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Le cinque delle 20.00

#Def Matteo Renzi: niente tagli né nuove tasse promette il presidente del consiglio al termine del Consiglio dei Ministri che ha esaminato il Documento economico e finanziario: 21 miliardi di tasse in meno nel 2015, con un aumento dello 0,7 per cento del Pil nel 2014 e dell’1,4% nel 2016, come sottolinea il ministro dell’Economia Padoan.

#Def Piero Fassino: il presidente dell’Anci e sindaco di Torino, Piero Fassino, chiede al governo un incontro prima del varo definitivo del Documento economico e finanziario: dal 2010 i Comuni hanno contribuito al risanamento con oltre 17 miliardi di euro al risanamento del Paese. Adesso chiediamo che si cambi strada.

#Diaz Italia condannata per tortura per quanto accaduto nel blitz delle forze dell’ordine alla scuola Diaz dove dormivano i manifestanti anti-G8 di Genova del 2001. La sentenza della Corte europea dei diritti dell’ uomo sulla base del ricorso presentato a Strasburgo da Arnaldo Cestaro, una delle vittime.

La Grecia chiede in danni alla Germania. Secondo quanto riporta la BBC il governo greco ha stimato che la Germania le deve un risarcimento di 279 miliardi di euro per l’occupazione nazista durante la Seconda guerra mondiale. Il primo ministro greco Alexis Tsipras aveva già sollevato la questione con la cancelliera tedesca Angela Merkel a Berlino il mese scorso.

Usa cancelleranno Cuba dalla black list. Secondo quanto riportato dalla Cnn, il dipartimento di stato degli Stati Uniti ha annunciato che toglierà il paese dalla lista degli stati che sostengono il terrorismo entro pochi giorni. La comunicazione ufficiale di Barack Obama forse durante il vertice delle Americhe dal 10 all’11 aprile a Panama.

Il canale tv E! lancia The Royals, tra gossip e feste di palazzo

Anche il colosso del gossip E!, il canale televisivo internazionale specializzato in programmi su star system e show business, sbarca nel mondo, anzi nel regno delle serie tv. Il serial che dà il via all’esperimento infatti è The Royals.

Al centro della trama le vicende di una fittizia famiglia reale inglese alle prese con una regina (Elizabeth Hurley) cinquantenne sexy, sempre strizzata in tubini che mozzano il fiato e impongono a Queen Helena un portamento regale; un re in crisi d’identità dopo la morte del primogenito e deciso a indire un referendum per abolire la monarchia nel Regno Unito; il classico principe belloccio (William Moseley) innamoratodella figlia del capo della sicurezza (Merritt Patterson) che guarda caso sembra una sosia di Kate Middleton e, dulcis in fundo, una principessa ribelle molto punk, spesso sbattuta in copertina dai tabloid. Insomma Anarchy in the monarchy come recita lo slogan della serie appena lanciata da Entertainment Television.

Gli ingredienti per un serial leggero e divertente con una vena trash, ma intelligente ci sono tutti. Il filone è lo stesso di molti telefilm di successo che promettono di trasformarci in insider e farci sbirciare nelle vite dei ricchi e potenti. Tra vestiti da sogno,intrighi e scandali, ritroviamo lo stesso stile narrativo che ha sancito il successo di Gossip Girl, dove i protagonisti erano i giovani rampanti dell’Upper East Side, o di Dirty Sexy Money.

Il filo con la realtà si ritrova invece nella descrizione della sovraesposizione mediatica a cui è sottoposta la famiglia reale protagonista del telefilm. Flash, prime pagine dai titoli strillati e inseguimenti di fotografi non possono non ricordare Lady D e il suo difficile rapporto con la stampa – complice anche il recente successo del film Diana interpretato da Naomi Watts, – o gli speciali tv per il matrimonio di Kate e William e per l’annuncio della nascita del loro Royal Baby.

