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Dialogo tra un vecchio gufo e uno “che vuol bene all’Italia”

“Benvenuto, ora che Renzi ha preso a dire che non vuol più personalizzare il voto d’ottobre, potremo finalmente parlare del merito delle riforme, ben 47 articoli della costituzione cambiati e stravolti”.
“Va bene, ma non cominciare. Fine del bicameralismo paritario, voto di fiducia e leggi di bilancio in una sola Camera. Non ti pare già tanto per rendere più veloce e moderno il processo legislativo. O ti metterai anche tu a spaccare il capello come quei professoroni che – lo sai bene – non firmano mai nulla che non abbiano scritto di mano propria”.
“Ti ricordo che il progetto di riforma di noi Gufi al Senato, quello scritto da Casson, da Tocci, da Mucchetti prevedeva, anch’esso, che bilancio e fiducia spettassero solo alle Camere, lasciando al Senato della Repubblica, le “garanzie”, le questioni dei diritti, le leggi che rimandano ai valori fondamentali previsti dalla Costituzione. Poi, mio caro, tagliava più diarie del progetto Renzi Boschi: 150 senatori e 350 deputati, solo 500 eletti contro i 630 deputati più 100 senatori che ce ne lascia il rottamatore”.
“Corradino, non capisci. Come si può eleggere a suffragio generale una Camera che non vota più la fiducia né la legge di stabilità e poi c’era necessità di cambiare la cattiva riforma del titolo quinto, lasciataci dalla sinistra quando scimmiottava i leghisti”.
“L’hai detto, non capisco proprio perché le alte funzioni di garanzia non possano essere delegate ad eletti dal popolo. Quanto alla riforma della riforma del titolo quinto, è stata infilata a forza nel testo per sostenere la tesi del Senato delle Regioni. Solo che l’aborto che ne è uscito non somiglia affatto al Bundesrat: 100 senatori scelti in modo proporzionale ai voti ricevuto in regione dai Consigli regionali. Sai che vuol dire? Cento pretoriani di partito, cento questuanti a Roma, cento politici che passano dagli affari locali allo scudo dell’immunità”.
“Già bravo tu, erano meglio Razzi e Scilipoti? Forse non aveva tutti i torti Matteo quando vi ha accusato di perdere tempo per non perdere la poltrona”.
“Veramente avevo proposto di sciogliere il Senato. Semplicemente, una sola Camera meglio di due con sette diversi processi legislativi, un ping pong che proseguirà e sarà regolato, quando lo sarà, pagando qualcosa a chi fa perdere tempo. Oppure dovrà intervenire la Corte, più e più di prima”.
“Il solito estremista, o non vuoi cambiare niente, far saltare tutto. Sciogliere il Senato, ma dai!”.
“Guarda che era una proposta serissima. Voleva costringere Renzi e la sua maggioranza accecata a prendere in considerazione la necessità di rafforzare i poteri di garanzia, quando si lascia in piedi una sola Camera e la si vuole eleggere con una legge super maggioritaria come l’Italicum”.
“Garanzie, garanzie, ma hai visto che maggioranza ci vuole per eleggere il Presidente della Repubblica? E quando mai lo sceglie il premier se l’opposizione non è d’accordo”.
“Beh, a un certo punto basta la maggioranza dei presenti. Ma guarda fingiamo che le opposizioni – saranno molte e diverse per via dello sbarramento bassissimo al 3% – si coordinino e diano filo da torcere al premier contestando la sua proposta per la Presidenza. ma non c’è una clausola di caduta, si può votare all’infinito e sputtanare le istituzioni. In Grecia, il solo Paese oltre al nostro con una legge proporzionale e premio di maggioranza, quando dopo 3 voti non si riesce ad eleggere il presidente si sciolgono le camere”.
“Insomma non ti ho convinto, ma continueremo a discutere”.
Sì, certo, Renzi permettendo.

Come sta andando dunque, il percorso di Sinistra italiana? Insomma. Le iscrizioni sono al palo, la piattaforma Commo che dovrebbe aprire la via a un partito nato dal basso e ricordare Podemos è più un blog con qualche sondaggio che altro. Si dirà che il congresso è ancora lontano e che tutto si animerà, ma è ancora una mezza verità. La verità è che non è certo solo Gad Lerner a pensare che «se anche Fassina prendesse il doppio dei voti che gli danno i sondaggi resterebbe ininfluente».

Questo editoriale lo trovi sul numero 21 di Left in edicola dal 21 maggio

 

SOMMARIO ACQUISTA

Cile, il disastro della marea rossa in immagini

Joaquin Martinez, pescatore, cammina su una spiaggia di Tolten ricoperta da sardine morte. (AP Photo/Felix Marquez)

La chiamano “marea roja” e in pochi giorni ha trasformato l’arcipelago cileno di Chiloé da meta turistica in cimitero della biodiversità, marina e non solo. La marea in questione è frutto dell’abnorme proliferazione di alghe tossiche e maleodoranti che hanno messo in ginocchio la pesca e l’economia locale, dal momento che possono causare danni anche gravi alla salute umana. Una tossina idrosolubile sintetizzata da alghe microscopiche dette “dinoflagellati” paralizza il sistema nervoso centrale fino a uccidere pesci, uccelli e altre specie che popolano il mare e la costa, compresi i grandi mammiferi marini. Si chiama saxitossina ed è nota anche come “veleno paralizzante dei bivalvi”.

