Home Blog Pagina 1140

Rifugiati, i popoli più propensi all’accoglienza dei governi

I cinesi e i tedeschi sono i più disposti all’accoglienza, i russi e i polacchi i meno propensi a ospitare rifugiati nel loro Paese. Questo almeno è quanto rileva un indice di Amnesty International che mappa gli atteggiamenti globali nei confronti dei migranti. E che segnala come le risposte populiste, forse, non sono quelle che la maggioranza dei cittadini di molti Paesi vorrebbero.

Il sondaggio colloca i 27 paesi lungo una scala da 0 a 100, laddove 0 indica che tutti gli intervistati rifiuterebbero l’ingresso ai rifugiati nel loro paese e 100 li accoglierebbero nei loro quartieri o nelle loro abitazioni.

L’Indice è calcolato dando a ciascun paese un punteggio basato sulla media delle risposte alla domanda “Quanto accetteresti persone in fuga da guerre e persecuzioni?”. Le risposte sono state poste lungo una scala da 0 (“Rifiuterei il loro ingresso nel paese”), attraverso 33 (“Li accetterei nei mio paese”), 67 (“Li accetterei nella mia città”) fino a 100 (“Li accetterei nel mio quartiere o nel mio appartamento”).

I risultati sono in parte sorprendenti e smentiscono gli atteggiamenti dei governi nei confronti delal crisi dei rifugiati

La Germania, che ha ad oggi accolto 1 milione e 100mila richiedenti asilo lo scorso anno, è il secondo paese più propenso all’accoglienza dopo, appunto, la Cina. Il 96 per cento dei tedeschi ha detto che è disposto ad accogliere i rifugiati e il 76 per cento ritiene che il governo debba fare di più per aiutarli.

Nel Regno Unito, terzo, l’84 per cento ha detto che «la gente dovrebbe essere in grado di ottenere rifugio in altri Paesi per sfuggire alla guerra o a persecuzioni», e il 70 per cento ritiene che il governo dovrebbe fare di più per aiutarli. 82 per cento dei britannici ha detto che avrebbe accogliere i rifugiati che vivono nella loro città, mentre il 29 per cento ha affermato che li accoglierebbe in casa.

Spagna e Grecia sono gli altri paesi dell’Unione europea nella top ten (l’Italia non è stata sondata). Interessante da notare che i Paesi propensi all’accoglienza sono sia quelli che i rifugiati non li hanno visti – la Cina, ma anche il Canada, al quarto posto nell’indice e gli Stati Uniti, noni – che quelli come la Germania, la Grecia e soprattutto la Giordania, che sono investiti da ondate imponenti.

Allo stesso modo, polacchi, russi e turchi sono contrari e non accoglienti a prescindere dalla situazione del loro Paese – in Russia i rifugiati non ci sono, in Turchia si.

Per quanto riguarda l’accesso all’asilo:

– il 73 per cento è d’accordo che le persone in fuga da guerra o persecuzione dovrebbero ottenere rifugio in altri paesi;
– il sostegno è particolarmente forte in Spagna (78 per cento), Germania (69 per cento) e Grecia (64 per cento).
Circa le politiche in materia di rifugiati:
– il 66 per cento degli intervistati ritiene che il rispettivo governo dovrebbe fare di più per aiutare i rifugiati;
– in diversi paesi al centro dell’attuale crisi dei rifugiati, tre quarti del campione se non di più chiede al rispettivo governo di fare ancora di più, come nel caso della Germania (76 per cento), della Grecia (74 per cento) e della Giordania (84 per cento);
– il minore sostegno a un’ulteriore azione dei governi proviene da Russia (26 per cento), Thailandia (29 per cento) e India (41 per cento).

“I dati parlano da soli. Le persone sono pronte ad accogliere i rifugiati e le risposte inumane dei governi alla crisi dei rifugiati vanno contro il punto di vista dei loro cittadini” – ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International. “Il sondaggio rivela fino a che punto i governi stiano facendo politica sulla pelle di persone che fuggono da guerra e repressione”.

“I governi non possono più consentire che la loro risposta alla crisi dei rifugiati sia dettata da esigenze di conquistare un titolo in prima pagina. Troppo spesso, la loro retorica anti-rifugiati ha solo l’obiettivo di aumentare il consenso. Ma i risultati del sondaggio dimostrano che i governi non tengono conto della maggioranza silenziosa dei loro cittadini che è disposta ad accogliere e a occuparsi in prima persona della crisi dei rifugiati” – ha proseguito Shetty.