Oltre al mix scintillante di ricchezza, nobiltà e successo quello che viene rappresentato è il sogno di una vita normale, un topos letterario che, quando si parla di regalità, sopravvive dai tempi de “Il principe e il povero”. A sancire il trionfo della cultura pop e il mito del sovrano vicino al popolo è proprio il re antimonarchico che, fin dalla prima puntata, rivela di sognare «una vita vissuta senza l’oppressione del destino». Una battuta scontata forse, ma che fa breccia nel cuore del pubblico perché, alla fine reali o no, tutti almeno una volta, fin dai giochi di quando eravamo bambini, abbiamo sognato di essere qualcun altro. Questa volta è proprio la tv a farci immaginare le vite immaginate di quel «Se fossi…».

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Alda Merini, il francobollo

Questa volta, illustriamo una diversa accezione dell’espressione “eterni secondi”. Lo dedichiamo a un personaggio che ha vissuto gran parte della propria vita nel posto sbagliato, quando quei posti, purtroppo, esistevano ancora.

Arricchiamo la collezione omaggiando l’arte liberale della poesia e colei che riteniamo esserne una delle massime rappresentanti del ‘900: Alda Merini, poetessa dei Navigli. Lo dedichiamo all’artista, alla donna e alla persona che con le sue esperienze, i suoi dolori, le sue quotidianità, attraverso la sua infinità mistica poeticità ha regalato scorci meravigliosi d’infinito.

Milanese, figlia di quella borghesia arrancante che s’indaffarava operosa durante il regime, sotto i bombardamenti, per garantire la città alla propria prole. Bambina vispa e studiosa, diventò subito una poetessa. Era donna lombarda nata di primavera, stagione di fiori, mutamenti, luce. L’esordio editoriale la prese giovanissima, ancor prima di conoscere le ombre che per tutta la vita attanagliarono la sua mente. All’età di 16 anni, Alda fu rinchiusa, per la prima volta, in unaclinica psichiatrica. Esperienza che racconterà a più riprese e in differenti stili nelle sue opere.

Nel 1953 Bompiani pubblica la Pazza della porta accanto, Alda diventa madre lo stesso anno. E proprio quando il suo esser donna è completo inizia il pubblico silenzio. Alda è internata. Le viene diagnostica la sindrome bipolare. A quei tempi Basaglia era ancora solo un giovane psichiatra e l’internamento era la cura normale per questa diversità. Alda si sentiva diversa, lo era. Si sentiva rea per la vitache viveva. Le porte dell’editoria rimasero chiuse per anni.

Il mondo letterario la ignora ma lei, navigando tra le sue ombre e i suoi fantasmi, continua a scrivere sostenuta dai pochi e sinceri amici che le restano vicini, ammiratori del suo essere fieramente Alda Merini. Quando poi, durante i primi anni 90, Alda, che sembra aver trovato una certa serenità, è riammessa nel mondo letterario, li ripaga snocciolando capolavori, poesie, aforismi, spesso accompagnati da supporti artistici di rara bellezza. Il male del secolo la colpisce alle ossa e Alda fisicamente ci lascia nel 2009. Una prospettiva diversa dunque sia dell’epica sia del concetto di sentirsi ingiustamente secondo. La nostra è una dedica sincera a chi ha raccontato il proprio stato d’animo creando emozioni danzanti percepibili solo se si ha la capacità di intuire, almeno un po’, l’ordine sconcertante del caos.

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[social_link type=”facebook” url=”https://www.facebook.com/antoniopronostico” target=”on” ][/social_link] Antonio Pronostico

Docenti senza voce tra abbandono scolastico e sindacati in conflitto tra loro

Non solo il governo, ma anche i sindacati della scuola devono fare autocritica dopo l’ultima denuncia dell’Ue sull’abbandono in cui versa il nostro sistema di istruzione. I numeri rivelano impietosamente le incongruenze tra i proclami e l’azione dell’esecutivo e, al contempo, alimentano dubbi e sospetti intorno agli inoffensivi sindacati di categoria che, di fronte a quei dati, dovrebbero assediare permanentemente il ministero.

A metà marzo, dunque, la Commissione Libertà civili e affari interni dell’europarlamento ha chiesto al governo italiano di investire sulla scuola perché «l’istruzione è cruciale per essere competitivi nell’economia globale». La motivazione suona particolarmente beffarda perché sembra riprendere alla lettera certe frasi ad effetto della Buona scuola o delle slide del premier.

