assai cupi –  potrebbe essere veloce, causando problemi finanziari indicibili, sconvolgimento politico e caos. Gli esponenti della destra si muovono in modo aggressivo con il loro ordine del giorno e gli orrori del 1930 potrebbero tornare all’orizzonte». Quanto all’oggi, Parker come gran parte degli artisti intervenuti nel dibattito individua negli interessi finanziari e dei conservatori i motivi che spingono alla Brexit: «I peggiori politici del nostro governo fanno la coda per la Brexit: Michael Gove (che ha distrutto il nostro sistema di istruzione), Nigel Farage (che incoraggia la xenofobia), Boris Johnson (che vuol far carriera sulla Brexit)…. Se votiamo per uscire dall’Unione europea consegneremo a  loro un mandato storico e poteri per spendere i fondi nel  modo che loro vogliono. E non saranno spesi con saggezza».

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=ifAtvI48R_0]

Su Left n. 25 di parla di Brexit trovate un reportage da Dover, un’intervista a Vincenzo Visco sulle conseguenze economiche, un’analisi sulla situazione politica di Dario Castiglione e il punto da Londra di Massimo Paradiso

 

SOMMARIO ACQUISTA

Cosa dicono i risultati dei ballottaggi. L’analisi a freddo

Che Virginia Raggi avrebbe vinto a Roma era considerato da tutti scontato. Il successo netto di Chiara Appendino a Torino non veniva scontato, anzi. Due dati che evidenziano la superficialità con cui i commentatori hanno affrontato finora le questioni drammatiche della crisi della politica negli ultimi 25 anni e, in questo, la scomparsa della sinistra al di là dei magri risultati elettorali pure frutto di generosità di militanti.
La batosta che il Pd subisce può avviare un sano processo di destrutturazione di questa macchina del potere che ha operato ed opera per la colonizzazione della società da parte del capitale finanziario a livello nazionale ed europeo oltre che a livello locale. Questa è una buona prospettiva ma chiama in causa la capacità di organizzare un’alternativa di sinistra nuova.

La questione non è semplice. La crisi sociale e le sofferenze della società prodotte dal neoliberismo, dalla disoccupazione di massa alla distruzione progressiva del welfare, dalla privatizzazione tendenziale di ogni struttura produttiva e sociale pubblica fino alla manipolazione delle istituzioni e dei beni comuni ai fini della conservazione del potere da parte del Pd e delle forze del centrodestra, è stata interpretata e rappresentata dal movimento 5 stelle prevalentemente in chiave rottura col sistema politico sempre più autoreferenziale, opaco, clientelare, talvolta colluso con il malaffare, e, comunque, con un’economia spesso infarcita di corruzione. Questo apre delle prospettive e pone problemi ed interrogativi da affrontare con lucidità ed intelligenza e non con la superficialità con cui molti commentatori si sono espressi fermandosi a valutare il risultato del voto come punizione verso Renzi, e sicuramente c’è anche questo effetto salutare, considerando sostanzialmente il successo dei cinquestelle un accesso di febbre da curare per riprendere la strada giusta del neoliberismo, e non considerando che la crisi sociale pone le premesse di un’alternativa.

Il M5S interpreta questa crisi sul versante della legalità e delle trasparenza, premesse indispensabili, che includono anche una nuova idea della politica e della gestione delle scelte di organizzazione delle città. Li valuteremo all’opera. È significativo che a Roma e a Torino, per le politiche urbanistiche, siano state scelte due persone nettamente schierate contro la cessione ai privati speculatori della gestione delle politiche di organizzazione della città in funzione dei loro interessi e incuranti delle sofferenze dei senza tetto e delle comunità deprivate dei servizi e delle infrastrutture indispensabili a garantire un livello di vita dignitoso. Ho avuto la opportunità di avvalermi della preziosa collaborazione del prossimo assessore Paolo Berdini, persona di grande rigore morale e di alta professionalità, quando mi è capitato di dirigere la politica urbanistica della Regione Lazio e di portare in approvazione norme rigorose sul governo del territorio e mirate a rispondere alla domanda sociale di casa e di qualità dell’abitare. Norme che da subito, con una intesa cordiale tra il centrodestra di Storace e il centrosinistra di Veltroni, sono state via via snaturate per favorire l’urbanistica “contrattata”, e che l’attuale Giunta Zingaretti-Smeriglio si appresta a stravolgere interamente.