19 maggio 2016 | Il caffè di Corradino Mineo

Le notizie del giorno commentate dal direttore di Left Corradino Mineo, da ascoltare calde al mattino mentre si beve il caffè

EgyptAir, cosa sappiamo dell’aereo scomparso dai radar

Un aereo della EgyptAir in servizio da Parigi al Cairo è scomparso dai radar questa notte: lo ha annunciato la stessa compagnia aerea, spiegando che a bordo si trovavano 56 passeggeri, tra cui un neonato e due bambini, e dieci membri dell’equipaggio, tra personale di assistenza in volo, piloti e tre funzionari della sicurezza.

Le notizie sono confuse: le autorità egiziane hanno prima detto di non aver ricevuto allarmi dall’aereo, poi che una stazione radar militare ne avrebbe al contrario ricevuti, giusto dieci minuti prima che l’aereo scomparisse dai radar. I radaristi greci però, nel momento in cui l’aereo sorvolava i loro cieli, hanno parlato con la cabina di comando e il personale di bordo non ha segnalato problemi. Poco dopo l’aereo non rispondeva più. Un peschereccio (o un mercantile) avrebbe visto l’aereo prendere fuoco in volo. E infatti – riferiscono per primi i media francesi – il relitto dell’aereo di Egyptair è stato individuato al largo dell’isola greca di Karpathos, in acque territoriali egiziane.

Il volo MS804, un Airbus 320, era partito alle 23:09 da Parigi e si trovava a 11.300 metri di altezza. Il volo avrebbe dovuto raggiungere Hurghada in Egitto dopo l’atterraggio al Cairo. Ma ha fatto perdere le sue tracce quando si trovava circa 16 chilometri dentro lo spazio aereo egiziano ma ancora sul mare, come ha spiegato ancora la stessa EgyptAir sul suo profilo Twitter. L’ultima localizzazione sarebbe a circa 280 chilometri dalla costa egiziana verso le 2:30 di giovedì. Le condizioni meteo, al momento della scomparsa, erano buone, almeno secondo la Cnn.

L’Airbus A320-232 era del 2003, il pilota aveva un’esperienza di 6.275 ore di volo, di cui 2.101 su quel tipo di velivolo, mentre il copilota aveva un’esperienza di 2.766 ore: questo sempre secondo le informazioni rilasciate da EgyptAir.

15 francesi erano in volo, ed è così la Francia a seguire più da vicino il caso. Un vertice d’emergenza e il primo ministro francese, Manuel Valls, dice però che «non si esclude alcuna ipotesi». Anche perché, secondo l’Ansa, esperti francesi avrebbero precisato al governo che l’aereo MS804 sarebbe atterrato all’aeroporto parigino di Charles de Gaulle dopo le 21:30 di mercoledì sera, proveniente dal Cairo. Circa un’ora e mezzo più tardi – fatto rifornimento e imbarcati i passeggeri – sarebbe ripartito e in questi casi “nessun controllo viene fatto su quello che può esserci a bordo, che può essere stato imbarcato al Cairo”. Il presidente Francois Hollande ha avuto un contatto telefonico con il suo omologo egiziano Abdul Fattah al-Sissi e i due si sono impegnati a «cooperare strettamente per stabilire il più presto possibile le circostante di questa sparizione». Ed è il premier egiziano Sherif Ismail, scrive l’agenzia statale Mena, a confermare che nulla si può escludere, neanche un attentato: «Non si può escludere», avrebbe detto dal centro di coordinamento delle operazioni, rispondendo a specifica domanda.

Non migliorano la situazione i precedenti di EgyptAir. La foto che illustra questo articolo, ad esempio, risale al 29 marzo scorso quando sul volo EgyptAir partito da Alessandria e diretto al Cairo scoppiò prima il panico e poi l’ilarità generale con tanto si selfie goliardici che fecero il giro del mondo. Un volo EgyptAir fu dirottato verso l’aeroporto internazionale di Larnaca a Cipro da un uomo, Seif Eldin Mustafa, che sosteneva di indossare una cintura esplosiva. Nel giro di poche ore, dopo l’atterraggio a Cipro, si è scoperto che il dirottatore era in realtà un uomo che voleva chiedere asilo politico a Nicosia, dove risiedono l’ex moglie e i figli che non vedeva da anni.

