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Il “Sì” alle nozze gay è un risultato storico per l’Irlanda

L’Irlanda ha detto sì. E segretamente le urne già lo sapevano da ieri sera: alle 22 più del 60% dell’elettorato aveva partecipato al voto, una partecipazione in assoluto più alta tra i più recenti referendum. E alle 12 in punto di oggi l’ufficialità della vittoria del sì al riconoscimento legale e costituzionale del matrimonio anche per persone dello stesso sesso.

Il sole e l’atmosfera brillante di ieri mattina, quando alle 7 in punto i seggi hanno aperto le loro porte ai primi elettori, hanno lasciato spazio a un bellissimo arcobaleno che è apparso proprio mentre il sì otteneva la sua schiacciante vittoria. C’è aria di festa a Dublino, i commentatori sottolineano la nascita di un’Irlanda riformata e con lo sguardo rivolto al futuro. È un risultato importante e marcatamente diverso da quello ottenuto nel 1993, quando la Chiesa ebbe un ruolo decisamente dominante, tanto che passò soltanto il referendum sul divorzio con un margine di 9000 voti.

Questa volta, invece, l’Irlanda, che allora aveva dimostrato tutto il suo conservatorismo, ha saputo dire di sì a un grande cambiamento. È certo che questo risultato è lo specchio degli eventi degli ultimi vent’anni, oscurati da una serie di contraddizioni interne alla Chiesa (basti pensare a tutti i casi di abusi sessuali degli ultimi anni) e il desiderio di muoversi verso un pensiero più liberale.

Ancor più indicativo è l’appoggio delle numerose celebrità come l’attrice Saoirse Ronan, così come la “chiamata al voto” diffusa sui social network: su facebook per giorni giravano immagini profilo con lo slogan “Yes equality 2015” e su twitter l’hashtag #homeToVote con il sottotitolo #gettheboat2vote (“prendi la barca per votare”) che ha cercato di esortare gli irlandesi che vivono fuori a tornare per dare il loro voto.

Per la precisione, erano due le correzioni costituzionali interessate al voto del referendum. La prima era la richiesta di abbassamento da 35 a 21 anni per concorrere alla Presidenza della Repubblica, la seconda, nonché quella che ha dominato il dibattito, era appunto la correzione all’articolo 41 della Costituzione con il quale si chiedeva la sostituzione delle semplici unioni civili con un riconoscimento legale e costituzionale del matrimonio anche per persone dello stesso sesso.

I sostenitori del No hanno ammesso il loro fallimento e si congratulano per la vittoria del fronte del sì, “riconoscendo che il voto rafforzerà la società irlandese, se le preoccupazioni sollevate dai sostenitori del No saranno esaminate e risolte, come promesso dal governo”. La loro opposizione era incentrata sul tema del benessere dei bambini, argomentazione sostenuta e promossa dallo Iona Institute: un’istituzione irlandese dedicata alla preservazione dei valori del matrimonio tradizionale e i dettami religiosi della società irlandese.

L’argomento è stato ampiamente discusso durante la campagna, nonostante il continuo ripetere della Commissione referendaria che le regole di maternità sostitutiva e di adozione non sarebbero state intaccate né influenzate dal risultato del voto. Altri argomenti proposti a sostegno del No riguardavano l’idea che il matrimonio, se ridefinito costituzionalmente, sarebbe diventato un ambiguo rapporto a metà tra un’amicizia e una relazione basata su incentivi fiscali. Motivazioni che non hanno fatto cambiare idea agli elettori e non sono riuscite a trattenere l’onda di rinnovamento che gli irlandesi hanno chiesto a gran voce.

C’è gran fermento per le strade ora, tutti si preparano a uscire e stasera si prevedono piazze piene di folla esultante. Ai bambini si dice che chi trova il punto in cui finisce l’arcobaleno, lì trova un tesoro. Per gli irlandesi alla fine dell’arcobaleno c’è l’inizio di un futuro più inclusivo e uguale per tutti.

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L’acido corrosivo dell’imbecillità e il “dovere” di proporre l’utopia

Proporre l’Utopia. Oltre ad essere “l’acido corrosivo dell’imbecillità”, Left ha il “dovere” di proporre l’Utopia. «Un giorno si arriverà ad una sensibilità tale per cui chiunque tenti di commettere una violenza non riuscirà neanche ad alzare il braccio per farlo», mi ha detto oramai più di un anno fa l’amico più utopista che ho. E non riesco a dimenticarlo.

