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Quando Borges inventò se stesso

Il 14 giugno del 1986, esattamente trent’ anni fa, moriva il poeta e narratore Jorge Luis Borges, l’autore de La biblioteca di Babele, di libri fantastici quanto enigmatici come Finzioni, L’Aleph, Altre inquisizioni. Un monumento nazionale con cui, nel bene e nel male, si sono dovute confrontate intere generazioni di scrittori. Ma che cosa ne è oggi di quest’autore icona, popolare più per le sue celebri interviste tv, con il bastone e il gatto (quando ormai era diventato completamente cieco) che per la sua vasta e complessa opera che spazia dai poemi epici, alla sperimentazione d’avanguardia, alle biografie immaginarie, a vertiginose narrazioni?

Pauls_IlfattoreBorges_coverLo scrittore argentino Alan Pauls indaga le molteplici facce di questo personaggio cosmopolita che dopo aver vissuto a lungo in Europa tornò a Buenos Aires dove fondò con gli amici Adolfo Bioy Casares e le sorelle Ocampo la rivista Sur lavorando nella biblioteca di Buenos Aires, da cui fu licenziato per il suo anti peronismo. Da critico e narratore il cinquantenne Pauls racconta la vita e l’opera di questo colosso della letteratura ne Il fattore Borges (Edizioni Sur): un saggio affascinante, prismatico (anche visivamente perché strutturato come un ipertesto), per niente ossequioso nel mettere in luce gli aspetti anche contraddittori di Borges, scrittore nostalgico del passato e sperimentatore, candido e labirintico, reazionario e libertario, fondatore dell’argentinità e poliglotta, astratto e insieme coinvolto nel suo tempo.
«Uno dei luoghi comuni più diffusi è che Borges fosse uno scrittore separato dal mondo, che avesse addirittura bisogno di una distanza dal resto della società per poter scrivere» commenta Alan Pauls in Italia per un tour di presentazioni che dopo La grande invasione ad Ivrea ha fatto tappa al Festival degli scrittori di Firenze e poi a Roma. «È stato per me molto importante scoprire che Borges ha vissuto gran parte della sua vita letteraria nel cuore della socialità, con la sua attività di giornalista che ha portato avanti per molti anni».
Nel libro lei demolisce molti stereotipi. Mostrandoci anche il lato ludico di Borges che con Bioy Casares scriveva romanzi corrosivi e sfacciati. È falsa l’immagine che abbiamo di lui come scrittore chiuso nella torre di avorio?
Tutti dicevano che fosse un autore iper erudito. Di più. Che usasse l’erudizione come una sorta di armatura, di scudo. Rileggendolo per scrivere questo libro ho notato che, oltre ad essere un appassionato lettore, fu uno straordinario divulgatore, molto sensibile alla forma della cultura popolare.
alan-pauls1Un altro aspetto che lei riporta alla luce è la sua nostalgia per la poesia nazionale alla Martin Fierro, per l’epica dei criollos, per la milonga e il fragore dell’azione. Come avvenne il passaggio dal Borges romantico all’autore “metafisico”, dalla scrittura essenziale e controllata?
Come tutti gli scrittori Borges è molti autori allo stesso tempo. Per una buona decade fino agli anni Venti fu uno scrittore nazionalista, populista, addirittura bolscevico. È un aspetto non molto conosciuto del suo lavoro. La svolta vera io credo sia avvenuta intorno al 1930. Quando Borges inventa se stesso come “scrittore classico”. Sono pochi i nomi della letteratura – forse lui è l’unico – che nel XX secolo hanno potuto fare tutto ciò. Di solito è il tempo, sono le istituzioni culturali e le molte letture a decidere se un’opera è un classico. Borges è uno dei rari romanzieri che ha potuto dire: “ora voglio essere un classico”. Se lo auto attribuisce. E da quel momento è ancora attuale, possiamo dire che Borges è nostro contemporaneo, è fra di noi.
Che cosa voleva dire per lui essere un classico?
È la definizione di scrittore che Borges inventa. Uno scrittore classico, per lui, lavora sulle tematiche, sui personaggi, sulla storia; lavora sulle condizioni minime per fare letteratura.
Ad Ivrea ha detto che Borges, più che un padre, è stato uno zio un po’ perverso per gli scrittori della sua generazione. Ovvero?
Era per dire che non non sentivamo l’esigenza di attaccarlo. Come invece aveva fatto la generazione degli scrittori degli anni 70, quella di Cortazar. Per noi era qualcuno che ci apriva la strada della letteratura, che ci permetteva di scrivere, non in maniera necessariamente borgesiana. Anzi. Di solito gli zii sono quelli che incoraggiano i bambini all’avventura. Mentre il padre ti controlla, lo zio, in genere, ti dà libertà. Perverso nel senso che lascia intuire ai nipotini strade che i rappresentati ufficiali dell’accademia non permettono. Noi che abbiamo cominciato a ascrivere a partire dagli anni 80 sempre abbiamo scritto con Borges; a partire da Borges. È raro che qualcuno di noi lo abbia usato come banco di prova per poi demolirlo. Per noi è sempre stato un promotore di letteratura, non una presenza dispotica o castrante.