A Roma il M5S ottiene il successo in tutti municipi tranne quelli abitati dalla borghesia agiata, in quelle periferie deprivate di identità, di servizi, di lavoro, di sicurezza prima di tutto sociale. A Torino è la neosindaca Appendino a parlare della necessità di operare la ricucitura tra le due città, quella massacrata dalla crisi e dalle misure di austerità e quella gentilizia. Eppure, si dice che Fassino abbia amministrato bene, la città pulita ed ordinata, le strade senza le buche permanenti e non c’è stata “mafia sabauda”. Pare evidente che alla città impoverita e marginalizzata dalla crisi i cinquestelle abbiano parlato un linguaggio comprensibile che, magari, si è avvalso della delegittimazione della politica. Per una comprensibile eterogenesi dei fini la battaglia contro la “casta”, sostanzialmente mirata a sottomettere la politica ai poteri forti della economia, alle sue priorità di efficienza economica a danno dello stato sociale, e non alla effettiva moralizzazione della vita pubblica ai fini della giustizia e della uguaglianza, ha preso un’altra strada; gli apprendisti stregoni del neoliberismo scoprono con sorpresa e paura che gli spiriti liberati sono sfuggiti al loro controllo. Anche questo i cinquestelle interpretano e per questo sono oggetto di attenzione anche internazionale. E non si tratta del movimento di protesta come, con superficialità consolatoria, il potere ha definito finora i cinquestelle, come, per altro verso, anche Podemos in Spagna e Occupy Wall Street in America, esperienze diverse che sarebbe sbagliato accomunare semplicisticamente. Sono le forme che prende la rivolta contro le elites, comunque connotate, identificate come causa del crescente malessere delle masse popolari escluse dal circuito della valorizzazione finanziaria del capitale sempre più centralizzato in sedi del potere non sottoposte a legittimazione e controllo democratico.
Le elites hanno pensato che fosse loro diritto naturale detenere il potere e governare attraverso il pensiero unico neoliberista che ha omologato centrodestra e centrosinistra; alcuni commenti di loro rappresentanti nostrani sono rivelatori. Nel nostro provincialismo italico queste elites hanno assunto il volto ed il tono sussiegoso del Presidente Napolitano, che ha inaugurato un vero e proprio “stato di eccezione” e, prima con Monti, poi con Letta ed infine con il bullo di Rignano, hanno dato vita alla destrutturazione della società, dei diritti del e nel lavoro, e dello stesso ordinamento democratico.

Da qui il loro smarrimento e quello dei maître à penser organicamente arruolati; e, come i passeggeri di prima classe sul Titanic, continuano a disquisire sui nuovi equilibri tra centrodestra e centrosinistra, si esercitano nei balletti delle interpretazioni consolatorie pensando che tanto le Titanic ne peut pas couler. Certo occorrerà conoscere meglio la composizione culturale e sociale e i possibili sviluppi dell’onda anomala che ha messo in crisi la serena arroganza del potere nostrano, fatto di uomini e donne di scarse qualità e illimitate ambizioni. Ma, per chi continua a pensare che un altro mondo è possibile, è una occasione per misurarsi a costruire l’alternativa adeguata all’oggi e non a riproporre quella che, pur gloriosa e drammatica, è vissuta nel secolo passato.

Brexit, panico in Premier League: addio stelle europee e profitti se vince il Sì?

In caso di vittoria del Sì al referendum di domani sulla permanenza in Europa la City, centro della finanza mondiale assieme a Wall Street, prenderebbe un colpo terribile. E qualche altra borsa del continente (probabilmente Francoforte o magari Parigi) si troverebbe in eredità almeno una parte dei flussi di capitale, sedi di banche, posti di lavoro collegati alla finanza. Nel settore, a Londra e nel resto del Regno Unito lavorano due milioni e 200mila persone – compresi gli addetti alle pulizie, la sicurezza e mille altri impieghi non finanziari – paga tasse per 66 miliardi di sterline e genera una bilancia dei pagamenti positiva da 72 miliardi. Nel complesso si tratta del 12% dell’economia britannica. E la City ha detto in tutte le forme che è meglio votare per rimanere in Europa.