Immaginare una tale sensibilità, di questi tempi, non è cosa facile. Scriverne e proporla è un dovere. Left si è dato il compito arduo ma irrinunciabile di “corrodere” l’imbecillità e, insieme, di proporre l’Utopia, intesa come eu-topia, bene più luogo. Luogo del bene, luogo in cui si realizza il ben-essere di tutti.

Corrodere l’imbecillità violenta che propone l’ennesima guerra che affonderà barconi, invece di salvare vite umane. Che prende decisioni in tempi “record” invece di prendere tutte quelle vite e di curarle al meglio. Che costruisce assurde quote, come le vite umane fossero pacchi o chili di carne.

E insieme proporre la certezza di un’Utopia, di un luogo dove le frontiere sono porte aperte, perché le porte aperte sono porte girevoli che regalano la libertà di andare a cercare la propria vita. A tutti. Perché tutti uguali. Senza condizioni.

Anche su questo numero, Left si prende il coraggio di denunciare l’imbecillità di tanto poco pensiero che si riempie la bocca di nemici da eliminare e di ipotetici insegnanti fannulloni da licenziare, tutto con la stessa facilità. Per dirvi che quel poco pensiero propone, ogni volta, soluzioni semplici, comprensibilmente false.

Come affondare barconi, pur essendo perfettamente consapevoli di quanti barconi ci siano accanto e accanto ancora e di cosa possa significare bombardare delle coste piene di persone in fuga da orrori. O come concentrare tutto nelle mani di uno solo in una realtà collettiva come la scuola. Quello più in alto ovviamente, che avrà il potere di decidere chi chiamare ad insegnare, chi premiare, chi scartare, chi finanziare. Cosa finanziare. Il super preside, il supercapo di tutto. Questo vuole il nostro premier. Soluzioni forti, di potere. Veloci.

Democrazia decidente, si è detto, quella di Renzi. La sensazione è che sia rimasto solo il decidente, della democrazia si perdono progressivamente le tracce. «La democrazia – mi diceva non molto tempo fa Nadia Urbinati – non è soltanto una forma di governo ma un modo di pensare le relazioni con gli altri e prima ancora noi stessi».

Ecco, allora penso che Left debba proporre l’Utopia di un’uguaglianza “di nascita” e di una “libertà che sia dovere di essere esseri umani”. Tutti. Perché tutti uguali. Senza condizioni. Senza più religioni a imporre chi è buono e chi è cattivo. Chi superiore e chi inferiore. Chi vero e chi falso.

L’Utopia di un luogo senza papi né capi. Senza cattiverie originarie da domare o deboli da dominare. L’Utopia di un mondo dove si è uguali e liberi e dove «un giorno si arriverà ad una sensibilità tale per cui chiunque tenti di commettere una violenza non riuscirà neanche ad alzare il braccio per farlo».

Pensando alla campagna per il nuovo Left, pochi mesi fa, c’erano altre frasi di Antonio Gramsci che ci piacevano. Due in particolare. Una diceva: «Ogni movimento rivoluzionario è romantico per definizione», l’altra: «Studiate perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza». Entrambe, sono per dirvi che Left è romantico per definizione e che “dovete” studiare perché Left avrà bisogno di tutta la vostra intelligenza. Poi ce n’era una terza. La molla di tutto. «Il giornale non dovrà avere alcuna indicazione di partito. Dovrà essere un giornale di sinistra».

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Caro Marco Lodoli, tu e Matteo Renzi voi non siete i “maestri della nazione” e noi non siamo i vostri alunni

Caro Marco,

Ebbene sì, anch’io quel 5 maggio ero a scioperare e ho contribuito a costruire quel profondo senso di solitudine di cui parli sulle pagine di Repubblica.

Nel leggerti mi è venuto in mente l’immagine di un giocatore che si lamenta di non trovare i propri compagni negli spogliatoi, mentre loro sono già sul campo a giocare la finale…

Caro Marco il tempo stringe… e non si può stare mani in mano a vagare per i corridoi. Ne va della nostra professione, ne va dei nostri ragazzi, ne va del nostro sistema scolastico. Stanno attaccando la scuola pubblica!