Joaquin Martinez, pescatore, cammina su una spiaggia di Tolten ricoperta da sardine morte. (AP Photo/Felix Marquez)
Joaquin Martinez, pescatore, cammina su una spiaggia di Tolten ricoperta da sardine morte. (AP Photo/Felix Marquez)

Il fenomeno non è inconsueto nelle isole cilene, ma – assicurano i pescatori – è la prima volta che si manifesta in forma così estesa e con una tale quantità di animali coinvolti. Partita dalla regione di Los Lagos, si è estesa rapidamente al nord verso Los Rios senza accennare a diminuire d’intensità, tanto che il ministro della Pesca e Acquacoltura cileno, Raul Sunico, ha dovuto chiudere gli allevamenti. Probabilmente è la marea rossa più estesa mai verificatasi nel continente sudamericano. Gli scienziati spiegano che le dimensioni di questa estesissima fioritura algale, che si prevede duri ancora per molte settimane, sono strettamente connesse alle temperature record registrate in questi mesi, anche in connessione con El Niño, il fenomeno meteorologico che provoca il surriscaldamento delle acque del Pacifico. I cambiamenti climatici, dunque, giocano un ruolo centrale nella diffusione ed estensione di questi fenomeni.

Sardine morti sulla baia di La Barra, nella regione di Araucania. EPA/Andres Perez
Sardine morte sulla baia di La Barra, nella regione di Araucania. (EPA/Andres Perez)

Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza in tutta l’area, ma ciò non è bastato a placare le proteste della popolazione locale, preoccupata per la sua stessa sussistenza, contro la presidente cilena Michelle Bachelet. I pescatori in particolare attribuiscono la responsabilità del disastro agli allevamenti di salmone – molto diffusi in Cile e il cui impatto ambientale è effettivamente elevato. Il sospetto è anche legato al fatto che all’inizio del 2016 un’altra “invasione” di alghe ha causato proprio una moria di salmoni, con migliaia di tonnellate di pesce allevato in decomposizione scaricate in mare. Finora sono andate perdute 100mila tonnellate di salmone (e un quantitativo molto maggiore di altri pesci e crostacei), ma le aziende che gestiscono gli allevamenti respingono le accuse.

Una donna cammina su una spiaggia di Tolten, ricoperta di sardine morti. (AP Photo/Felix Marquez)
Una donna cammina su una spiaggia di Tolten, ricoperta di sardine morte. (AP Photo/Felix Marquez)

Ora i pescatori chiedono risarcimenti adeguati da parte dello Stato. Lo scorso 13 maggio, il ministro dell’Economia, Luis Felipe Céspedes, ha annunciato la costituzione di una commissione di scienziati indipendenti con lo scopo di individuare le cause del fenomeno. L’obiettivo è duplice: determinate l’esistenza di un nesso tra il cosiddetto “dumping del salmone” e la marea rossa e realizzare un piano d’intervento rapido ed efficace. Dopo giorni di proteste e blocchi stradali, seguiti da negoziati tra comunità locali e governo, in molte comunità la protesta è quasi rientrata. Il governo ha accettato di risarcire ogni famiglia coinvolta con 441 dollari, dopo che l’offerta di 147 dollari per ogni nucleo familiare aveva fatto esplodere le contestazioni. Ma la crisi potrebbe farsi sentire ancora per mesi e i danni all’ecosistema molto di più.

I crostacei morti che coprono la spiaggia di Cucao. (AP Photo/Esteban Felix)
I crostacei morti che coprono la spiaggia di Cucao. (AP Photo/Esteban Felix)

Una delle spiaggie ricoperta di crostacei in Cucao, a Chiloé. (AP Photo/Esteban Felix)
Una delle spiaggie ricoperta di crostacei in Cucao, a Chiloé. (AP Photo/Esteban Felix)

Freddy Guenuman, pescatore, ispeziona i molluschi coprono la spiaggia di Cucao, a Chiloé. (AP Photo/Esteban Felix)
Freddy Guenuman, pescatore, ispeziona i molluschi che coprono la spiaggia di Cucao, a Chiloé. (AP Photo/Esteban Felix)

Un operaio cileno raccoglie le sardine morte sulla spiaggia di Tolten, Temuco. (AP Photo/Felix Marquez)
Un operaio cileno raccoglie le sardine morte sulla spiaggia di Tolten, Temuco. (AP Photo/Felix Marquez)

Un operaio cileno raccoglie le sardine morte sulla baia di La Barra, nella regione di Araucania. EPA/ANDRES PEREZ
Un operaio cileno raccoglie le sardine morte sulla baia di La Barra, nella regione di Araucania. EPA/Andres Perez

Lavoratori cileni raccolgono le sardine morte nella baia di La Barra, nella regione di Araucania. EPA/ANDRES PEREZ
Lavoratori cileni raccolgono le sardine morte nella baia di La Barra, nella regione di Araucania. EPA/Andres Perez

Gente cammina tra le meduse morte sulla spiagga di Cucaco Beach, Chiloé. EPA/Sebastian Silva
Gente cammina tra le meduse spiaggiate a Cucaco Beach, Chiloé. EPA/Sebastian Silva

Una foca morta sulla spiaggia Mar Brava beach a Chiloe. (AP Photo/Esteban Felix)
Una foca morta a Mar Brava beach, Chiloé. (AP Photo/Esteban Felix)

Una medusa morta sulla spiaggia di Chiloe. (AP Photo/Esteban Felix)
Una medusa sulla spiaggia di Chiloé. (AP Photo/Esteban Felix)

I resti di un pinguino sulla riva a Tolten, Temuco. (AP Photo/Felix Marquez)
I resti di un pinguino sulla riva a Tolten, Temuco. (AP Photo/Felix Marquez)

un messaggio sulla vetrina di un negozio recita in spagnolo "Chiloe difende il suo mare, la sua terra, e la sua gente”. (AP Photo/Esteban Felix)
Messaggio sulla vetrina di un negozio: “Chiloé difende il suo mare, la sua terra, e la sua gente”. (AP Photo/Esteban Felix)