C’è un altro settore che è contrario all’uscita dall’Europa: il calcio. O meglio, le grandi società della Premier League, una macchina da soldi che funziona bene, attrae investimenti stranieri, vende all’estero, attira turisti, piazza merchandising e contribuisce all’appeal della Gran Bretagna nel mondo. Come i pub, i cappelli della regina o  i doubledecker rossi che circolano per Londra.

La League, poi, è bene ricordarlo è solo inglese, e l’Inghilterra è la parte dell’isola che con più forza vuole lasciare il continente alla deriva – in caso di Sì i nazionalisti scozzesi, che hanno il loro campionato di calcio, hanno promesso un nuovo referendum di separazione dal Regno. I ricavi della premier sono colossali e in parte dipendono dai diritti Tv venduti ai quattro angoli del pianeta. Con più squadre diventate competitive – Leicester, West Ham, ecc. – c’è anche più divertimento e attrattiva che non negli anni di dominio del Manchester United.

Secondo Deloitte, che redige un rapporto annuale sull’economia del calcio europeo, nel 2014/15 i club di Premier League hanno generato un fatturato di 3,3 miliardi di sterline; in crescita del 3% rispetto al 2013/14 e per la prima volta si tratta di guadagni in ogni settore: biglietti venduti, sponsorship, diritti Tv.

Come si legge nel rapporto, alla fine del primo tempo della seconda partita di stagione, i diritti Tv pagati erano di più di quelli generati da tutte le partite della stagione 25 anni fa. Le sei squadre più ricche, l’anno scorso hanno guadagnato più di tutta la prima serie nel 1991/92.  La Premier – a cui va aggiunto il campionato scozzese, molto meno ricco, ma non poverissimo –  da sola vale 4,4 miliardi di euro, come Bundesliga e Liga spagnola messe assieme.
Ma che c’entra l’Europa con la League? Lo ha spiegato bene David Beckam nel suo appello per il No: negli anni ho giocato con grandi campioni che hanno fatto grande il nostro calcio e giocato in squadre europee che mi hanno fatto grande.

Insomma, se l’isola decidesse di andarsene per conto suo, addio libera circolazione dei lavoratori, calciatori compresi. Qualche esempio tra coloro che brillano agli europei: Eden Hazard, stella della nazionale belga battuta dall’Italia agli europei e centrocampista del Chelsea; il francese N’golo Kanté, attaccante del campione Leicester e della nazionale e il suo compagno ne le bleues, Dimitri Payet, che in Inghilterra gioca nel West Ham. O ancora il tedesco Mesut Ozil. L’elenco potrebbe essere infinto, in totale, tra stelle e seconde file, i giocatori europei che militano tra Premier e seconda divisione (e in Scozia) sono 332, scrive la Bbc. La cosa non sarebe retroattiva, certo, ma il meccanismo si incepperebbe.

La regola oggi dice che il permesso di lavoro per i calciatori non europei è automatico solo nel caso in cui questi siano un talento riconosciuto nel loro Paese – un giocatore della nazionale, ad esempio. Bene, di tutti i giocatori che attualmente militano nei campionati britannici solo 23 europei risponderebbero a questi criteri. Cento giocatori di Premier dovrebbero lasciare, con il Newcastle, l’Aston Villa e il Watford che ne perderebbeor 11 ciascuno. Nessuno straniero della Scottish premiership potrebbe rimanere. Per questo tutti i club di premier sono contrari alla Brexit: con l’addio all’Europa il giocattolo fruttifero si potrebbe rompere. E senza stranieri l’appeal del campionato britannico potrebbe scemare: il pubblico si innamora e segue personaggi, giocatori del proprio Paese e così via: se Ranieri non fosse stato italiano quanto avremmo parlato del Leicester sui media italiani?

