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Portogallo, prima mossa del governo Costa: aumenta il salario minimo

O secretário-geral do PS, António Costa, à saida da reunião com o PSD e CDS-PP para discutir o novo quadro parlamentar e formação do Governo, na sede do PSD, em Lisboa, 9 de outubro de 2015. MÁRIO CRUZ/LUSA

La lotta del governo Costa all’Europa dell’austerità è cominciata. A partire dal primo gennaio 2016, il salario minimo portoghese passerà da 505 a 530 euro mensili. La decisione è stata annunciata dal ministro della Solidarietà, Lavoro e Sicurezza sociale, José António Vieira da Silva, dopo quella che il ministro ha definito una «discussione intensa e proficua», il nuovo governo portoghese di sinistra-sinistra guidato da Antonio Costa ha preso la sua decisione. Senza unanimità, perciò si terrà un altro incontro il 21 dicembre per cercare di arrivare ad averla, l’unanimità. Ma, a scanso di equivoci, il ministro Vieira da Silva precisa che in assenza di un accordo tra sindacati e imprenditori la decisione finale spetterà comunque all’esecutivo.

In Portogallo il salario minimo – ovvero la paga base riconosciuta per legge ai lavoratori – è stato congelato a quota 485 euro dal 2011 fino a ottobre 2014, ed erano pure troppi secondo la Troika, che nel 2013 ha tentato invano di abbassarlo ulteriormente. Poi, nel settembre del 2014, governo Sócrates e parti sociali siglano un aumento in busta paga di 20 euro, perciò il Smn passa a 505 euro. Adesso arriverà a quota 530 euro.

Chi è il ministro del Lavoro portoghese

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Vieira da Silva, economista, 62 anni, deputato socialista. Dal 24 novembre è il nuovo ministro del Lavoro, della Solidarietà e della Sicurezza sociale del governo Costa. Ruolo che ha già occupato nel 2005 durante il primo governo del socialista Sócrates, partecipando a una delle principali riforme del Paese. Nel 2009, sempre con Sócrates è ministro dell’Economia. Dal 2011 è deputato dell’Assembleia da República, nonché uno dei principali consiglieri di António Costa in materia economica.

Chi ha il salario minimo in Europa

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Dati Eurostat alla mano, a gennaio 2015, 22 Stati europei contano un salario minimo nazionale.
Dieci, sotto i 500 euro: Bulgaria (184), Romania (218), Lituania (300), Repubblica Ceca (332), Ungheria (333), Lettonia (360), Slovacchia (380) ed Estonia (390).
Cinque, compreso tra 500 e 1000 euro: Portogallo (589), Grecia (684), Malta (720), Spagna (757) e Slovenia (791).
Sette, superiore ai 1000 euro: Regno Unito (1.379), Francia (1.458), Irlanda (1.462), Germania (1.473), Belgio e Olanda (1.502), e Lussemburgo (1.923).
Italia non pervenuta.

[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/TizianaBarilla” target=”on” ][/social_link] @TizianaBarilla

Occupazione, la Bce bacchetta l’Italia. E nel futuro la crescita minacciata da «rischi geopolitici»

FILE - In this June 6, 2012 file picture the President of the European Central Bank, Mario Draghi, speaks during a press conference in Frankfurt , Germany. European Central Bank head Mario Draghi warned European Union leaders that they should not wait for more emergency help from the central bank to solve the debt crisis rattling the region and instead make the political choices needed to strengthen the euro. Draghi said Friday June 15, 2012 the ECB has supported banks against the ongoing debt crisis with €1 trillion in emergency credit and that now "political choices have become predominant over monetary policy instruments that we can use in the near future." (AP Photo/dapd/Mario Vedder)

La Bce bacchetta l’Italia. Siamo la maglia nera nell’Eurozona quanto a numero di nuovi occupati. Addirittura la povera Grecia oppressa dal debito ha prodotto più occupazioni di noi. Il periodo preso in considerazione e analizzato nel bollettino mensile della Banca centrale europea reso noto oggi è quello che va dal secondo trimestre 2013 al primo 2015. Mentre la Germania e la Spagna (sì, il Paese schiacciato qualche anno fa dalla bolla immobiliare) detengono i primi posti e hanno contribuito per quasi per quasi due terzi all’incremento complessivo del numero di occupati con apporti pari rispettivamente a 592.000 e 724.000 unità, l’Italia insieme alla Francia è il fanalino di coda. «I livelli occupazionali di Francia e Italia – si legge – sono aumentati, nell’ordine, di appena 190.000 e 127.000 unità, pari all’incirca al 15% del rialzo per l’insieme dell’area dell’euro».