Tu, che ti sei sforzato così tanto di fare bella figura e noi, stupidi e arrabbiati, non abbiamo compreso le vostre intenzioni, le vostre serie e buone intenzioni. Lo sai qual è il problema? È proprio quest’aria buonista che nasconde invece l’arroganza di chi erge un muro e una distanza siderale fra voi della scuola “buona” e noi, della scuola “normale”.

Voi della scuola buona avete capito tutto e tutti, sapete come fare, animati dal sano ottimismo e dall’energia del fare. Noi della scuola normale invece siamo duri a capire, disfattisti e pessimisti sappiamo solo lamentarci e non vediamo la grandezza di una riforma epocale come la vostra. Siamo troppo arrabbiati e delusi, abbiamo le menti offuscate da anni di malaffare e di mal governo e prendiamo lucciole per lanterne additando voi, proprio voi, che vi siete rimboccati le maniche per risolvere gli annosi problemi della scuola italiana!

Non voglio e non posso credere che uno come te, che insegna da anni, che scrive libri, che ha partecipato alla ideazione di questa riforma, possa davvero credere che i veri e i grandi punti di forza del Ddl siano i 500 euro annui da spendere per la propria formazione culturale e l’assunzione dei precari. Nessuna parola che entri nel merito della riforma: e i soldi dati alle scuole private? E le modalità  di assunzione dei precari storici? E le modalità dell’alternanza scuola-lavoro? E l’autonomia delle scuole gestita dal preside, “primus inter pares”? Nessuna parola inoltre sulle materie da insegnare, sul monte ore da distribuire, sulla relazione insegnante – allievo.

È inutile nascondersi dietro le semplificazioni e gli stereotipi della “professoressa tacco 12” o del “professore marxista leninista”. Queste possono andare bene per una sceneggiatura dell’ennesimo film scadente sulla scuola, ma non per convincerci che vi siete spiegati male. Non è un problema di come dite le cose, ma delle cose che dite.

Chi ti scrive “festeggia” quest’anno il suo undicesimo anno di precariato: ho attraversato tutti i ministri, tutte le riforme che si sono susseguite nel nostro paese in quest’ultimo decennio, ho visto ogni anno una scuola diversa, conosciuto centinaia di studenti e decine e decine di insegnanti, ma raramente ho incontrato questa semplificazione, questa fatuità disarmante con cui presentate il vostro progetto. Dietro un’idea di scuola, c’è un’idea di essere umano, di società, di politica. E la vostra idea di essere umano, di società, di politica non ci piace per niente. Voi dividete gli esseri umani in “chi è fatto per studiare” e “chi per lavorare”, la vostra è la società del merito di avere i soldi. Acuite le disuguaglianze, elargite fior di euro alle scuole cattoliche.

Eppure basterebbe fare classi di venti alunni al massimo, rendere le scuole private senza oneri per lo stato e investire in quelle pubbliche. Tu che insegni non puoi negare di quanto possa migliorare una lezione in un’aula ben attrezzata con un massimo di 20 alunni.

Caro Marco,

dal tuo pezzo, così come dalla lettera che Matteo Renzi ha inviato a tutti noi docenti, emerge una freddezza e una presunzione che nascondono soltanto il disprezzo per coloro che quella scuola la vivono davvero.  Senza i 500 euro i professori non si formerebbero! Ahimè caro Marco io quest’anno ne spendo “solo” 2500 ( pari a poco meno di due mensilità) per prendere un’altra abilitazione e non ti aggiungo quelli che spendo per i libri, per il cinema, il teatro, i convegni e le mostre che vado a vedere nella mia e in altre città italiane. I 500 euro sono la solita ovvietà elargita come se fosse una grazia scesa dal cielo. Ma come?!? Mi lamento proprio io che forse il prossimo anno verrò assunta? Vogliamo innanzitutto sapere i numeri precisi di queste assunzioni, ma soprattutto come e dove saremo assunti. Nessuno, ad oggi, è ancora in grado di spiegarcelo!

Inoltre quella cosa che si chiama Contratto nazionale avrà ancora una sua validità o sarà scavalcato dalle decisioni del governo?

Qui si tratta di difendere un’idea di scuola pubblica, di stato sociale, di laicità e di uguaglianza!

Qui si tratta di interesse vero per gli altri esseri umani, in particolare per quelle nuove generazioni che saranno i cittadini di domani.

Qui si tratta di difendere una professione dalle basse logiche del mercato e della competizione.