Certo, il calcio è un’industria speciale e in caso di vittoria del Sì, Premier League, Home Office e Uefa cercherebbero subito una qualche forma di soluzione. Ma ce n’è una capace di non finire sotto una valanga di ricorsi? Per qualche anno – e gli anni sono miliardi – le cose cambierebbero per certo. Oggi i giocatori Ue godono di un accesso privilegiato perché sono lavoratori all’interno di uno spazio comune. Fuori da quello, regole speciali per gli europei potrebbero rappresentare violazioni dei trattati internazionali. A quel punto, i vari magnati del calcio britannico, specie gli stranieri, dovrebbero ricostruire vivai, puntare sui giovani e così via.

Per la nazionale inglese forse sarebbe una manna – ma l’afflusso di stranieri ha svecchiato il gioco dei club e delel nazionali d’Oltremanica – per le tasche dei vari Abramovic, della famiglia Srivaddhanaprabha proprietaria del Leicester e per il governo cinese, che ha in mano il 13% del Manchester City assieme a Mansour bin Zayed, non sarebbe un programma allettante: meno prestigio, meno vetrine e meno guadagni.

Su Left n. 25 di parla di Brexit trovate un reportage da Dover, un’intervista a Vincenzo Visco sulle conseguenze economiche, un’analisi sulla situazione politica di Dario Castiglione e il punto da Londra di Massimo Paradiso

 

SOMMARIO ACQUISTA

Il sindaco NoTav e il pugno duro (e frettoloso) dei pm torinesi

A neanche 48 ore dalla sua elezione, per Chiara Appendino, sindaco NoTav, il gioco si fa duro. La mattina del 21 giugno, la polizia di Torino ha notificato 20 misure cautelari agli attivisti NoTav: 2 fermi con trasferimento in carcere, 9 arresti domiciliari e 9 obblighi di firma, tra cui quello a Nicoletta Dosio che si è subito rifiutata di rispettare. Sono ritenuti responsabili delle tensioni del 28 giugno 2015 a Chiomonte, quando agganciarono delle funi alle recinzioni del cantiere della Torino-Lione, cercando di abbatterle.

«Non è compito di un sindaco commentare l’operato della magistratura, che, com’è noto, è un organo indipendente», ha commentato la sindaca. «C’è un clima evidente di tensione dovuto alla mancanza di risposte politiche che noi speriamo di potere colmare, riportando al centro del dibattito le legittime ragioni del no all’opera».

«Un’operazione già pronta sicuramente da giorni, il pm Rinaudo e i suoi amici della questura hanno deciso di attendere l’esito del ballottaggio e la caduta del partito amico, il Pd, prima di scaricare la loro ennesima azione intimidatoria». Senza peli sulla lingua, commentano così dall’Askatasuna: «Con un tempismo quanto mai sospetto, appena terminate le elezioni di Torino, sono i pm con l’elmetto a prendersi le luci della ribalta proseguendo nella continua crociata contro i notav», si legge sul sito del centro sociale che ha già annunciato:«Giovedì 23 sera fiaccolata a Bussoleno in solidarietà agli arrestati!». E «Il 16-17 luglio invitiamo le realtà italiane che lottano a difesa dei territori. Lanciamo insieme delle iniziative per l’autunno».

In città l’opposizione non perde tempo a cavalcare i fatti per mettere spalle al muro Appendino: «Pretendiamo immediatamente che il sindaco prenda le distanze da questi soggetti e ci dica cosa intende fare per isolare i violenti legati al mondo antagonista», dice la Lega Nord torinese, con il capogruppo al Comune Fabrizio Ricca che poi si esalta e prosegue: «Il primo passo da fare adesso è sgomberare immediatamente tutti i centri sociali così da iniziare una vera e propria opera di pulizia in quei luoghi di illegalità che sono sempre stati difesi dalla sinistra torinese».

