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Je ne regrette rien, Edith Piaf che amava la musica e gli uomini

L’usignolo ha amato la musica e gli uomini. Ed è stata una donna generosa, al contrario di tanti Vip di oggi che se ne infischiano dei giovani artisti. Lei invece li aiutava ad emergere in tempi difficili. E aveva una voce potente, che le veniva da dentro. Ci sono tanti motivi per ricordare Edith Piaf – detta l’usignolo o passerotto – una vita di corsa tra amori più o meno fortunati e una serie infinita di bellissime canzoni. Era nata a Parigi il 19 dicembre 1915.

 Oggi probabilmente i social saranno inondati di meme e di ricordi di rito. Ma nel caso di Edith Piaf si tratta davvero di una vita che vale la pena di essere raccontata. La sua è una storia di coraggio, di arte e di vita vissuta fino in fondo. Dove si trovano oggi questi tre elementi fusi in un’unica persona? Edith era una che in Je ne regrette rien cantava:

No, niente di niente!

No, non rimpiango niente!
È stato tutto saldato, spazzato via, dimenticato.
Me ne fotto del passato.
Coi miei ricordi,
innesco la fiamma,
i miei dispiaceri ed i miei piaceri,
non ho più bisogno di essi.
Rimossi gli amori
e tutti i loro tremoli,
dimenticati per sempre.
Riparto da zero.

Edith era piccola e magra, con occhi sognanti e quelle sopracciglie fin troppo disegnate come andavano negli anni Trenta. Era nata poverissima, da una famiglia di artisti di strada. Il padre faceva il contorsionista e spesso lei, fin da quando aveva otto anni cantava in strada mentre lui si esibiva nei suoi numeri. Anche la madre era un’artista, una cantante. Un’infanzia disastrata tra nonne sui generis – una un po’ fuori di testa, l’altra, tenutaria di un bordello -. Poi l’incontro con un impresario, Louis Leplé, che si accorse subito di quella voce potente e comunque flessibile come il corpo esile della ragazza. Poi un altro incontro ancora importante: quello con Raymon Asso, poeta e impresario che le scrisse anche delle belle canzoni. Siamo negli anni prima della seconda guerra mondiale e a Parigi non arriva ancora il vento mefitico delle dittature che in quel momento stanno minando le fondamenta democratiche dell’Europa. A Parigi, a sentirla, accorrono personaggi come Maurice Chevalier, Jean Cocteau, che rimarrà legato a lei per tutta la vita. Nel ’44 ha una breve storia d’amore con un giovane cantante di origine italiana Ivo Livi, in arte Yves Montand. Con lui registra una canzone C’est merveileux. Comunque è lei, Edith, a far conoscere Yves Montand e farlo arrivare al successo. Alla fine della guerra scrive lei stessa una canzone: sarà quella che diventerà un simbolo della rinascita e anche un modo di dire. La vie en rose, appunto.


Etoile sans lumiere, 1946, unico film in cui Piaf e Montand compaiono assieme

Podo dopo arriva la tragedia. Nel 1948 aveva conosciuto un pugile, Marcel Cerdan, se ne innamora alla follia ma dopo un anno lui muore in un incidente aereo. Edith avrà una crisi profondissima,  tra morfina e una malattia che cominciò a manifestarsi, l’artrite reumatoide.

Fino agli anni 60 (è morta nel 1963) fu l’artista simbolo della Rive Gauche, degli artisti che in qualche modo testimoniavano una ribellione o un malessere rispetto alla società normalizzata. Edith Piaf continua ad aiutare giovani artisti e così incontriamo Georges Moustaki, Charles Aznavour, Gilbert Becaud, Leo Ferrè. Moustaki scriverà nel 1958 per lei le parole della canzone Milord, un altro bellissimo brano. La storia di una ragazza del porto, che invita un ricco signore a sedersi accanto a lei e a mettersi comodo. E’ la poetica di Moustaki, lo “straniero” per eccellenza. E’ anche la poetica del tempo, verrebbe da dire, in cui le convenzioni venivano scardinate e in cui il coraggio di fare delle scelte era presente e tangibile.

Edith Piaf: una donna generosa, dal grande fascino, elegante nei suoi abiti neri sul palcoscenico mentre veniva illuminata da un sottile fascio di luce. Con la sua voce dava forma alle parole e il pubblico rimaneva soggiogato dalla sua forza. Un usignolo forte come un’aquila.