Qui si tratta di formare i giovani nel pensiero critico, nella propria autonomia.

Qui si tratta di fare bene e amare la propria professione.

Qui si tratta di difendere uno dei pochi luoghi di lavoro e di formazione in cui vigono l’onesta e la trasparenza.

Non potete farlo voi che girate da soli per i corridoi e guardate dall’alto in basso.

Tu e Matteo Renzi vi lamentate di non essere stati capiti. Come farebbe un bravo insegnante quando la maggior parte dei suoi alunni non arriva alla sufficienza. Il buon insegnante è quello che ammette di non essersi spiegato bene.

C’è una piccola differenza: che voi non siete i “maestri della nazione” e noi non siamo i vostri alunni.

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L’ultimo show del premier sulla riforma della scuola

«Come Renzi a Palazzo Chigi risolve tutti i problemi della Nazione, così il preside capo aziendale risolverà le bocciature e l’abbandono scolastico: abracadabra». Nadia Urbinati, insieme a Giuseppe Bagni, Adriano Prosperi e Elisabetta Amalfitano, su Left in edicola dal 23 maggio, racconta le pieghe della riforma della cosiddetta Buona scuola, gli effetti a catena che al di là del trionfalismo del presidente del Consiglio si determineranno nel sistema scolastico italiano.

Un sistema – per ora – fondato sulla garanzia del diritto allo studio per tutti, in nome degli articoli 3 e 34 della Costituzione. Secondo la politologa che insegna negli Usa, accadrà che sorgeranno sempre più scuole private buone, mentre la qualità delle scuole pubbliche peggiorerà.

È quanto emerge dalle altre voci della storia di copertina di Left, tutta dedicata alla riforma renziana appena approvata alla Camera. A partire da un dato di fatto: la disuguaglianza che già esiste in Italia tra scuole del Nord e scuole del Sud è destinata a crescere attraverso alcuni provvedimenti contenuti nel ddl 2994. Come quello degli sgravi fiscali per le scuole paritarie private o il 5 x mille destinato solo a una scuola e non a un fondo comune, un articolo, quest’ultimo stralciato all’ultimo momento, ma solo perché mancava la copertura economica: verrà ripresentato il prima possibile, ha detto il ministro Giannini. Il premier ha scritto agli insegnanti? Ebbene, Giuseppe Bagni, presidente del Cidi, gli risponde punto per punto e spiega al lettore che la “semplificazione” comunicativa di Renzi nasconde una realtà più complessa. Infine Paolo Fresu racconta “gli insegnanti che gli hanno cambiato la vita”.

Left continua ancora lo speciale per le elezioni regionali: in questo numero è la volta di Toscana, Liguria e Veneto. Left non abbandona il destino dei migranti e ospita la denuncia di LasciateCIEntrare su una tendopoli di Bari. E negli esteri fa il punto sulla missione – di cui fa parte anche l’Italia – che dovrebbe attaccare gli scafisti in partenza dalla Libia. Da segnalare ancora, oltre al quadro politico ed economico della Gran Bretagna dopo la vittoria di Cameron, una inchiesta che racconta cosa c’è dietro l’omicidio di Boris Nemzov, l’oppositore di Putin.

In Cultura una intervista allo scrittore Martìn Caparròs sul rapporto tra fame nel mondo, neoliberismo e religione, il rapporto di Dante con la scienza, il ritratto del regista Roberto Minervini e una intervista a Miriana Trevisan. Buona lettura!

[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/dona_Coccoli” target=”on” ][/social_link] @dona_Coccoli

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Irlanda, oggi il referendum sulle nozze gay

Nel 2010 è stata approvata la legge sulle unioni civili e se il 22 maggio dovesse vincere il Si che secondo i sondaggi sembrerebbe essere avanti di poco, la costituzione irlandese dirà: “il matrimonio potrà essere contratto tra due persone senza distinzione di sesso.”

Il referendum è essenzialmente una questione di uguaglianza. Perché una percentuale estremamente significativa della popolazione deve essere esclusa dal diritto di sposarsi? Non c’è nessuna motivazione diversa da quella più meschina e razzista di altre motivazioni: la discriminazione contro l’altro.