 

Dal M5S, invece, arrivano il sostegno del senatore Scibona, una denuncia non di poco conto sul metodo e un appello al pm torinese Armando Spataro: «Finito il silenzio elettorale, vediamo come chi alla Procura di Torino segue i movimenti in Valle di Susa, procede nuovamente con l’emissione di misure cautelari a danno di numerosi No Tav», ha detto il senatore a 5 stelle Scibona. «E lo ricordo per tutti, sono misure emesse prima di una sentenza, esclusivamente in via cautelare e che tra l’altro abbiamo poi visto decadere fino alle assoluzioni nei processi. In democrazia la legge è uguale per tutti, ma non alla Procura di Torino, dove i Procuratori che seguono le vicende legate al Tav sono forti con i deboli e deboli con i forti. Tracciano sentenze emettendo misure cautelari come fossero condanne. Questa non è giustizia, tanto meno amministrata in nome del popolo. Quello dei pm incaricati del fascicolo Tav è ormai un modo di fare a senso unico, volto a criminalizzare il dissenso e a lasciare impuniti invece i veri criminali. Indagini a senso unico mentre le centinaia di segnalazioni dei cittadini rimangono chiuse nei cassetti. Mi appello al procuratore capo di Torino, Armando Spataro. Prenda in mano la situazione, porti ordine tra i suoi sostituti che oggi non ricercano la Giustizia».

Gli italiani che rubano. Sui rom

ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Ogni tanto la cronaca regala drammaturgie finissime, inaspettate come saprebbe fare solo la penna di un creativo potente: a Roma, dopo una campagna elettorale (fiacchetta) di salvinate contro i rom succede ancora una volta che un’indagine della magistratura racconti quanta gente continui a lucrare sui campi rom. Illegalmente. Rubano sui campi rom e sono italiani, italianissimi. Romani al midollo.

I problemi in Italia sono problematici solo per quelli che non ci guadagnano: i rom, i rifugiati, gli ammalati, gli anziani, i disabili, i disoccupati, i senza casa e molti altri fragili ancora sono una miniera d’oro per chi ha lo stomaco di non intenerirsi. E oltre a essere un’ottima palude per un funzionale sistema correttivo si può anche fingere di intenerirsi o odiarli secondo le bisogna. Cosa c’è di meglio di un nemico da abbattere disponibile a diventare un’emergenza stabile?

Ogni volta che il Salvini di turno vi racconta di quanto costa l’accoglienza ricordategli giornate come quella di ieri: burocrati sotto traccia erodono regole e denaro più di qualsiasi rom frugatore di cassonetti. E se dovessimo avere una rabbia razzista direttamente proporzionale al danno subito forse davvero con le ruspe saremmo davanti ai cancelli di queste italianissime aziende che non sanno lavorare senza ungere un corrotto. Avremo picchetti di fronte agli uffici tecnici dei comuni sempre pronti a negoziare un favore a qualcuno e orde di leghisti a manifestare di fronte alle abitazioni di corrotti e corruttori.

E invece niente. Questi giudici comunisti arrestano italiani che rubano dai campi rom e rovinano la narrazione alla Meloni di turno. La prossima volta chiudete l’ufficio rom, prima dei campi. Intanto.

Inspira, espira: l’International yoga day, dalla Corea all’Afghanistan

 

A Seul, Corea del Sud

Bambine musulmane in Kashmir Il resto dell’India (con il premier Singh sdraiato)

Afghanistan, Australia, Gran Bretagna

Nel Pd va in scena la “strategia degli elogi” in vista di una «direzione drammatica»

(L-R) Democratic Party's (PD) Luigi Zanda, Lorenzo Guerini, Debora Serracchiani, Matteo Orfini and Ettore Rosato during a press conference at the PD headquarters in Rome, Italy, 01 June 2015 Premier Matteo Renzi's centre-left Democratic Party (PD) on Monday hailed Sunday's elections in seven Italian regions as a "clean victory" for the centre-left group after it prevailed in five. Deputy PD Secretary Debora Serracchiani said the votes showed the government's ambitious reform programme had popular backing, despite defeat in Liguria. "Since Renzi has been party leader, we have won back many regions from the centre right," said Serracchiani. ANSA/ANGELO CARCONI