In realtà, come si legge nell’ultimo rapporto della rete Eurydice, l’Italia è il Paese europeo che spende meno per l’istruzione: il 9,05%, (la media Ue è al 10,84%). Le intenzioni di chi ci governa emergono ancor più chiaramente considerando che la nostra spesa per l’istruzione equivale al 4,7% del Pil, (media europea: 5,44%). Utile il raffronto con l’Irlanda che, pur non passandosela meglio di noi, spende per la scuola il 6,5% del proprio Pil. Nello stesso rapporto si segnala che gli insegnanti italiani, anche se sono fra quelli che lavorano più ore, sono i meno pagati d’Europa. In questo caso un confronto significativo si può fare con il Portogallo, dove gli insegnanti arrivano a guadagnare, tenendo conto del potere d’acquisto, il 40% in più dei colleghi italiani.

Insomma ce n’è abbastanza per chiedersi perché i sindacati di categoria non stiano permanentemente sulle barricate. Invece, persino i moniti sull’impoverimento del nostro sistema scolastico dobbiamo sentirli innanzitutto dalle commissioni dell’Ue. D’altra parte, pare che il massimo degli sforzi sindacali consista nel convincere i lavoratori della scuola che, se è vero che sono trattati male, è anche vero che potrebbero essere trattati peggio. Oltre che ad autolegittimarsi, i nostri sindacalisti amano impegnarsi in una continua conflittualità con le altre sigle.

C’è pure da considerare che l’attuale sistema di rappresentanza favorisce la formazione di burocrazie sindacali sempre più lontane dai lavoratori. Infatti, come può trovare spazio il dissenso nei confronti di sindacati appiattiti sulle posizioni del governo, se le scelte dei lavoratori non sono affidate a liste nazionali ma a liste decentrate, che nelle circa 10mila scuole possono permettersi solo i sindacati più strutturati? Per essere rappresentati in tutte le scuole, ci vorrebbero 60mila presentatori, più di quanto richiesto per proporre in Parlamento una legge di iniziativa popolare. Inoltre, in violazione dello Statuto dei lavoratori, per le nuove sigle sindacali non è possibile tenere assemblee in orario di servizio.

Con un simile scenario, reso possibile dal dl 396/97 (Prodi I) e dal dl 165/01 (Amato II), è praticamente impossibile per un sindacato nuovo sedere al tavolo della contrattazione. La chiusura verso ogni novità sindacale e la mutazione burocratica dei sindacati tradizionali sono facilitati anche dal fatto che il calcolo delle preferenze su scala nazionale comprende non solo i voti ma anche gli iscritti, che ovviamente sono più numerosi nei sindacati tradizionali, con le truppe di distaccati e la facoltà di fare propaganda in orario di servizio.

Felice Casson: «Fuori i vandali dalla laguna»

Venezia è un gondoliere che ti prende per mano al ritmo di uno swing suonato da una banda d’artisti di strada. È una giovane africana che distribuisce volantini in costume d’epoca. È la voce di tre turisti americani che esclamano “Oh my god” appena svoltato l’angolo di piazza San Marco. È il labirinto di canali e calli percorso, ogni anno, da oltre 25 milioni di turisti, in una città di appena 59.000 abitanti.

Ma Venezia è anche il banco di prova del centrosinistra che – unito come ai vecchi tempi, dai moderati fino a Rifondazione – sosterrà alle prossime elezioni comunali Felice Casson, l’ex magistrato e senatore del Pd – della minoranza del Pd, quella di sinistra. È la seconda volta che Casson cerca di conquistare Ca’ Farsetti. Già nel 2005 ci provò, ma venne sconfitto per una manciata di voti da Massimo Cacciari. A decretare la sua candidatura, questa volta, sono state le primarie del 15 marzo: con il 55,6 per cento, i veneziani hanno scelto lui per lasciarsi alle spalle lo scandalo dell’inchiesta Mose e le dimissioni del sindaco Giorgio Orsoni, coinvolto nell’inchiesta. Forte di questi numeri, il 31 maggio Casson proverà a sbaragliare un centrodestra litigioso e confuso. A Venezia come in tutto il Veneto, che andrà alle urne sempre il 31 maggio per le regionali, con l’addio di Flavio Tosi alla Lega che si traduce in un doppio candidato governatore: l’uscente Luca Zaia e Tosi, appunto. Incontriamo Felice Casson in Campo Santa Margherita, a Venezia. E la fama di “uomo freddo e scostante” che lo precede si dissolve al primo sorso di caffè.

