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Se posso essere cattivo (sulle regionali)

Matteo Renzi (e il suo PD) ci hanno sfracellato l’anima per anni insistendo sui meriti, su una classe dirigente vecchia e incapace, da sostituire con gente veramente nuova.

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Renzi, De Luca e quei dettagli del diritto

C’è un piccolo dettaglio in queste elezioni regionali: il fatto che il neoeletto Governatore della Campania Vincenzo De Luca non sia eleggibile.

Un dettaglio, per carità, come quella condanna a un anno e due mesi per abuso d’ufficio che lo motiva. Bazzecole che il premier Renzi ha già dichiarato che sanerà senza problemi. Intoppi. Un po’ come le “irrispettose” dichiarazioni del presidente della Commissione Antimafia Rosi Bindi: cosa volete che sia se fra i 27 nomi di personaggi impresentabili che rendono il partito a sua volta impresentabile, figuri anche lui, Vincenzo De Luca, candidato alla gestione politico amministrativa di un’intera regione? Sono fatti accaduti 17 anni fa, suvvia. Una seccatura di cui non vale nemmeno la pena parlare.

Però la Cassazione la sua l’avrebbe detta: la sospensione di almeno 18 mesi è automatica e immediata, non ci sono margini di discrezionalità su tempi e procedure. Ed è bene che qualcuno dica a Matteo Renzi che non è propriamente un’opinione, quella della Cassazione. Ma applicazione della legge. Quella legge Severino, Renzi ricorderà, la n.190 del 6 novembre 2012, per la precisione. Stando all’articoli 7 e 8 del decreto attuativo 235, Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi:

  1. Non possono essere candidati alle elezioni regionali, e non possono comunque ricoprire le cariche di presidente della giunta regionale, assessore e consigliere regionale […] coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva […]per uno o più delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio.
  2. L’eventuale elezione o nomina di coloro che si trovano nelle suddette condizioni è nulla. L’organo che ha deliberato la nomina o la convalida dell’elezione è tenuto a revocarla non appena venuto a conoscenza dell’esistenza delle condizioni stesse.

Non è una condanna definitiva, si dirà. Siamo uno stato garantista. Vero. E dunque ecco l’articolo 8: Sono sospesi di diritto dalle cariche indicate all’articolo 7 […] coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati all’articolo 7.

Quindi puoi essere eletto, fare campagna elettorale e poi tornare (momentaneamente) a casa: scusate, ci abbiamo provato. De Luca viene eletto, e tempo di darne comunicazione a Prefetto e ministero degli Interni, che a sua volta lo ricomunica al Consiglio regionale, e se ne torna a casa. Almeno fino al pronunciamento del giudice ordinario che, sulla base del ricorso dell’ex sindaco di Salerno, deciderà se lasciarlo al suo posto. Nella migliore delle ipotesi (per De Luca), in attesa del pronunciamento della Corte costituzionale sulla legge Severino previsto per il prossimo ottobre.

Intendiamoci però: «Per la durata della sospensione al consigliere regionale spetta un assegno pari all’indennità di carica ridotta di una percentuale fissata con legge regionale», quindi pagheremo comunque uno stipendio (seppur ridotto), al neoeletto e neosospeso governatore. Ma questo è naturalmente solo un altro dettaglio e soprattutto un altro discorso.

Lasciando perdere i commenti («La legge non si applica a chi è eletto per la prima volta» , secondo De Luca, e «La sentenza della Cassazione nella sostanza non cambia nulla», stando all’interpretazione del ministro Boschi per la quale «secondo l’applicazione della legge Severino De Luca è candidabile ed eleggibile»), di cui il diritto non si occupa e non si cura, la sospensione sembra ineluttabile.

Quali sono le possibilità per risolvere questo fastidioso intoppo? A norma di legge, serve specificarlo. Perché ignorarla o eluderla, la legge, potrebbe comportare un’omissione di atti d’ufficio per il Presidente del Consiglio. Quindi, non si può.

Il giudice ordinario potrebbe dunque:

  1. decidere di non reintegrarlo, e quindi via a nuove elezioni.
  2. reintegrarlo, in attesa della pronuncia della Corte costituzionale (e intanto chi governa la Regione? Qui siamo sicuri che ci si potrà sbizzarrire in architetture giuridico-istituzionali, come per esempio un decreto a integrazione della Severino che deleghi la guida vicaria della regione a qualcuno che non è stato nominato dal governatore sospeso, come spiega l’avvocato amministrativista Gianluigi Pellegrino all’Huffington).
  3. emettere un provvedimento di sospensione cautelare (confermando la sospensione decretata dal governo in applicazione della legge Severino) e decidere nel merito dopo la pronuncia della Consulta sulla legittimità costituzionale della legge.

