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Iran al voto, l’accordo nucleare e l’apertura al mondo della democrazia/teocrazia nell’urna

epa05181321 Iranians prepare to cast their votes in the parliamentary and Experts Assembly election at a polling station at Ershad Mosque in Tehran, Iran, 26 February 2016. Nearly 55 million voters will elect on 26 February the representatives out of 6,229 candidates competing for 290 parliamentary seats, in addition to choosing 88 members out of 161 clerics for the Assembly of Experts, the body responsible for electing a new supreme leader in case the post becomes vacant. EPA/ABEDIN TAHERKENAREH

L’Iran, a modo suo, è la più grande democrazia del vicino Oriente, è tutto fuorché perfetta, ma gioca un ruolo tale che le elezioni parlamentari (e quelle per l’Assemblea degli esperti) sono un momento cruciale per gli scenari regionali e mondiali. Le ragioni per cui il voto iraniano è importante si elencano in fretta e senza bisogno di essere degli scienziati della geopolitica: la Siria, l’accordo sul nucleare e tutto quel che ne consegue in termini di commercio e prezzo del petrolio, l’Afghanistan, i precari equilibri regionali e le relazioni turco-russe.
Certo, il voto presidenziale del prossimo anno lo sarà ancora di più, ma anche questo passaggio è cruciale. Non fosse altro perché è la prima volta che gli iraniani si esprimono dopo l’accordo nucleare e la fine di molte delle sanzioni economiche imposte a Teheran da Stati Uniti ed Europa. Se si esclude il governo di Rouhani, moderatamente riformista, le altre cariche elettive (e non) sono nelle mani dell’ala conservatrice. Il voto è quindi cruciale per capire se e come muteranno gli equilibri politici.

epa05181313 An Iranian woman shows her inked finger after casting her vote in the parliamentary and Experts Assembly election outside a polling station at Ershad Mosque in Tehran, Iran, 26 February 2016. Nearly 55 million voters will elect on 26 February the representatives out of 6,229 candidates competing for 290 parliamentary seats, in addition to choosing 88 members out of 161 clerics for the Assembly of Experts, the body responsible for electing a new supreme leader in case the post becomes vacant.  EPA/ABEDIN TAHERKENAREH

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55 milioni alle urne per eleggere 280 deputati e 88 membri dell’Assemble degli esperti. Metà della popolazione è under 35, uno su quattro tra loro è disoccupato (il doppio della media nazionale)

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epa05181320 A handout picture made available by Iran's Supreme Leader Official Website shows Iranian supreme leader Ayatollah Ali Khamenei casting his vote in the parliamentary and Experts Assembly elections in Tehran, Iran, 26 February 2016. Nearly 55 million voters will elect on 26 February the representatives out of 6,229 candidates competing for 290 parliamentary seats, in addition to choosing 88 members out of 161 clerics for the Assembly of Experts, the body responsible for electing a new supreme leader in case the post becomes vacant.  EPA/IRAN SUPREME LEADER OFFICIAL WEBSITE  HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

Il voto della Guida Suprema

Per cosa si vota?
L’assemblea degli esperti

È uno degli organi politico religiosi di una democrazia complicata e farraginosa che consegna ai chierici un potere enorme e di veto sul processo politico. Questa assemblea in particolare è particolarmente importante perché gli 88 eletti dovranno con ogni probabilità nominare, negli otto ani in cui rimarranno in carica, la Guida Suprema della rivoluzione, posto occupato dal 1989 dall’ayatollah Ali Khamenei, che pur godendo di buona salute, potrebbe ritirarsi, non farcela o morire prima delle nuove elezioni. A concorrere sono liste di “esperti di religione”, c’è una lista capitanata dall’ex presidente ayatollah Rafsanjani.

Navigato politico iraniano e in parte alleato del presidente Rouhani, Rafsanjani potrebbe puntare (con non molte chance) a diventare Guida Suprema. La sua lista è quella moderata, ce ne sono altre conservatrici e, infine, ce ne sono diverse molto conservatrici. La sfida per i riformatori è non avere troppi nemici duri e puri contro in un organo elettivo che è sempre stato molto conservatore. La novità di questa tornata è che le elezioni si svolgono in contemporanea a quelle parlamentari e, quindi, l’affluenza sarà molto più alta del solito. La cosa potrebbe favorire posizioni più moderate. Tra i candidati non ci sono donne, sebbene 16 avessero fatto domanda per essere in lista, non sono state ammesse dal Consiglio dei Guardiani della rivoluzione – altra istituzione politico-religiosa di 12 persone nominata direttamente o indirettamente dalla Guida Suprema e che ammette o meno i candidati nelle liste elettorali. La nomina della Guida Suprema richiede i due terzi dei voti dell’assemblea, quindi se l’influenza dei riformisti moderati di Rafsanjani crescesse, il loro peso sarebbe enorme.