Queste cifre sono indicative di un problema ben più complesso. E l’analisi della Bce verte sul fatto che «la crisi ha esercitato un impatto avverso ben più persistente sull’occupazione complessiva, che è rimasta pressoché invariata, in controtendenza rispetto all’insieme dell’area dell’euro e alle sue economie più piccole». Questo significa che la reazione alla crisi non c’è stata e che le politiche dei governi come quello italiano sono state troppo deboli. La Spagna, per esempio, pur soffrendo moltissimo nella prima fase di quella che ormai è stata chiamata Grande recessione, è riuscita a recuperare anche se non è ancora a livelli delle altre grandi economie dell’Eurozona.

Gli altri Paesi, aggiunge Francoforte, hanno fornito un contributo totale di 252.000 unità, in seguito al netto recupero congiunturale dell’occupazione in molte delle economie più colpite dalla crisi. Inoltre, sottolinea la Bce, l’Italia insieme alla Spagna è il Paese in cui l’occupazione femminile è cresciuta di meno nello stesso periodo.

Il bollettino Bce non fa presagire un futuro roseo. Al di là della vigilanza stretta che farà la Bce per seguire « l’evoluzione delle prospettive per la stabilità dei prezzi», con «la volontà e la capacità di agire, se necessario, ricorrendo a tutti gli strumenti disponibili nell’ambito del proprio mandato per mantenere il grado appropriato di accomodamento monetario», ci sono dei rischi che incombono. E questa volta «sono rischi geopolitici di ampia portata». Rischi, si legge ancora nel bollettino, «potenzialmente in grado di influire sulla crescita mondiale e sulla domanda esterna di export, nonché sulla fiducia».

Questa l’analisi della Bce sull’andamento dell’occupazione in Italia. Il periodo considerato non prevede gli effetti del Jobs act. Ma anche la riforma renziana che ha scardinato lo Statuto dei lavoratori, non ha per il momento, prodotto un balzo in avanti nell’occupazione.


 

Leggi anche: Il Jobs act non ha funzionato, tre economisti analizzano i dati sull’occupazione 


 

5 anni fa moriva Mohamed Bouazizi e iniziava la primavera araba

©PHOTOPQR/LE PARISIEN/Philippe de Poulpiquet ; Sidi Bouzid, Tunisie le 20/01/2011 - A Sidi Bouzid, la ville où s'est immolé Mohamed Bouazizi, devenu martyr. La mère de Mohamed Bouazizi montre le portrait de son fils disparu. Sidi Bouzid aftermarth - Style life in the city of Sidi Bouzid, Tunisia where Bouazizi, a university-educated street vendor who burned himself alive after Tunisia’s police confiscated his goods. He helped launch the massive protests that brought down dictator Zine-El-Abidine-Ben-Ali last weeks. Her mother shows a photography of Bouazizi

Era il 17 Dicembre 2010 quando Mohamed Bouazizi, 26 anni, decide di cospargersi di gasolio e darsi fuoco di fronte alla sede del governo della cittadina di Sidi Bouzid. A scatenare il gesto radicale di protesta l’ennesimo sopruso subito, questa volta da una vigilessa che gli ha sequestrato le poche verdure che sta tentando di vendere abusivamente nella speranza di racimolare qualche soldo. Il gesto estremo di Mohamed arriva velocemente da un lato all’altro della Tunisia grazie soprattutto a facebook, twitter, ai blog e siti web. Mentre Mohamed è ricoverato al centro grandi ustionati di Ben Arous, la sua storia spinge migliaia di giovani tunisini a scendere in strada e raggiungere la piazza dove si è dato fuoco per potrestare contro la povertà, la disoccupazione, la mancanza di libertà di espressione. È l’inizio della primavera araba, un tam tam che attraverso i social dilaga in tutto il Maghreb.

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Dopo Mohamed al grido di «no alla miseria, no alla disoccupazione» scelgono lo stesso destino anche Houcine Neji, a soli 24 anni e Lotsi Guadri. Altri tre ci provano in Marocco, ma vengono fermati in tempo. Nel frattempo le condizioni di Mohamed si aggravano e il giovane muore. Ai suoi funerali partecipano 5000 ragazzi, sfidando le forze dell’ordine schierate e il forte clima di tensione in cui si trova il Paese a causa di un dissenso che il governo sembra non riuscire più a tenere a freno.
A un cronista di Maghrebia news, portale d’informazione dei paesi del Maghreb, un diciannovenne racconta: «Sono nato in una baraccopoli. Sono cresciuto con la promessa di essere trasferito in una casa decente. Ma niente. Niente. Niente lavoro, niente formazione. Solo ogni tanto qualche piccolo lavoro senza tutele e a nero. Lo Stato non ha fatto niente per me e questo è il mio modo di vendicarmi per essere stato ignorato». In Tunisia cade il governo di Ben Ali.