Otto giornalisti su dieci in Italia sono sotto pressione della politica

Marino e Renzi assediati dai media (Foto Omniroma)

Otto giornalisti su dieci in Italia sono consapevoli di essere sotto pressione della politica mentre svolgono il proprio lavoro. In Francia sono due, in Finlandia – in testa ai Paesi virtuosi – nemmeno uno, in Gran Bretagna poco più di due, in Tunisia circa 6. Ed è ancora la politica a prevalere rispetto ai “diktat” della pubblicità. In questo quadro, logico quindi che circa il 60 % degli italiani non abbia più fiducia nei giornali e nei media mainstream.

Schermata 2016-05-18 alle 13.35.12

Questi dati allarmanti si aggiungono a quelli sulla libertà di stampa. Secondo l’ultimo rapporto di Reporters sans frontières l’Italia è al 77esimo posto nella classifica mondiale (su 180 Paesi) scivolando di quattro posizioni dal 2015. E l’Osservatorio Ossigeno per l’informazione ci ricorda ogni anno il numero di giornalisti professionisti, precari e free lance sotto minaccia (2841 casi dal 2006). Ma la ricerca che oggi viene presentata a Firenze, presso la libreria Nardini Bookstore in via delle Vecchie carceri, ex Murate (ore 17,30), va ancora più a fondo. Non si prendono in considerazione infatti gli atti concreti contro i giornalisti (come violenze, intimidazioni, censure, querele temerarie) ma si analizza la percezione stessa che gli operatori dell’informazione hanno del loro lavoro, confrontato con quello dei loro colleghi di 14 Paesi europei e dell’area mediterranea.

La ricerca è del Dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università di Milano che fa parte del consorzio internazionale di atenei MediaAct: 4 anni di lavoro, dal 2010 al 2014 con interviste a 1762 giornalisti. Hanno partecipato questi Paesi: Finlandia, Svizzera, Estonia, Francia, Olanda, Germania, Gran Bretagna, Polonia, Austria, Romania, Tuisia, Giordania, Spagna. In Italia hanno curato lo studio il ricercatore Sergio Splendore e il professore Gianpietro Mazzoleni per l’ateno milanese. Pubblicata nel libro Journalist and Media Accountability. An International Study of News People in the Digital Age, edito da Peter Lang, non ha avuto una grande eco in Italia. Alla fine del 2015 una relazione con alcuni dati della ricerca è stata presentata all’Ordine dei giornalisti della Lombardia ma non ci sono state molte reazioni (qui). «Rimane una ricerca misconosciuta nonostante sia complessa e ricca di dati e questo fatto non fa altro che confermare il contenuto dello studio», riconosce un po’ amaramente Cristiano Lucchi, giornalista e uno dei “volontari” de La città invisibile, la rivista del laboratorio politico PerUnaltracittà di Firenze che ha organizzato l’incontro di oggi a cui partecipa anche il professor Splendore.

Ma quali sono le caratteristiche della ricerca? «In mezzo alla febbrile rincorsa all’innovazione, al cambiamento, alla novità, ci si dimentica quali siano i capisaldi della professione, dei valori che guidano i giornalisti, degli ostacoli e delle costrizioni in cui sono obbligati quotidianamente a lavorare», scrive Splendore nella relazione presentata all’Ordine dei giornalisti della Lombardia.