Il Parlamento

qui la situazione è diversa, al presidente Rouhani serve un’Assemblea che, anche non fosse moderatamente riformista, non sia in netta contrapposizione con la sua politica in materia economica e di politica estera. Volendo rozzamente dividere i campi politici iraniani possiamo parlare di religiosi pragmatici, repubblicani moderati e poi repubblicani radicali (l’ala che guidò la rivolta del 2009 contro quella che venne definita una frode elettorale, quasi tutti in carcere) e conservatori radicali (l’ala dalle cui fila proveniva l’ex presidente Ahmadinejad). Come ogni volta che in Iran si vota, il Consiglio Supremo fa in modo di ripulire le liste in maniera pesante: 12mila candidature presentate e poco più di seimila ammesse. La maggioranza dei non ammessi sono riformisti. Tra questi il nipote del padre della patria Khomeini, escluso, ma ancora usato nei manifesti da Rafsanjani e alleati. Centinaia sono le donne. Ciò detto, sia l’ala riformista radicale, che pure non esprime candidati, che ovviamente Rouhani e i suoi, spingono per una partecipazione attiva al voto.

epa05181318 A handout picture made available by Iran's Presidential Official Website shows Iranian president Hassan Rouhani casting his vote in the parliamentary and Experts Assembly elections in Tehran, Iran, 26 February 2016. Nearly 55 million voters will elect on 26 February the representatives out of 6,229 candidates competing for 290 parliamentary seats, in addition to choosing 88 members out of 161 clerics for the Assembly of Experts, the body responsible for electing a new supreme leader in case the post becomes vacant.  EPA/IRAN PRESIDENTIAL OFFICIAL WEBSITE -- BEST QUALITY AVAILABLE -- HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

Il presidente Rouhani ha già votato

Più potere ai riformisti significherebbe un colpo alla Guardia rivoluzionaria, che oltre a essere il custode armato della rivoluzione, è anche un attore cruciale in economia. Meno sanzioni, più apertura verso l’esterno, anche in economia, sono un pericolo per questo potere. E non è detto che accetterebbe tranquillamente. È improbabile che il voto si risolva con un trionfo riformista: le città, i ceti urbani e i giovani istruiti che guidarono la rivolta del 2009 sono meno che non la grande popolazione delle periferie, i milioni di diseredati.

La battaglia ideologica è reale: c’è chi teme per il destino della rivoluzione islamica se il Paese si dovesse aprire troppo, la Bbc in farsi, vista come un agente esterno, è diventaa oggetto degli attacchi dei conservatori. C’è poi chi teme per la fine della democrazia, se lo scontro con l’ala conservatrice fosse troppo acceso dopo l’addio di Khamenei, il rischio è quello di una forzatura della Guardia rivoluzionaria: nel 2009 un’idea di cosa significhi uno scontro violento ce l’abbiamo avuta. Il tema è quale futuro per questa parte democrazia/parte teocrazia finito l’isolamento.  Le elezioni sono cruciali, meno tese del 2009, ma la loro importanza resta enorme per il destino politico del Paese, come segnale per il voto presidenziale del prossimo anno, per gli equilibri regionali e, tutto sommato, per l’economia italiana, che in Iran è ben posizionata.

Varoufakis: La democrazia non è un lusso per creditori

Abbiamo incontrato l’ex ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, alla tre giorni di Madrid e ci ha spiegato il perché era importante essere lì. Ecco un’anticipazione dell’intervista che uscirà sabato in edicola.

Che senso ha questa tre giorni di Madrid dedicata al PlanBEurope?

Il legame tra la Grecia e la Spagna, almeno nel mio immaginario, risale al 1936, alle Brigate internazionali, alla nostra battaglia comune contro il fascismo. Il 1936 è l’anno della dittatura fascista in Grecia. Quindi, è fantastico essere qui oggi, aver avuto l’occasione di confrontarci e di confermare un consenso unanime sulla diagnosi e su ciò che occorre fare a livello europeo, dalla Grecia al Portogallo, dal Portogallo alla Finlandia, dalla Finlandia fino alla Slovacchia, giù fino ai diversi Paesi dell’Unione Europea che si sta disintegrando. Pensate ai muri che vengono eretti ancora una volta, persino tra Paesi come l’Austria e la Germania, tra la Francia e l’Italia. Nuovi muri vengono eretti a Evros, nel nord della Grecia, a Lesbo, vicino agli Spagnoli. E quando i muri entrano nella testa della gente, il sogno europeo di una prosperità condivisa muore. Quando Paesi come la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda, la Grecia sono spinti dall’Eurogruppo, dalla Troika, dall’Unione Europea, verso una recessione permanente, pur di salvare un cartello qual è l’Unione Europea di oggi, e un sistema monetario quale l’Eurozona, sappiamo che è solo una questione di tempo, ma poi ci sarà una frammentazione dell’Europa. E gli unici a beneficiare di questa frammentazione non saranno i sostenitori della democrazia del centrodestra o del centrosinistra, o la sinistra radicale, gli anarchici, gli idealisti… I soli a beneficiarne saranno gli ultra-nazionalisti, i sostenitori delle Le Pen, di Alba Dorata, coloro che vogliono militarizzare tutte le frontiere d’Europa. Ed è per questo che è fondamentale avere incontri come questo! Il nostro grido dovrebbe essere “Uniamoci!”