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Il giornalista Fahmy Howeidi commenta così: «La rivoluzione degli affamati e dei reietti non può essere ignorata ulteriormente. Il messaggio che arriva dalla Tunisia è che la tirannia può estendere la vita di un governo ma non può tenerlo in vita per sempre. Tutti i paesi arabi soffrono di condizioni simili a quelle che hanno dato il via alle proteste tunisine». E infatti ben presto la rabbia per l’ingiustizia scatenata nei giovani arabi dal gesto di Mohamed Bouazizi in Tunisia contagia il Marocco, l’Egitto, lo Yemen. La protesta si trasforma in un vento che soffia su gran parte del mondo arabo per portare al potere dei governi democratici. Nel 2011 il dimostrante per Time è la persona dell’anno.

 

 

 

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Siria, raccontava i crimini di ISIS e i raid su Raqqa. Giornalista siriano ucciso nella notte

Persone dal coraggio enorme che solo gli addetti ai lavori e le persone ossessionate dalle notizie provenienti dal martoriato Medio oriente conoscono. Sono quelli di Raqqa is being slaughtered silently, Raqqa viene macellata in silenzio, un sito e una serie di account twitter che ci raccontano quotidianamente quel che succede nella città capitale del Califfato. La vita quotidiana, le violenze e anche gli effetti dei bombardamenti.
Senza gente così avremmo solo la propaganda di Daesh e le notizie dei comandi sui raid aerei. Ad esempio non sapremmo che i radi aerei di stanotte hanno ucciso 21 civili tra cui dei vigili del fuoco. Come si legge nel tweet qui sotto.

Uno di loro, Ahmad Mohamed al-Mousa, il fondatore del gruppo, è stato assassinato la scorsa notte da uomini mascherati.  

Almeno altri due membri di Raqqa is being slaughtered slowly erano già stati uccisi. A ottobre, Ibrahim al-Qader Abd era stato ucciso da ISIS aassieme al collega giornalista Fares Hamadi a Urfa, in Turchia. A maggio 2014, era stata la volta di Al-Moutaz Bellah Ibrahim, rapito e ucciso da uomini di Daesh.

Il mese scorso il gruppo è stato premiato con il premio internazionale per la libertà di stampa 2015, dal Committee to Protect Journalists (CPJ) di New York.

Il direttore del CPJ ha dichiarato: «Solo poche settimane fa, circa 900 giornalisti, difensori della libertà di stampa si sono alzati in piedi ad applaudire e celebrare il lavoro del gruppo di Raqqa. Oggi siamo tutti in piedi di nuovo, questa volta per un lutto.» Il discorso di accettazione del premio è nel video qui sotto, ecco un passaggio tradotto:

Siamo stretti tra due forze aggressive e brutali. La prima è quella di un regime criminale, ossessionato dal potere, che pretende di combattere il terrorismo uccidendo bambini. Il secondo diffonde il male e l’ingiustizia, e dipinge il Paese di nero.

Entrambi ci considerano dei criminali perché facciamo sapere al mondo quel che fanno. La semplice menzione del nome di “Raqqa viene macellata in silenzio” è diventato un crimine punibile con la morte.

I membri di “Raqqa viene macellata in silenzio” non sono diversi da nessuno di voi. Noi amiamo la nostra casa e abbiamo ambizioni e il sogno di metter su famiglia e vivere felicemente.

Lavoriamo cone mezzi pacifici di lotta contro forze oscure, e le nostre pubblicazioni hanno un grande impatto  e piantano semi di resistenza pacifica. Effettuiamo campagne graffiti sui muri all’interno delle roccaforti di ISIS, cercando di dimostrare al mondo che noi sconfiggeremo le armi con il pensiero.

كلمة الرقة تذبح بصمت لدى استلام جائزة حرية الصحافة العالمية#الرقة_تذبح_بصمت#Raqqa #ISIS #Syriaكلمة عضو الرقة تذبح بصمت لدى استلام جائزة حرية الصحافة العالمية CPJ Raqqa is Being Slaughtered Silently 2015 IPFA Acceptance Speech CPJ

Posted by ‎الرقة تذبح بصمت Raqqa is Being Slaughtered Silently‎ on Giovedì 26 novembre 2015

Beethoven, Google e la durata dei Cd.

Ludwing Van Beethoven è uno dei più grandi compositori di musica classica vissuti al mondo. Nato a Bonn il 17 dicembre del 1770 ed è morto a Vienna il 26 marzo 1827 ormai completamente sordo. Oggi Google festeggia i 245 anni dalla nascita del genio con un bellissimo doodle musicale. Il player sulla home page del motore di ricerca porta infatti a un’animazione dando la possibilità di giocare a ricomporre nel modo corretto una breve sequenza della quinta sinfonia, il “premio” per chi ci riesce è poter proseguire nella visualizzazione del video e ascoltare qualcuno dei brani più famosi del maestro. In pochi inoltre sanno che fu Beethoven a determinare anche la capacità temporale dei primi Cd che inizialmente fu fissata a 74 minuti e 33 secondi. La motivazione è tanto semplice quanto curiosa: si tratta dell’esatto tempo di riproduzione della nona di Beethoven. Fu la moglie di Norio Ohga, all’epoca vice presidente della Sony, a suggerire al marito di scegliere una capacità che ben si sposasse con uno dei brani di musica classica più noti, appunto la nona sinfonia di Beethoven.