Naomi Klein: «Facciamo pagare alle multinazionali del petrolio i danni causati»

Naomi, che opinione si è fatta sull’accordo?

A Parigi è emersa la sostanziale mancanza di volontà dei governi di agire un cambiamento radicale e immediato. Nessun impegno è stato assunto sulla rinuncia ai combustibili fossili: ho cercato nel testo finale e il termine “fossili” non viene neppure mai citato. È mancato il coraggio necessario: coraggio di impostare da subito una transizione serrata verso rinnovabili e democrazia energetica, coraggio di chiedere il conto alle multinazionali per i danni prodotti in termini ambientali e climatici, costringendole ad assumersi le proprie responsabilità e a pagare per esse.

In questo modo andremo incontro a un aumento di 3-4 gradi, uno scenario di una pericolosità inaudita. Già adesso il riscaldamento climatico agisce in maniera violenta in molti luoghi del mondo: ha già preso migliaia di vite nelle Filippine, in Bangladesh, in Nigeria, a New Orleans. Per questo, contro l’insufficienza delle risposte messe in campo occorre lavorare dal basso, costruendo un altro paradigma.


 

Questo articolo continua sul numero 49 di Left in edicola dal 12 dicembre

 

SOMMARIO ACQUISTA

 

UNHCR: mai tanti rifugiati come nel 2015

After waiting for days on the shore of Lake Tanganyika on Kagunga Peninsula, Burundian refugees disembark the MV Liemba in Kigoma. From here, they will be transferred to Nyaragusu refugee camp.

Con quasi un milione di persone che hanno attraversato il Mediterraneo come rifugiati e migranti, il 2015 è probabilmente l’anno record di quello che il rapporto dell’UNHCR del 2015 definisce: sfollamento forzato globale.
Il rapporto copre il periodo da gennaio a fine giugno, e ci dice che per rifugiati, richiedenti asilo e persone costrette a fuggire all’interno del proprio paese siamo a livelli catastrofici.
Il totale globale dei rifugiati, che un anno fa era di 19,5 milioni, ha superato a partire da metà 2015 la soglia di 20 milioni (20,2 milioni). E’ la prima volta dal 1992. Le domande di asilo erano nel frattempo il 78 per cento in più (993.600) rispetto allo stesso periodo nel 2014. E i numeri di sfollati è esploso da circa 2 milioni a circa 34 milioni di euro – la maggioranza sono gli sfollati interni. Il 2015, si legge nel comunicato UNHCR, è sulla buona strada per essere l’anno in cui lo spostamento forzato di persone ha raggiunto quota 60 milioni  – 1 essere umano ogni 122 è stato costretto ad abbandonare la propria casa.

Il rapporto mostra un peggioramento degli indicatori in diversi settori chiave. I tassi di rimpatrio volontario sono al livello più basso in oltre tre decenni (si stima che 84.000 persone rispetto alle 107.000 dello stesso periodo di un anno fa).
I nuovi rifugiati sono in forte aumento: 839.000 persone in soli sei mesi, pari a un tasso medio di quasi 4.600 costretti a fuggire dai loro paesi ogni giorno. La guerra in Siria è il grande generatore in tutto il mondo sia di nuovi rifugiati
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Cresce anche la pressione sui Paesi ospitanti:la Turchia è il paese che ospita il numero più alto con 1,84 milioni di profughi al 30 giugno. Il Libano ospita più rifugiati in proporzione alla sua popolazione con 209 rifugiati ogni 1.000 abitanti. E l’Etiopia paga di più in relazione alle dimensioni della sua economia con 469 rifugiati per ogni dollaro di PIL (pro capite, a parità di potere).

Nei primi sei mesi del 2015 la Germania ha ricevuto il numero più alto di richieste di asilo  – 159.000, cifra vicina al totale di tutto il 2014. Il secondo più grande destinatario era la Federazione Russa con 100.000 sinistri, soprattutto le persone in fuga dal conflitto in Ucraina.