 

C’è spazio di manovra in Europa per pensarla diversamente?

Dopo le elezioni democratiche lo scorso anno, quando ho provato a convincere i miei colleghi dell’Eurogruppo della necessità di trovare un nuovo consenso su cosa fare in Paesi come il mio, condannato ad una terribile depressione economica, a causa della quale abbiamo perso un terzo del nostro reddito, ed il nostro debito è diventato assolutamente insostenibile e la disoccupazione è passata dall’8% al 28%, il primo ministro tedesco si è girato verso di me e mi ha detto: «Non si può permettere a dei risultati elettorali di cambiare le politiche economiche del tuo Paese». Di fronte a questo tipo di affermazioni, penso ci sia spazio e respiro per reclamare democrazia in Europa. La democrazia non è un lusso che possono permettersi i creditori e che può essere negata ai debitori!


 

Questo articolo continua sul n. 9 di Left in edicola dal 27 febbraio

 

SOMMARIO ACQUISTA

 

 

Quando riuscirci diventerà démodé 

Verrà un momento in cui ottenere davvero qualcosa che si vuole con forza e ostinazione sarà esagerato, presuntuoso, folle. Verrà un giorno (scritto così, biblico biblico) in cui ci saranno candidati sindaci per una città capitale che faranno una campagna elettorale preoccupandosi di non accendere troppi entusiasmi.

Qualcuno biascicherà parole stanche, ammettendo di avere dimenticato il programma elettorale sul bancone dell’auto grill e se per caso tra il pubblico si leverà un “bravo!” subito ci si scuserà con un “bravo? Ma vi è piaciuto? Perché non è mica un’idea mia. L’ho rubata agli altri candidati”. Il candidato di sinistra sinistra, che passerà la campagna elettorale a misurarsi la sinistra per vedere se davvero ce l’ha più lunga degli altri come si dice in giro, tenterà di smuovere un po’ di commozione raccontando che prima, dov’era prima a destra del centrosinistra più centro che sinistra, lo mettevano sempre in porta pur non essendo ciccione e quindi chiederà di votarlo perché essere sconfitti è una vocazione. Il Partito della nazione, nella nostra ipotetica campagna elettorale capitale, inscenerà primarie sempre più frizzanti per non perdere share: in quest’ultima correranno candidato 1, candidato 2, candidato 3 è quello con la foto di Renzi: sarà appassionante. Vedrete.

La campagna elettorale si giocherà sui rom di Roma. Sul rinverdire il verde, burocratizzare la burocrazia è un progetto di piccioni ogm che cagheranno rosé piuttosto che guano. Sarà una campagna elettorale in cui una papalina scrapata via dal vento occuperà le prime pagine per intere settimane.

Poi ci saranno quelli della rivoluzione, quelli che nulla è come prima, quelli che l’adrenalina sta tutta nell’indignazione. Diranno che ciò che conta è stare alla larga dagli altri. Tutti gli altri. Tutti uguali. Perché la democrazia andrebbe limitata solo ai benpensanti.

Solo uno si aggirerà solo e triste. Dicendo che è una vergogna doversi candidare in una città così vergognosa.

Arriverà in tempo in cui vincere sarà un vizio. Pensare che tempo, se ci fosse una campagna elettorale dove tutti danno il meglio per riuscire a dispiacere.

Buon venerdì.

Minculpap, cattolicesimo a reti unificate. Mentre le Chiese sono sempre più vuote

Giubileo flop

Non è più solo il prezioso rapporto sulla secolarizzazione in Italia redatto da Critica liberale a documentare, di anno in anno, la progressiva disaffezione degli italiani verso la religione cattolica e i suoi riti.  Comincia ad essere una realtà ben presente anche nelle ricerche del Censis, dell’Istat e di altri istituti di indagine. In particolare la progressiva secolarizzazione del Bel Paese emerge in modo lampante da una ricerca Istat (diffusa dal quotidiano La Stampa). Questo in sintesi: mentre dieci anni fa una persona su tre ( il 33,4%) dichiarava di frequentare luoghi di culto almeno una volta alla settimana, la percentuale oggi è scesa al 29%.  Le persone che dichiarano di non frequentare mai luoghi di culto sono passate dal 17,2 al 21,4%. Ma c’è un altro dato interessante da sottolineare: che non sono solo i ventenni italiani a perdere la fede, ma anzi  – rispetto al 2006 – oggi sono anche le persone tra i 55 e i 59 anni a disertare i luoghi di culto, che  hanno perso il 30% di fedeli all’interno di quella fascia di età. Ma anche fra i 60-64enni  si registra un calo pare al 25%.

