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Ribelli senza odio, i nuovi resistenti secondo Todorov

epa04483978 Franco-Bulgarian born linguist, philosopher and sociologist Tzvetan Todorov poses for photographers during an interview with Spanish news agency EFE in Barcelona, north-eastern Spain, 10 November 2014. Todorov is in Barcelona to present his book 'Painting in the Age of Enlightenment. From Watteau to Goya'. EPA/MARTA PEREZ

Ricerca della verità, rifiuto dell’ipocrisia e della delazione. Lotta non violenta, senza lasciarsi avvelenare dall’odio e senza sottomettersi all’oppressore. Capacità di reagire, per non farsi distruggere, anche interiormente. Cercando di tenere viva la mente in condizioni estreme, non rinunciando al sentire, per quando è doloroso. Sono queste qualità, profondamente umane, a unire gli otto personaggi, diversissimi fra loro, che Tzvetan Todorov racconta nel suo nuovo libro, Resistenti, pubblicato in Italia da Garzanti. Donne e uomini, “indomiti e ribelli” che hanno lottato per la giustizia, i diritti, la libertà di espressione. Tra le pagine di questo nuovo, appassionato, lavoro dello studioso francese di origini bulgare ritroviamo Nelson Mandela e Malcom X, ma anche scrittori che hanno attuato una rivolta silenziosa come Boris Pasternak e che sono finiti in un gulag come Aleksandr Solženicyn o in un campo di sterminio come l’ebrea olandese Etty Hillesum. O ancora partigiane che hanno combattuto il nazismo come Germaine Tillion, torturata in carcere affinché rivelasse i nomi dei compagni e reclusa in condizioni di deprivazione sensoriale, perché la sua testa cessasse di funzionare. Come avrebbe voluto (lo disse esplicitamente) il giudice che condannò Antonio Gramsci.

A rendere originale il racconto di Resistenti è anche il punto di vista di chi scrive: storico, filosofico e molto personale rievocando memorie d’infanzia nella Bulgaria comunista, dove Todorov ha vissuto fino al diploma, finché decise di andare a studiare Filosofia del linguaggio a Parigi. A spingerlo a trasferirsi in Francia fu un doppio choc: «Dal 1944 la Bulgaria era entrata nell’orbita dell’Unione sovietica: il Paese era stato progressivamente sottomesso a un regime totalitario dominato al Partito comunista. Il 1956 ha rappresentato per me un punto di svolta. Mi ero iscritto a Filologia all’università di Sofia. Era il momento in cui sarei dovuto entrare nella vita adulta con una certa autonomia di giudizio», scrive Todorov. Due avvenimenti cambiarono il corso della sua vita. Il primo fu il congresso del Pcus in cui il segretario Nikita Kruscev denunciò i crimini di Stalin e dello stalinismo. «Stalin era stato adorato come un semidio, prima e dopo la morte, nel 1953, e improvvisamente venivamo a sapere, dalla fonte più autorevole, che era uno dei peggiori criminali dell’epoca». Anche se il rapporto segreto di Kruscev rivelava solo una parte della verità, per lo studente fresco di diploma e gran parte dei suoi connazionali, crollava un mondo. «Senza dubbio era l’inizio di una nuova epoca, mi dicevo». Ma presto ebbe un nuovo choc, una bruciante delusione. Lo stesso Kruscev che aveva denunciato i crimini di Stalin ordinò l’invio di carri armati in Ungheria, soffocando nel sangue ogni tentativo di riforma e di autonomia del Paese. Il regime comunista, che professava ideali di uguaglianza e libertà, che parlavano di “uomo nuovo”, continuava a violare i diritti umani.

Professor Todorov cosa c’era di sbagliato nell’idea comunista di uguaglianza e perché il regime, come lei ha detto, fu «una scuola del nichilismo»?

Questa domanda meriterebbe una risposta lunga e articolata. Dovendo esprimermi in estrema sintesi, in generale direi che gli ideali proclamati dal comunismo sono stati snaturati e svuotati di senso dai mezzi violenti e coercitivi utilizzati per promuoverli. Ma c’era di più. I regimi comunisti del XX secolo, costruiti sul modello stabilito da Lenin in Russia, non avevano davvero come base l’universalità e l’uguaglianza tra tutte le persone perché, per loro, una parte della popolazione doveva essere eliminata: la borghesia o i ricchi in Russia, gli intellettuali e gli abitanti delle città in Cambogia, solo per fare due esempi. Quei regimi si basavano sull’idea manichea che esistano due specie di esseri umani. Le loro pratiche non perseguivano l’obiettivo di una società più egualitaria e più giusta per tutti. Al contrario stabilivano molteplici distinzioni giuridiche che favorivano alcuni e discriminavano altri. Eppure programmi e parole d’ordine erano rimasti impregnati di espressioni che rimandavano a ideali di uguaglianza e libertà. Quale conclusione può trarre un cittadino dal fatto che vengono usate parole senza corrispondenza nella realtà? Il risultato fu una sfiducia diffusa verso i discorsi che enunciavano valori astratti. Non potevamo crederci. Così questi sistemi hanno cresciuto generazioni che diffidano dei valori civili, convinti che l’interesse sia l’unico movente delle nostre azioni.