Un pescatore pone una bandiera cilena su una barca usata come blocco stradale dai manifestanti. (AP Photo/Esteban Felix)
Un pescatore pianta la bandiera cilena su una barca usata per un blocco stradale. (AP Photo/Esteban Felix)

Un subacqueo si insinua nella pozza sulla strada durante una marcia di protesta nell’sola di Chiloé. (AP Photo/Esteban Felix)
La protesta di un sub che si getta in una pozza per strada durante una manifestazione nell’sola di Chiloé. (AP Photo/Esteban Felix)

Un momento della protesta dei pescatori in una strada a Chiloé, sud del Cile. EPA/SEBASTIAN SILVA
Un momento della protesta dei pescatori a Chiloé, sud del Cile. EPA/SEBASTIAN SILVA

"Hanno ucciso il nostro mare", ha detto Millaquien, una delle pescatrici che lavorano sull’isola. (AP Photo/Esteban Felix)
“Hanno ucciso il nostro mare”, ha detto Millaquien, una delle pescatrici che lavorano sull’isola. (AP Photo/Esteban Felix)

12 maggio 2016. Un blocco stradale della protesta dei pescatori di Calbuco, Cile. EPA/SEBASTIAN SILVA
12 maggio 2016. Un blocco stradale dei pescatori di Calbuco, Cile. EPA/Sebastian Silva

Barche da pesca ormeggiate in un porto in Dalcahe Comune a Chiloé, sud del Cile. EPA/SEBASTIAN SILVA
Barche da pesca ormeggiate in porto a Dalcahe Comune, Chiloé. EPA/Sebastian Silva

Un momento della protesta del 6 maggio dei pescatori che hanno perso il lavoro. (AP Photo/Esteban Felix)
6 maggio. La protesta dei pescatori che hanno perso il lavoro. (AP Photo/Esteban Felix)

Testo di Raffaele Lupoli
Gallery a cura di Monica di Brigida

20 maggio 1970: nasce lo Statuto dei Lavoratori. Una storia di attacchi e resistenza

Una manifestazione a favore dello Statuto dei lavoratori in una foto degli anni sessanta. ANSA/ ARCHIVIO STORICO CGIL ++HO - NO SALES EDITORIAL USE ONLY++

Lo Statuto dei lavoratori compie 46 anni. Il 20 maggio del 1970 la legge 300/1970, conosciuta anche come “Norme sulla tutela e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” venne pubblicata in Gazzetta Ufficiale. Era stata approvata alla Camera il 15 maggio con i 217 voti favorevoli della maggioranza al governo (democristiani, socialisti unitari e liberali) e dei repubblicani. Missini, Pci e Psiup si erano astenuti: in particolare i comunisti, pur essendo d’accordo con il testo, lamentavano la mancanza di tutele per i lavoratori delle imprese più piccole – quelle con meno di 15 dipendenti.

Il provvedimento, uno dei più avanzati al mondo in materia dei diritti di lavoro, ha dato piena attuazione alle disposizioni previste dalla Costituzione e rimaste fino ad allora inapplicate. Le novità introdotte furono molteplici: con l’art.1 venne sancita la libertà d’opinione del lavoratore, che sostanzialmente non poteva più venire discriminato o licenziato per le sue opinioni politiche o religiose. Un’altra importante norma (art.2) all’epoca considerata il cuore della legge, prevedeva il divieto per il datore di lavoro di ricorrere alle guardie giurate per controllare l’attività dei dipendenti. L’art.4 proibì invece l’uso di impianti audiovisivi per sorvegliare a distanza le attività dei lavoratori. Norma parzialmente “tradita” dal controllo a distanza con dispositivi web e telecamere previsto dal Jobs act. Ma questa è solo una delle ultime tappe della storia travagliata dello Statuto, segnato negli anni da tentativi di modifica e da cambiamenti reali. Per esempio a proposito dell’articolo 18, una delle novità principali. La norma, che prevedeva il reintegro del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, è stata depotenziate dalle ultime «riforme» in materia di lavoro: in primis la legge Fornero (dal nome della Ministra del Lavoro del governo Monti) ha introdotto una casistica di possibilità che prevedono l’erogazione di un indennizzo economico al posto del reintegro sul luogo di lavoro per i lavoratori licenziati senza giusta causa. Il Jobs Act del governo Renzi invece «congela» le tutele previste dalla norma per i contratti stipulati dopo il 1 marzo del 2015. Ma Renzi arriva per ultimo, come dicevamo. L’art. 18 aveva infatti resistito agli attacchi dei vari governi Berlusconi che si erano espressi per l’abolizione della norma. Si pensi che nel 2002 la Cgil dell’allora segretario Sergio Cofferati portò al Circo Massimo oltre 3 milioni di persone, contro la proposta del Ministro del Lavoro Roberto Maroni di sospendere l’art. 18 per quattro anni.

Un po’ di storia. Nei primi anni della Repubblica le disposizioni previste dalla Costituzione rimasero a lungo lettera morta. La Polizia, guidata in quegli anni dal ministro dell’Interno Mario Scelba, attuò una dura politica antisindacale di repressione degli scioperi e delle agitazioni operaie, lasciando spesso sul terreno numerosi morti e feriti – come avvenne, ad esempio, con la strage di Modena del 1950. Il clima all’interno delle fabbriche era all’epoca molto duro, e per gli operai politicizzati e sindacalizzati c’era il serio rischio di essere mandati a casa senza la possibilità né di un indennizzo economico né del reintegro. Addirittura la Fiat degli anni 50 e 60 schedava i lavoratori più attivi nel difendere i loro diritti, per poi licenziarli.