I dolori del giovane Renzer: “Abbiamo non vinto” anche stavolta

“Abbiamo non vinto” disse Bersani all’indomani delle elezioni politiche del 2013 quando la sua coalizione si piazzò ben al di sotto di quelle che erano le aspettative. Quell’epoca, che con Renzi sembrava dimenticata, oggi piomba al Nazareno come un’ombra spettrale.

L’analisi del voto delle Regionali 2015 sta tutta qui. Il Partito Democratico del nuovo corso arretra pesantemente in tutte le Regioni;  prendiamo il Veneto, terra su cui Renzi ha messo la faccia. Alessandra Moretti non riesce a togliere un solo voto a Luca Zaia, riuscendo nella difficile impresa di peggiorare il modestissimo risultato del centrosinistra alle precedenti regionali del 2010.

E’ la Liguria però l’immagine della debacle del governo. In quella regione infatti, Renzi insieme a ministri e parlamentari hanno concentrato i loro sforzi. La verità che emerge dai dati è l’assoluta debolezza della candidata renziana Paita, unita all’inefficace traino del PD nazionale. Riversare le responsabilità della sconfitta su Pastorino, che ottiene un buon risultato, è scusa inverosimile.

Come se Caldoro accusasse De Luca di averlo fatto perdere. Hanno di che gioire Lega e Movimento 5 Stelle. La prima perché compie degli exploit importanti (oltre al Veneto) in Regioni come  Marche, Liguria,Toscana perfino in Umbria, mangiando ovunque Forza Italia e radicandosi in maniera pesante in molte aree del Paese. Il Movimento 5 Stelle perché riesce in elezioni diverse da quelle nazionali a confermare una strutturazione solida, senza la “partecipazione attiva” del suo leader.

A sinistra invece qualcosa oggettivamente si muove, anche se è ancora evidente la mancanza di un progetto percepibile ed in grado di essere realisticamente influente.

Un approfondimento serio lo meriterebbe, in un Paese in salute, il dato dell’astensione, quella maggioranza invisibile che elezione dopo elezione rappresenta il continuo scollamento della politica da una vera rappresentanza. Ad oggi nessun soggetto politico riesce concretamente a ricucire questo rapporto.

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#RegionaLeft la maratona per le elezioni regionali 2015

#RegionaLeft i risultati delle elezioni regionali in Veneto, Liguria, Toscana, Umbria, Marche, Campania e Puglia.

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Ada e la sinistra 2.0 quella dove l’utopia diventa realtà

«Quando ero piccolo avevo un libro dove al centro c’era l’immagine di un gruppo di bambini che si tenevano per mano e di un lupo che, impaurito, se ne andava mesto». Me lo raccontava il mio editore qualche sera fa. Gli avevo chiesto se mi suggeriva un’immagine che testimoniasse di una “gentilezza collettiva”, di una coalizione gentile. E lui mi ha risposto così, e poi mi ha mandato l’immagine del libro.

Il senso della fiaba era che gli anziani tenevano i bimbi chiusi in casa perché fuori c’era il lupo, e in effetti fuori c’era il lupo. Ed era anche affamato. Il lupo però riusciva a spaventare un bambino, quando era solo. Al massimo due bambini. Ma se tutti insieme si prendevano per mano, il lupo si bloccava. Il racconto finiva così: «Tenersi per mano. Ecco la soluzione! Il lupo non venne ucciso e i bambini e i nonni poterono divertirsi e riposarsi nella prateria».

Non lasciare nessuno da solo. È la prima ragione che spinge la Coalizione sociale (il 6 e il 7 giugno il debutto a Roma) a intraprendere un percorso diverso, che rifiuta la logica dell’uomo solo, padrone di tutte le soluzioni e di ogni esclusione. Un’alternativa concreta ma gentile, collettiva, che guarda a quella “maggioranza che non si sente più rappresentata”.

Donne, bambini, uomini, movimenti, associazioni, sindacati. Uniti. Alla ricerca di un altro modo. Un po’ come accade a Torino dove per la prima volta molti, da Emergency a Slow food, da Landini alla Camusso, si uniscono e occupano una vecchia caserma per farne luogo di vita. Alloggi per chi è in difficoltà, una mensa, aule studio, aree giochi. Si ribalta la crisi così, dal basso e insieme.