Nonostante tutto questo. O forse proprio per questo, ovvero perché la Chiesa sta perdendo rapidamente terreno in Italia, l’offensiva vaticana si fa più massiccia in tv. Anche sulle reti pubbliche italiane, complice un servizio pubblico genuflesso.  Basti dire che – come documenta il V rapporto sulle confessioni religiose e tv redatto da Critica Liberale (con la collaborazione di una agenzia che ha fatto un lavoro scientifico analizzando 7 tv lungo tutto l’anno) – le trasmissioni dedicate ad argomenti religiosi hanno subito un incremento da 355 a 380 ore. Appuntamenti fissi  continuano ad essere trasmissioni settimanali di taglio agiografico fin dal titolo: “A sua immagine”, “Sulla via di Damasco”, “Le frontiere dello spirito”. Senza contare che la tv pubblica  fa a gara con quella privata in Italia per trasmettere l’Angelus, messe di Natale e non solo.

Di tutte le trasmissioni a tema religioso prese in esame dalla studiosa Valeria Ferro nell’ultimo anno emerge che « l’11,5%  ha analizzato la figura di Papa Francesco e solo l’1,7% (pari ad un’ora nell’anno) ha trattato le vicende relative agli scan­dali vaticani, dai casi di pedofilia e agli illeciti finanziari». I soggetti confessio­nali invitati in tv «hanno privilegiato i temi legati alle questioni religiose (25%), alla figura del Papa (17%) e per il 12,5% si sono occupati di miracoli».  Paghiamo il canone anche per vedere «trasmissioni che spesso si occupano di fenomeni straordinari legati alla fede cattolica, raccontando – sottolinea Valeria Ferro –  di guarigioni inspiega­bili, di apparizioni e di altri eventi prodigiosi, come fa, ad esempio, “Storie vere”, a dispetto del titolo!».  Il problema dunque non sono solo le fiction che raccontano i santi o le serie tv in stile Don Matteo che in un anno sono raddoppiate (da 311 a 603) sulle reti generaliste, ma anche i programmi di intrattenimento che si spacciano per programmi di informazione. Un esempio per tutti per quanto riguarda la Rai:  Porta a Porta. Il programma di Bruno Vespa su Raiuno ha aumentato consi­derevolmente le puntate in cui si è oc­cupata di questioni religiose. «Si è pas­sati, infatti dalle 13 del 2012­ 13 e le 15 della scorsa stagione alle 34 dell’anno in esame», rileva Ferro nel saggio che  apre l’ampio dossier annuale pubblicato dal trimetrale Critica Liberale diretto da Enzo Marzo «Ai temi religiosi sono state dedicate 11 ore e mezza nel 2012­ 13, 7 ore lo scorso anno e 15 ore e 40 minuti nell’ultima stagione. I soggetti confes­sionali ospitati nel salotto buono di Raiuno sono stati 142 nel 2012­ 13, 67 durante la scorsa stagione».

Insomma la stagione televisiva 2014­ 2015 ha confermato la centralità della reli­ gione cattolica sia nei programmi di informazione sia in quelli di fiction. «Un elemento nuovo, rispetto alle sta­gioni precedenti, è costituito dalla maggiore presenza di soggetti confes­sionali e di temi legati all’Islam nelle trasmissioni di approfondimento», ma fa notare Valeria Ferro, soprattutto « nel contesto di terrorismo e di crisi internazionali».  E se da una parte  l’Islam viene criminalizzato collegandolo tout court al terrorismo, dall’altra le tv pubbliche si fanno megafono delle campagne di propoaganda cattolica messe in atto dal Vaticano di papa Francesco, omettendo di dire che il Giubileo è stato un totale flop.

« I dati contenuti in questo quinto rapporto sono veramenta scandalosi e mostrano quanti programmi di propaganda cattolica ci siano in Tv in Italia», ha denunciato Enzo Marzo direttore di Critica liberale e componente della società Pannunzio per la libertà di informazione presentando la ricerca alla Camera.«Quello che noto è che più aumenta la secolarizzazione,  più aumenta l’invasione mediatica del Vaticano che condiziona il mondo politico italiano. L’ insipienza e incapacità politica del mondo non clericale nel reagire mi pare però altrettanto evidente. Le vittime dovrebbero rispondere. Dobbiamo assolutamente cercare di fermare questa deriva».

« Bene ha fatto la Uaar a fare un esposto all’Agcom sulla base di questi dati; i cittadini devono cominciare a organizzarsi, visto che manca la volontà politica di intervenire. Bisogna cominciare a fare dei ricorsi- ha detto Andrea Maestri di Sel -. Ciò che emerge da questo quadro è che vengono violati i principi della pluralità e il principio della laicità dello Stato, che è un cardine. La laicità dello Stato è un principio ribadito di recente anche da una bella sentenza del Tar di Bologna quando ha invalidato  l’autorizzazione alla benedizione pasquale di aule scolastiche. Dobbiamo farci sentire come cittadini per far valere questi principi e diritti fondamentali».