Spagna al voto, addio bipartitismo. Quel che c’è da sapere

Dopo domenica la Spagna politica non sarà più la stessa. Questa è probabilmente l’unica certezza che abbiamo. Sappiamo che rispetto alle ultime elezioni politiche, i due partiti maggiori, il PPE guidato dal premier Rajoy e il PSOE, che candida il 43enne Pedro Sanchez per la prima volta, crolleranno rispetto alle ultime elezioni. Nel 2011 il partito conservatore che guida il Paese prese il 44,6% e il principale partito di opposizione il 28,8%. Le ultime stime di voto sono nella figura qui sotto e ci dicono di un PPE che perde circa 20 punti, di socialisti che sono intorno al 21%, incalzati da Podemos e Ciudadanos, che sono appaiati poco sotto il 20. Poche variazioni nelle intenzioni di voto, più o meno partecipazione ai seggi cambierebbero di molto il risultato politico per ciascun partito.Schermata 2015-12-18 alle 15.34.08

(Metroscopia)

La Spagna cresce dal 2013 e il suo tasso di disoccupazione è sceso negli ultimi anni di diversi punti percentuali. Due anni fa i disoccupati spagnoli erano circa il 27% e nel 2014, quando si votò per le elezioni europee Podemos, che si presentava per la prima volta agli elettori, prese l’8%. All’epoca una parte della rivolta e protesta prese ancora la forma del voto alla sinistra plurale spagnola, che prese il 10% (oggi alepa05071130 Spain's Spanish Socialist Workers' Party (PSOE) leader and prime ministerial candidate Pedro Sanchez (C) greets his supporters during an election campaign in Alicante, eastern Spain, 16 December 2015. Spain will hold a general election on 20 December 2015. EPA/MORELL5%). La rivolta, gli Indignados e la stanchezza avevano appena cominciato a prendere forma politica. E nonostante i dati economici positivi – che evidentemente non sono abbastanza per far riguadagnare la fiducia alle persone – Rajoy resta piuttosto impopolare.

Negli anni successivi le rivolte, di sinistra, di centro e localistiche sono tutte cresciute e hanno stravolto il panorama elettorale. E così il voto di domenica sarà quello in cui salta – almeno per una legislatura – il sistema tendenzialmente bipartitico spagnolo.

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La stella di Albert Rivera oscura Iglesias

La Spagna al voto nell’era della frammentazione


Dalle europee a oggi abbiamo assistito alla crescita esponenziale nei sondaggi e nell’attenzione dei media di due fenomeni: quello di Podemos e quello di Ciudadanos. Fino a pochi mesi fa il partito nato dalla rivolta indignata e che ha conquistato – con alleanze civiche locali – i municipi di Madrid e Barcellona, volava nei sondaggi. Poi una serie di fattori ne hanno determinato la frenata. Quali? Se andaste sulla pagina web di ElPais scoprireste che diversi articoli di curiosità sulle elezioni sono punture contro Pablo Iglesias, il leader diepa05071110 Spain's Podemos ('We can') party leader and prime ministerial candidate Pablo Iglesias (R) greets his supporters during an election campaign in A Coruna, Galicia, northwestern Spain, 16 December 2015. Spain will hold a general election on 20 December 2015. EPA/CABALAR Podemos, e il suo partito. I media di destra e sinistra moderata non sono stati teneri con il partito anti-casta spagnolo. Un po’ come capitato in Italia con il Movimento 5 Stelle – che a dire il vero è piuttosto diverso sia per gestazione che per idee politiche.

Poi ci sono i guai politici e gli errori. I guai politici si chiamano Grecia, Syriza e Catalogna: la speranza portata dalla vittoria di Tsipras e l’idea che nel continente stesse crescendo una poderosa onda anti-austerity hanno reso Podemos troppo fiduciosa in se stessa e troppo spavalda. La mezza resa del governo greco non ha aiutato. Il referendum catalano, che Podemos non appoggiava ma di cui riconosceva la liceità, è stato un altro colpo: gli spagnoli non autonomisti sono tendenzialmente contrari all’indipendentismo. E quindi qualcuno cambia opinione su un partito che in Catalogna ha scelto di non scegliere perdendo sia i voti degli indipendentisti che quelli dei contrari all’idea di indipendenza.