Bisogni ed esigenze. Perché come ci racconta Cecilia Strada, oggi presidente di Emergency, «quello che c’è, c’è per tutti. Lo dicevano i miei nonni. Erano operai». «Noi non siamo buoni», aggiunge, «siamo giusti». Ed è importante in questo momento essere giusti, ed esserlo così. Perché in Italia governa chi usa espressioni del tipo “Marchionne batte Landini tre a zero” senza rendersi conto della violenza che c’è in quel modo di pensare. Quanta vita si cancella, quanto lavoro, quanta storia. In un battibaleno, anzi in un battito di arroganza.

Come scrive questa settimana un’amica insegnante, Elisabetta Amalfitano, in una lettera magnifica: «Dal messaggio che Matteo Renzi ha inviato a tutti noi docenti, emerge una freddezza e una presunzione che nascondono soltanto il disprezzo per coloro che quella scuola la vivono davvero». Freddezza e presunzione. Che nasconde disprezzo. Come siamo arrivati fin qui? Quando si è rinunciato a fare della sensibilità umana un punto di inesauribile forza deformandola nel suo contrario, in debolezza da schiacciare?

«Penso che sia tipico dei regimi autoritari e dittatoriali la diffusione di modelli di durezza e di virilismo muscolare, mentre il contrario dovrebbe accadere nei sistemi sociali di tipo democratico… ma non c’è dubbio che il valore della gentilezza e della dolcezza nella cultura e nella società si è sempre legato alla valorizzazione della componente femminile», così mi ha risposto uno dei professori più cari che ho. Ricordandomi infinite ricerche di anni e due volti di donna che avevo appena visto sui giornali e che raccontavano della vittoria di Podemos in Spagna.

Quello di Manuela Carmena, magistrata, e quello di Ada Colau, caparbia attivista “dei diritti umani e della democrazia” (come si definisce lei stessa) che qualche giorno fa dichiarava a El Mundo senza paura e senza calcolo politico: «Vorrei superare le frontiere perché danneggiano la gente. Se non ci sono i confini per i capitali, perché devono esserci per i disgraziati che annegano nel Mediterraneo? Non sono né catalana né spagnola, solo un essere umano».

Ada sarà il prossimo sindaco di Barcellona ed è convinta che «la politica sia l’aspetto più nobile che può caratterizzare un essere umano, insieme alla cultura e all’arte». Si dice che trasformerà la sua città in un laboratorio urbano per la sinistra 2.0, quella dove l’Utopia diventa realtà. «Ve l’avevo detto che si poteva. Davide ha sconfitto Golia». “… Così i bambini e i nonni poterono divertirsi e riposarsi nella prateria”.

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Mario Piccolino, semplicemente un cittadino onesto

Mario era un avvocato di Formia, aveva 71 anni, quasi la stessa età di quando fu ucciso Don Cesare Boschin, un altro morto per mano mafiosa nel sud pontino. Era un blogger e scriveva per il sito Freevillage.it.

Come la maggior parte dei blogger non era un giornalista professionista con tanto di patentino, ma questo non lo rendeva meno giornalista di altri. Un colpo di pistola, tanto è bastato a freddarlo nel suo studio a Formia, uno dei tanti paesi del sud pontino che come Fondi finì alla ribalta delle cronache nel 2009 per poi tornare nel dimenticatoio.

Dagli anni ’80 Formia era considerata la “Svizzera dei Casalesi” e  Carmine Schiavone parlava della provincia di Latina come “provincia di Casale” in cui da tempo immemore vivevano esponenti storici dei clan dell’agro-aversano. Era proprio il 2009 quando Mario subì una aggressione a scopo intimidatorio da parte di Angelo Bardellino membro dell’omonimo clan, poi rinviato a giudizio. Io Mario lo conobbi qualche anno fa in un incontro a Formia proprio su mafie e corruzione.

C’era Valeria Grasso, testimone di giustizia, c’erano i giornalisti Marilena Natale e Luca Teolato e c’era Mario, una persona per bene, un uomo testardo e “scassaminchia” come le persone che ho conosciuto. La verità però è che gli “scassaminchia” in Italia sono la minoranza della minoranza e dobbiamo dircela questa verità evitando di amplificare le vittorie dell’antimafia, le medaglie, i premi e le passerelle.

Ci sarebbe anche da dire di come vengono assegnate le scorte e su quali basi, visto che Mario era già stato minacciato e aggredito. Questo morto pesa sulla coscienza sia degli amministratori, sia dell’antimafia delle vetrine sia della stampa. Diciamolo francamente che certe “mafie” non fanno notizie e diciamolo che ci piace più sbattere il mostro “rom” in prima pagina e definirlo il problema di questo paese, altrimenti dovremmo discutere della mafia e come possiamo farlo se finiamo inevitabilmente a parlare dei rapporti mafia-politica?