@simonamaggiorel

 

Vacanze su Marte? La Nasa ha già preparato i manifesti

Avete mai pensato di andare in vacanza nello spazio? E come verrebbero pubblicizzati i viaggi spaziali? La NASA Jet Propulsion Laboratory ha diffuso con l’iniziativa “Vision of the Future” una serie di finti manifesti pubblicitari, in stile anni 50, che propagandano fantasiose gite a spasso per l’universo, insieme a informazioni su come le scoperte di oggi stanno spianando la strada per l’esplorazione. Secondo la Nasa infatti «L’immaginazione è la nostra finestra verso il futuro», e forse «Queste visioni del futuro un giorno potrebbero essere realtà». Per farci immedesimare meglio e darci una “visione del futuro” più concreta la Nasa, oltre a farci apprezzare e scaricare questi poster sognando un viaggio su Pso J318.5-22, su Venere o su Keplero-186f, permette di pianificare il proprio viaggio interstellare, informarsi di più sulla propria destinazione e vedere se sono mete abitabili. 

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Qui sotto una gallery con i manifesti scaricabarili in alta definizione a questo link:

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Rivolta anti Hollande nel centrosinistra francese: Aubry e Cohn-Bendit chiedono primarie

«Troppo è troppo!» non è una frase leggera detta contro il proprio governo. Uscire dall’impasse è il titolo di un appello al vetriolo firmato tra gli altri dall’ex ministro all’economia e sindaco di Lille Martine Aubry. Assieme alla socialista, le firme di molti intellettuali e figure di primo piano dell’ambientalismo come ad esempio Daniel Cohn-Bendit, che in un’intervista a Liberation spiega di aver firmato per sottolineare l’importanza delle prese di posizione di Aubry sull’immigrazione – «È la prima politica francese importante a prendere una posizione decente».
Il lungo testo pubblicato da Le Monde è una dura requisitoria contro le politiche dell’esecutivo di Manuel Valls e contiene una richiesta di primarie. A quattordici mesi delle elezioni presidenziali, questa chiamata alle armi per la sinistra del partito e non solo è destinata a smuovere le acque della sinistra, destinata a una sconfitta sonante nel 2017 a meno di un cambio radicale di rotta.
Per adesso Holland – con lo stato d’emergenza, le modifiche alla costituzione e la riforma del diritto di cittadinanza – e il premier Valls, con la legge di riforma del mercato del lavoro in discussione non sono popolari e i sondaggi sono impietosi. «Non è solo il fallimento del quinquennio ad essere incombente, ma si rischia un indebolimento duraturo della Francia e, ovviamente, della sinistra», scrivono gli autori, alcuni dei quali, come l’ecologista Yannick Jadot o il sociologo Michel Wieviorka.

Nel testo si citano il patto con Medef, la confindustria francese, definita un passo falso, e poi ancora «lo sfortunato dibattito sulla privazione della nazionalità», le parole «indecenti» sui rifugiati pronunciate dal premier a Monaco di Baviera e la proposta di riforma del codice del lavoro.
«È tutta la costruzione delle relazioni sociali nel nostro paese che viene capovolta. Non saremo noi a farlo, non noi, non la sinistra!» scrivono i firmatari che concludono, «Cosa resterà degli ideali del socialismo se avremo, giorno dopo giorno minato i suoi principi?».
La risposta maligna degli uomini vicini a Hollande è stata: «Aubry non ha ancora digerito la sconfitta alle primarie del 2011». La destra ironizza.
La verità è che la sinistra francese è in enorme difficoltà e che questo appello, così come l’uscita dal governo di Taubira, proprio sulla questione della cancellazione della nazionalità, sono segnali di sofferenza. Il giorno dopo l’appello Aubry ha spiegato che no, la sua non è una reazione da sinistra antica e conservatrice: «Il mio progetto non è andare contro Hollande ma aiutare la sinistra. Non siamo passatisti e conservatori, la sinistra moderna siamo noi».

Cohn Bendit spiega che delle primarie comuni a sinistra sarebbero belle «se la si smettesse con l’idea che chi ha posizioni diverse dalle nostre è un sinistrorso superato o un liberale venduto». L’ex leader dei Verdi europei se la prende anche con la politica dei fatti compiuti del governo Valls, che, dice, non è disponibile a nessuna discussione sulle cose che propone.

“Verità per Giulio Regeni”, sit-in all’ambasciata egiziana. Il punto sulle le indagini

È passato un mese dal rapimento di Giulio Regeni, inghiottito nel nulla la sera del 25 gennaio, l’anniversario della rivolta di Piazza Tahrir. Oggi, a Roma, davanti all’ambasciata egiziana (Via Salaria ingresso villa Ada, ore 14.00) si terrà un sit-in organizzato da Antigone e da Coalizione italiana diritti civili a cui hanno aderito, tra gli altri, Amnesty Italia e l’Arci.