Secondo una coppia gay di ragazzi irlandesi che per strada mi hanno concesso qualche minuto di conversazione mentre facevano volantinaggio alla stazione di Dublino, quelli della campagna per il no si coprono dietro una subdola ideologia facendo credere, che l’amore condiviso da persone gay in qualche modo è molto meno sincero e reale di una coppia di eterosessuali. Essi ritengono che le persone gay sono intrinsecamente inferiori e la verità fondamentale è che credono fare sesso con qualcuno del proprio sesso è sbagliato e peccaminoso e non dovrebbe essere fatto.

Questo referendum è per tutta l’Irlanda l’opportunità per cui  i cittadini votino per la libertà, per l’uguaglianza e per il rispetto reciproco e in tal modo per mostrare al resto del mondo ciò che queste parole possono davvero dire qualcosa e sono una prospettiva di vita reale. In uno dei suoi monologhi sulla religione, il comico americano George Carlin disse: “La religione è come un paio di scarpe, trovate quella più adatta per voi, ma non mi fate indossare le scarpe”.

Il referendum del 22 maggio cambierà Dublino e l’Irlanda, che stanno già cambiando da tempo. Il segnale che può arrivare da una nazione fortemente cattolica a tutta l’europa e all’Italia è un segnale che potrebbe davvero far sperare in una maggiore sensibilità verso l’opinione pubblica in una legislazione futura a sostegno delle unioni tra coppie omosessuali.

Le riviste Hotpress e Totally Dublin, punto di riferimento culturale per la musica dell’Irlanda e non solo, hanno messo in piedi una campagna a sostegno del Si, fatta di foto ad effetto a cui hanno dedicato la copertina. Il bacio gay tra due uomini e due donne è quanto di più dirompente se immaginiamo appunto di vivere in una nazione che è stata e sarà sempre una nazione  in cui la religione cattolica ha una influenza non indifferente.

Uno dei volontari della campagna Yes Equality in uno stand al centro di Dublino ricordandomi il ruolo del cattolicesimo mi diceva che: “La Chiesa cattolica è totalmente contraria al matrimonio tra lo stesso sesso ma non è una sorpresa. Nonostante la loro lunga e vergognosa storia di copertura di atti di pedofilia e abusi sessuali da parte di  membri del clero, si sentono ancora in diritto di sapere che cosa è meglio per i bambini e le famiglie.”

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Sarà il mio tipo? e il regista francese Lucas Belvaux ti reinventa la commedia sentimentale

Pas son genre del regista belga Lucas Belvaux, proposto in Italia con il titolo meno efficace Sarà il mio tipo?, denuncia la sua matrice non appena il protagonista, Clément (LoÏc Corbery), entra a Les Deux Magots: il celebre caffè ove si son incontrati Verlaine, Rimbaud , Baudelaire; frequentato da Picasso, Prévert, Breton, ma anche da Chabrol e Truffaut, in cui sono state girate alcune effervescenti scene de La maman et la putaine di Jean Eustache, ultimo emblematico film della nouvelle vague.

Cinema, Sarà il mio tipoÈ in questo solco che il personaggio si muove: intellettuale raffinato e bohemien, professore di filosofia, scrittore impegnato sul tema dell’amore, tombeur des femmes, e soprattutto parigino fin nella più riposta fibra. Trasferito ad Arras per la docenza, con suo sommo spregio deve adattarsi alla vita di provincia 3 giorni la settimana; così, per ingannare il tempo e la noia, intreccia una relazione con una giovane parrucchiera (Emilie Dequenne), ragazza madre, vivace, spontanea, semplice, diretta nelle scelte, entusiasta della vita.

I punti di riferimento di lui sono Kant, i romanzi francesi, i versi di Baudelaire, Gide, l’Idiota di Dostoevskij, la musica classica, i locali cool; quelli di lei Jennifer Aniston, le commedie romantiche, il karaoke, la playstation che condivide con il figlio, le serate fracassone in discoteca. Lei crede nell’amore e nell’immediatezza, lui nel libero arbitrio e nella critica del giudizio. Tra i due si accende un conflitto, assolutamente imperdibile, i cui temi sono ceto sociale, milieu, cultura di appartenenza, progettualità esistenziale. I protagonisti parlano molto, leggono libri (lui legge per lei, lei regala libri a lui, se questo non è amore?), intensificano gli incontri, negoziano le loro posizioni, o perlomeno ci provano, fino al salto di qualità conclusivo. Non sempre chi è accanto a noi, è realmente presente.