Infine c’è la la nascita di Ciudadanos: il partito guidato da Albert Rivera è stato capace di intercettare la protesta moderata, la rivolta della gente stanca del sistema dei partiti, non troppo conservatrice e bigotta suepa05070943 Spain's 'Ciudadanos' party leader and presidential candidate Albert Rivera (R) greets his supporters during an election campaign at Pombo Square in Santander, northern Spain, 16 December 2015. Spain will hold a general election on 20 December 2015. EPA/PEDRO PUENTE HOYOSalcune istanze, ma moderata sul piano della politica economica. La parabola degli arancioni nei sondaggi è inversamente proporzionale a quella di Podemos: quando viene lanciato il partito di Rivera, quello di Iglesias è al massimo nei sondaggi. Poi comincia a calare.

I dati nella figura qui sotto sono interessanti. Chi pensate che sia il premier adatto, chi ti piacerebbe che vincesse e chi non votereste mai, sono le domande. La più interessante è la terza: il partito al potere è quello che metà degli spagnoli non voterebbero mai. Guardando a questi sondaggi sembra di capire che, tutto sommato, il PSOE sia in buona posizione per cercare un’alleanza con qualcuno. Molto dipenderà dai risultati di ciascun partito.

 

domande elettori spagna

(Metroscopia)

Negli ultimi giorni di campagna elettorale Podemos è tornato a crescere, segno di una buona campagna elettorale guidata da Iglesias, dimessosi dal Parlamento europeo nel momento di massima difficoltà per Podemos. Nel partito la chiamano “la remontada”. Ciudadanos è in calo.

epa05071398 Spanish Prime Minister and presidential candidate of the Popular Party, Mariano Rajyo (R) greets people after an election campaign event held in Vigo, Galicia, Spain, 16 December 2015. Spain wil held general elections on 20 December 2015. EPA/SALVADOR SASCerto è che le stime sui seggi in Parlamento ci dicono che oggi i due partiti hanno quasi 300 eletti e che da lunedì potrebbero averne meno di 200. Nelle ultime ore di campagna elettorale il premier Rajoy ha messo i guardia contro l’alleanza socialisti-Podemos. Un tentativo di spaventare gli elettori e un segnale del fatto che il suo timore più forte è quello di un buon risultato del PSOE che ne faccia l’ago della bilancia (il partito di
Sanchez potrebbe allearsi con Podemos, ma anche con Rivera). L’altra certezza è che queste elezioni, come sembra succedere un po’ ovunque in Europa, manderanno a casa mezza classe dirigente storica: quattro leader candidati su cinque hanno meno di 40 anni (il leader di Izquierda Unida Garzon è il più giovane, ne ha 30 e il suo partito dovrebbe farcela a entrare in Parlamento). Anche questo aspetto rende Rajoy il passato (che non è detto non ritorni in coalizione). Da lunedì si potrà probabilmente dire che la democrazia spagnola chiude l’era post-franchista.

seggi spagna

(Metroscopia)

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#We are all muslim, Michael Moore risponde a Donald Trump

La proposta di Donald Trump di bloccare gli ingressi ai musulmani sembra riscuotere consensi nell’elettorato repubblicano. Almeno questo dicono i sondaggi. La cosa dovrebbe spaventarci tutti anche se, probabilmente, proprio proposte come questa ci dicono che Trump non sarà presidente degli Stati Uniti nel 2017. Una cosa che l’ideona di Trump ha generato è però una risposta diffusa di repulsione. Tra queste c’è l’invito di Michael Moore ha postare un selfie con un cartello con su scritto “siamo tutti musulmani”. Lo stesso regista, che scrive una lettera sul suo sito a Trump, è andato sotto a una Trunp Tower (i grattacieli sparsi un po’ in ogni città d’America) a farsi fotografare con il cartello. Nella lettera Moore scrive: «Tu e tutti gli altri uominibianchi furiosi avete paura dell’orco. A uccidere e a farvi paura non sono quelli che hanno ucciso ma tutti i musulmani…Se vuoi bandire i musulmani, devi cominciare con il bandire me, che musulmani siamo tutti. Come siamo bianchi, neri, ebrei…»
Qui sotto qualche esempio di persone che hanno aderito alla campagna su Twitter. Per fortuna, sono molto diverse tra loro: bianche, nere, marroni e gialle.