La proposta di Giuseppe Di Vittorio. Già al Congresso della Cgil di Napoli del 1952, il fondatore e segretario generale Giuseppe Di Vittorio, propose l’approvazione di uno Statuto con il fine di «portare la Costituzione nelle fabbriche» e di rendere così effettivi tutti quei principi di libertà in materia di lavoro previsti dalla Carta ma rimasti in sostanza inapplicati.

«Il lavoratore è un uomo, ha una sua personalità, un suo amor proprio, una sua idea, una sua opinione politica, una sua fede religiosa, e vuole che, questi diritti siano rispettati da tutti e, in primo luogo dal padrone (…) perciò sottoponiamo al Congresso un progetto di “Statuto” che intendiamo proporre, non come testo definitivo, alle altre organizzazioni sindacali (…) per poter discutere con esse e lottare per ottenerne l’accoglimento e il riconoscimento solenne».
«Il lavoratore è un uomo, ha una sua personalità, un suo amor proprio, una sua idea, una sua opinione politica, una sua fede religiosa, e vuole che, questi diritti siano rispettati da tutti e, in primo luogo dal padrone (…) perciò sottoponiamo al Congresso un progetto di “Statuto” che intendiamo proporre, non come testo definitivo, alle altre organizzazioni sindacali (…) per poter discutere con esse e lottare per ottenerne l’accoglimento e il riconoscimento solenne». Giuseppe Di Vittorio, Congresso Cgil di Napoli, 1952.

«La proposta di Brodolini. Alle lotte studentesche del ’68 seguirono le lotte operaie del ’69 («l’autunno caldo»). Tra il settembre e il dicembre del ’69 il conflitto sociale raggiunse il suo apice. La questione principale era il rinnovo di 32 contratti collettivi di lavoro, che interessavano ben 5 milioni di persone. L’episodio più significativo avvenne allo stabilimento Fiat di Mirafiori il 29 ottobre dello stesso anno, giornata in cui era stato indetto uno sciopero per il rinnovo del contratto metalmeccanico: alcuni uomini vi entrarono armati di spranghe e devastarono alcune linee di montaggio. Alla decisione dei vertici dell’azienda di denunciare 122 operai ritenuti responsabili dell’accaduto, i sindacati organizzarono numerose mobilitazioni. Alla fine il ministro del Lavoro Carlo Donat Cattin, democristiano, costrinse l’azienda torinese a ritirare le denunce. Il clima era comunque molto teso, gli scontri di piazza tra attivisti della sinistra extraparlamentare e operai da una parte e polizia dall’altra erano molto frequenti, come del resto lo erano le occupazioni di fabbrica. La tensione raggiunse il suo culmine con la strage di Piazza Fontana del 15 dicembre del ’69, che provocò 17 morti e decine di feriti.

 

In quegli anni nacque la formula del «centro-sinistra organico»: in poche parole i democristiani governavano assieme ai socialisti. E socialista era il ministro del Lavoro dell’epoca, Giacomo Brodolini, che raccolse la sfida lanciata anni prima da Di Vittorio, costituendo una Commissione di esperti incaricata di redigere una bozza di testo, guidata dal docente universitario Gino Giugni (scomparso nel 2009), anch’egli socialista. Brodolini morì subito dopo l’istituzione della Commissione, e non riuscì ad assistere all’approvazione della legge 300 il 20 maggio del 1970. In memoria del giuslavorista fu creata una fondazione con sede a Roma.

Il futuro. Nonostante gli attacchi e le modifiche degli ultimi anni, la partita è tutt’ora in corso: la Cgil ha proposto l’istituzione di un nuovo Statuto dei Lavoratori, la Carta dei Diritti Universali del Lavoro, una raccolta di norme volte a proteggere tutte le tipologie lavorative e contrattuali, non solo di quelle di tipo dipendente – si pensi al lavoro autonomo, completamente sprovvisto di garanzie e di tutele. La raccolta delle firme necessarie per far diventare la proposta una legge di iniziativa popolare è partita lo scorso 9 aprile. Assieme alla Carta la Cgil promuove anche due referendum abrogativi, i cui quesiti chiedono l’abolizione dei voucher e della disciplina dell’indennizzo economico in caso di licenziamento illegittimo. La campagna proseguirà fino all’8 luglio per i quesiti referendari, mentre per la Carta terminerà il prossimo 8 ottobre. Sarà possibile firmare in tutta Italia. Per trovare il punto di raccolta firme più vicino basta cliccare qui.

7 fotografi in Grecia sulla rotta dei migranti

© Simone Mizzotti per Fondazione Fotografia di Modena - tende nella stazione di Idomeni

«Arrivato ad Evzoni, paese prima di Idomeni, appare tutto molto tranquillo», racconta il fotografo Simone Mizzotti appena messo piede in Grecia «attorno solo campagna, campi coltivati e agricoltori che lavorano la terra. Imbocco la strada per Idomeni, verso il confine con la Macedonia, e subito si apre uno scenario surreale. Sulla sinistra alla stazione dell’Hara Hotel si vedono decine e decine di tende ammassate sotto il distributore di benzina, e tutte intorno nei campi. Questa è una delle aree di servizio occupate dai migranti».