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87 ore, il film di Costanza Quatriglio sul caso Mastrogiovanni

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Non è solo un film di denuncia, fortissimo e coraggioso, quello che la regista Costanza Quatriglio ha realizzato per raccontare la drammatica vicenda di Francesco  Mastrogiovanni, maestro elementare di Castelnuovo Cilento.

87 ore è anche un lavoro bello e struggente perché la regista, con sensibilità e pudore, cerca di ridare una voce a quella solitaria persona che il 31 luglio 2009 è stato portato via in ambulanza per un Tso e poi, benché fosse calmo, è stato sedato e legato al letto, fino alla morte, avvenuta il 4 agosto dopo quattro giorni di agonia.

Giovedì 17 alle 18 il film viene presentato al Senato da Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto, sperando che possa accendere i riflettori su questo caso e sul processo. Il 28 dicembre il film, che ha il patrocinio di Amnesty International Italia, andrà in onda su Rai3.

«Devo a Manconi, che aveva apprezzato i miei film precedenti, la prima idea di fare questo film. Con Valentina Calderone mi hanno segnalato le immagini della video sorveglianza, che erano state diffuse sul sito de L’Espresso». Quelle immagini che erano di dominio pubblico ma,  anche se senza censure, non raccontavano però la verità più profonda. In quelle crude e agghiaccianti sequenze non c’era il vissuto, non c’era umanità in quella fredda cronaca. Ma proprio da lì,  da quel documento, è nato il film. «Abbiamo cominciato a immaginare come avremmo potuto raccontare questa storia. All’inizio nessuno avrebbe pensato che la narrazione si sarebbe potuta reggere  su quelle immagini  registrate dalla videocamera di una sala di ospedale. Ciò che è avvenuto è stato il frutto di un percorso nato studiando le immagini, la loro durata interna e come vengono percepite. Determinante è stato il corpus di documenti giudiziari e medico-legali. Ho capito che nelle carte avrei trovato la chiave della narrazione. È stato un lavoro di scrittura forse irripetibile, perché basato su immagini preesistenti che però, per certi versi, dovevano essere “rivelate”.

Preparando il film, dalle testimonianze, che idea ti sei fatta di questa persona che prima di questi drammatici fatti non conoscevi?

All’inizio avevo solo quelle immagini che mostravano una persona ridotta a figurina bidimensionale. Ho dovuto fare un grosso sforzo per capire come fosse Mastrogiovanni. C’era molto pudore e molta tenerezza nei suoi confronti da parte dei familiari e degli amici. Attraverso quello che intuivo mi sono fatta l’idea di un uomo di grande dolcezza, un po’ all’antica, che aveva valori, per così dire, assoluti, quasi ancora adolescenziali. Forse con un po’ di romanticismo me lo immagino come un perfetto maestro elementare. Una figura che ti accompagna, ti fa giocare, ti fa riflettere. Certamente è stato un uomo di grandi ideali che è stato bastonato dalla vita.

Aveva già avuto prima di questo episodio altri ricoveri?

Sì. Mentre si avvicinava all’ambulanza, ha detto: “non mi portate a Vallo, che lì mi ammazzano”. Questa sua frase fa scattare miliardi di domande. Tra il 2002 e il 2005 Mastrogiovanni era stato soggetto ad altri tre trattamenti sanitari obbligatori (Tso). Viene da pensare che avesse già visto o vissuto situazioni degradanti e disumane come quelle che poi ha subito nel 2009. Altrimenti non si spiega quella frase. La cosa terribile, però, è che oggi non abbiamo una risposta certa.

Mentre il processo sta andando avanti 87 ore avanza domande importanti, che cosa ti aspetti?

Spero che scaturisca una riflessione pubblica, che si possa tornare a discutere dell’uso della contenzione, perché attualmente non c’è una legge univoca. Esistono dei regolamenti e c’è una disposizione dei primi del Novecento, peraltro oggetto di controversie dal punto di vista della dottrina giuridica. Ma non spetta a me parlarne, ma a chi è competente . Io mi limito a rilevare che in questa storia ci sono due questioni distinte: il Tso e la contenzione meccanica, ma davvero questo deve affrontato da chi è titolato a farlo. Io mi sento di dire che se la nipote di Mastrogiovanni, Grazia Serra, avesse avuto la consapevolezza del proprio diritto nell’oltrepassare quella porta dal vetro oscurato, forse  sarebbe ancora vivo. Questo film apre uno squarcio sulla nostra responsabilità individuale. Come cittadini dovremmo vigilare sui nostri stessi diritti. E sui nostri stessi obblighi, che sono altrettanto dirimenti, perché c’è l’obbligo di attenzione verso l’essere umano, l’obbligo di cura, quello che è mancato a Mastrogiovanni.