 

Boschi asfalta opposizioni (purtroppo) già asfaltate di loro

Il ministro delle riforme e rapporti col parlamento Maria Elena Boschi in aula alla Camera durante il voto di sfiducia, Roma, 18 dicembre 2015. ANSA/ANGELO CARCONI

La sfiducia a Maria Elena Boschi finisce come era prevedibile, con il super ministro super blindato. E super soddisfatto di un intervento in effetti molto curato con cui ha risposto alle opposizioni, alla mozione presentata dal Movimento 5 stelle, votata anche dalla Lega e dalla sinistra (civatiani compresi). Non da Forza Italia, che è ormai costantemente spaccata, e ha preferito uscire dall’aula, facendo peraltro molto indispettire (o almeno così si è dipinto) Matteo Salvini. «Se Forza Italia non voterà la sfiducia al governo, ci incazziamo e ci sarà da rivedere tutto, anche la coalizione Lega-Fi-Fdi per le amministrative», ha detto il leghista. Vedremo.

L’intervento di Maria Elena Boschi, però – dicevamo – ha avuto molti passaggi interessanti. Sul merito delle azioni sue e dei suoi familiari di Banca dell’Etruria («Le mie azione oggi sono carta straccia come quelle di altre famiglie», ha detto facendo tutti i calcoli), certamente. E in fatto di retorica politica. C’è stato il momento emotional: «Io e i miei fratelli», ha detto ancora il ministro, «sappiamo quello che ha fatto mio padre per farci studiare, lui, figlio di contadini che per laurearsi faceva cinque chilometri al giorno a piedi, cinque all’andata e cinque al ritorno, e quaranta minuti di treno». C’è stato il momento Renzi pride: «Siamo il cambiamento di cui l’Italia ha bisogno e non ci fermerete». E pure uno un po’ Berlusconiano: «Fare il ministro a trentaquattro anni può attirare invidie e maldicenze». Il succo però è stato quello di dipingere il «populismo approssimativo e qualunquista» da una parte, contro «la serietà» dall’altra. Il partito della Nazione, contro i 5 stelle e chi li segue.

E possono notarlo in dieci o venti interventi, le opposizioni, che non è il governo ma la Banca d’Italia ad aver commissariato Banca Etruria e multato il Boschi padre. Possono ricordare che a maggio Boschi e Renzi promettevano una legge sul conflitto d’interessi (una migliore di quella che porta il nome di Frattini, si intende) entro giugno e che la legge è invece ancora ferma in commissione perché prima bisognava fare l’accordo con Berlusconi sulle riforme. Possono dire – lo fa Sinistra italiana, lo fanno i 5 stelle – che il governo dovrebbe separare le banche d’affari da quelle di risparmio (distinzione che esisteva, vi spiega Andrea Ventura sul numero di Left in edicola da domani). Dall’altra parte c’è il partito democratico che lancia l’hashtag #M5Sboomerang.

Lo lancia in un botta e risposta, propaganda contro propaganda, ma lo lancia con alcune ragioni. Ad ascoltare Maria Elena Boschi ci sono opposizioni già asfaltate di loro, che lei asfalta con destrezza.
Asfaltati i cinque stelle che – per inesperienza o foga – hanno presentato la mozione di sfiducia alla Camera, dove i numeri per il governo sono larghissimi («A me non interessa», difende la scelta Di Battista, in aula, «qui c’è una maggioranza incostituzionale. È ovvio che finisca così») e hanno poi trascinato la Lega, ma soprattutto Sinistra Italiana e Possibile (che si son fatte trascinare), nel gioco delle bandierine. Non è un caso che Arturo Scotto, capogruppo di Si, abbia speso metà del suo intervento a spiegare che il loro voto sarebbe arrivato per rifiutare «un referendum sul governo», per non esser dipinti come un vagone attaccato «al treno del governo».

Ma Maria Elena Boschi ha fatto la sua bella figura, oggi, e pazienza che in rete girerà anche il video di Alessandro Di Battista, che ha quasi perso la voce per strillare che «i partiti e le banche sono la stessa cosa» – e giù sui costi della politica – visto che «le prime emettono titoli tossici, e i secondi fanno leggi tossiche». Gireranno entrambi i video, virali. Propaganda contro propaganda.

E le altre opposizioni, tanto il centrodestra di Forza Italia (che infatti è divisa, ed è uscita dall’aula per nascondere la spaccatura) quanto la sinistra, sembrano non accorgersi che lo scontro ideologico tra 5 stelle e il partito della Nazione favorisce entrambi, come da sondaggi.