Paesi dell’Est come l’Ungheria e la Polonia oggi attuano politiche fra le più feroci contro i migranti. Un caso?

Mi sembra che politiche di respingimento e chiusura verso i migranti, che possono essere osservate anche in altri Paesi dell’Europa orientale, abbiano origine nel medesimo fenomeno. L’esperienza del passato totalitario non favorisce generosità e fiducia. Non arriva a produrre nemmeno una retorica riguardo all’assistenza necessaria verso chi fugge da guerre e povertà. L’egoismo, individuale o collettivo, prevale.


 

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Certo che la stepchild c’entra con l’utero in affitto. Ed è bene così

Matteo Renzi per la legge sulle unioni civili si è speso, bisogna dirlo. E ha difeso anche l’articolo cinque, la norma che estende la stepchild adoption alle coppie omosessuali. Ha difeso, il premier, l’adozione del figlio del partner, o meglio – come propone il presidente dell’Accademia della Crusca Francesco Sabatini – «l’adozione del configlio» già possibile in Italia per le coppie eterosessuali, discriminazione tra le discriminazioni. L’ha difesa dagli attacchi dei centristi della sua maggioranza e dalla furia cattodem dei suoi colleghi di partito. Ha però chiarito, Renzi, in una delle occasioni in cui ha difeso la legge Cirinnà, al voto in Senato, che lui è favorevole alla stepchild adoption sì ma contrario, molto contrario, alla gestazione per altri, chiamata appositamente «utero in affitto», detto con la stessa intenzione con cui lo dice chi condanna la pratica, nel fronte trasversale che va dalla piazza del Family Day a una buona fetta del femminismo, italiano e internazionale.
In una sua recente enews Renzi si è detto contento tanto del fatto «che la stragrande maggioranza degli italiani» voglia «un istituto che legittimi le Unioni Civili anche per persone dello stesso sesso», ed è però altrettanto contento, Renzi, del fatto che, sempre «la stragrande maggioranza degli italiani», condanni «con forza pratiche come l’utero in affitto che rendono una donna oggetto di mercimonio». «Pensare che si possa comprare o vendere considerando la maternità o la paternità un diritto da soddisfare pagando mi sembra ingiusto», dice Renzi, «in Italia tutto ciò è vietato, ma altrove è consentito: rilanciare questa sfida culturale è una battaglia politica che non solo le donne hanno il dovere di fare».
È dunque incurante a ogni contraddizione, il premier. Incurante di quanto nota, con brutale lucidità, la filosofa e saggista Chiara Lalli (tra i suoi testi segnaliamo per l’occasione Buoni genitori, storie di mamme e papà gay, pubblicato dal Saggiatore nel 2009 ma evidentemente ancora attuale). Scrive Lalli su facebook: «Come pensate che i vostri tanti amici gay possano avere figli, rubandoli agli zingari?». E si accende così il riflettore su tema che, da Monica Cirinnà in giù, tutti i sostenitori della legge sulle unioni hanno cercato di evitare, perché scivoloso, «perché» – dicevano a noi cronisti in cerca di chiarimenti – «è proprio quello che vogliono Adinolfi&co»: che il dibattito sull’adozione del configlio si sovrapponga a quello sulla maternità surrogata, cosa sbagliata («perché l’obiettivo della legge è la tutela del bambino e non ci si deve chiedere come quel bambino sia stato concepito», dice a Left la senatrice Monica Cirinnà), ma solo in parte. «Come pensate che i vostri tanti amici gay possano avere i figli, rubandoli agli zingari?». No, giusto? Ecco. Infatti il non detto lo si è dovuto pronunciare, alla fine, e lo stesso governo – che sulle unioni civili si è riscoperto parlamentarista, senza voti di fiducia e pronto a maggioranze variabili – ha dovuto prendere posizione. Lo ha fatto Renzi, come visto, ma lo ha fatto anche, ad esempio, Gennaro Migliore, fresco fresco di nomina a sottosegretario alla Giustizia: «Non dimentichiamo che l’utero in affitto», dice, «è già regolamentato in Italia, dalla legge 40. È vietato. Se vogliamo trovare un modo per rafforzare questo divieto facciamolo, ma non all’interno della legge Cirinnà», che è «già frutto di una lunga mediazione» e soprattutto «riguarda i bambini».