Già, perchè dovremmo raccontare dei tanti rapporti inconfessabili che nel Sud Pontino sin dagli anni 80 avvenivano tra amministratori locali, ndrine e clan camorristi. Nei primi anni 80 a Fondi al Mof la prima licenza data alla famiglia Tripodo fu assegnato quando c’era un sindaco del Pci. Nessuno ha visto nulla? Allora mi chiedo come mai Mario che era noto per le sue battaglia per la legalità, vicino al sindaco del Pd di Formia non abbia ricevuto mai le attenzioni dei vertici regionali e nazionali sul tema della legalità?

In uno degli ultimi video Mario Piccolino disse: “quando morirò mi raccomando non seppellitemi agli archi”. Forse c’è voluta la sua morte in un momento in cui il dibattito in Italia è concentrato sul problema dei Rom per ricordarci che il problema in Italia da tempo si chiama mafia e corruzione. “Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali, però parlatene” diceva Paolo Borsellino. Noi pochi “scassaminchia” continueremo a farlo ovunque e anche quando non fa notizia.

[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/GiulianGirlando” target=”on” ][/social_link] @GiulianGirlando

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Nella spirale di Mario Merz, il maestro dell’Arte Povera alla Galleria dell’Accademia di Venezia

Avvolgenti spirali, le curve femminili della conchiglia e il lento procedere della chiocciola, che a poco a poco diventa igloo trasparente, si fa “casa”, architettura, in strutture leggere e luminose che evocano un modo più umano e sostenibile, di abitare. Forma astratta e insieme dinamica, la spirale di Mario Merz è il seme che germoglia nelle nuove sale che la Galleria dell’Accademia dedica all’arte contemporanea.

Al piano terra, poco distanti dai dipinti di Giorgione, Tiziano e Tintoretto, le opere scelte da Bartolomeo Pietromarchi per la mostra Mario Merz, città irreale si arricchiscono di riflessi lagunari e irradiano fantasia in questi spazi da poco restaurati, moltiplicandone le prospettive, ricreando cortili interni altrimenti anonimi. I saloni affacciati su Campo della carità, fino al 20 settembre, si accendono di scritte al neon con opere storiche come l’ironica Sitin (1968) e Impermeabile (1966). Mentre le famose serie numeriche di Fibonacci ritmano le pareti bianche e intonse.

È come se il curatore avesse umanizzato queste sale, disseminandole di segni magnetici che portano l’inequivocabile cifra del maestro dell’Arte povera scomparso nel 2002. Con un allestimento ridotto all’essenziale, ma tutt’altro che freddamente minimalista, Pietromarchi ha ricostruito a Venezia quasi l’intero percorso dell’artista torinese. Fin dai primi, evocativi, disegni “nat”i da quel primo nucleo di schizzi che Merz, giovanissimo militante di Giustizia e libertà, realizzò in carcere dove era stato rinchiuso per attività antifascista. Dai disegni su carta degli anni Cinquanta alla svolta degli anni Sessanta, quando in controtendenza con il boom dei consumi celebrato dalla Pop Art americana creò installazioni e sculture con materiali poveri come legno, vetro, carta, tela, ferro, cera.

Al centro di questa mostra e di tutto il lavoro di Merz (come ben raccontano i saggi nel catalogo  edito da Skira) c’è la riflessione sul rapporto fra uomo e ambiente e sul vivere sociale. Testimoniato dai suoi celebri tavoli, simbolo di incontro e condivisione, che qui appaiono fotografati in Senza titolo del 1972. «Una somma reale è una somma di gente», recita il sottotitolo di quest’opera emblematica. E per quanto Merz si definisse «solitario, nomade, visionario», il tema della convivialità, dello stare insieme, la ricerca della bellezza risuonano in ogni sua creazione. Come in filigrana traspare sempre il rapporto con l’universo femminile, con il diverso da sé, qui evocato da Igloo (di Marisa) del 1977, dedicato alla compagna di una vita, l’artista Marisa Merz.

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Antimafia con il culo degli altri: sono mafiosi solo quelli che non sono nostri amici

C’era bisogno della Commissione Antimafia per sapere che in Campania il gruppo di potere che sostiene De Luca sia la solita poltiglia? Eppure l’aveva detto Saviano, l’hanno scritto decine di giornalisti, l’hanno urlato moltissime associazioni antimafia (tranne quelle “parademocratiche”, ovvio). Ora: non rispondono a tutti questi ma si divertono a impallinare la Bindi che (tra l’altro) hanno messo loro alla Presidenza dell’Antimafia.

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