Ora tutti ammetono che ha vinto il Movimentio 5 stelle. «Bravi, siete stati bravi» gli dicono, Renzi in testa. È un rito salvifico: ora mostrateci cosa sapete fare. Perché governare, no, non si improvvisa e alla fine quei voti torneranno al Pd, torneranno alla destra. Non dovrebbero esserne così sicuri, almeno non così presto quanto immaginano. Perchè il tallone d’achille del nostro sistema politico istituzionale non è il Parlamento che frena o la mancanza di ricambio al vertice della “casta”, mali succedanei. No, la questione dirimente è proprio l’incapacità di governare. Per mancanza di programmi, di visione lunga, di mestiere e di efficienza dei partiti al tempo della seconda Repubblica.

Può darsi allora che poche mosse grilline – mandare in procura (per un controllo) gli atti amministrativi delle precedenti gestioni, frenare gli entusiasmi pro banche e banchieri (come sta facendo Appendino a Torino) e magari presentarsi la mattina nelle sedi dei vigili urbani, in quelle delle società per la raccolta dei rifiuti o dei trasporti urbani, dare un’occhiata agli appalti per la manutenzione delle strade – può darsi che tali atti ordinari bastino per parecchi mesi a dare l’impressione di un governo delle città, almeno giudizioso.

Nel Pd ci si prepara alla direzione di venerdì, grande rito pubblico per emedarsi delle colpe e trovare la “quadra” in un partito che ha perso la metà dei Comuni che fino a ieri amministrava: erano 90, sono 45. Bersani concede un’intervista al Corriere della Sera. Si dice «amareggiato» per la sconfitta di Renzi. E invece che «resistere, resistere, resistere», slogan lanciato a suo tempo dal procuratore Borrelli, dice «reagire, reagire, reagire»: salvare la ditta e pure il rottamatore. L’asticella che pone a Renzi è molto bassa: «Accettare una discussione sul profilo del governo». Non prende nella polemica Speranza-Cuperlo, se si debba o no chiedere a Renzi di lasciare la segretaria del partito. Si limita a ricordare che a lui lo chiese Matteo di non esercitare il doppio incarico. Cuperlo, sentito dalla Stampa, chiede di cambiare l’Italicum.

Con spirito di collaborazione, perché – dice – «vorrei che Renzi riflettesse su una strategia che può condurre la sinistra a una sconfitta drammatica». Sono così prudenti forse perché temono che Matteo Renzi non abbia deposto «il lanciafiamme» e che voglia sostenere in direzione di aver perso «per non aver fatto abbastanza il Renzi», come ha già detto alla sua retroscenista Maria Teresa Meli, parlando di sé in terza persona. Tutto sommato, il disagio più grave è tra i renziani, da sempre o di complemento. Caduto il mito dell’invincibilità del capo, smaltita la sbornia per il 41% di due anni fa, si chiedono: ma che ci stiamo a fare? Fassino dice che non guiderà l’opposizione ad Appendino, poi dà un buffetto a Renzi: «Devi ascoltare di più». Emiliano affila le armi. Orlando, Martina e Rossi cercano un leader. E se fosse Pisapia?

Raggi e Appendino, vogliamo considerarle per quello che fanno e dicono?

La combo mostra la candidata del M5S a sindaco di Roma Virginia Raggi (S) e la candidata del M5S a sindaco di Torino, Chiara Appendino. ANSA

Virginia Raggi e Chiara Appendino non solo hanno sconvolto gli equilibri politici di Roma, di Torino e della politica nazionale. Stanno mettendo a dura prova anche il linguaggio giornalistico e il mondo dell’informazione. Troppo forte, forse, lo choc, anche per chi dovrebbe essere pronto a percepire la realtà e i suoi cambiamenti e a raccontarli in modo obiettivo. Una donna, giovane, alla guida di una grande città – addirittura la Capitale d’Italia – chissà, deve provocare scossoni notevoli, più o meno latentemente. Soprattutto quando non si tratta di un personaggio noto, già incasellato, parte magari di una nomenclatura antica. E dopo 2500 anni di storia e di papato, fanno giustamente notare i media stranieri…