Roberto Bolaño è stato l’autore che per primo ha riconosciuto il valore di Alan Pauls scrittore. Lei ha detto che La letteratura nazista in America (Adelphi) dello scrittore cileno non sarebbe stato possibile senza Borges. Che cosa vedeva Bolaño in Borges?
Io penso che abbia scoperto in Borges una sorta di antidoto contro i peggiori mali della letteratura latino americana come si è andata configurando negli anni Sessa e Settanta. Credo che Bolaño si considerasse pienamente uno scrittore latino americano ma penso anche che vedesse con chiarezza le cose che non funzionavano più e da cambiare. Mi sembra che Borges abbia funzionato per lui come una medicina per curare la nostra letteratura del boom. Ciò che è più interessante è che Bolaño sia stato capace di mettere in relazione due tradizioni letterarie che avvertiva come incompatibili: da un lato c’era la tradizione beatnik e vitalista. Dall’altro la tradizione erudita. Quando dico erudita intendo una tradizione alla Borges sempre attraversata da auto ironia, dal gioco della finzione.
Cosa pensa, invece, di chi accusa Borges di essere un «autore ricco di letteratura, ma povero di umanità»?
Penso che chi ne critica la presunta freddezza, la cerebralità, esprima una visione scissa fra emozione e pensiero, come se fossero due cose distinte. Denota una ideologia che pensa le emozioni da un lato e l’intelletto da un’altra. Questa è un’idea arcaica, cartesiana. In Borges invece c’è una drammatizzazione del pensiero. Il punto in cui si installa per scrivere è esattamente quello in cui un’emozione nasce, per questo dico che in lui non si può distinguere il piano emotivo da quello intellettuale. Non possiamo pensare che l’umanità sia legata alle emozioni e la letteratura alle idee astratte. Penso che Borges metta in crisi questo modo di pensare che tende a dividere le cose. In lui non si può distinguere il corpo, dal pensiero, dal linguaggio. I personaggi di Borges soffrono per il fatto che pensano in quel modo. Quando un personaggio rischia di morire per ciò che pensa il suo pensiero non è massimamente fisico, legato al corpo, al vissuto?
Scrivere la trilogia – Storia del pianto, Storia dei capelli e Storia del denaro – è stato per lei un modo per elaborare il dolore di quegli anni in cui una intera generazione viva e progressista in Argentina fu stroncata dalla dittatura?
Per me è stato un modo per comprendere più a fondo cosa era accaduto. Non solo in termini sociali, storici e politici, ma anche e soprattutto personali. Mi sono formato proprio in quel periodo. Avevo 12 anni nel 1970 e 21 nel 1980. Questo significa che i cinque o sei anni del sogno rivoluzionario e i quattro anni di orrore del terrorismo di Stato coincidono con la mia formazione emotiva, sessuale, intellettuale, come giovane uomo, scrittore, come critico ecc. Ho cominciato a scrivere in qualche modo per comprendere che cosa era accaduto, non solo negli anni della dittatura ma anche in quelli precedenti che sono stati anni molto complessi in Argentina; volevo capire come si era sviluppata una sensibilità come la mia che era, per molti versi, una sensibilità generazionale.
Lei è scrittore ma anche giornalista. In Italia La nuova frontiera e Sur stanno pubblicando tutta l’opera di Rodolfo Walsh, giornalista e scrittore desaparecido che con Operazione massacro denunciò il regime.
Sì amo il giornalismo e i libri di Rodolfo Walsh: era un grande scrittore che inventò quella che Truman Capote avrebbe chiamato la non fiction. Un giornalismo che incontra la forza della letteratura. Walsh è uno scrittore davvero unico, straordinariamente importante.
In Italia si sta celebrando il processo Condor, anche se i giornali ne parlano poco. L’elaborazione della memoria continua o incontra ostacoli nell’Argentina conservatrice di Macri?
Stiamo vivendo un momento delicato. Il lavoro sulla memoria continua, ma il nuovo governo di Macri non ha affinità di pensiero con le associazioni e le istituzioni che in Argentina lavorano sulla memoria. Proprio per questo sono tutte in allerta. Non è scontato che tutto proceda. Per il governo precedente il processo di elaborazione della memoria era una scelta politica, di Stato. Per l’attuale governo non è così. Diversamente da quanto è accaduto in Cile o in Brasile in Argentina la memoria è stata una questione centrale nel dibattito pubblico, per la società, per la giustizia. Spero non si torni indietro.