© Simone Mizzotti per Fondazione Fotografia di Modena - stazione di servizio Eko (Eko petrol station) a Polikastro
© Simone Mizzotti per Fondazione Fotografia di Modena – stazione di servizio Eko (Eko petrol station) a Polikastro

«Proseguo e arrivo al campo di Idomeni, tassinari attendono che qualcuno chieda loro di portarli chissà dove, cercando di speculare sulla disperazione e sulla speranza. Parcheggio e mi incammino attraverso il campo profughi. La strada conduce verso la ferrovia, sia a destra che a sinistra ci sono tende, alcune piccole altre grandi che ospitano famiglie più numerose.
Arrivato alla ferrovia si apre uno scenario apocalittico, di nuovo un mare di tende, sono ovunque sui binari. Fuochi accesi per farsi da mangiare e fumo, anche quello ovunque. Imbocco i binari, cerco di non guardare le persone, è una cosa che mi viene spontante un po’ per istinto un po’ per rispetto. Eppure è impossibile non notare le pessime condizioni di vita.

«Arrivato alla ferrovia si apre uno scenario apocalittico, di nuovo un mare di tende, sono ovunque sui binari. Fuochi accesi per farsi da mangiare e fumo, anche quello ovunque».

Dopo una lunga camminata e dopo aver ripreso fiato, inizio a fotografare ma con molta fatica. Ritorno sui binari della ferrovia e incontro una famiglia che mi invita a sedermi con loro e bere un bicchiere di tè. Accetto e mi siedo, mi parlano in arabo cercando di farsi capire, e ci riescono, vogliono solo un tetto e un materasso per far dormire i loro figli. Fumiamo una sigaretta e dopo due sorrisi gli scatto una polaroid, gliela regalo e mi ringraziano sorridenti, ci salutiamo e me ne vado. decido di rientrare in Hotel, come primo giorno può bastare. me ne vado con meno peso sullo stomaco e con un bel sorriso in più.
I giorni successivi sono più distesi, ma ogni mattina rientrando al campo sento sempre il peso di questa situazione assurda e incomprensibile».

Francesco Mammarella
Francesco Mammarella per Fondazione Fotografia Modena

Un’altra testimonianza diretta viene da Francesco Mammarella: «Oggi abbiamo visitato il centro di accoglienza dei rifugiati di Leros, che ospita circa cento persone, molte delle quali sono bambini ed adolescenti. Avremmo potuto scattare centinaia di fotografie emozionanti, ma non ne abbiamo realizzato neppure una. Abbiamo preferito fare qualcosa per loro: cinque intense ore di gioco, tra cui una combattutissima partita a calcio tra i team Siria-Iraq-Afghanistan-Italia contro Siria-Iraq-Pakistan finita, forse, con la vittoria di quest’ultima».

 

«Avremmo potuto scattare centinaia di fotografie emozionanti, ma non ne abbiamo realizzato neppure una. Abbiamo preferito fare qualcosa per loro: cinque intense ore di gioco».

© Simone Mizzotti per Fondazione Fotografia di Modena. Nella foto dei clown fanno giocare i bambini nella stazione di Idomeni.
© Simone Mizzotti per Fondazione Fotografia di Modena

Left è media partner ufficiale di Fondazione Fotografia Modena per questo progetto

Pannella e i visionari che ci mancano

Strano il mondo: muore Marco Pannella e Adinolfi può scrivere “le sue conquiste sono falsi diritti”. Adinolfi è così: tutta una vita a negare i diritti agli altri e degli altri facendone una professione. Ma non è di questo che voglio scrivere, no. Su twitter interviene qualcuno e gli dice “caro Adinolfi, senza Pannella non avresti potuto risposarti a New York”. E a me è sembrato, sinceramente, uno dei coccodrilli più belli per il leader radicale.

Perché Pannella è uno dei grandi riformatori dei diritti di questi ultimi anni, per di più in un Paese schiacciato dalla nebbia clericale, conformista e piccola borghese. E visionario. Visionario senza misticismo. Visionario come ne mancano qui, di visionari appassionanti e appassionati.

E sapeva, lui, che il ruolo di politico non è poi così diverso dal drammaturgo e capocomico: richiede una continua inventiva provocatoria e la capacità di scrivere la sceneggiatura dei giorni che vengono, mentre tutti stanno lì appesi ad aspettare che si lanci la battuta. E le stesse lacrime che si sprecano in queste ore (in un Italia che d’improvviso si riscopre radicale con le mani ancora sporche dell’ultimo gorgo di omofobia) sono la scenografia perfetta di un baldanzoso mattatore che ha gestito tempi e modi. Battute, personaggi, tempi e modi. E politica. Ma politica per davvero, quella che cambia la giornata, quella che modifica il modo di vivere, a la giornata, quella che scrive scene che pochi avrebbero immaginato e pochissimi avrebbero osato a scrivere.

Per questo quando mi è capitato di leggere quella risposta sottovoce, quel “senza Pannella non ti saresti risposato” scritto a Adinolfi, ho pensato che davvero, prima o poi nella vita, ci è capitato a tutti di abitare in qualche battaglia radicale pur tenendone poco conto. L’abbiamo incrociato tutti, Pannella, e forse ci servirebbe qualcuno capace di immaginare il futuro.

Fotografia e verità. Gianni Berengo Gardin in mostra

Gran Bretagna, 1977 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Venezia è come un palinsesto in cui le epoche e il susseguirsi delle generazioni si lascia leggere in filigrana. È il miracolo di una città  sull’acqua in cui ogni palazzo storico è differente dall’altro, con un tocco di originalità, ma entrando in risonanza con l’intorno, concorrendo a comporre l’immagine di una città unica al mondo. È questa continua trasformazione della laguna e dell’identità urbana senza perdere mai la propria “anima” che Gianni Berengo Gardin ha saputo cogliere e documentare nei suoi straordinari scatti.