 

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Come mandare in orbita la Cosmopolitica

Chi sta in alto, la parte più ricca del pianeta non ha bisogno della politica per rispondere ai propri bisogni, ha bisogno di commissariare la politica, per renderla un rito innocuo invece che uno strumento per cambiare le nostre vite. E così siamo schiacciati tra istituzioni non democratiche e con grandi poteri, e istituzioni senza potere ma formalmente democratiche. In questi anni siamo diventati deboli e afoni, ciascuno è costretto ad affrontare da solo gli effetti della crisi, un capitalismo sempre più violento e le diseguaglianze insopportabili. Per questo abbiamo bisogno della politica, per questo dobbiamo riappropriacene come stanno provando a fare Sanders, Podemos, Syriza e Corbyn mentre in Italia pesano anni di errori e subalternità, divisioni e soprattutto la mancanza di un progetto autonomo culturalmente e politicamente efficace.

Per questo nel percorso costituente che avrà avvio da Cosmopolitica (Roma, 19-21 febbraio) non basterà certo cambiare la targa davanti alle sedi dei vecchi partiti. La maggior parte delle persone da coinvolgere sono fuori dai soggetti esistenti e guardano con comprensibile diffidenza all’ennesimo tentativo delle sinistre. Per sconfiggere rassegnazione e conquistare fiducia e credibilità servirà una profonda discontinuità col passato, ricostruire un pensiero politico e un’idea di società, in un vero e proprio cammino che attraversi il Paese per scrivere in maniera partecipata, anche mediante una piattaforma digitale, un vero programma politico d’alternativa.

Serve praticare la sinistra più che parlarne: moltiplichiamo e sosteniamo le iniziative mutualistiche, lanciamo campagne chiare dentro la battaglia referendaria intrecciando l’iniziativa con movimenti e forze sociali: riconquistare la democrazia difendendo la Costituzione, promuovere un nuovo welfare contro le diseguaglianze, l’accesso gratuito all’istruzione, la lotta per la giustizia ambientale e la riconversione ecologica.

Non sarà sufficiente costruire soltanto la pur necessaria lista elettorale che alle prossime politiche sia in competizione con il Pd e gli altri poli, serve una forza politica che viva nella società prima ancora che nel palazzo e nei talk show.

Se non vogliamo che nasca la nuova edizione della solita sinistra dovremo tutti trovare lo slancio e il coraggio necessari per rimettere tutto in discussione e dar vita a un grande movimento popolare in grado di cambiare l’Italia e l’Europa.

 

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Un Plan B per l’Europa: la sinistra a Madrid , seguilo in diretta

Se a Roma c’è Cosmopolitica, a Madrid c’è Plan B: tre giorni di incontri di cui vi abbiamo già parlato e che seguiremo. Siamo a Madrid (e a Roma) e sul giornale cercheremo di rendere al meglio il clima di questi giorni in cui si discuterà di austerity, migrazioni, trattati commerciali e di che strade prendere per salvare il continente da una deriva nefasta. Chi vuole seguire i lavori di questi giorni può farlo da qui

Ragazzo mio, un giorno ti diranno che tuo padre

Dicevano che era meglio stare sempre col sistema, far studiare i figli in una università privata, fare la gavetta in un partito, aspettare fiduciosi nell’anticamera di un manager, indurire la mascella, tener dritto lo sguardo, apparire “vincenti”. Guai agli ultimi, che se sono rimasti ultimi ci sarà stato un motivo. Rottamare i perdenti, o il perdente che si annida in noi.

Contrordine. Papa Francesco promuove Cuba isola “dell’unità e della speranza”. Chiede perdono agli ultimi fra gli ultimi, gli Indios del Chiapas “saccheggiati ed esclusi”. Bernie Sanders, che saluta col pugno chiuso folle di giovanissimi che si fanno attivisti del suo messaggio “socialista” sui social network. Hillary Clinton, la più intelligente, la più realista e amata a Washington, dove fu first lady dell’ultimo presidente prima del terrorismo globale e della Grande Recessione, quasi stenta a tenergli dietro.