Schermata 2016-05-18 alle 13.38.04
Dunque se i giornalisti italiani sono quelli più sottoposti alle pressioni della politica, quasi tutti a livello europeo ritengono che, oltre alla bassa remunerazione del proprio lavoro, le pressioni economiche facciano la parte del leone. In una scala che va da 0 a 5, la maggior parte dei professionisti dell’informazione valuta a 4 la soglia dell’influenza dell’economia sulla qualità dell’informazione. Contro il peso della politica e del mercato pubblicitario sono insufficienti gli strumenti di self regulation come i codici deontologici che in Italia non vengono ritenuti dei “fari” da seguire, così come non vengono considerati fondamentali gli Ordini (che in altri Paesi non esistono). Mentre invece nella relazione viene citato il caso della Gran Bretagna dove, dopo lo scoppio dello scandalo dei telefoni controllati del News of World di Murdochnel 2011, si è verificata una maggiore attenzione alla deontologia professionale. Nella ricerca però, si dimostra anche come i valori a cui si ispirano i giornalisti italiani interpellati attraverso il questionario (sono stati 172 e tutti professionisti) siano gli stessi condivisi dai colleghi europei: ricerca delle fonti, distacco, obiettività. «Nonostante ci sia un evidente iato tra la percezione che i giornalisti italiani hanno del loro lavoro e le performance che possono mettere in gioco, l’ipotesi è che nonostante la crisi, l’innovazione, gli stravolgimenti, queste basi su cui il giornalista costruisce la percezione che ha del suo lavoro, sono resistenti, condivise, affondano nella più radicata tradizione del giornalismo delle democrazie occidentali», si legge ancora nella ricerca di Splendore. «Per questo è importante sempre sostenere e accompagnare i giornalisti nelle loro azioni di resistenza alle pressioni che subiscono», continua Lucchi. «Quando un giornalista ha il coraggio di lottare per il diritto all’informazione è necessario affiancarlo nel suo impegno. Ossigeno per l’Informazione, l’osservatorio sui giornalisti minacciati e le notizie oscurate in Italia è un buon punto di partenza per conoscere e attivarsi». Inoltre, sempre dalla ricerca MediaAct emerge il dato per cui il 48% per cento dei lettori comincia a distinguere le buone dalle cattive fonti d’informazione. Bisogna continuare in questa direzione, dice Lucchi. «Basta scegliere bene dove informarsi. Se nessuno di noi oserebbe bere da una fontana che getta acqua avvelenata infatti, perché far dipendere l’esito della nostra vita da informazioni eterodirette altrettanto pericolose? ».

Gli inginocchiati sui santini di Beppe Sala

Insomma ci dicono che la questione dell’incandidabilità di Sala sia l’ennesimo bluff degli ennesimi gufi. Che in verità questa volta sono grilli (è il M5S) ma ormai il gufo è un animale onnicomprensivo. E anzi se spiate sulle bacheche Facebook dei candidati in sostegno a Sala vedrete che lamentano questa “perdita di tempo” che hanno dovuto sorbirsi. E allora forse vale la pena leggere la sentenza:

«L’ineleggibilità deve essere tenuta nettamente distinta dall’incandidabilità. Quest’ultima implica l’impossibilità di prendere parte, fin dall’inizio, alla competizione elettorale (T.A.R. Catania, sez. III, 25/03/2015, n. 843) e conduce alla nullità delle elezioni (si veda quale dato positivo in tal senso le disposizioni di cui al D.lgs. n. 235/2012), a differenza, invece, dell’ineleggibilità che non invalida l’ammissione della lista e comporta, quale unico effetto, la decadenza del solo candidato, senza ulteriori conseguenze sugli altri esiti del voto (T.A.R. Campobasso, sez. I, 19/02/2010, n. 134). 

Ed invero ai sensi dell’art. 33 del DPR n. 570/1960 la Commissione Elettorale Circondariale verifica la sussistenza di ipotesi di incandidabilità (cfr. in particolare la lett. c) ma non ha alcun potere in ordine alla verifica di ipotesi di ineleggibilità, in quanto del tutto irrilevanti ai fini della candidabilità. 

Ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 41 del D.lgs. 267/2000 e 82 del DPR 570/1960 il consiglio comunale, nella prima seduta e prima di deliberare su qualsiasi altro oggetto, ancorché non sia stato prodotto alcun reclamo, deve esaminare la condizione degli eletti a norma del capo II titolo III e dichiarare la ineleggibilità di essi quando sussista alcuna delle cause ivi previste. Le deliberazioni adottate in materia di eleggibilità dal Consiglio comunale possono essere impugnate da qualsiasi cittadino elettore del Comune, o da chiunque altro vi abbia diretto interesse, dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria.

Qualificata la fattispecie come sopra precisato e richiamate le disposizioni rilevanti, il Collegio osserva che l’azione, così come proposta, si presenta inammissibile.

Invero la prospettazione dei ricorrenti muove da un assunto che non può ritenersi corretto, ovvero che i verbali impugnati sarebbero illegittimi in quanto ammettono liste collegate ad un candidato Sindaco da ritenersi non eleggibile.

In realtà in ordine all’asserita ineleggibilità la Commissione Elettorale Circondariale di Milano, nella parte in cui ha ammesso le liste indicate in epigrafe, non ha assunto – correttamente – alcuna determinazione non avendone il potere, ai sensi della normativa sopra richiamata. 