Dopo un mese non ci sono novità e come dice a Left Giuseppe Acconcia, ricercatore a Londra, esperto di Medio oriente «l’unica pista è ancora quella dell’incidente stradale, gli inquirenti egiziani non hanno presentato altre ipotesi». Per questo motivo, per impedire che il silenzio e l’insabbiamento impediscano la ricerca della verità, è importante che l’attenzione sia sempre alta. Amnesty ha lanciato la campagna “Verità per Giulio Regeni” a cui tutti possono aderire (qui), esponendo gli striscioni gialli di Amnesty. Ma in particolar modo l’appello viene rivolto ai comuni, agli enti locali, alle università, perché nei luoghi pubblici venga esposto il manifesto con la richiesta di verità.
Il rischio che il brutale omicidio di Giulio venga coperto da una coltre di nebbia è alto. Troppi gli interessi economici e geopolitici tra l’Italia e l’Egitto. “E’ in corso una possibile guerra in Libia e l’Egitto è un partner fondamentale del governo italiano”, dice Acconcia. E poi ci sono gli interessi economici con l’accordo che vede come protagonista l’Eni interessato ai giacimenti scoperti nel Mediterraneo. Insomma, l’unica speranza è che i familiari e l’opinione pubblica si facciano promotori di iniziative che squarcino il muro del silenzio.
Con il ricercatore Giuseppe Acconcia, ripercorriamo gli ultimi sviluppi della vicenda di Giulio.
A che punto sono le indagini?
Le autorità egiziane non stanno collaborando con le forze italiane presenti al Cairo come il Ros e Interpol. Non hanno fornito i due elementi che servono alle indagini, e cioè i tabulati telefonici e le carte della prima autopsia, subito dopo il ritrovamento del cadavere. Sono passate tre settimane dal ritrovamento del corpo di Giulio (3 febbraio Ndr) ed è fondamentale acquisire questi dati. C’è stata anche una rogatoria internazionale, ma in realtà non è possibile avere accesso.
Quali risvolti potrebbero produrre i tabulati e l’esame autoptico?,
Sarebbero molto importanti per le indagini perché le rivelazioni della stampa egiziana che sono state smentite dalla procura di Giza avevano fornito la tesi che Giulio Regeni fosse stato prelevato sotto casa sua nel quartiere di Dokki vicino al Nilo. In realtà, poiché non è stato possibile né avere le registrazioni delle telecamere dei negozi vicini né è stato possibile accedere ai tabulati, non è stato possibile vedere l’ultima cella agganciata . E quindi resta il dubbio del luogo dove è stato prelevato: se sotto casa sua o dentro la metropolitana o fuori, all’uscita el Behoos. Gli egiziani fin dal primo momento hanno cercato di spostare il luogo dove è stato prelevato dalle vicinanze di piazza Tahrir. Resta tutto aperto perché non abbiamo i tabulati.
C’era un testimone che affermava di averlo visto fermare sotto casa.
Il testimone è stato smentito, si è recato all’ambasciata italiana per dire che aveva visto persone in borghese, la sera del 25 gennaio. In realtà aveva parlato delle 17.30 e noi sappiamo che Giulio è stato prelevato verso le 19.40, 20.20, dopo non è stato più rintracciabile . Quella testimonianza è stata scartata dagli inquirenti. Stessa cosa vale per i vicini di casa: un negoziante avrebbe detto, credo, al New York Times che l’abitazione di Giulio era stata perquisita e che già altre volte i poliziotti si erano recati a casa sua prima. Ma questa testimonianza non è stata validata e questo testimone non si è più presentato.
Al momento quindi qual è il quadro della situazione? Che cosa sappiamo?
Non abbiamo alcun elemento che ci permetta di dire dove Giulio è stato prelevato né se fosse sotto controllo prima del 25 gennaio. Una cosa sola è certa. Nel momento in cui il magistrato Colaiocco ha interrogato alcuni suoi amici, loro hanno parlato di una delle riunioni a cui ha partecipato Giulio, in particolare quella dell’11 dicembre di cui lui ha scritto nell’articolo pubblicato prima sul sito Nena news e poi postumo sul Manifesto. Quell’articolo non è altro che una cronaca di una riunione sindacale, una delle più partecipate riunioni che si erano svolte negli ultimi tempi. Probabilmente è stato visto e notato, ma insieme a lui c’erano attivisti politici, personaggi che più di lui potevano essere “attenzionati”. Lui era solo uno studioso, non c’è alcun elemento che ci faccia pensare che fosse qualcosa di più di un ricercatore e di uno studioso .
Quindi ancora non è possibile formulare un’ipotesi sul perché della sua uccisione.
Ancora non è possibile. Forse si è trattato di un arresto generico, visto che quel giorno era il 25 gennaio. È possibile anche che ci sia stato uno scambio di persone – non sappiamo nemmeno se è stato identificato -. È possibile ancora che gli egiziani abbiano inviato degli infiltrati. È stato fatto credere anche che fosse lui una spia. Alle autorità egiziane interessava costruire la montatura sulla spia proprio per giustificare agli occhi degli egiziani il fatto che sia stato brutalmente ammazzato.