Sono notizie “dalla fine del mondo”, direte. In senso spaziale e temporale. Cose che muovono dall’Argentina di Guevara, dalla Cuba di Castro, dall’America dei due atleti neri col pugno alzato nel ’68. Non è proprio così. In Inghilterra si era già visto Corbyn, in Spagna il socialista Sanchez prova a far maggioranza con Iglesias, con Podemos e con Ada Colau, che prima di diventare sindaco di Barcellona era nota per la sua “plataforma de afectados por la ipoteca”, piattaforma per difendere le persone che non possono pagare i mutui.

Quando i ricchi diventano sempre più ricchi e tu sacrifichi la vita per far studiare “bene” i figli ma senza ragionevole certezza del risultato, quando non sai dove piazzare i pochi risparmi, perché il prezzo del mattone non salirà, perché le obbligazioni ti possono fregare e le azioni non ne parliamo, ecco che capisci che il mondo non ripeterà il boom degli anni 60 e la narrazione non potrà restare quella degli 80.

Allora ti arrabbi. Vedi nemici intorno, alzi muri, metti sacchetti di sabbia alle finestre. Immagini crociate, rimpiangi le certezze del passato, diventi un sincero reazionario. Fino a banalizzare la guerra. Che sarà mai, dopo verrà la ripresa.

Oppure guardi alla rivoluzione che hai intorno, ai robot o alle macchine che si guidano da sole e consumeranno meno petrolio, guardi all’isteria dei mercati, alle statistiche che dicono che cresce il lavoro stabile ma tu non lo vedi crescere, guardi a Obama e Hollande che non sanno che pesci prendere in Medio Oriente tanto da far crescere la stella di un ex funzionario del Kgb dai metodi spicci. E ti dici: forse è ora di cambiare. Forse si può uscire dal lungo sonno della sinistra, cominciato con le vittorie di Margaret Tatcher e di Ronald Reagan.

Sapete perché nonni di sinistra e nipoti che vivono in rete sembrano intendersela tanto bene? Secondo me, perché i nonni ricordano le battaglie di Luther King e Malcom X, ricordano i Beatles e i Pink Floyd, a testa alta possono dire di essersi almeno opposti alle guerre imperialiste. I nipoti sanno di dover cercare strade nuove, se vogliono salvare quel “diritto alla felicità” sancito nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America.

Meglio perdenti che matti. E quei politici tradizionali sempre in tv, senza mai dubbi, con sempre più voglie devono apparire proprio matti ai giovani che si sono formati nella crisi, con internet in mano e il fantasma dell’imperialismo che ritorna nei panni del terrorismo. “Un giorno ti diranno che tuo padre… ma tu non credere”. Presago, Luigi Tenco.

Questo editoriale lo trovi sul n. 8 di Left in edicola dal 20 febbraio 

 

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#FreeRami, Ankara rilasci il giornalista siriano Rami Jarrah

Quando capita di scrivere di Siria, una delle cose che il cronista seduto a una scrivania fa è andare a guardare le pagine e gli account social di quel rari, coraggiosi giornalisti (e organizzazioni umanitarie) che lavorano nelle zone di conflitto. Per mesi, la voce, i video, i tweet di Rami Jarrah, giornalista indipendente britannico-siriano nato a Cipro, provenienti da Aleppo e altrove sono fondamentali per sapere e capire. Jarrah racconta la realtà così com’è sotto le bombe, mostra come queste colpiscano aree dove non ci sono combattenti ma civili, racconta la quotidianità di chi è rimasto intrappolato tra due fronti di guerra.

Bene, Rami Jarrah, dopo che tre giorni fa aveva incontrato addirittura Erdogan per parlare di Siria, è stato arrestato dalle autorità turche al confine, mentre chiedeva un permesso per lavorare in quell’area. La notizia viene diffusa oggi da Anapress, l’agenzia di cui è cofondatore, che dice, come leggete qui sotto, che l’arresto è avvenuto tre giorni fa e che oggi è detenuto ad Adana. Jarrah ha potuto comunicare di essere in cella con membri dell’ISIS e che, dopo un alterco con uno di loro, ora teme per la vita.