Vedendo questo film forte, toccante, che toglie il respiro, nella testa rimbomba una domanda: perché in quel reparto psichiatrico lo hanno lasciato morire?

Non ci sono risposte  logiche e razionali. Ho trovato una risposta in quel modo di guardare quel corpo attraverso le videocamere dell’ospedale. Quell’occhio lo osserva in modo procedurale, meccanico. Nel momento in cui ho capito che la risposta per me da cineasta stava in quello sguardo, ho capito che era giusto fare il film.

Mastrogiovanni era guardato a vista ma non curato…

Qui tutto è delegato alla meccanica, non c’è rapporto umano. Tutto diventa freddo, distante, disumano. In quello sguardo reificante c’è la causa dell’accaduto. Questa è la risposta che mi sono data. Altrimenti è il mondo dell’insensatezza. Non mi sento neanche di attribuire a quel comportamento da parte del personale intenzioni cospiratorie. Davvero sono convinta che quel modo di guardare abbia determinato la fine di Mastrogiovanni. Era visto come una cosa, un corpo, privato di ogni dignità. Non solo chi guarda attraverso il video ma anche tutti gli altri in quella stanza sono come dei robot che si muovono meccanicamente accanto ad un mero corpo.

La sensazione che si ha è che Mastrogiovanni sia stato annullato come persona.

Sì sono d’accordo, esiste solo il corpo di Mastrogiovanni, la persona non esiste per chi lavora là attorno. E per chi poi pulisce e sistema la stanza come se lui non fosse mai stato là. Il massimo della visibilità attraverso le telecamere corrisponde qui al massimo della invisibilità. L’uso del video in 87 ore serve a questo,  come spettatore ti mette in una posizione insopportabile, ti costringe ad assumere qual punto di vista meccanico, disumano e disumanizzante e poi a poco a poco cominci a renderti conto di tutto questo. In questo contesto la persona Matrogiovanni può essere solo evocata in quel prologo iniziale in cui le voci, in sua assenza, davanti alla mare, ci fanno intuire la sua realtà di uomo.

E nelle parole della canzone finale, quasi un controcanto poetico alla crudezza della immagini. Come avete lavorato sulla partitura realizzata con Marco Messina, 99 Posse, Sacha Ricci?

Anche cercando di rendere la drammaticità della situazione attraverso suoni d’ambiente che arriavno all’orecchio in modo ovattato, come da lontano. Come potrebbero essere percepiti da chi è lungamente in apnea, da chi sta annegando. L’acqua è un elemento importante del film, come metafora di un elemento generatore, ma anche in tutta la molteplicità dei significati anche letterari che può assumere il tema della morte per acqua.

“Io stavo male e mi hanno ucciso” dice una voce furi campo nel film. Eliminare la persona, invece della malattia, questo lo facevano i nazisti.  Il caso di Mastrogiovanni ci mette davanti a un drammatico fallimento della cura?

È il fallimento dell’umano, mi sento di dire così. In tutto il percorso ad ostacoli per realizzare questo film ho ragionato in termini umano-disumano, più che in termini di rapporto medico-paziente, perché di fatto siamo davanti a una situazione paradossale, lui entra in un luogo di cura delle malattie psichiche e ne esce morto. 5 giorni dopo.

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Come si è smussato Raffaele Cantone

PREMIER MATTEO RENZI IN VIA DANTE DOPO LA VISITA ALLA SEDE EXPO IN VIA ROVELLO, NELLA FOTO RAFFAELE CANTONE - SAVOIA CATTANEO FARAVELLI - fotografo: fotogramma

Ospite a Bologna di un incontro organizzato dall’associazione Avviso Pubblico Raffaele Cantone, ex magistrato in prima linea contro la camorra ora presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione ha dichiarato:

“Per troppo tempo si è fatta passare l’idea che le mafie esistessero solo sotto il Garigliano. Non era così. Però adesso non bisogna arrivare a ritenere che tutta l’Italia sia un sistema mafioso. Che ci fossero infiltrazioni credo fosse scontato, le mafie sono organizzazioni economiche e si recano nei luoghi dove possono fare affari. Da qui però a pensare che ci sono fenomeni di infiltrazione o di presenza massiccia secondo me ce ne passa”

Dice insomma Cantone che se tutto è mafia finisce in retorica e che quindi non bisogna esagerare nel vedere troppe infiltrazioni al nord. Lo dice in quella Emilia Romagna che non ha ancora lasciato posare la polvere dagli ultimi arresti che hanno scoperchiato il potere del sistema criminale. Smentisce, in pratica, Cantone ciò che da tempo dichiarano le direzioni distrettuali antimafia (e esimi studiosi del tema) che già da tempo ritengono insufficiente parlare di “infiltrazioni” preferendo termini ben più robusti come “colonizzazione” e sinonimi.