Questo articolo continua sul numero 24 di Left in edicola dall’11 giugno

 

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Le speranze degli ultimi nella rete dei trafficanti

Nel Mediterraneo c’è acqua, sale e adesso ancora più sangue. Chi è partito dalla Libia e dall’Egitto nelle ultime settimane riposa ora nel cimitero degli abissi e delle onde. Una marea umana: di vivi e di morti, dove le cifre aggiornate ora dopo ora fino a qui, dopo cinque naufragi, stimano circa 900 dispersi (Unhcr e Msf). Non solo Eritrea, Nigeria, Gambia: i new comers, i nuovi arrivati, salvati da barche capovolte, in avaria o alla deriva, vengono da Pakistan, Siria, Marocco, Somalia. Dopo la processione dei commenti indignati sui social network, l’oblio degli ultimi naufragi si è assestato intorno al numero 25. Di 25 metri era il peschereccio che è affondato a 75 miglia a sud di Creta, 25 sono i km di spiaggia libica dove 117 cadaveri gonfi d’acqua, in decomposizione, sono tornati indietro. Perché la morte affonda, ma galleggia anche.
Se l’anno scorso la migrazione era mediorientale – Siria, Iraq, Afghanistan – e in arrivo erano i rail people, quelli che seguivano i binari d’Europa a piedi per arrivare al cuore del Nord, quest’anno è africano, e in arrivo è di nuovo il popolo delle boat people. Oltre duecentomila sono arrivati da inizio gennaio 2016 e per dovere o necessità, alcuni continuano a documentarlo. «Le immagini che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità» c’era scritto sui siti prima di vedere le fotografie dei morti, restituiti alla Libia dal mare. Niente urta più niente, quando emergenza, dramma e naufragio sono parole annegate nell’indifferenza.
Dice Z.: «Queste arrivate sono le barche di Abdul Rezak e sopra c’era mio fratello. Di notte non riuscivo a dormire aspettando la sua telefonata. Ho cercato di dissuaderlo, gli ho detto di non venire».

Questo articolo continua sul numero 24 di Left in edicola dall’11 giugno

 

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Dai senzatetto di Mumbai a Falluja. Le foto della settimana

(EPA / DIVYAKANT Solanki)

Mumbai, India. indiani homelss dormono su travi di acciaio di un ponte. Nella città sono oltre 57.000 le persone senza casa, secondo un censimento del 2011. (EPA / DIVYAKANT Solanki)
Mumbai, India. Senzattetto indiani dormono sulle travi di acciaio che sorreggono un ponte. Nella città sono oltre 57.000 le persone senza casa, secondo un censimento del 2011. (EPA / DIVYAKANT Solanki)

Il primo giorno del mese di digiuno sacro del Ramadan a Jama Masjid a New Delhi, in India. (Foto AP / Altaf Qadri)
Il primo giorno del mese di digiuno sacro del Ramadan a Jama Masjid a New Delhi, in India. (Foto AP / Altaf Qadri)