#Breaking: co-founder of ANA Press and director of Sawt Dimashq Radio Rami Jarrah was arrested three days ago by Turkish…

Pubblicato da ANA PRESS su Venerdì 19 febbraio 2016

In rete e da parte di tutti i colleghi che in qualche misura ne riusano il lavoro è presto partita la richiesta alle autorità turche di rilasciarlo. Ci uniamo anche noi di Left, #FreeRemi

La sfida di Bernie a Hillary fa tappa in Nevada

LAS VEGAS, NV - OCTOBER 13: Democratic presidential candidates U.S. Sen. Bernie Sanders (I-VT) (L) and Hillary Clinton shake hands at the end of a presidential debate sponsored by CNN and Facebook at Wynn Las Vegas on October 13, 2015 in Las Vegas, Nevada. Five Democratic presidential candidates are participating in the party's first presidential debate. (Photo by Joe Raedle/Getty Images)

Ci risiamo, stavlta siamo nel deserto del Nevada, nei casinò di Las Vegas, nelle scuole e nelle stazioni dei pompieri si tengono i caucus democratici del Nevada ed è una nuova occasione per Bernie Sanders, che spera di ripetere l’exploit dell’Iowa, quando ha perso di poco da Hillary Clinton dopo essere stato indietro nei sondaggi per mesi. Qui, a differenza che nel piccolo Stato che produce mais a milioni di tonnellate, non c’è la neve ma fa sempre un gran caldo. Ovviamente non è questo il punto.

Perché il Nevada è imprevedibile?
Una questione di calendario: questa è la prima volta che i caucus si tengono nella prima fase delle primarie. In passato si svolgono a giochi fatti e, dunque, la partecipazione al voto è particolarmente bassa. Dal 2008, però, le regole delle primarie sono cambiate per dare più spazio a tutti gli Stati di decidere. Il Nevada, anche grazie all’intervento dell’allora leader del Senato, il senatore del Nevada Reid, i caucus dello Stato sono finiti terzi in calendario. La ragione è che in questo luogo un po’ paradossale, che beve acqua come pochi pur non avendone e dove la legge consente di aprire casinò come se piovesse (c’è anche Reno, che è un po’ la Las Vegas decadente) la demografia somiglia molto a quella nazionale. A differenza che in New Hampshire e in Iowa, qui ci sono i bianchi, i neri (9%) e gli ispanici(28%), gli asiatici (8%). E le minoranze, che sono cruciali per un successo democratico, partecipano ai caucus. Ma quanto? Nessuno è in gradi di dirlo, proprio perché il nuovo calendario rende l’appuntamento importante per la seconda volta e, dunque, tutti i confronti con il passato sono difficili. I sondaggi e il fatto che ci siano molte minoranze rende Hillary avvantaggiata in teoria. Ma la campagna Sanders ha dalla sua l’entusiasmo e le rilevazioni degli ultimi giorni indicano come il senatore del Vermont stia crescendo. Gli ultimi sondaggi danno Bernie dietro ma di due-tre punti. Due mesi fa erano 15.

Democratic U.S. presidential candidate Hillary Clinton waves with U.S. Secretary of Housing and Urban Development Julian Castro at her side during a "Latinos for Hillary" rally in San Antonio, Texas October 15, 2015. Castro endorsed Clinton's campaign for president. REUTERS/Darren Abate - RTS4NH9

sanders nevada

Come funzionano i caucus?
In modo astruso: ci si presenta nel luogo predestinato, ci si siede dalla parte dove sono raccolti i sostenitori del candidato che ci piace, ci si conta e, se i candidati sono più di due, poi si fa una seconda conta tenendo conto della seconda scelta di ciascuno. Non è questo il caso. Il video di Bernie Sanders qui sotto, uno dei tanti sforzi fatti per portare più gente a votare, lo spiega benissimo. E si capisce anche se non capite l’inglese.

Che problemi ha il Nevada?
Non pochi: dopo la crisi del 2008 il valore delle case è crollato e molti degli alberghi e casinò di Vegas hanno conosciuto una crisi profonda. L’elettorato democratico, molto ispanico è molto impiegato nelle cucine e negli alberghi e, dunque, ha pagato pesantemente la recessione. Non solo: il crollo del valore delle case ha prodotto bancarotte finanziarie di famiglie che hanno perso la casa. Il messaggio di Bernie, che punta il dito contro banche e potere di Wall Street, dunque, parla a molte persone. Al contempo, la figura di Hillary è popolare qui e la campagna ha fatto un gran lavoro da mesi. Sia lei che Sanders hanno fatte loro le richieste dei lavoratori a basso salario che qui pesano. Clinton vinse nel difficile 2008, quando l’avversario era la macchina da guerra Obama e il potente sindacato dei lavoratori delle cucine aveva dato a lui il suo appoggio – stavolta è neutrale. La campagna è stata molto mirata sugli ispanici, che possono rappresentare una colonna portante per chiunque sia il candidato democratico alla Casa Bianca alla fine delle primarie. Un esempio? Il video qui sotto, nel quale Hillary abbraccia la ragazzina che le chiede sull’espulsione che i suoi genitori senza documenti rischiano. È una delle cose migliori uscite dalla campagna Clinton a oggi. Ora respirate e pensate se il candidato più a destra di un partito X della sinistra moderata oggi si spingerebbe a promettere pubblicamente alla figlia di due clandestini che si batterà per cambiare la legge e impedire che questi vengano rispediti a casa.
Buon caucus del Nevada