Le deduzioni impugnatorie pertanto si articolano intorno ad una questione che, non essendo stata oggetto dei provvedimenti impugnati, assume carattere meramente teorico, senza riscontro alcuno in concrete determinazioni assunte dalla Commissione. 

La questione circa l’asserita ineleggibilità potrà trovare tutela, successivamente all’espletamento delle elezioni e a seguito della convalida degli eletti, davanti al giudice ordinario, ai sensi della normativa in vigore, sopra richiamata.

In conclusione, per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile.»

Ora, io non so voi, ma non mi pare di scorgere la certezza che il ricorso sia una perdita di tempo. Si legge che Sala è candidabile e sarà poi un tribunale a decidere se eleggibile. Il che per carità non è un’accusa ma è un senso molto diverso dalla sicumera di chi ha sentito questo ricorso come un affronto. Perché se c’è qualcosa di insopportabile, di questi tempi, è il bullismo politico. Prima stava a destra. Ora cola dappertutto.

Buon venerdì.

Roma capitale dell’elettronica e dell’arte contemporanea con lo Spring Attitude festival

Scordatevi rovine, classicità e anticaglie varie, dal 19 al 21 maggio la vecchia Roma si veste di primavera e diventa più avanguardista che mai trasformandosi in Caput Mundi della musica elettronica e della cultura contemporanea con Spring Attitude.
Un festival che giunto alla VII edizione, anche a giudicare dai risultati di pubblico raggiunti lo scorso anno, ridisegna la tradizionale geografia della Capitale, portando le persone ad abbandonare il centro in favore di spazi urbani riqualificati, come l’ex caserma Guido Reni, luoghi culto dell’arte moderna, come il MAXXI, e quartieri che raccontano la storia di un’altra Roma: quella dell’Eur dove si trova Spazio ‘900.

maxxi-rome-ex-caserma-guido-treni
Proprio al MAXXI infatti si terrà la serata di inaugurazione del festival, durante la quale il museo progettato da Zaha Hadid si vestirà a festa grazie “Altera LVSS” una performance di video-mapping progettata da Gianluca Del Gobbo, Martin Mayer e Fabio Sestili. «Altera LVSS è una creatura mutante – spiegano dallo staff – un videomapping in cui le coordinate audio e video sono continuamente generate in presa diretta, tanto da trasformare la performance in una vera e propria “installazione interattiva” che anima la vertiginose geometrie disegnate da Zaha Hadid».

Altera Lvss
Altro tratto distintivo di questa VII edizione è una buona dose di French Touch con il duo elettronico cult Air, per i meno ferrati quello della colonna sonora de Le vergini suicide di Sophia Coppola, di nuovo sul palco dopo 10 anni di assenza. E gli Acid Arab, altro duo d’Oltralpe approdato allo Spring Attitude grazie alla diretta collaborazione dell’Institut Français con la rassegna “La Francia in scena”.

 

«Altera LVSS è una creatura mutante un videomapping in cui le coordinate audio e video sono continuamente generate in presa diretta, tanto da trasformare la performance in una vera e propria “installazione interattiva” che anima la vertiginose geometrie disegnate da Zaha Hadid».


Gli Acid Arab sembrano inserirsi perfettamente in questo mettere a soqquadro e innovare le geografie tradizionali della Capitale, aprendo non solo al contemporaneo, ma anche alle contaminazioni, all’Oriente, alla sperimentazione. La musica che i due parigini, Guido Minisky e Hervé Carvalho, propongono al pubblico infatti è una sintesi di tutto questo. «Cerchiamo di usare la musicalità della lingua araba e dei dispositivi e tecnologie analogiche per creare qualcosa di nuovo» raccontano gli Acid Arab al The Guardian, «molti flauti che vengono utilizzati nella musica orientale e nord africana hanno un suono crudo e nasale» continuano «il modo in cui vengono registrati può farli suonare come delle “linee” d’acido. Questo non significa che la musica che facciamo sia un prestito culturale, contaminando vogliamo creare qualcosa di diverso e soprattutto essere rappresentativi del tempo in cui viviamo».