8 giugno 2016. Fallujah, Iraq. Un soldato delle forze antiterrorismo irachene monitora il traffico radio da un veicolo blindato delle forze speciali. (Foto AP / Maya Alleruzzo)
8 giugno 2016. Fallujah, Iraq. Un soldato delle forze antiterrorismo irachene monitora il traffico radio da un veicolo blindato delle forze speciali. (Foto AP / Maya Alleruzzo)

8 giugno 2016. Gaza City. Un locale sulla spiaggia decora la sua terrazza con ombrelli colorati per il mese di Ramadan. (AP Photo / Hatem Moussa)
Gaza City. Un locale sulla spiaggia decora la sua terrazza con ombrelli colorati per il mese di Ramadan. (AP Photo / Hatem Moussa)

Mercoledì 8 giugno. Sanaa, Yemen. Un ragazzo gioca vicino alla tenda della sua famiglia in un campo sfollati alla periferia della città. Secondo i dati delle Nazioni Unite sono circa 2,4 milioni gli yemeniti sfollati in seguito alla guerra, almeno 6.200 i civili morti e decine di migliaia i feriti. (Foto AP / Hani Mohammed)
Sanaa, Yemen. Un ragazzo gioca vicino alla tenda della sua famiglia in un campo sfollati alla periferia della città. Secondo i dati delle Nazioni Unite sono circa 2,4 milioni gli yemeniti sfollati in seguito alla guerra, almeno 6.200 i civili morti e decine di migliaia i feriti. (Foto AP / Hani Mohammed)

08 Giugno 2016. Città del Messico, Messico. La polizia messicana durante la protesta dei membri del movimento Nazionale dei Lavoratori. (EPA / Alex Cruz)
08 Giugno 2016. Città del Messico, Messico. La polizia messicana durante la protesta dei membri del movimento Nazionale dei Lavoratori. (EPA / Alex Cruz)

8 giugno 2016. Istanbul, Turchia. Un momento della processione funebre per due delle vittime dell’attentato avvenuto mercoledì passato. Un veicolo imbottito di esplosivo è esploso all'esterno del quartier generale della polizia a Midyat, nel sud-est a maggioranza curda uccidendo due agenti e due civili e ferendo cirtca trenta persone. (Foto AP / Lefteris Pitarakis)
Istanbul, Turchia. Un momento della processione funebre per due delle vittime dell’attentato avvenuto mercoledì passato. Un veicolo imbottito di esplosivo è esploso all’esterno del quartier generale della polizia a Midyat, nel sud-est a maggioranza curda uccidendo due agenti e due civili e ferendo cirtca trenta persone. (Foto AP / Lefteris Pitarakis)

9 giugno 2016. Nuova Baghdad; Iraq. Un autobomba è esplosa in una zona commerciale di un quartiere a maggioranza sciita uccidendo più di una dozzina di civili. Un altro attentato era avvenuto fuori della capitale irachena. (Foto AP / Hadi Mizban)
9 giugno 2016. Nuova Baghdad, Iraq. Un autobomba è esplosa in una zona commerciale di un quartiere a maggioranza sciita uccidendo più di una dozzina di civili. Un altro attentato era avvenuto fuori della capitale irachena. (Foto AP / Hadi Mizban)

Coronado, in California. 9 giugno 2016. Donne della comunità Amish vedono per la prima volta le acque del Pacifico. (AP Photo / Gregorio Bull)
Coronado, California. 9 giugno 2016. Donne della comunità Amish vedono per la prima volta le acque del Pacifico. (AP Photo / Gregorio Bull)

10 giugno 2016. Una immagine dello sbarco nel molo Quattro venti, nel porto di Palermo, di 592 migranti - di cui 464 uomini, 119 donne e 9 bambini - giunti nel capoluogo siciliano a bordo della nave Bourbon Argon di Medici senza frontiere (ANSA / US MSF)
10 giugno 2016. Una immagine dello sbarco nel molo Quattro venti, nel porto di Palermo, di 592 migranti – di cui 464 uomini, 119 donne e 9 bambini – giunti nel capoluogo siciliano a bordo della nave Bourbon Argon di Medici senza frontiere (ANSA / US MSF)