Schermata 2016-06-21 alle 12.54.41
E allora è possibile notare subito alcune tendenze a proposito della lettura del fenomeno. Cerchiamo di raccontarle. Una, decisamente portatrice di pregiudizi e di una cultura misogina, è quella, per esempio, del Tempo. Con quel titolo “Roma in bambola” e l’immagine di Virginia Raggi come una Barbie di plastica non splende per sensibilità.  Ma tant’è. È il Tempo, forse è prevedibile, anche se è difficile abituarsi all’incultura, nonostante le battaglie di tanti anni contro il sessismo nei media o nella pubblicità come portano avanti personaggi come Emma Bonino o Laura Boldrini.
Ma questa tendenza, questo ricamare sul personaggio femminile, questo “accanirsi” sul privato o sull’aspetto fisico, appartiene non solo alla cultura, diciamo tradizionale, conservatrice, ma anche a quella “progressista”.
L’essere donna, e quindi persona fragile e quindi da proteggere – nella vulgata comune – è il motivo che spiega l’esplosione in rete della lettera del marito di Virginia Raggi che con quel “mi manchi” finale ha acceso gli… emoticon. Il privato se è di una donna, miete click, mentre se riguarda un uomo, lascia più freddini. Non ha avuto lo stesso successo infatti la lettera del figlio di Roberto Giachetti postata su Facebook l’ultimo giorno di campagna elettorale.
Un giornale “liberal” come Repubblica ha dovuto poi definire in un titolo – forse “per acchiappare” lettori – Chiara Appendino “neomamma”. Ed ecco che si scatena Michela Murgia che su Fb fa notare: «Ti laurei alla Bocconi in economia, fai un’opposizione di ferro in consiglio comunale per cinque anni e sei stimata come professionista, ma per Repubblica.it il dato che meglio ti caratterizza è che hai partorito sei mesi fa. Complimenti. Attendiamo con fiducia titoli analoghi su Sala padre, De Magistris zio e Merola nonno». Ha ragione Michela Murgia, il ragionamento non fa una piega. Ma forse è eccessiva anche una terza tendenza, quella più difficile da analizzare. Quella che provoca più conflitti, che fa pensare ad una lettura più “ideologica”, più “femminista” d’antan.
L’elezione delle due donne “sindache”, viene considerato come foriera di novità gloriose per tutto il mondo femminile. A prescindere.
Per esempio, ecco cosa scrive su Huffington Post Lidia Ravera:
«Mi aspetto che non considerino il loro essere donne un dato secondario, irrilevante. Mi aspetto che lavorino per tutte noi. Che restituiscano il favore alle loro madri, noi, le ragazze degli anni Settanta, che hanno messo le basi, perché tutto questo potesse avvenire. Perché le donne uscissero fuori, e facessero pesare la loro forza». Certo, anche questo pensiero ha una sua logica, specialmente se viene da un personaggio, come Lidia Ravera, che si è molto battuto per la difesa dei diritti delle donne.

Ma a noi piacerebbe che Virginia Raggi e Chiara Appendino fossero considerate dai media per quello che hanno studiato, per quello che fanno e dicono, non soltanto per il fatto di essere donne. E che quello che fanno e dicono servisse per tutti i cittadini, non solo per quelli di sesso femminile. Virginia e Chiara considerate persone, esseri umani, con la loro differenza, in quanto donne, ovviamente, ma uguali agli uomini. Forse questo è un altro passo avanti verso una cultura più laica e aperta che potrebbe arrivare, guardate un po’, dall’elezione choc del 19 giugno. Le due donne del M5s potrebbero – vedremo poi nei fatti – scalzare – dopo il Pd renziano – anche una cultura pesante che l’Italia si porta addosso. Qualcuna l’aveva detto, settant’anni fa. Tanto per ripescare nel passato, una grande politica e partigiana, Teresa Mattei, la più giovane dei Costituenti, soleva ripetere che l’emancipazione delle donne serve a tutta la società. Uomini compresi.