Per oltre cinquant’anni, fino all’inaccettabile sfregio che si registra ai nostri giorni, con grandi navi da turismo che svettano a pochi metri da piazza San Marco, inquinando e rovinando il paesaggio con la loro dismisura. Amando immensamente la città, Berengo Gardin ha messo a servizio la propria arte per denunciare questo scempio e le sue foto, grazie alla sua fama internazionale, hanno fatto rapidamente il giro del mondo. Alcune di queste drammatiche immagini che raccontano l’agonia di Venezia sono ora in mostra nell‘antologica che gli dedica Contrasto-Forma nelle sale di Palazzo delle Esposizioni a Roma.

Con il titolo Vera fotografia la mostra, curata da Alessandra Mammì e Alessandra Mauro, ripercorre tutta la longeva carriera di questo maestro che ha raccontato l’Italia con impegno civile e attenzione alle persone, al paesaggio, al patrimonio d’arte. Allievo di Piero Monti, al quale si deve la prima, straordinaria, mappa fotografica dei beni culturali in Italia (strumento essenziale per la tutela), Berengo  Gardin ha fatto proprio il compito di documentare non solo i centri  storici e il patrimonio diffuso  lungo tutta la penisola, ma anche  le trasformazioni della realtà urbana, il degrado, i “non luoghi” di periferia.  A 85 anni, dopo cinquant’anni in bianco e nero e 250 libri, continua a praticare la fotografia con passione. Come testimonia questa retrospettiva romana affacciata sul presente, fuori da ogni retorica celebrativa.

Vi si ritrovano qui gli scatti più  estetizzanti in cui si può riconoscere l’influenza della tradizione francese Cartier-Bresson, Doisneau, Boubat  e di quella sociale americana alla Willy Ronis con il quale entrò in rapporto diretto negli anni Cinquanta.  A Roma, dopo il passaggio alla Biennale foto industria, approdano anche  alcune fotografie della sua straordinaria collaborazione con Adriano Olivetti, in cui in primo piano ci sono le macchine, le catene di montaggio, gli ingranaggi, mettendo insieme estetica e sociale,  tanto che alcuni di questi scatti in corrusco e drammatico bianco e nero sembrano delle pitture costruttiviste e quasi astratte.

Venezia, 2013-2015. Bacino San Marco, visto da via Garibaldi - © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia
Venezia, 2013-2015. Bacino San Marco, visto da via Garibaldi – © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Oriolo Romano, Lazio, 1965 - © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia
Oriolo Romano, Lazio, 1965 – © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Gran Bretagna, 1977 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia
Gran Bretagna, 1977 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Parigi, 1954 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia
Parigi, 1954 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Venezia, 1960 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia
Venezia, 1960 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Trento, 1985 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia
Trento, 1985 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Venezia, 1959 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia
Venezia, 1959 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Lido di Venezia, 1958 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia
Lido di Venezia, 1958 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Toscana, 1965 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia
Toscana, 1965 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Parma, 1968 - © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia
Parma, 1968 – © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Marco, un’ultima domanda: chi è il tuo erede?

Marco Pannella ANSA/ CIRO FUSCO

“Grazie!”, hai detto grazie quando hanno proposto di sedarti. Grazie è una parola semplice, un manifesto della non violenza: a te che colpisci, che non vuoi capire e pretendi di togliermi la parola, rispondo indossando il bavaglio e dico grazie. Grazie, un sospiro con cui accettavi la morte, come deve fare chi ha voluto e saputo dare un senso alla vita.

In te, in modo rivoluzionario e pirotecnico, ha vissuto una delle più grandi tradizioni della cultura politica italiana, quella radicale e azionista. L’estrema sinistra borghese al tempo del Regno, Cavallotti, Colajanni. Poi il Partito d’Azione che ha illuminato la scena nell’immediato dopo guerra. Tu sei arrivato dopo. Anche a un vecchio che sembrava eterno, quale sei stato, può capitare di arrivare dopo. Dopo la fine dell’illusione azionista. Dopo che Ugo La Malfa aveva preso a far da lievito alla destra intelligente, e Vittorio Foa alla sinistra innovatrice. Tu, ragazzo, stavi a sinistra con un sentire di destra: giovane liberale impegnato nell’UGI, l’Unione goliardica italiana, organizzazione della sinistra universitaria prima del ’68.

Ma la genialità, la follia, il tuo peccato di presunzione è stato quel rompere i giochi, la capacità di guardare al mondo e non alla scena interna, al Mahatma Gandhi e al Dalai Lama. Partito transnazionale, né di destra né di sinistra. Chiamavi compagni quelli che io chiamavo compagni. Odiavi come me l’ortodossia comunista, ma tu lo gridavi e io lo dicevo, forse per timore di trovarmi troppo vicino a un generale americano o a un torturatore cileno. Narcisista, non sapevi cosa fosse la paura: usavi quel tuo corpo possente come un campo di battaglia, con i digiuni, prendendoti la parola e tenendola per più tempo di Fidel Castro.

Hai capito prima che l’Italia stava cambiando e invece di averne paura e di morire, come il tuo amico Pier Paolo Pasolini, ti sei inventato i referendum. Per il divorzio contro il matrimonio prigione, per l’interruzione di gravidanza contro l’aborto clandestino. Ti sei sottratto al conformismo degli anni di piombo. Parlavi con i Presidenti e con i Carcerati. Facevi scuola a giovanotti di belle speranze che hanno poi portato il loro talento, e quel che avevano capito della tua lezione, a destra come a sinistra. Non ti bastava quella riforma della Rai. Partitocratica, dicevi. Sì, questo è stata.