Un magistrato che decide di impegnarsi in un ruolo politico (cosa di per sé apprezzabile se fatta con il giusto impegno e senso di responsabilità che certo a Cantone non manca) deve imparare il più in fretta possibile che le differenza rispetto alla mansione strettamente giuridica parte soprattutto dalla responsabilità nella scelta e nell’uso delle parole. Se è vero che ad un giudice o un magistrato chiediamo di portare risultati concreti (condanne o assoluzioni) alla classe dirigente (in ruoli così apicali) si chiede soprattutto una misurata propensione alle parole più giuste per misurare la temperatura sociale. E oggi, in un nord che ancora cerca appena può di svicolare da vicende di mafie e malaffare preferendo la più borghese e semplice corruzione, accusare di retorica la perdurante e ostinata analisi di chi strenuamente sottolinea la pervasività mafiosa è un gesto di cui ci si deve prendere tutte le responsabilità

Qualcuno tra Cantone e la Borsini quindi sbaglia, dice il falso ed esagera (o al rialzo o al ribasso). E a farci una pessima figura non è tanto questo o quel magistrato o studioso (il lavoro mirabile della Commissione Antimafia “di saggi” del Comune di Milano guidata da Nando Dalla chiesa dà regolarmente le dimensioni del pericolo, ben diverso dalla scrollata di spalle di Cantone) ma soprattutto la chiave di lettura generale del fenomeno mafioso. Nutrire dubbi sul potere mafioso è il miglior favore che si possa fare a chi negli anni ha sempre sfruttato al massimo la sottostima del pericolo.

Avrebbe potuto, Cantone, forse dire di non incorrere nell’errore di vedere mafia dappertutto oppure chiarire che le mafie seguono i soldi più che puntare le regioni; avrebbe potuto chiedere una conoscenza approfondita del tema senza lasciarsi andare semplicemente ad un’indignazione generale oppure avrebbe (ancora meglio) potuto citare esempi concreti di allarmismo ingiustificato.

Ne è uscito, invece, una di quelle frase bisbigliate di solito dai politici che preferiscono rispondere ad altro o, peggio ancora, deridere sotto traccia che chiede un’allerta sempre presente.

Insomma: ha toppato. Perché non c’è niente di peggio di un magistrato (dalla storia dell’uomo senza macchia) che sembra intorpidito nella dichiarazione perfettamente convergente con la tranquillità di stato. rivestendo un ruolo che richiede piuttosto un buon agitatore. Non smussabile, preferibilmente.

Bologna, espulso lo sfidante M5s che voleva le primarie

Niente. Proprio non gli va giù che si possano mettere in discussione i fedelissimi sul territorio. Il Movimento 5 stelle sospende «con effetto immediato» Lorenzo Andraghetti, lo sfidante alle primarie dell’autoproclamatosi candidato sindaco per le amministrative di Bologna Massimo Bugani

Lo comunica lui stesso in un post su facebook:

«Lo dicevo ieri in un video: “Bugani elimina ed eliminerà quelli che lo criticano”. Detto fatto. Bugani ha dato l’ordine. Casaleggio ha eseguito. Mi è arrivata la mail dallo “Staff”. Sono stato espulso»

 

In realtà, Andraghetti è stato solo sospeso, come si può leggere nella mail che Left ha potuto visionare. Espulso, lo sarà fra dieci giorni se non presenterà delle «controdeduzioni» alle «segnalazioni che ci sono pervenute», e che in ogni caso dovranno essere accettate dal fatidico staff. Dieci giorni: quanto basta per far scadere i termini di presentazione della lista alternativa di candidati M5s, che Andraghetti aveva già pronta.

E nulla fa, che lo sfidante abbia raccolto centinaia di firme di attivisti ed eletti 5 stelle che chiedevano le primarie invocando per altro i dettami del non-Statuto. Nulla fa se la suddetta lista, di 26 persone, corredata di tutti i certificati e documenti richiesti, era pronta per essere spedita allo staff, entro i termini richiesti (ci sarebbe stato tempo fino al 21 dicembre). L’aveva annunciata proprio ieri: «Lista di candidati completa (26 nomi) e con tutti i documenti per la certificazione pronti da inviare. Ora ‪#‎Buganirispondi: le accetti le primarie carta e penna?».

Massimo Bugani, dal canto suo, tace. Oggi la risposta arriva a mezzo staff. Ma come mai? Come funzionano le regole in questo Movimento, che proprio il nome della coerenza, la sacrifica cambiando le regole di volta in volta?
Una cosa appare evidente: non sono ammesse sfide, in questa democrazia partecipata che, quantomeno a Bologna, non è più né l’una né l’altra.