ACIDARAB- 2015 copieFlavienPrioreau
Oltre agli Acid Arab sul palco anche l’americano Rafael Anton Irisarri, uno dei grandi esponenti dell’ambient-drone music; i Red Axes, duo originario di Tel Aviv, e :Absent., uno dei progetti musicali di Ettore Bianconi, artista e sound designer in attività da quasi 10 anni, da sempre autore dei suoni digitali dei Baustelle, che presenterà il suo nuovo album “Tetra”.

Absent
Sempre, il 19 maggio, durante l’opening al MAXXI, John Duncan, padre della sperimentazione sonora, si esibirà con una performance audiovisiva e un concerto in cui coinvolgerà attivamente parte del pubblico.
Mentre con “Deep Dream” prenderà forma il sogno profondo dei NONE, collettivo artistico con base a Roma che ha curato l’allestimento del padiglione italiano al 69° Festival di Cannes e che produce suggestioni al confine tra arte, design e ricerca tecnologica. L’installazione multimediale realizzata per Spring Attitude per esempio prende spunto da un algoritmo scoperto involontariamente da Google. Con “Deep Dream” grazie ad un allestimento composto da un tunnel interamente formato da specchi, video e luci, il visitatore si troverà immerso in uno spazio infinito di immagini generate in modo random attingendo al database google-immagini. L’effetto sarà un bombardamento visivo e sonoro, una metafora del Web che si traduce in una realtà fisica e sensoriale in grado di gettare lo spettatore in uno streaming di dati senza dimensione e soprattutto senza esclusione di gattini, donne in pose più o meno ammiccanti e emoticons rubate ai social network.

09_NONE_Deep Dream_Spring Attitude_MAXXI_19_05_2016

Assolutamente da non perdere Cosmo, cantautore originario di Ivrea a metà fra il pop e l’elettronica, voce della band Drink To Me e Clap!Clap!, alias Cristiano Crisci, uno degli artisti elettronici italiani che più riscuotendo più successo fuori dai confini del Belpaese.

air-french-band-01
“Echoes of the Crowd” è invece l’installazione interattiva del collettivo Metapherein che, attraverso un pavimento interattivo e un live visual, mette in scena, all’ex caserma Guido Reni, un’ opera in cui passato e presente coesistono, un meta-luogo della memoria nel quale lo spettatore può vagare a suo piacimento.

Echoes of the Crowd (Trailer) from MetaphereinCollective on Vimeo.

 

Questo giro del mondo in soli tre giorni si concluderà sabato 21 maggio con il nu-rave degli Anudo e il trip hop psichedelico e ballabile di Lamusa per approdare poi a Spazio ‘900 con il rush finale degli AIR, ma anche con l’italianissimo Iosonouncane, grande rivelazione del panorama musicale indie del 2015.

Programma completo e biglietti su www.springattitude.it

Agguato mafioso contro Giuseppe Antoci, colui che ha acceso la luce al Parco dei Nebrodi

Il Parco dei Nebrodi è la più larga zona protetta della Sicilia. Tra le provincia di Catania, Messina ed Enna abbraccia ventiquattro Comuni e s’impegna a preservare la flora della Sicilia da cartolina, quella che appassiona i turisti e che esercita un richiamo nazionale. In realtà quel parco per qualcuno avrebbe dovuto essere il posto ideale “p’ammucciarisi” e lo sapevano bene i mafiosi che qui per anni hanno latitato protetti dalla vegetazione e dall’incuria e hanno potuto scorrazzare liberamente tra pascoli abusivi, abigeato, furto di macchinari agricoli e macellazione clandestina. Se la mafia ha bisogno di copertura beh, le fronde dei Nebrodi erano l’ambiente perfetto.

Fino all’arrivo di questo ultimo direttore, Giuseppe Antoci, che ha deciso di rendere il Parco dei Nebrodi simbolo di bellezza e di legalità. Antoci (con il sostegno della Regione Sicilia) aveva iniziato un percorso di moralizzazione contro la “mafia dei pascoli” e contro la speculazione dei terreni e la mafia, ovviamente, non aveva gradito: si sono succedute le lettere anonime («finirai scannato tu e crocetta» si leggeva nell’ultima) e le minacce. Fino a ieri notte quando, dopo avere partecipato a una manifestazione, Antoci e la sua scorta sono stati bloccati lungo la strada statale che collega San Fratello a Cesarò, nel messinese, e due uomini armati hanno cominciato a sparare. «All’inizio ho avuto l’impressione che si trattasse di una sassaiola contro la macchina blindata, solo qualche secondo dopo ho capito cosa stesse realmente accadendo» ha dichiarato Antoci, ancora scosso ma per niente intimidito, «è stata una notte drammatica, ma sto bene. Il mio grazie va alla polizia per avermi salvato la vita. Il mio impegno non si ferma e vado avanti». La scorta infatti ha risposto al fuoco e ha messo in fuga i delinquenti.