Quando molto più tardi venivi a Rainews24, sorpreso e divertito che accettassi di intervistarti anche se tu ogni volta provavi a far saltare l’intervista, decidevi di non stare alle domande, sempre troppo stretto, con quel tuo corpo prorompente e il tuo io straripante. Dicevi “ti cacceranno”.
E cosa importa, Marco. Ricordo la tua amicizia con Curzi, le parole che ci dicesti quando anche lui morì, prima di te, della tua malattia. Sei persino riuscito a farmi iscrivere l’anno scorso al Partito radicale. Io borghese liberale, io comunista, io incapace di esser trasversale, infastidito da certe provocazioni: ricordi quando corteggiavi Storace?

Ora mi chiedo e vorrei chiederti. Chi dopo di te? Perché so che tu guardi al futuro, e c’è sempre un futuro dell’uomo e dell’umanità dopo la morte della persona, pure invincibile come sei stato. È Beppe Grillo il tuo erede? Né destra né sinistra, capo esigente di un movimento politico piuttosto bacchettone e giullare iconoclasta a teatro. Non ha il tuo corpo immenso, un corpicino piuttosto, anche quando attraversa a nuoto lo stretto di Messina. Ma una gran voce, questo sì.

L’opportunismo dei suoi “ragazzi” somiglia a quello di certi tuoi seguaci. Gli obiettivi non lo so. Tu sognavi già nei titoli: “radicale, socialista, liberale, federalista europeo, anticlericale, antiproibizionista, antimilitarista, nonviolento e gandhiano”. Loro non so, vedremo. Perché restiamo a combattere, anche per te. Grazie Marco!

Brasile, ora è Temer a rischiare l’impeachment. Chi è l’anti-Dilma

Chi di impeachment ferisce di impeachment perisce. Michel Temer, presidente ad interim dopo (e grazie) al processo di impeachment aperto contro Dilma Rousseff e alla sua sospensione di 180 giorni, è in attesa che la Corte suprema fissi la data per la discussione del suo impeachment. Tra lui e la sua agognata carica di 40esimo presidente del Brasile si è messo di mezzo l’avvocato Mariel Marley Marra. La Corte suprema brasiliana, infatti, ha dichiarato ammissibile la richiesta presentata dal legale dopo che si era visto archiviare un’analoga richiesta dall’ex presidente della Camera Eduardo Cunha, sospeso a sua volta dalle funzioni, compagno di partito di Temer e suo alleato contro Rousseff.

L’ACCUSATORE
«Sono convinto che Dilma e Temer (quest’ultimo in quanto vicepresidente, ndr) debbano essere processati insieme, visto che hanno firmato gli stessi decreti contrari alla legge di bilancio federale. È questo è un reato», ha detto l’avvocato Marra, 36 anni, di origini italiane, che non può certo essere accusato di legami con il Partito dei lavoratori di Roussef e Lula. L’avvocato Marra, infatti, lo scorso marzo ha presentato anche un ricorso contro la nomina a ministro di Lula. Ora Temer si difende. Anche se da vicepresidente, nell’esercizio delle funzioni sostitutive del presidente, era responsabile degli atti che firmava.

CHI È TEMER
Ma chi è Michel Temer? Scrive poesie, ha anche scritto un libro, Anonima intimità, ma qualcuno in passato lo ha definito «un maggiordomo da villa degli orrori». Avvocato e docente di Diritto pubblico, è nato 75 anni fa a Tietê ed è il più giovane di otto fratelli, figlio di immigrati libanesi maroniti che lasciano la loro terra negli anni Venti. Pur essendo ancora in vita, si è già visto intestare una strada, non in Brasile ma in Libano, a Btaaboura, 400 anime a 70 Km da Beirut, la strada principale si chiama proprio «via Michel Temer, vice-presidente del Brasile». Secondo Wikipedia Michel Temer, è un massone. Secondo Exateus, è un satanista. Stando ai cablogrammi di Wikileaks relativi al 2006, nel suo ruolo di presidente del Partido do movimento democratico brasileiro (Pmdb), Temer ha agito da informatore dell’intelligence Usa.

UN GOVERNO DI INDAGATI
Il suo ultimo e nuovo governo conta sette ministri indagati in Lava-Jato e annuncia una netta svolta a destra, con fondi all’industria e privatizzazioni. Per il deputato Maria do Rosario, Temer rinuncerà alla partnership con i Paesi del Brics. È in rapporti di lavoro con Mario Garnero (definito da Jacob Rothschild «il quarto figlio dei Rothschild»), è amato da Wall Street (da quando si profila il cambio di leadership il valore della moneta brasiliana è aumentato). Il suo ministro della Finanza è Henrique Meirelles, che è stato membro del board della Lloyd’s of London, che ha il suo quartiere nella City of London dei Rothschild ed è stato advisor della Harvard University controllata dai Rockefeller del Mit (controllato dalla Cia). Ha indicato come nuovo governatore della banca centrale l’economista di origini israeliane Ilan Goldfajn, esperto di politiche monetarie con incarichi al Fondo monetario e alla Banca mondiale, già direttore al tempo di Arminio Fraga.

I GUAI GIUDIZIARI
Aspetto impeccabile e aria pacata, Temer ha anche qualche guaio finanziario: è coinvolto nello scandalo di tangenti della Petrobras, anche se non è indagato; il suo nome è citato 21 volte nell’inchiesta “Operaçao Castelo de Areja” (Castello di Sabbia) sulla corruzione all’interno dell’Impresa di costruzioni Camargo Correa.  Temer nega da sempre ogni suo coinvolgimento; infine, c’è l’inchiesta “Caixa de Pandora” (Vaso di Pandora), dove il presidente ad interim è indicato come tra i possibili beneficiari di una presunta tangente fissa mensile destinata ad alcuni deputati.