 

San Paolo, Brasile. Un attivista posa accanto a una delle installazione della manifestazione organizzata dalla Ong Rio de Paz fuori al Museo delle arti di San Paolo per denunciare le 420 donne vittime, ogni 72 ore, di aggressioni sessuali nel paese (EPA / SEBASTIAO MOREIRA)
San Paolo, Brasile. Un attivista posa accanto a una delle installazione della manifestazione organizzata dalla Ong Rio de Paz fuori al Museo delle arti di San Paolo per denunciare le 420 donne vittime, ogni 72 ore, di aggressioni sessuali nel paese (EPA / SEBASTIAO MOREIRA)

Gallery a cura di Monica Di Brigida

Tra Polvere e Ombra, è tornato Capossela

E poi c’è Vinicio Capossela a impreziosire il panorama musicale italiano. Cantautore nato ad Hannover, ma irpino per discendenza e accordata cittadinanza d’onore dalla paterna Calitri, che lo vede ideatore e direttore artistico dello Sponz Fest. Anche polistrumentista, scrittore, fantasmagorico entertainer, poi poeta, “collezionatore” di targhe Tenco, che da quasi venticinque anni sorprende in maniera originale, articolando la sua espressione con rimandi allegorici, simbolici e mitologici. Con riferimenti poetici passati, e con il contributo di autori contemporanei, da lui chiamati in causa, dà vita a un’opera autentica, ironica e seriosa al contempo.

Capossela non lascia mai indifferenti e stavolta ci spiazza con un album composto da due parti, due lati: Polvere e Ombra, così titolati, per le Canzoni della Cupa. Quasi trenta brani che nascono dalla terra del Sud, quella delle leggende e delle credenze popolari, per le vie strette di ogni “cupa”. Una vera e propria rappresentazione teatrale, per un lavoro di ben tredici anni. In mezzo tanta vita, professionale e non solo, anche un recente intervento alla laringe, completamente risolto, altra esperienza per lui di conoscenza: «Le corde vocali non hanno terminazioni nervose per cui non percepiamo dolore quando subiamo un trauma. Semplicemente fanno come accadde nelle più nette separazioni amorose: ci si accorge del problema quando la voce oramai se n’è andata, senza più la possibilità di parlare».

Questo articolo continua sul numero 24 di Left in edicola dall’11 giugno

 

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Trump non può vincere
Trump può vincere

Trump può o non vincere le elezioni? Su Left in edicola abbiamo fatto un esercizio: due articoli a fronte che provano a disegnare due scenari opposti

Sono passati dieci giorni da quando Ruth Guerra, responsabile per il dialogo con i media ispanici del Republican National Committee si è dimessa: era a disagio per i toni usati da Donald Trump e faceva fatica a difendere la figura del candidato repubblicano alla presidenza con i giornalisti. A sostituirla è stata chiamata Helen Aguirre Ferre, che prima di assumere l’incarico ha cancellato diversi tweet critici nei confronti del candidato miliardario. Un esempio come un altro dei guai nei quali si trovano il partito repubblicano e la campagna presidenziale di TheDonald. Trump non ha possibilità di vincere le elezioni a novembre per varie ragioni e a prescindere dai sondaggi nazionali che lo danno, al momento, non lontano da Clinton. Le ragioni non sono solo numeriche, ma cominciamo da quelle.
Nei sondaggi importanti Hillary Clinton ha un vantaggio che oscilla tra il 4,8% e l’1,5%. Ma quel che conta è il vantaggio a livello locale: e la media dei dati di Florida, Virginia, Ohio e Pennsylvania dicono che in quegli Stati, che sono la chiave per vincere, Trump insegue. (…)

 


 

Gli americani bianchi sono scontenti. Più scontenti di tutti gli altri americani. Se sono poveri, sono doppiamente scontenti. E arrabbiati. E alle elezioni di novembre voteranno Donald Trump come se non ci fosse un domani. Tutti i sondaggi sull’ottimismo e sul futuro ci parlano di un’America bianca e non scolarizzata che si sente scoraggiata e abbandonata e più preoccupata dei rapporti razziali che in passato. Neri e ispanici sono più fiduciosi, anche se più poveri e peggio messi: i bianchi hanno perso peso, centralità, potere d’acquisto e la certezza del sogno americano di una casa, un buon lavoro e figli al college. E vogliono cambiare.