 

 

 


 

 

Sul n. 8 di Left in edicola dal 20 febbraio, tutta l’America di Bernie Sanders

analisi, interviste, reportage con Furio Colombo, Alessandro Portelli, Corradino Mineo, Roberto Festa, Giorgia Furlan, Simona Maggiorelli, Martino Mazzonis

 

 

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Maternità surrogata, Legge 40, ricerca sugli embrioni. Dalla Cei, 12 anni di interventi a gamba tesa

Staino per l'Istituto Luca Coscioni

«L’utero in affitto ruba l’identità ai bambini», dice Paolo Crepet sull’Avvenire. Come se il neonato non avesse una propria identità. «Nessuna eccezione, è una pratica aberrrante e inaccettabile», sentenzia lo psichiatra e spesso ospite in tv. Perché «la maternità surrogata rende impossibile rispondere alla domanda tipo di ogni essere umano:”chi sono io?”. E’ un dovere assoluto addirittura  fondativo della nostra vita rispondere a questo quesito». E allora i bambini adottati? Crepet non si rende conto del razzismo implicito in queste sue dichiarazioni riduzioniste? Non pago, aggiunge: «Tra madre surrogata e figlio che cresce nel suo grembo si istaurano realazioni intense spezzate al momento del parto. E le cose peggiorano persino se dopo si mantiene un rapporto». Avendo una formazione medica Crepet dovrebbe sapere che il feto non ha alcuna possibilità  di vita fuori dall’utero prima che siano trascorse circa 24 settimane e che solo alla nascita comincia l’attività psichica.  E in quanto psichiatra dovrebbe sapere anche che – come ricorda anche il ginecologo Carlo Flamigni su Left in edicola –  «la genitorialità non è un istinto», ma  ha a che fare con gli affetti e con il rapporto con il bambino, non importa se nato con la fecondazione assistita, con la maternità surrogata o se  adottato.

Qualche giorno fa Luigi Manconi scriveva sul Manifesto che il problema più grosso in Italia quando si parla di temi come la legge 40, utero in affitto, ricerca sulle staminali, è che anche su testate mainstream, non solo sull‘Avvenire, non manca mai il commento del cardinale Angelo Bagnasco: che non perde occasione (come chi l’ha preceduto alla guida della Cei) per intromettersi  nel dibattito politico italiano ribadendo che «la famiglia è un fatto antropologico» e non culturale. Come vuole la Bibbia.

Dell’estrema urgenza di aprire il dibattito parlamentare alla ricerca ha parlato Manconi il 18 febbraio ad apertura della due giorni organizzata a Roma dall’Associazione Luca Coscioni, in occasione del decennale della morte del ricercatore umbro Luca Coscioni che, ammalato di Sla, decise con coraggio di fare della sua malattia un fatto pubblico lottando per la conquista di diritti di tutti. Grazie al suo impegno, gli scienziati  italiani cominciarono ad uscire dai laboratori per fare informazione sulle staminali embrionali,  accendendo il dibattito pubblico anche su quella che impropriamente viene detta “clonazione terapeutica” e sulle nuove frontiere della ricerca di cure per malattie genetiche devastanti.

Durante la discussione parlamentare sulla legge 40 nel 2004 , e quando Luca intraprese la sua battaglia politica candidandosi con i Radicali italiani, l’intervento a gamba tesa del Vaticano su questioni di diritti «eticamente sensibili» era fortissimo. La Cei metteva continuamente bocca  sull’iter della norma sulla fecondazione assistita. E il cardinal Ruini, affinché il referendum del 2005 fallisse non raggiungendo il quorum, tuonava: «non si vota sulla vita», invitando gli italiani ad andare al mare. Oggi Bagnasco ne segue le orme riguardo al dibattito sulle unioni civili.

«Dieci anni fa moriva Luca Coscioni… e siamo ancora nelle mani di Bagnasco» dice Bobo in una vignetta di Staino realizzata per l’Istituto Luca Coscioni.  E sono davvero tanti i privilegi di cui il Cardinal Bagnasco gode in Italia compreso un cospicuo vitalizio, in quanto ex cappellano ( Italialaica ha lancitao una petizione per abolirlo).