Subito è arrivata la solidarietà dalla politica a partire dal presidente della Sicilia Rosario Crocetta che ha dichiarato: «L’episodio si lega alla battaglia che con il presidente Antoci stiamo facendo contro la mafia dei pascoli e all’azione di moralizzazione che stiamo portando avanti, che ha già portato a diversi arresti sul territorio. Ora – ha aggiunto Crocetta -occorre rafforzare le misure di sicurezza a favore di Antoci e intensificare l’azione di lotta contro la mafia dei Nebrodi, che pensa ancora di essere potente e immune. Dobbiamo liberare la provincia di Messina dalla mafia dei colletti bianchi e – conclude – da quella che nei territori esercita un potere violento verso i cittadini”. Tutte le forze politiche regionali hanno espresso la loro solidarietà e già oggi il Prefetto di Messina ha convocato una tavolo sulla sicurezza straordinario per valutare eventuali disposizioni. Possibile, attraverso il segretario Civati, ha chiesto anche al governo una maggiore attenzione sulla «battaglia alle mafie di cui, ultimamente, sembra di sentirne solo parlare per ospitate televisive o per polemizzare contro la fiction di turno».

Dopo il tritolo che sarebbe servito per un attentato al Procuratore di Napoli Colangelo la sventagliata di kalashnikov contro Antoci è un altro episodio che preoccupa per violenza. «Non c’è nessun ritorno alla strategia stragista» ha tranquillizzato il Procuratore Antimafia Roberti. Ma l’attenzione è altissima.

Il Portogallo vive per quattro giorni di sole energie rinnovabili

La settimana scorsa il Portogallo è andato avanti per ben quattro giorni utilizzando solo energie rinnovabili. Questo è quel che dicono i dati raccolti dai fornitori nazionali: dall’alba del 4 maggio alla sera del 7 non c’è stato bisogno di attingere alle centrali elettriche tradizionali. Domenica scorsa era successa la stessa cosa in Germania – che è un dato più clamoroso, visto che il Paese, anche di domenica, di certo ha consumi molto più alti. In passato anche in Danimarca si sono ottenuti risultati simili.

La notizia è importante in assoluto e clamorosa se si pensa che nel 2013 il Paese iberico viveva ancora di energia fossile per metà del totale – più 27% di nucleare. All’epoca l’eolico era il 7%, mentre lo scorso anno era già il 22%, con il totale della produzione rinnovabile pari a poco meno della metà del totale.

Nel 2015 l’energia eolica ha toccato livelli alti in Danimarca (42%), Spagna (20%), Germania e Gran Bretagna (14 e 11%). Un ulteriore dato positivo, una volta tanto, è il calo dei consumi energetici europei, che si somma all’aumento dell’uso di rinnovabili. La tabella qui sotto mostra come, dal picco del 2006, l’Europa stia scendendo lentamente verso livelli simili a quelli degli anni ’90. Non siamo ancora agli obbiettivi fissati per il 2020, ma un pochino ci stiamo avvicinando.Screen Shot 2015-02-09 at 16.22.29

Crescono i voucher, crollano gli indeterminati. Dal lavoro buono al buono lavoro

Corrisponde a una donna di 36 anni l’identikit del “prestatore di lavoro accessorio”, ovvero il lavoratore con voucher. L’ultimo rapporto dell’Inps – Il lavoro accessorio 2008-2015 – ci dice che nel 2015 sono stati venduti 115 milioni di voucher, un numero enorme se si pensa che nel 2010 non erano nemmeno 10 milioni. Quelli riscossi dai lavoratori sono stati quasi 88 milioni. Insomma, negli otto anni trascorsi dalla prima sperimentazione – quando il ticket era previsto solo per lavoretti occasionali di studenti e pensionati, così come da riforma Biagi (2003) – ecco che i buoni lavoro registrano il boom. Nel 2015 sono stati 1.380.000 i lavoratori che hanno percepito almeno un buono (per 473mila committenti): solo in 207mila hanno percepito più di mille euro, quindi l’85% è rimasto al di sotto di questa cifra. E quasi un milione ha percepito meno di 500 euro.