Così si va verso una conclusione profonda e spiazzante, incentrata sul rapporto uomo-donna, che bypassa il divertente aggiornamento del materialismo dialettico e il ribaltamento dello stereotipo della commedia sentimentale. Liberazione o libertà? A voi la decisione.

Dalle Marche Dis Design Italian Shoes, la prima web startup che realizza scarpe 100% made in Italy

Scarpe da uomo personalizzate, realizzate completamente a mano al 100% da botteghe artigiane del distretto marchigiano della calzatura di Montegranaro.

Da questa idea è nata Dis Design Italian Shoes, la startup di quattro ragazzi, intorno ai 30 anni, che con il loro progetto hanno già vinto numerosi premi. Dopo aver selezionato il modello, fra i nove disponibili, il cliente può personalizzare la scarpa scegliendo il tipo di pellame, il disegno, il laccio, l’occhiello, la fodera, la suola e la sformatura.

Sulla piattaforma online www. designitalianshoes.com il configuratore 3D messo a disposizione permette di realizzare ben cinque milioni di combinazioni diverse all’utente che in questo modo può disegnare la scarpa a proprio gusto scegliendo ogni singolo dettaglio.

Una volta scelta la scarpa, i maestri artigiani della startup la realizzeranno nelle Marche, il cuore del distretto delle calzature classiche da uomo. Entro quattro settimane dall’ordine il cliente riceverà a casa le proprie scarpe, senza costi di spedizione, accompagnate da un certificato che ne attesta la produzione made in Italy.

Il team di Dis Design Italian Shoes è composto da due fratelli di Recanati, Andrea e Francesco Carpineti, un esperto di piattaforme di e-commerce, Michele Luconi, e Mauro Belardinelli, titolare della bottega ‘“Arte della Pelle” a Jesi, al momento l’unico punto vendita in Italia.

L’attenzione per il dettaglio e la scelta dei materiali sono il punto di forza della startup che, in pochi mesi di vita, ha già ricevuto centinaia di ordini, soprattutto dall’estero. A breve saranno proposti anche pellami extra-lusso, modelli sportivi per uomo e calzature da donna.

Inoltre, è in fase di realizzazione un’app per smartphone che permetterà all’utente una scansione accurata del piede. Lo sviluppo dell’azienda prevede di testare il servizio offline rendendolo fruibile nei negozi di abbigliamento per uomo e sartorie selezionate. Il cliente potrà infatti scegliere e toccare con mano il pellame, provare la calzata e vedere in tempo reale su un tablet la scarpa che sta realizzando.

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Le cinque delle 20.00

L’Anticorruzione è legge, pene più severe. Il sì di Montecitorio è arrivato con 280 voti a favore e 53 no. Il testo prevede pene più severe e ripristina il reato di falso in bilancio.

L’Isis conquista Palmira, decapitati soldati siriani. Il Califfato ha preso il controllo della città che ospita il sito archeologico patrimonio dell’Umanità. Pubblicate foto di esecuzioni di militari fedeli ad Assad.

Bersani: con correzioni saremo felicissimi di votare il Ddl #buonascuola. Con qualche correzione ancora al Senato tutti saranno felicissimi di votare. Credo che lo si farà e che il governo voglia fare qualche altro passo. Parola di Pier Luigi Bersani, minoranza dem, che apre così al premier.

Soldi riciclati all’estero, Umberto Bossi rinviato a giudizio a Genova. Tutti rinviati a processo, fissato per il 23 settembre prossimo cinque esponenti della Lega Nord: il leader Umberto Bossi, l’ex tesoriere Francesco Belsito, i tre membri del comitato di controllo dei bilanci e della cassa del Carroccio e due imprenditori imputati di riciclaggio per i soldi finiti in Tanzania e a Cipro.

L’annuncio di Bonino: scomparsa ogni evidenza del cancro. La notizia dell’esito positivo della terapia seguita dopo la diagnosi di tumore al polmone l’ha data lei stessa: «Il mio è anche un messaggio di speranza che voglio dare a tutti coloro che affrontano questa sfida» ha aggiunto.

[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/LeftAvvenimenti” target=”on” ][/social_link] @LeftAvvenimenti

Territorio

Un’idea precisa della politica del nostro Paese si può avere guardando ciò che accade nelle elezioni comunali e regionali. Trasformismo, clientele, criminalità. Il tutto in un silenzio assordante da parte dei vertici di molti partiti che scoprono (?) il problema soltanto quando assume carattere nazionale.