Quanto alla possibilità di cambiare una legge crudele e antiscientifica come la norma sulla fecondazione assistita , molto è accaduto in questi ultimi 12 anni, grazie al coraggio di tanti cittadini e al lavoro dell’Associazione Luca Coscioni guidata dall’avvocato Filomena Gallo. Nelle aule di tribunale è stata smantellata pezzo dopo pezzo, grazie anche a una condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. L’ultimo divieto è caduto nel 2015 con l’autorizzazione all’accesso alla fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto per le coppie fertili con una malattia genetica.

Resta in piedi, però, il divieto di fare ricerca sugli embrioni crioconservati, che se non idonei alla gravidanza e destinati alla distruzione; divieto oltretutto ipocrita perché la legge 40 al contempo permette di fare ricerca sulle staminali embrionali purché le linee cellulari siano importate dall’estero.” Si tratta di un divieto che ostacola il diritto alla salute,  sancito dal art. 32 della Costituzione, e la possibilità di sviluppo di terapie per patologie che oggi non hanno nessun trattamento a disposizione”, dice l’avvocato Gianni Baldini, docente di biodiritto all’Università di Firenze. Su questo divieto si dovrà pronunciare  il 22 marzo la Corte Costituzionale, che negli anni scorsi ha giocato un ruolo fondamentale dichiarando incostituzionali divieti come quello che riguardava l’eterologa.

Presto riprenderà il dibattito sulla legge 40: durante la due giorni in ricordo di Luca Coscioni, (morto il 20 febbraio 2006) nella sessione L’Italia davanti al giudizio di costituzionalità sul divieto di ricerca sugli embrioni la senatrice Pd Emilia De Biasi ha annunciato che la norma sarà riformata entro la primavera: «non ha più senso attendere, bisogna ottemperare alle sentenze,  dunque cominciamo a discutere il provvedimento sulla riforma della legge 40 a mia prima firma e di cui è relatrice l’onorevole Matesini. Un disegno di riforma  in cui è inclusa la possibilità di fare ricerca sugli embrioni. Perché è fondamentale per l’avanzamento della scienza medica e perché bisogna rimettere al centro il rispetto delle persone, avendo fiducia nel lavoro degli scienziati, la cui finalità è in primis trovare terapie per malattie oggi incurabili».  Poi, riguardo al dibattito sulle unioni civili la senatrice De Biasi si è  anche detta preoccupata per «le mistificazioni  e le intrusioni improprie di soggetti che non dovrebbero intervenire nel dibattito istituzionale che ledono il principio della laicità dello Stato. Abbiamo assitito ad un dibattito per certi versi sconcertante  perché alcuni inerventi hanno riportato il dibattito a cinquant’anni fa, come se le norme sull’aborto e sul divorzio , grandi scatti di civiltà di questo Paese, non fossero mai state varate.  Cosa c’è dietro? La paura di toccare la sfera riproduttiva in nome di un’idea di diritto naturale che non corrisponde alla realtà, al progresso della scienza e della società». @simonamaggiorel

Com’è va Cosmopolitica? Guardala in diretta

Come vi abbiamo raccontato su Left, alla tre giorni che comincia oggi non c’è Possibile di Civati e neanche Rifondazione di Paolo Ferrero. L’appuntamento di Roma è però il tentativo di avviare una costituente unitaria a sinistra («dove nulla è deciso», assicurano i promotori). E «speriamo che altri si possano aggiungere da qui a dicembre», dice proprio pensando a Civati Nicola Fratoianni di Sel – che per Cosmopolitica ha in effetti rinunciato ad avviare il proprio tesseramento 2016. Fratoianni e così il gruppo di Act e i fuoriusciti dal Pd, D’Attorre, Fassina e Cofferati, vogliono però fondare un nuovo partito. «Non sarà un accrocco», assicurano un po’ tutti, lanciando la piattaforma partecipativa e un processo che dovrebbe durare tutto l’anno.

Qui la diretta dei lavori.