E per questo, entrambi, lo alimentano.

La Danimarca si appresta a sequestrare gli oggetti di valore ai rifugiati

Il governo danese tiene alla larga i rifugiati. Per quelli che lo hanno eletto si tratta di un buon risultato, per la civiltà europea e per la presunta superiorità del modello scandinavo è un colossale passo indietro.
L’ultima idea della politica danese, dove governa un esecutivo di minoranza formato interamente dal partito di destra centro Venstre, partito conservatore forte nelle aree agricole del Paese, è quella di sequestrare i gioielli e beni di valore ai rifugiati che arrivano o già presenti nel Paese. Avete letto bene.

Come spiega una mail dell’ufficio stampa del ministro dell’integrazione a diversi media anglosassoni:«Il disegno di legge consente alle autorità danesi di perquisire vestiti e bagagli dei richiedenti asilo – e degli altri migranti senza permesso di soggiorno in Danimarca – in cerca di beni che possano coprire le spese». La legge è stata depositata in Parlamento il 10 dicembre ed ha buone probabilità di essere approvata.

Le autorità lascerebbero ai rifugiati gli oggetti cari, gli orologi, i cellulari e le altre cose il cui valore non supera una cifra intorno ai 400 dollari. Anche se, con una battuta in televisione, Martin Henriksen, leader dello xenofobo Dansk Folksparti (Partito del popolo danese, 21.% alle ultime elezioni, quando ha quasi raddopiiato i voti), ha detto che anche gli anelli nuziali andrebbero sequestrati. Henriksen, nella foto qui sotto, si è rimangiato la battuta, ma il tono del suo partito è quello: «Se hanno i soldi, che si paghino le spese di assistenza e welfare per conto loro». Che confligge in maniera clamorosa con l’idea di accoglienza. Difficile immaginare come chi ha attraversato il mare su un barcone e l’Europa a piedi abbia risorse sufficienti. Togliere ai rifugiati mille dollari significa togliere loro un poco di quel che hanno, non pagare i costi dell’accoglienza. La legge, insomma, è un classico esempio di propaganda populista e xenofoba, oltre a essere l’ennesimo segnale da parte della Danimarca verso i rifugiati e richiedenti asilo: qui non vi vogliamo.

Negli ultimi mesi, la Danimarca ha fatto di tutto per mandare questo messaggio a chi fugge dalle guerre, comprando una pagina in arabo sui quotidiani libanesi che spiegava, sotto il titolo “Non venire in Danimarca”, perché i rifugiati non vengono accolti bene e tagliando del 50% i servizi di welfare per le persone rifugiate o richiedenti asilo. Nei giorni di alta tensione, quando tutti i Paesi chiudevano le frontiere, Copenaghen aveva anche chiuso le strade di accesso dalla Germania.

Il richiamo al sequestro dei beni di valore agli ebrei durante l’occupazione nazista è inevitabile. Non è la stessa cosa, ma i segnali che arrivano da molti Paesi europei in materia di immigrazione sono spaventosi.

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Le foto del nuovo allarme inquinamento a Pechino

A file picture dated 01 December 2015 shows a man wearing a mask as he walks on a bridge shrouded in smog in Beijing, China. Beijing issued a red alert for smog on 18 December 2015, urging schools to close and residents to stay indoors for the second time in 10 days. Restrictions begin on 19 December and last until 22 December, the city's emergency management headquarters announced on the Beijing government website. Measures included pausing factory work and restricting road traffic, except electric vehicles. The alert reflects a forecast of three days of PM2.5 - airborne particulate matter 2.5 microns and smaller - levels above 200 micrograms per cubic meter. PM2.5 pollution is fine enough to penetrate deep into the lungs, and is associated with increased risk of heart attack, stroke, lung cancer and asthma. ANSA/HOW HWEE YOUNG

Le autorità di Pechino hanno emanato un nuovo ordine di chiusura delle scuole, fabbriche inquinanti e limitazioni alla circolazione dopo che le polveri sottili nell’aria della capitale cinese hanno superato di nuovo i livelli di guardia. Il massimo allarme durerà dalle 7 di sabato fino alla mezzanotte di martedì, ha detto l’Ufficio meteorologico di Pechino aggiungendo che a livello nazionale, l’area dove l’aria è irrespirabile è in realtà molto ampia: da Xian a Herbin.