A un mese di distanza dalla sua scomparsa, i depistaggi che ruolo hanno avuto?
Intanto sono quattro i tentativi di depistaggio. Il primo viene direttamente dal capo degli inquirenti che si chiama Khaled Sahalaby che è stato colui che ha tirato fuori la pista dell’incidente stradale. Subito dopo è stata avanzata l’ipotesi di una rapina , ma quella sera c’era un servizio di sicurezza così capillare che pensare a una rapina è davvero fuori delle possibilità. La terza ipotesi è quella del delitto gay, perché in questo modo si discredita la vittima. Furono arrestate due persone omosessuali ma poi subito rilasciate perché la pista non reggeva. Poi è stata la volta della spia, costruita su nessuna base anche se la stampa italiana ci ha marciato, i giornalisti sono andati a Oxford, non capendo che tanti ricercatori fanno consulenze ma non hanno niente a che vedere con l’intelligence come l’intendiamo noi, i servizi segreti. Infine l’ultimo depistaggio in ordine di tempo  qualche giorno fa è arrivato dalla stampa egiziana che tirava in campo i Fratelli musulmani.

Si è parlato anche di complotto.
Sì, si è parlato di complotto che può essere avvenuto a vari livelli: può essere anche della polizia ai danni di al-Sisi. Poiché il presidente egiziano in questa fase ha consolidato il suo potere, la polizia agirebbe per discreditarlo. Ma questa ipotesi non regge. Plausibile invece che tra le persone che hanno arrestato e ucciso Giulio ci fossero dei criminali, soggetti poco raccomandabili a cui magari è sfuggita di mano la situazione. Magari nemmeno era stato informato al-Sisi, anche se fa parte dell’agenda del regime militare colpire gli stranieri. Come del resto prevedeva una proposta di legge.
Quale proposta di legge?
Era dell’anno scorso e prevedeva di far prendere il visto a tutti gli stranieri prima di partire, come avviene in altri Paesi. Invece quando si va in Egitto, il visto ti viene dato subito all’aeroporto. Ma di questa proposta poi non se n’è fatto nulla proprio per tutelare il turismo.
In che modo potrebbero entrarci i Fratelli Musulmani?
L’altro complotto di cui si parla, è quello, appunto, dei Fratelli Musulmani. Loro vogliono destabilizzare l’Egitto, in effetti sono il principale partito di opposizione, fuori legge dal 2014. Hanno subito una repressione fortissima, i dirigenti delle scuole o degli ospedali che sono affiliati alla fratellanza musulmana o sono stati arrestati o sono stati rimossi dai loro incarichi. Ma i segni che ci sono sul corpo di Giulio è proprio impossibile che siano stati fatti da un esponente dei Fratelli Musulmani. E poi sono i segni caratteristici lasciati sui corpi di coloro che vengono torturati dalla sicurezza di stato, che è un gruppo paramilitare interno alla polizia egiziana che si chiama Amn el-Dawla.
In conclusione, quale potrebbe essere una versione dei fatti realistica?
Lo ripeto, ci sono tutti gli elementi che fanno pensare a un arresto sommario, a un omicidio non sommario ai danni di uno straniero e probabilmente nell’omicidio ci sono implicati dei piccoli criminali che hanno fatto precipitare la situazione.

Niente stepchild ma c’è il matrimonio: tra Renzi e Verdini

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (D), stringe la mano a Denis Verdini in Senato durante il voto di fiducia al Governo, Roma, 24 febbraio 2014. ANSA/GIUSEPPE LAMI

Se annunci l’accordo con qualcuno senza aver raggiunto in realtà alcun accordo, succede quello che abbiamo visto succedere nelle ultime ore al Partito democratico sulle unioni civili. Che Alfano, cioè, alzi continuamente la posta, e provi a smontare passo passo la legge Cirinnà, non accontentandosi di aver già ottenuto lo stralcio della stepchild adoption (ottenuta in realtà dagli alfaniani sostenuti dai volti del Family Day, ma anche dai cattolici nel Pd).

Prima si chiede dunque di togliere ogni riferimento al matrimonio, poi si chiede di togliere il vincolo di fedeltà, poi (e questo però non l’ha ottenuto) si dice che neanche lo stralcio della stepchild va bene e che due paroline le si dovrebbe lasciare ma contrarie all’adozione del figlio del partner, giusto per «evitare che i giudici riconoscano le adozioni da parte dei partner omosessuali», cosa che in effetti stanno facendo, nel vuoto normativo.