Tra le motivazioni, l’aver partecipato come relatore a una riunione di Alternativa Libera, gruppo dei fuoriusciti del M5s, per altro candidato con una propria lista civica alle comunali felsinee.
E in ogni caso, aver «violato l’obbligo di non promuovere pubblicamente iniziative politiche al di fuori del blog ed in contrasto con le regole del MoVimento 5 Stelle, in aperta contrapposizione con l’azione politica del MoVimento e della lista civica che aveva già ottenuto la certificazione per la partecipazione alle prossime elezioni comunali di Bologna, e tentando addirittura di boicottarne l’azione». Competizione democratica: intollerabile. 

Ma c’è una cosa che più di tutte le altre, il blog proprio non può tollerare:

Le suddette violazioni, ciascuna delle quali costituisce ex sé motivo autonomo di espulsione dal MoVimento 5 Stelle, sono peraltro aggravate in relazione al notevole clamore suscitato dai predetti comportamenti, ed ai danni all’immagine del MoVimento 5 Stelle che ne sono derivati o che ne potrebbero derivare.

Sentito da Left, Andraghetti risponde che «il regolamento non impedisce di partecipare come liberi cittadini a riunioni politiche di alcun genere», e che la sua appartenenza ad Al non solo non sussiste, ma era già stata ufficialmente smentita dagli stessi appartenenti al gruppo politico. Soprattutto, spiega Andraghetti: «il famigerato congresso di AL  – al quale per altro non ero un “relatore”, ma ho solo fatto un libero intervento, è di febbraio, e mi viene contestato solo ora. Fosse stato “un crimine”, mi avrebbero dovuto espellere già all’epoca».

Inoltre, rilancia: «Non capisco perchè Casaleggio possa andare a parlare a Cernobbio dai nemici della Finanza; Fantinati possa andare a parlare al meeting di CL, Pizzarotti alla scuola di politica dei giovani del PD; e ci siano problemi se un cittadino senza ruoli politici partecipa ad un incontro politico».

E a proposito di regole violate: «Ho denunciato la presenza di due persone nelle liste di Bugani non candidabili per regolamento (Landi, Pattacini), il secondo dei quali oltre a essersi candidato con Idv (contro il 5 stelle) nel 2009 è stato anche sospeso dall’ordine dei giornalisti per lo stesso scandalo interviste a pagamento. Bugani copriva il suo nome usando la scusa della privacy dei dipendenti pubblici perché non voleva polemiche sul suo amico storico».  Su questo, Bugani e il M5s dovrebbero rispondere.

Nel frattempo, sotto al post di Andraghetti, fioccano i commenti, tra i quali Christian Iannuzzi, parlamentare espulso perché aveva chiesto di dimettersi da deputato e tornare a una vita di rapporti sereni e civili: «quando tentano di chiuderti la bocca con un’espulosione, senza accettare un contraddittorio e senza predisporre un passaggio democratico, è segno che non hanno più argomenti da contrapporre, bensì l’arroganza di chi controlla il blog del MoVimento e può fare il bello ed il cattivo tempo»

Un’altra attivista, Valentina, chiede giustamente (e sarcasticamente): «Hanno votato on line la tua espulsione? oppure è passata per il direttorio, oppure …»

Oppure?

Migranti, la società civile attiva il primo corridoio umanitario, l’Ue organizza i rimpatri

Mille esseri umani potranno raggiungere l’Italia senza affrontare il calvario e senza rischiare la vita, dal Marocco, dal Libano e dall’Etiopia. Grazie a un corridoio umanitario, il primo in Italia e in Europa, che verrà attivato dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia e dalla Comunità di Sant’Egidio.

Il progetto-pilota sui corridoi umanitari di Mediterranean Hope, arriva dopo mesi di dialogo con le autorità interessate. Oggi, 16 dicembre, gli enti annunciano l’avvio del progetto: un migliaio di profughi, grazie al rilascio di visti per motivi umanitari, potranno entrare in sicurezza sul territorio italiano. Senza oneri per lo Stato italiano. I fondi, infatti, sono stati impiegati dalla Tavola valdese, che ha sostenuto il progetto sin dalla fase iniziale e di ideazione. «Abbiamo apposto una semplice firma, ma è il frutto di centinaia di migliaia di altre firme di contribuenti italiani che hanno deciso di destinare il loro 8 per mille alle Chiese metodiste e valdesi», ha precisato Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola valdese.

I corridoi umanitari, che da anni vengono chiesti a gran voce per risparmiare i viaggi della morte a chi fugge da guerra e miseria, sono una novità per l’Italia. E sono anche un modello per altri Paesi dell’area Schengen: 

«Si tratta di una buona pratica per l’Italia e per l’Europa», sottolineano Luca Maria Negro, presidente di Fcei, e Marco Impagliazzo, presidente della comunità di Sant’Egidio.

Un progetto ancora più importante alla luce di quanto accade in queste ore nelle stanze di comando europee. L’Italia, per esempio, si è vista aprire dalla Commissione una procedura di infrazione per non aver preso – anche con l’uso della forza – a quanti sbarcano sulla nostre coste. Con la forza sì, perché la legge europea (il regolamento Dublino III) prevede chi fa domanda di asilo o protezione debba rimanere nel primo Paese d’ingresso ad aspettare l’esito.