I sondaggi? Dimenticateli. Oppure ricordate che tutti, compreso chi scrive, erano certi che nonostante i successi e qualche sondaggio a favore, The Donald, con la sua aria improbabile, la sua somma impreparazione, l’assenza di alleati e di una strategia non avrebbe mai potuto raggiungere la nomination. Vogliamo commettere lo stesso errore oggi?

Entrambi gli articoli continuano sul numero 24 di Left in edicola dall’11 giugno

 

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Assassinio di Sara Di Pietrantonio, se questa non è premeditazione

ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Non c’è premeditazione?
Caro Gip, ci permetta di dire la nostra.
Vincenzo Paduano ha comprato una tanica di liquido infiammabile, e l’ha messa nella sua macchina. Si è allontanato dal posto di lavoro, ma prima ha tirato fuori il suo cellulare dalla tasca e lo ha lasciato lì dove doveva essere lui: un modo per non essere rintracciato, senza ombra di dubbio. Poi ha raggiunto Sara che era in macchina e stava tornando a casa, l’ha seguita e l’ha speronata. Tanta determinazione ci ha messo che la sua auto ha riportato danni alla fiancata laterale. Sara non ha potuto far altro che fermarsi.
È educata Sara, e così invece di lasciare la macchina al bordo della strada, dove avrebbe dato fastidio alle macchine che stavano per passare su via della Magliana, una via a doppio senso ma molto stretta, ha fatto retromarcia e si è posizionata in uno slarghetto.
Vincenzo anche fa retromarcia, lascia la macchina pochi metri più in là, in un parcheggio di un cementificio. Scende e va ad affrontare la sua ex ragazza. Sara ha fatto una cosa imperdonabile: lo ha lasciato. E non solo lo ha lasciato: a quanto pare si sta vedendo con un altro.
Sara ha 22 anni, fa danza, studia economia, lavora per non pesare sulla famiglia. È bella Sara, piena di interessi. Sorride alla vita ed è sempre pronta a comprendere. Poche ore prima aveva detto alla mamma che bisognava comprendere Vincenzo, che soffriva per amore.
Ha sbagliato la povera Sara: non doveva essere educata e doveva lasciare la sua macchina lì in mezzo, su via della Magliana, speronata. Così forse qualcuno si sarebbe fermato. E non doveva pensare a Vincenzo come un ragazzo che patisce le pene d’amore, ma come uno squallido stalker, frustrato, che non è neanche una guardia giurata, è solo uno che per lavoro si posiziona davanti alle banche e avverte se ci sono movimenti sospetti. Vincenzo è solo uno che si sta trasformando in mostro sociale. Con premeditazione.

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Paura del Brexit

Firma Day: No alla riforma costituzionale, Buona scuola, Jobs act

In tutta Italia scatta il Firma Day. Sabato 11 e domenica 12 giugno centinaia e centinaia di banchetti per la raccolta firme dei referendum. Per la prima volta, però, si uniscono gli sforzi del comitato dei referendum sociali (contro la Buona scuola, il Jobs act e gli inceneritori) con quelli del No alla riforma costituzionale.

La campagna iovotono prevede infatti due quesiti referendari abrogativi della legge elettorale Italicum e quello per il Referendum costituzionale. Per i primi due la data di scadenza è il 2 luglio, mentre per il referendum al No alla riforma costituzionale è il 13 luglio. In tutti i casi l’obiettivo è quello di raggiungere 500mila firme in modo da assicurare il quorum. La decisione di raccogliere le firme tra i cittadini viene presa proprio per evitare che l’appuntamento di ottobre venga preso come un plebiscito, stando almeno alle dichiarazioni del presidente del Consiglio Matteo Renzi («Se vince il no, me ne vado»).