DA ALLEATO A NEMICO DI DILMA
Dopo una parentesi di militanza studentesca all’Università Cattolica di São Paulo, dove si è laureto, si ritira non appena la sinistra prende il sopravvento nell’ateneo. Nel 1974 entra nel Pmdb, ne diventa leader nel 2001 e nove anni fa si allea con il Pt per la prima elezione di Rousseff. Tre volte presidente della Camera dei deputati (nel 1997, 1999 e 2009), il 17 dicembre 2010 rinuncia alla carica per assumere l’incarico di vicepresidente federale nel governo di Dilma. Dopo i primi anni di calma, l’anno scorso arriva la burrasca, Temer scrive una lettera a Dilma – pubblicata su tutti i media nazionali – in cui la accusa di considerare lui come «un vicepresidente decorativo» e il suo partito come «accessorio, secondario». E aggiunge: «Sono stato trattato con assoluta mancanza di fiducia». Più d’uno in Brasile – e non solo – può giurare che sia partito proprio da lui la crociata per inchiodare Dilma. Poi, un mese fa, una registrazione di 14 minuti smaschera Temer mentre si allena a pronunciare il suo discorso di insediamento.

Si scrive diritti si legge Marco Pannella

Se non ci fossero stati Marco Pannella e i Radicali chissà quando avremmo avuto la legge sul divorzio, dal momento che anche il Partito comunista italiano, moralista e in larga parte cattolico, remava contro. Fondamentale nel 1974 fu la battaglia per il divorzio che Pannella ingaggiò utilizzando lo strumento della Lid, la lega Italiana per il divorzio.

Poi sarebbe venuta la lotta per liberare le donne dalle mammane e dalla piaga degli aborti clandestini. La legge 194 non era la norma che avrebbe voluto, auspicandola più di stampo liberale, ma certamente fu merito suo e del Partito Radicale se finalmente nel 1978 l’aborto in Italia fu legalizzato. In anni più recenti fondamentale è stata la sua lotta per la libertà di ricerca, mettendo al centro della politica, i diritti dei malati. Fu lui infatti a chiedere al giovane ricercatore Luca Coscioni, già ammalato di Sla, di candidarsi nelle liste dei Radicali (di cui nel 2001 Coscioni era diventato presidente) per trasformare un dramma personale in una battaglia politica per i diritti di tutti.

Non facendone una presenza simbolica, ma organizzando riunioni con Luca tutti i giorni, stimolandolo a reagire, a non mollare, e al tempo stesso strutturando l’agenda del partito sulla base delle iniziative che Luca proponeva per aprire l’Italia alla ricerca sulle staminali embrionali e per abolire una legge anti scientifica come la Legge 40 sulla fecondazione assistita.

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Schiaffeggiato sotto la sede del Pci a Botteghe Oscure

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Un comizio a Piazza Navona, Roma

Bologna, 03 gennaio 1988 - Marco Pannella e Ilona Staller al 34mo congresso del Partito Radicale.ARCHIVIO ANSA
Bologna, 03 gennaio 1988 – Marco con Ilona Staller al 34mo congresso del Partito Radicale (Ansa)

Marco Pannella imbavagliato durante una tribuna politica per i referendum in Rai in un'immagine di archivio. ANSA / ARCHIVIO
Marco Pannella imbavagliato durante una tribuna politica per i referendum in Rai (Ansa)

(Da sinistra) Silvio Berlusconi, Antonio Tajani, Laura Harth, e Gianni Letta durante una visita a Marco Pannella, 13 marzo 2016, in una foto tratta dal profilo Facebook di Laura Harth. +++ ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA +++
Silvio Berlusconi, Antonio Tajani, Laura Harth, e Gianni Letta durante una visita, 13 marzo 2016, in una foto tratta dal profilo Facebook di Laura Harth.

Toni Negri with Marco Pannella during a press conference in Rome, Italy, 9 July 1983. ANSA/OLDPIX
In conferenza stampa con Toni Negri nel 1983 (Ansa)

Nino Manfredi, candidato nella lista Pannella, in una foto di archivio. ANSA
Nino Manfredi, candidato nella lista Pannella  (Ansa)

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Arrestato per aver distribuito bustine con hashish vestito da Babbo Natale (Ansa)

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Con Emma Bonino (Ansa)

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Con Francesco Rutelli nel 1981

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A Porta Pia

Marco Pannella manifesta per la liberalizzazione delle droghe leggere, 6 ottobre 1979. . ANSA ARCHIVIO
Manifestazione per la liberalizzazione delle droghe leggere, 1979 (Ansa)

Il leader dei Radicali, Marco Pannella, manifesta davanti la sede Rai di viale Mazzini a Roma, giugno 2007. ANSA/MAURO DONATO
Davanti la sede Rai di viale Mazzini a Roma, 2007 (Ansa)

19850629-MILANO-Seconda giornata del ''Vertice Europeo''. Marco Pannella e Enzo Tortora durante la manifestazione dei Radicali contro la Fame nel mondo durante il Vertice della Commissione Europea, davanti al Duomo di Milano. ANSA ARCHIVIO - BUSTA 5356
Con Enzo Tortora durante la manifestazione dei Radicali del 1979 davanti al Duomo di Milano (Ansa)

Lucio Magri (a sinistra) in una foto d'archivio del 18 agosto 1979 che lo ritrae con Marco Pannella (a destra) nella sede dell'Ass. Naz. Radicali a Roma. ANSA ARCHIVIO
Con Lucio Magri nella sede dell’Ass. Naz. Radicali a Roma, 1979 (Ansa)

Una foto tratta dal profilo Facebook di Matteo Angioli mostra la visita di Vasco Rossi a casa di Marco Pannellai+++ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA+++
Una foto tratta dal profilo Facebook di Matteo Angioli mostra la visita di Vasco Rossi a casa Pannella