In Campania c’è voluto l’intervento di Roberto Saviano per evidenziare gli impresentabili nelle liste del candidato Pd, Vincenzo De Luca. Nel Lazio coloro che Zingaretti non ricandidò per lo scandalo dei fondi in Regione, finirono su un comodo scranno a Palazzo Madama.

In una politica che vive solo di personalizzazione tutto questo non può che peggiorare, garantendo la penombra vitale al “sottobosco dei padroni di voti”, tanto denigrato pubblicamente quanto accarezzato privatamente. Ecco perché è necessario accendere i riflettori sui territori, su ciò che accade. Perché quel buio è la migliore garanzia per chi in questo Paese vuole che nulla cambi. O che cambi solo all’apparenza.

[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/FilippoTreiani” target=”on” ][/social_link] @FilippoTreiani

 

Palmira in mano all’Isis. Prosegue l’espansione dello Stato Islamico in Siria e Iraq

Non è solo la caduta di una delle bellezze storiche dell’umanità. Non è solo il rischio che quelle antiche vestigia romaniche nel deserto vengano utilizzate per arricchire le casse dei jihadisti attraverso il ben collaudato traffico di reperti archeologici. La caduta di Palmira nelle mani delle milizie dello Stato islamico è tutto questo, e già sarebbe abbastanza, ma anche tanto altro di più. E di inquietante. E’ la tangibile conferma che la Siria, come Stato unitario, non esiste più. E lo stesso può dirsi del vicino Iraq.

Al loro posto è sorto, e si sta consolidando, uno “Stato parallelo”, che il mondo non riconosce ma con cui sarà chiamato, molto più di quanto non lo sia già oggi, a fare i conti: lo Stato del Califfo Ibrahim, al secolo Abu Bakr al-Baghdadi, il primo Stato della Jihad al mondo.

Dopo la conquista di Palmira, l’Isis controlla più della metà del territorio siriano. Ad affermarlo è o l’Osservatorio siriano per i diritti umani, sottolineando l’avanzata verso ovest condotta dagli jihadisti. I miliziani, che già controllavano larghe parti della Siria a nord ed est, per la prima volta hanno conquistato una importante città nel centro del Paese, sottraendola al controllo delle forze governative. In questo modo, l’Isis domina su 95mila chilometri quadrati ed è presente in 9 province.

Per comprendere al meglio le dimensioni del fenomeno  sarebbe opportuno dotarsi di una cartina geografica del Medio Oriente e collegare Aleppo, seconda città siriana, a Mosul, in Iraq, o Ramadi, conquistata nei giorni scorsi dallo Stato islamico, con Palmira. Il quadro che si avrebbe è impressionante: Ramadi si trova a 113 km a Ovest di Baghdad ed è lo snodo stradale più importante fra l’Iraq e la Siria, facilitando di molto il movimento di truppe fra le aree controllate da Isis a cavallo di un confine che non esiste più. Palmira si trova 210 km a Nord-Est di Damasco nel deserto che si allunga verso l’Iraq e consente di avanzare verso la capitale e la città di Homs.

Le immagini dell’entrata dei miliziani nel sito archeologico sono state mostrate dalla televisione di Stato siriana e postate sugli account dei social media pro Is. Un jihadista dell’Is parlando dalla zona e citato dai siti Internet vicini al gruppo, ha spiegato che le milizie al servizio di al-Baghdadi  controllano anche l’ospedale usato come base dall’esercito siriano prima di ritirarsi, evacuando anche i civili. Questo fa parte della guerra mediatica che accompagna sempre, nell’agire dell’Isis, quella combattuta sul campo.

Quelle immagini raccontano di un modo di essere dell’Isis che non ha nulla della vecchia propaganda della prima al-Qaeda targata Osama bin Laden: la virtualizzazione della propria potenza militare è propria di chi pensa e agisce come un capo di Stato,  che fa dell’uso della forza e del terrore non come un fine ma come gli strumenti per consolidare il proprio controllo sul territorio, per radicare e  rafforzare il proprio potere statuale, per essere non solo temuto ma riconosciuto dalla comunità internazionale come un imprescindibile attore  sullo scenario mediorientale. Un soggetto con cui, un giorno, si dovrà anche trattare. Tutto ciò racconta quella bandiera nera issata sulla mitica Palmira.