I rappresentanti del Comitato del no, invece ci tengono a entrare nel merito della riforma. E a spiegare perché la riforma Boschi-Renzi non garantisce maggiore governabilità, ma, tra Italicum – più incostituzionale del Porcellum, bocciato dalla Consulta – premio di maggioranza e listino bloccato dei nominati, porta pericolosamente all’“uomo solo al comando”. Inoltre sono in pericolo anche le autonomie locali, perché anche se la riforma del Titolo V si è rivelata un fallimento, non significa che tornare a un neocentralismo sia la panacea di tutti i mali. Il rapporto tra Stato e periferia va governato e cambiato non cancellato tout court. I rappresentanti del No fanno l’esempio dei referendum contro le trivelle voluto da alcune regioni.

Durante gli eventi in programma nel fine settimana, oltre alle “passeggiate costituzionali”, ai concerti e agli spettacoli, ci saranno quindi anche dibattiti e incontri con i costituzionalisti che spiegheranno le ragioni del no. E chi volesse informarsi ancora di più può leggere il libro La Costituzione bene comune (Ediesse) con i contributi di: Gaetano Azzariti, Felice C. Besostri, Lorenza Carlassare, Gianni Ferrara, Domenico Gallo, Alfiero Grandi, Alessandro Pace, Stefano Rodotà, Massimo Villone, Gustavo Zagrebelsky.

Questo non è amore. Tutto quello che trovate su Left #24

«Non ho visto un giornale che abbia dedicato una riflessione all’approfondimento, come è avvenuto, perché? Come si affronta un certo pensiero violento, malato, prima che accada il peggio?» ha dichiarato Paolo Ercolani sul caso di Sara Di Pietrantonio. La nebbia di giornali e talk sulla violenza contro le donne è sempre più fitta e per diradarla Left, questa settimana, vi offre un viaggio tra verità delle cifre con il lungo articolo di Donatella Coccoli e Raffaele Lupoli; politica, con l’intervista al presidente della Camera Laura Boldrini; informazione, con il contributo di Federica Sciarelli e psichiatria, con l’intervista a Massimo Fagioli. Il voto delle amministrative di domenica letto in controluce da Luca Sappino. Ancora in società, Michela AG Iaccarino è tornata sulle sponde del Mediterraneo per raccontare il business dei trafficanti di esseri umani. Tutti i motivi per cui vince o perde Trump nel pezzo di Martino Mazzonis e la catastrofe della Libia nell’analisi di Umberto De Giovannangeli nelle nostre pagine di esteri. In Giappone si costruisce la quarta rivoluzione industriale con nuove intelligenze artificiali mentre in Europa si finanzia la costruzione del computer quantistico che rivoluzionerà la tecnologia del futuro come ci spiega Pietro Greco. E per chiudere Alan Pauls racconta Borges e Vinicio Capossela il suo ultimo lavoro.

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Un giorno qualunque a Damasco (sotto le bombe)

© EPA/MOHAMMED BADRA

Com’è vivere una giornata qualsiasi in Siria fra bombardamenti e sparatorie? La Guerra civile che sta sconvolgendo il Paese dura già da 5 anni, il fotografo Mohammed Badra ha tentato di restituirci l’immagine di quelli che ad oggi sono scene molto quotidiane che si possono vedere passeggiando per le strade di Damasco.

Nella foto sopra: l’interno di un asilo nido nel quartiere di Jobar, nella parte est di Damasco in Siria. Jobar è tra le zone della città che sono nelle mani dei ribelli del Free Syrian Army che stanno combattendo la dittatura di Bashar al-Assad, come si può vedere dalle foto l’intero quartiere è distrutto. I brandelli di qualche muro, rimasto in piedi nonostante i bombardamenti che, soprattutto negli ultimi tre anni, hanno colpito a ritmo costante la città. Il graffito che si vede nella foto dice: «Qui disponibili biscotti».

Un uomo in sella alla sua motocicletta attraversa un quartiere della Capitale siriana.

Un uomo raccoglie pezzi di rame e ferro da alcuni edifici distrutti e abbandonati nel quartiere di Jobar, nella zona Est di Damasco. Una vecchia signora chiacchiera con un solvate dell’esercito libero siriano. Lo scheletro di un auto andata distrutta durante uno dei tanti bombardamenti giace abbandonato per le strade di una Damasco che ha tutte le sembianze di una città fantasma. Un uomo dà da mangiare a un gatto. Alcuni membri del libero esercito siriano.