Brexit, l’ex speculatore Soros avverte: con il Sì pochi speculatori più ricchi. Tutti più poveri

«Un voto a favore della Brexit renderebbe poche persone molto più ricche e la maggioranza degli altri considerevolmente più poveri» scrive oggi George Soros su The Guardian. Se lo dice lui, che mercoledì 16 settembre 1992 (il black wednesday della sterlina britannica) guadagnò un miliardo di sterline vendendo la valuta britannica dopo che il governo conservatore era stato costretto a ritirare la moneta dagli accordi europei di cambio, forse ci si può fidare. L’estate del 1992 è la stessa durante la quale il governo Amato fu costretto a svalutare la lira e che segna l’inizio di un lungo periodo di difficoltà dell’economia italiana: dopo di allora il Pil è cresciuto sopra il 3% un solo anno, nonostante i relativi benefici dovuti alla svalutazione almeno fino all’introduzione dell’euro.

Il finanziere divenuto filantropo mette insomma in guardia i cittadini britannici: non vi fidate di chi vi dice che le conseguenze economiche dell’eventuale Brexit saranno minime. Non solo ce ne saranno nel medio e lungo periodo, ma lo shock immediato sarà fortissimo: gli speculatori, come me al tempo, si fionderanno sull’occasione e daranno un colpo durissimo all’economia, bruciando miliardi in risparmi e risorse della Bank of England. Non ci sarebbe beneficio per la svalutazione, che il sistema di commercio mondiale sono cambiate e l’incertezza sul futuro non porterebbe investimenti. Non ci sarebbe la possibilità di tagliare i tassi di interesse per determinarne, che questi sono già ai minimi termini. La dipendenza dall’afflusso di valuta straniera nel Paese, determinata dal ruolo centrale della City come piazza finanziaria planetaria e dalle svalutazioni del 1992 e del 2008, rende l’incertezza pericolosa: si potrebbe determinare una fuga di capitali, almeno nei primi due anni dice Soros, che colpirebbe l’economia. In sintesi la sterlina tornerebbe a precipitare verso il basso senza effetti, almeno parzialmente, benefici.

L’appello di Soros è solo l’ultimo ai britannici e la paura sembra aver fatto leggermente risalire il fronte del No all’uscita dall’Europa. Gli ultimi quattro sondaggi danno un pareggio, due vittorie del No e una del Sì. Gli indecisi sono intorno al 9%. La partita si gioca sulla quantità di persone che andranno a votare e sugli ultimi messaggi. Jeremy Corbyn ha discusso in televisione spiegando che, pur non essendo un fan dell’Europa, la sua scelta di votare per rimanere è legata alla razionalità: ci sono grandi questioni che riguardano l’umanità, dal cambiamento climatico ai paradisi fiscali, passando per le migrazioni, che non rimangono fuori dai confini perché lo decidiamo. Per affrontarle servono spazi comuni più grandi della Gran Bretagna, sembra dire Corbyn, che aggiunge: «Voglio rimanere in Europa per cambiarla».

A favore della permanenza anche la stella assoluta dal calcio britannico degli ultimi 20 anni, David Beckam. Secondo la persona più fotografata dell’isola dopo la regina, l’eroe dei frequentatori dei pub e degli stadi, che probabilmente sono una fetta importante tra coloro che propendono per il Sì, si è schierato per il No, ricordando come negli anni della sua carriera abbia giocato in squadre britanniche con giocatori europei divenute stelle e vissuto in splendide città d’Europa proprio per la libertà di circolazione dei calciatori. Con lui anche la moglie Victoria, che ha emesso un comunicato per chiedere alla campagna per la Brexit di non usare una sua intervista vecchia di 20 anni nella quale esprimeva la sua contrarietà all’Europa.

Stanotte, a due giorni dal voto, il duello Tv tra Boris Johnson e Sadiq Khan, conservatore ex sindaco di Londra e laburista neosindaco, il primo è la faccia del Sì, il secondo un ragionevole No. Chissà che tocchi al figlio di un immigrato pakistano che si è fatto da solo convincere i britannici a rimanere in Europa.