Il tutto avviene in un susseguirsi di riunioni. Una via l’altra, con i centristi a frenare e i democratici a mostrarsi ottimisti: «Ci siamo, ci siamo. Siamo a un passo», dice ad esempio Luigi Zanda, capogruppo Pd a palazzo Madama, entrando che è ormai sera in una stanza con Maria Elena Boschi, Andrea Orlando e Beppe Lumia per fare il punto sul maxi emendamento. Emendamento su cui il governo mette la fiducia (Bersani: «Io eviterei, prendendo atto di ciò che decide il Senato») e che arriva solo dopo una giornata di mediazioni. Si vota oggi.

Ecco allora che nel Pd c’è chi preferirebbe alla fine andare in aula e vedere che succede, chi preferirebbe votare senza fiducia e rinunciare pure alla via del maxi emendamento. È la linea della minoranza dem, che però finisce al solito con l’adeguarsi. Salvo qualche rara eccezione, come quella di Luigi Manconi, al Senato, dato in troppo forte imbarazzo, e quella di Michela Marzano, la filosofa deputata e docente alla Sorbona che anche se non dovrà votare, ospite diRainews24, dice: «Nel momento in cui si dovesse approvare una legge senza la stepchild adoption, una legge che non sarebbe degna di questo nome, tirerò le conseguenze e molto probabilmente lascerò il Partito democratico».

Oltre alla mortificazione della legge, per Bersani&co pesa che al posto della stepchild, con la legge Cirinnà, diventerà invece ufficiale il matrimonio del Pd con Verdini, questa volta fondamentale per far passare la legge al Senato, una volta messa la fiducia (né 5 stelle né Sinistra Italiana, già scontenti per come riscritta la legge la voteranno se votarla vuol dire sostenere il governo). E Verdini è proprio contento anche perché – racconta la Stampa – a giorni dovrebbe avere anche un suo sottosegretario, nuovo acquisto del partito, ultimo passo per entrare al governo, seppur senza clamore: «Non saremo più una forza di minoranza, ma sosterremo il governo dall’esterno», avrebbe detto ai suoi, seduto a un tavolo di un caffè, «ufficialmente Matteo non ci potrà dare nulla, ma Tonino Gentile molto presto passerà con noi. Così avremo un nostro uomo al governo».

Quel dolore che chiede di sventolare ricordo per la verità

Non so voi ma a me ha colpito l’appello di Irene Regeni. Colpito e affondato. La sorella di Giulio ha appeso uno striscione sul balcone della casa di famiglia a Fiumicello. Un telo giallo di tessuto leggero con la scritta VERITA’ PER GIULIO REGENI. Così, maiuscolo. Con le linee rette dritte quasi scolastiche, avranno usato un metro oppure un righello di quello che usavamo a scuola, per le lezioni di tecnica. Per scrivere su uno spazio così grosso devono avere, per forza, steso la bandiera della mancata resa di famiglia sul pavimento del salotto. O fuori, in giardino, in un posto asciutto. Con un pennarellone, probabilmente. A vederlo non sembra pennello. Pennarello. E hanno calcato più di una volta, soprattutto le curve che sono così meno perfette rispetto alle linee. La A è secca e matematica mentre la R ha tutta la sbavatura di un lutto. Si saranno detti «calcalo bene», «ancora una volta» e poi avranno fatto qualche passo indietro, come quando si faceva autogestione al liceo e si saranno detti che così è meglio, molto meglio, si legge bene.

Dove sta attaccato, il lenzuolo con urlo su sfondo giallo, sulla pancia dell’inferriata del balcone, appena sotto al lato in basso c’è l’incominciamento di muschio. Deve essere stato un inverno umido. O forse c’è una brutta perdita dal pavimento esterno. Ai fianchi due vasi. Da quello di destra sbuca una rosa rosa. Chissà con che occhi guardano una rosa rosa due genitori a cui hanno restituito il figlio con un corpo come un cencio. Irene Regeni ha postato questa foto chiedendo di appendere striscioni a tutti. Per la verità, ha scritto.

Ecco, noi siamo anche il Paese dove una famiglia monca, con un dolore diventato mondiale e una mezza verità che non vale nemmeno per una riunione condominiale, noi siamo quel Paese in cui la famiglia di Giulio, mentre i potenti assicurano che faranno di tutto, mentre i presidenti dicono che chiederanno la verità, mentre la comunità internazionale non ha mancato di stendere un telegramma e comprare di corsa una corona di fiori, noi siamo il Paese in cui quella famiglia lì, con il figlio sepolto senza nemmeno tutte le unghie, prende le misure, stende la tela, ricalca le lettere e appende uno striscione al proprio balcone. E io non riesco nemmeno ad immaginare di che sostanza sia fatto il dolore di un gesto così. Di una disperazione che riesce ad avere cura comunque delle cose minime.

Buon giovedì.

 

Unioni civili, la seduta del Senato in diretta

Ne parliamo da mesi, abbiamo assistito a dibattiti improbabili, discussioni capziose e giravolte. Ora il ddl Cirinnà viene completamente riscritto con un emendamento del governo, che pone la questione di fiducia. Varrà la pena di seguire la discussione. Dalle 17.30 le dichiarazioni di voto, alle 19 la chiama per il voto finale.