Intanto i contratti a tempo indeterminato – rende noto ancora l’Inps – hanno un calo a picco: -77% tra gennaio e marzo 2016. Nei primi tre mesi dell’anno, insomma, si contano 51mila contratti a tempo indeterminato, contro le 225mila di un anno fa. A crescere, insomma, sono i rapporti di lavoro precari (+22%) e – appunto – i voucher (45%).

Chi sono i voucheristi?
Solo 207mila lavoratori hanno guadagnato più di 1.000 euro netti nei dodici mesi, mentre quasi un milione si sono accontentati di meno di 500 euro. Ecco chi sono:
– 8% pensionati
– 14% mai occupati: per lo più ventenni, donne (60%), recidivi (30%)
– 18% indennizzati, con sussidio Aspi, mini Aspi o Naspi: per lo più maschi, media di età 37 anni
– 29% occupati nel privato: a tempo indeterminato (oltre la metà), con contratti a termine (46%)
– 23% silenti (ex occupati): per lo più donne (57%), per un’età media di 37 anni
– 8% altri occupati (domestici, parasubordinati, operai agricoli, lavoratori autonomi, casse professionali, dipendenti pubblici): 40 anni di età media

Chi sgancia i voucher?
Sono 473mila le aziende che hanno utilizzato “prestatori di lavoro accessorio”, il doppio rispetto al 2013. Solo 16mila di queste aziende operano nel settore agricolo, mentre 250mila sono nell’industria e nel terziario ed erogano il 76% dei voucher, ecco in quali settori:
– alberghi e turismo (75 mila)
– commercio (53 mila)
– costruzioni (quasi 14 mila),
– servizi alle imprese e informatica (oltre 20 mila)
– artigiani e commercianti senza dipendenti (65 mila)

Folklorismo e politica: il discorso della Regina a Westminster

Il re (o la regina) fanno il discorso del Trono, così si chiama, ad ogni apertura di sessione del Parlamento dal XIV° secolo. E poco è cambiato, se non che il ruolo del sovrano britannico è cambiato non poco nel frattempo. Durante il discorso è considerato sconveniente mostrare segni di approvazione o disapprovazione. Niente applausi, siamo inglesi! Ecco le immagini dell’arrivo di Elisabetta II, la più longeva regnante britannica di sempre, a Westminster per il discorso del 2016.

Britain's Queen Elizabeth II holds the hand of Prince Philip, as they proceed through the Royal Gallery for the State Opening of Parliament in the House of Lords, at the Palace of Westminster in London, Wednesday May 18, 2016. The Queen will give a speech to parliament about the government's programme for the upcoming parliamentary year. Britain's Prince Charles and the Duchess of Cornwall, centre, follow the queen. (Toby Melville / Pool via AP)

Britain's Queen Elizabeth II holds the hand of Prince Philip, as they proceed through the Royal Gallery for the State Opening of Parliament in the House of Lords, at the Palace of Westminster in London, Wednesday May 18, 2016. The Queen will give a speech to parliament about the government's programme for the upcoming parliamentary year. Prince Charles follows, right, (Toby Melville / Pool via AP)

A guest of a member of the House of Lords holds her program ahead of Britain's Queen Elizabeth II reading the Queen's Speech during the State Opening of Parliament in the House of Lords in London, Wednesday, May, 18, 2016. The State Opening of Parliament marks the formal start of the parliamentary year and the Queen's Speech sets out the government's agenda for the coming session.(AP Photo/Alastair Grant Pool)

Britain's Queen Elizabeth II reads the Queen's Speech from the throne during the State Opening of Parliament in the House of Lords in London, Wednesday, May, 18, 2016. The State Opening of Parliament marks the formal start of the parliamentary year and the Queen's Speech sets out the government's agenda for the coming session.(AP Photo/Alastair Grant Pool)

Britain's Queen Elizabeth II and Prince Philip, sit in the House of Lords ahead of the Queen's Speech at the State Opening of Parliament in London on Wednesday May 18, 2016. The State Opening of Parliament marks the formal start of the parliamentary year and the Queen's Speech sets out the government’s agenda for the coming session. (Chris Jackson/Pool via AP)