E non solo, in queste ore, dicevamo, dalle stanze dei bottoni dell’Ue fuoriescono richieste e annunci che vanno in una direzione tutt’altro che prossima all’accoglienza: irrigidimento delle frontiere esterne e aumento dei rimpatri. Perché? Lotta al terrorismo, ovviamente. Secondo le stime dell’Ue sono 1,5 milioni i migranti che hanno attraversato illegalmente le frontiere esterne dell’Ue tra gennaio e novembre di quest’anno. Le soluzioni, quindi appaiono la modifica di Schengen (altro che modifica di Dublino) e la creazione di una sorta di foglio europeo per i rimpatri: la modifica del codice Schengen al fine di rendere obbligatori i controlli sistematici sui cittadini Ue in entrata e in uscita alle frontiere esterne; poi, la Commissione propone l’istituzione di un documento di viaggio europeo per il rimpatrio dei migranti illegali, che avrà un formato europeo uniforme con caratteristiche tecniche e di sicurezza accresciute, e sarà valido per un solo viaggio. È la soluzione dell’Ue al maggiore ostacolo pratico nell’effettuazione dei rimpatri, che quasi sempre (su mezzo milione di espulsioni nel 2014 ne è stato effettuato solo il 40%) è la mancanza di documenti validi.

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Per uscire dall’angolo Boschi, Renzi show tra Vespa e la Camera

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi alla Camera durante le comunicazioni in vista del Consiglio Europeo di giovedì 17 e venerdì 18 dicembre. Roma 16 dicembre 2015. ANSA/ANGELO CARCONI

Renzi contrattacca. Il premier, per uscire dall’angolo stretto della vicenda Boschi, usa tutta la sua capacità retorica, prima da Vespa poi alla radio con Rtl e infine alla Camera, in occasione delle comunicazioni del presidente del Consiglio in vista del Consiglio europeo.

Contro i pessimisti, «il Paese non può vivere in una depressione psicologica che deriva da un racconto costantemente negativo». Per l’ottimismo: «Io mi ritengo lo psicologo in capo dell’Italia. Nel mondo siamo considerati un punto di riferimento ed è fondamentale che l’Italia torni a credere in se stessa e quel che fa». Prendendo di mira avversari facili, tipo Brunetta, colpevole di aver definito alcune alcune misure della stabilità «mance» e «marchette» e di aver notato come non in parlamento, ma a Porta a Porta il premier abbia annunciato a sorpresa il prossimo invio in Iraq di un contingente militare italiano di 450 soldati, per proteggere la diga dai jiahdisti dello Stato Islamico: «Lei», è la replica del premier, «dice che la legge di stabilità è piena di marchette, è una marchetta abolire la tassa sulla prima casa? Oppure abbassare le tasse? Lei la ritiene una marchetta?». Il bonus ai giovani per i consumi culturali? Ma no, Brunetta! «Chi dice che il bonus è una mancia elettorale, ignora che i diciottenni sono una cosa diversa da quello che uno pensa, non sono i vendita, non si fanno lavare il cervello con un piccolo bonus». Poi, per superare le urla del deputato forzista, arriva lo slogan: «Onorevole Brunetta la prego torni in sè! Il fatto che lei urli in quest’aula non può che rendere disgustoso agli occhi degli studenti il suo intervento. Ma non mi fermerà. Tra Brunetta e la povera gente noi staremo con la povera gente».

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(La campagna del Pd sulle tasse: “guerra alle tasse è diventato uno slogan di sinistra?)

Non risparmia una mossa Renzi, che alla Camera – dopo giorni in cui se la prende con chi strumentalizza i morti per la vicenda delle banche – chiede anche di rendere omaggio a Valeria Solesin: «Gli attentati 13 novembre pongono una sfida al cuore dell’Europa. Sono innanzitutto un atto che ha suscitato e seminato morte», ha detto, «e vorrei che tributassimo un affettuoso omaggio a Valeria Solesin e alla sua famiglia, che ci ha dato una straordinaria lezione».

Tutto va bene per cementare l’idea di un governo che sta sereno, ma sereno veramente, e che non intende farsi logorare dalla vicenda Boschi. Che Renzi rispedisce al mittente. Lo fa da Vespa: «La strumentalizzazione politica di queste ore mi fa veramente tristezza». E lo fa con la sua Enews in cui continua a portare avanti lo scontro aperto con i giornali. Vorrebbe spiegarci, Renzi, che l’informazione è contro di lui. E che ignora (!) la Leopolda: «L’attenzione dei media come sempre è stata catturata da altro rispetto all’energia dei leopoldini», ha scritto. «Noi abbiamo parlato di politica, loro hanno scritto di banche». Poi il tono si fa sarcastico, e aggiunge: «Succede.».