Salviamo la ricerca italiana: una petizione si rivolge all’Europa. Visto che il governo è sordo

«Ormai da 5-6 anni quando vado all’estero mi chiedono cosa stia succedendo in Italia. Qualcuno vi sta bombardando, dicono, perché arrivano un sacco di profughi». Giorgio Parisi docente della Facoltà di Fisica della Sapienza di Roma, intervistato da Radio Radicale qui, ha usato una immagine molto efficace per descrivere il disastro della ricerca italiana. “Bombardamenti” che iniziano dalla famigerata legge n.133  Gelmini-Tremonti che a giugno 2008, a poche settimane dal’insediamento del governo Berlusconi calò la mannaia sul mondo dell’istruzione e della ricerca italiana. Da allora, il Ffo, il fondo di finanziamento ordinario per l’università ha subito un taglio di 1 miliardo e mezzo, la ricerca è stata penalizzata di 450 milioni all’anno, sostiene Parisi dai microfoni di Radio Radicale.
Il professor Parisi ha lanciato una petizione su Change.org che in pochissimi giorni ha raggiunto 39mila firme. Non solo. Il docente romano ha lanciato anche un appello video (qui) in cui spiega perché un Paese che non investe in cultura, ricerca e scienza non ha futuro.

Salviamo la ricerca italiana, questo il titolo, è indirizzata alla Commissione europea e al governo italiano e parte da un ragionamento molto semplice. La Commissione europea fa pressione sull’Italia perché rientri nei parametri stabiliti sul bilancio? Perché allora non esercita la stessa pressione e influenza per far rispettare al nostro governo il trattato di Lisbona del 2000 e il Consiglio europeo di Barcellona del 2002 che fissavano il limite minimo di finanziamento per la ricerca al 3 per cento del Pil? «Noi richiediamo che il governo implementi con la massima urgenza un piano pluriennale per portare la spesa in Ricerca e sviluppo dall’attuale 1% fino al 3% del Pil e che lo rispetti nel futuro raggiungendo, sia pure in grande ritardo, l’obiettivo di Barcellona», si legge nella petizione.
I dati, come al solito parlano chiaro. L’Italia è ultima tra i Paesi Ocse per finanziamenti alla ricerca e sviluppo, oltre ad essere ultima in Europa per numero di laureati. Per sollevare il problema 69 scienziati italiani hanno scritto una lettera pubblicata su Nature il 4 febbraio 2016. Si chiede all’Unione europea «di spingere i governi nazionali a mantenere i fondi per la ricerca a un livello supeirore a quello della pura sussistenza. Questo permetterebbe a tutti gli scienziati europei – e non solo a quelli britannici, tedeschi e scandiavi – di concorrere per i fondi di ricerca Horizon 2020», si legge nella lettera. Che mette in evidenza come ormai da anni i vari governi succedutisi abbiano trascurato il finanziamento della ricerca di base che è quella fondamentale, perché permette l’avvio di produzioni. Nella lettera si legge che i fondi di quest’anno, i Prin (progetti di interesse nazionale) ammontano a 92 milioni, ma sono troppo pochi per coprire tutte le aree di ricerca. Solo per fare un confronto, in Francia per lo stesso settore si spende un miliardo di euro all’anno. E poi ci si lamenta o che i ricercatori fuggano all’estero o che, come nel caso dei vincitori dei bandi Erc, preferiscano (17 su 30) rimanere nei Paesi dove lavorano. Per esempio la ricercatrice Roberta D’Alessandro (protagonista di una “dialettica” vivace con il ministro Giannini, v. qui) che ha vinto un finanziamento di 2 milioni di euro in 5 anni, se tornasse in Italia probabilmente farebbe fatica ad andare avanti nel suo lavoro perché in Italia manca il sostegno continuo alla ricerca di base. Quindi ha preferito rimanere in Olanda. Nella lettera gli scienziati segnalano anche una incongruenza: «Nel periodo 2007-2013 l’Italia ha contribuito al settimo “Programma quadro europeo per la ricerca” per un ammontare di 900 milioni di euro l’anno, con un ritorno di 600 milioni». E questo perché il Governo italiano non ha creato il tessuto attorno alla ricerca di base,  quindi la commissione europea dirotta i fondi là dove invece questo tessuto è vivo. «Le politiche nazionali devono essere coerenti tra di loro e garantire una ripartizione equilibrata delle risorse», denunciano ancora gli scienziati.

Da noi accade che i ricercatori sono in fuga all’estero e quelli che rimangono sono precari, perché tra l’altro con il blocco del turn over è difficile poter entrare negli enti pubblici di ricerca. Così suona davvero fuori luogo il giubilo del presidente del consiglio Renzi di fronte al successo degli scienziati di Cascina e dell’Infn (istituto nazionale di fisica nucleare) che hanno catturato le onde gravitazionali previste da Einstein un secolo fa ma mai osservate. Successo della ricerca italiana, sì, ma senza risorse. Qualcuno si chiederà mai che se ci fossero maggiori finanziamenti alla ricerca di base, ne potrebbe trarre benefici anche la produttività delle imprese che quanto a innovazione sono molto, molto indietro?