Il nuovo, cupo, Bowie è arrivato

Il nuovo singolo di David Bowie si ascolta da ieri online. Si intitola Lazarus ed è contenuto in Blackstar, o meglio: ★. Lazarus è anche la prima canzone che Michael C. Hall (che chi segue le serie Tv conosce per Dexter e Six Feet Under) canta nel musical in scena off Broadway scritto dal cantante britannico, una specie di sequel di L’uomo che cadde sulla terra – solo il protagonista, l’alieno Thomas Jerome Newton – torna nel nuovo lavoro.

★ esce l’8 gennaio, che è anche il compleanno di Bowie ed è prodotto da Tony Visconti, che lavora con il Duca Bianco (che non si chiama più così da un bel po’) da Space Oddity, uscito nel 1976. I primi due pezzo sono notevoli.

Bowie non si esibisce in pubblico dal 2006 e non rilascia interviste dal 2004, quando un attacco di cuore interruppe il suo ultimo tour. Qui sotto l’audio di Lazarus, sotto ancora il video di Blackstar.

 


La politica del nome prima ancora della strategia

oto Roberto Monaldo / LaPresse 07-05-2014 Roma Politica Expo 2015 - Presentazione della partecipazione del sistema delle Nazioni Unite all'esposizione Universale Nella foto Giuseppe Sala Photo Roberto Monaldo / LaPresse 07-05-2014 Rome (Italy) Expo 2015 - Event in honor of the UN Secretary-General, Ban Ki-Moon In the photo Giuseppe Sala

Guardate in giro: a Milano, Napoli e altre città che si preparano alle amministrative ancora non si è capito che idea abbiano alcuni candidati rispetto agli altri. Per Palazzo Marino, ad esempio, si sa di Sala come ha gestito Expo (anche se continuano a mancare chiari i numeri ufficiali) e si sa, da sue interviste, quanto ogni mattina si svegli sentendosi di sinistra: la Milano che ha in mente è un passaggio solo secondario alla comunicazione del suo passato prossimo.

Ci sono nomi che dovrebbero rappresentare una garanzia, sventolati come bandiera di un’idea ma scordandosi spesso magari di illustrarcela, l’idea, almeno un paio di sfida o di una decina di tweet. Vi ricordate Bertolaso? Era l’uomo giusto per risolvere qualsiasi conflitto politico sulla gestione delle emergenze: Bertoldo, ormai, era diventato la citrosodina che fa sempre bene prendere prima di andare a dormire, sia dopo una cena pesante, sia dopo un po’ di freddo o semplicemente per prevenire i mali che potrebbero arrivare alla mattina dopo. Mal di pancia? Bertolaso. Giramenti di testa? Bertolaso. Un G8 Bertolaso? Terremoto? Bertolaso.

Avevamo pensato (e scritto in molti) che ancora una volta la politica si fosse appiattita sull’immagine dell’uomo solo al comando. Dicevano che fosse la berlusconite, in fondo, ad avere infettato i gangli del potere. E ci ha fatto comodo credere e sperare che fosse un male solo passeggero.

Il nuovo Bertolaso, oggi, fine 2015, si chiama Raffaele Cantone e dovrebbe bastare, secondo Renzi e i suoi, sentirne pronunciato il nome per dissipare qualsiasi dubbio. Così mentre il Governo annuncia baldanzoso l’intenzione di lasciare gestire gli arbitrati per la spinosa questione dei cittadini truffati dalle banche, si demolisce in un colpo solo tutto l’apparato di controllo che dovrebbe prevenire e tutelare il Paese da eventi simili. E fa specie che Cantone, uomo delle istituzioni, debba finire per mangiarsi le istituzioni stesse in nome di una granitica etica personale.

Non è un gesto politico quello di nominare una guida senza avere prima illustrato la strategia. Non si può pensare che al Paese basti sapere di avere un esercito forte se non si conoscono le regole d’ingaggio. E per questo è necessario pretendere, da Reni e i suoi, chiarezza sulle modalità piuttosto che sulle facce. Questa è amministrazione e politica die conflitti: non è un reality show.