Felice Casson, ora che si candida a sindaco di Venezia ci dice come si amministra un gioiello del genere?

Sì è un gioiello, con un tessuto urbano ambientale estremamente delicato. Perciò è necessario che i veneziani, aiutati anche dalla politica nazionale e internazionale, contrastino fortemente chi non ha idea di cosa sia il rispetto per il territorio e per la persona. Un po’ come i vandali nel Medioevo, a Venezia hanno sempre cercato di distruggere questo gioiello della natura e dell’arte. Ancora oggi.

E hanno sembianze di grandi opere e grandi navi da crociera. Lei è contrario a entrambe:, sa che per questo la chiamano “lo sceriffo che fermerà lo sviluppo”?

È assolutamente sbagliato. Anzi è falso e in mala fede dire che io sono contro le Grandi navi, penso semplicemente che vadano portate fuori dalla laguna. Questo non vuol dire eliminare le attività commerciali e industriali, né l’attività crocieristica. Vuol dire cercare un punto di equilibrio tra esigenze dell’imprenditore, del lavoratore e della salvaguardia della laguna.

In questo momento l’autorità portuale, insieme all’ormai ex ministro Lupi, cerca di accelerare lo scavo di un grande canale in mezzo alla laguna, il Contorta, come soluzione al tema Grandi navi, per evitare il passaggio davanti a San Marco. È una soluzione?

No, quest’opera sarebbe assolutamente devastante per la laguna. Innanzitutto va contro la legge, una legge storica degli anni 80 che è ancora vigente per la quale gli interventi dovrebbero essere graduali, reversibili, sperimentabili e certo questo grande canale non lo sarebbe. Inoltre porterebbe direttamente un braccio di mare in una città storica e questo sconvolgerebbegli equilibri idrodinamici della laguna, con problemi anche sulle fondamenta della città. Qualsiasi persona di buonsenso dovrebbe pensare a una soluzione alternativa.

Lei ne ha qualcuna?

Certo, alcune ipotesi sono già state presentate, come fare arrivare queste grandissime navi o fuori dalla bocca di porto del Lido di Venezia o di Malamocco, o anche Marghera dove però ci sono problemi con il ministero dell’Ambiente. Le alternative ci sono, e ognuna di queste garantirebbe l’attività crocieristica e addirittura farebbe aumentare i posti di lavoro, garantendo al contempo la salvaguardia della laguna. Quindi, non è vero che non si vuol fare e che si vuol bloccare, ma si vuol fare bene: rispettando le norme e l’ambiente.

E gli interessi dei privati? Parte di Venezia è già stata venduta. Il molino Stucky, il palazzo dell’800 sede dell’hotel Hilton, è forse l’esempio più vistoso di come pezzi di città siano finiti sul mercato.

È una tendenza che non risale all’ultima giunta, ma anche alle precedenti: pensare che quando c’è un buco di bilancio si vende un gioiello e si tappa il buco. Ma il problema è proprio questo: si tappa un buco e se ne aprono degli altri. Si deve intevenire con norme e comportamenti di bilancio e di finanza corretti, perché pensare ogni anno di vendere uno o due palazzi, una o due isole, è assolutamente sbagliato.

Adesso è il turno del Casinò.

Il Casinò non è in fase fallimentare, ma certamente in questo momento rende meno rispetto al passato. L’anno scorso ha reso al Comune tra i 16 e i 17 milioni di euro, molti meno rispetto a pochi anni fa, quando ne rendeva più di 100 milioni di euro l’anno. Però è un problema di ristrutturazione e riorganizzazione del lavoro, il Casinò è un gioiello nostro: perché metterlo sul mercato? Tra l’altro svendendolo completamente e buttando alle ortiche un’attività che ha sempre reso molto al Comune, alle associazioni e a chi ci ha lavorato attorno. È una visione miope e che fa gli interessi del privato. Cerchiamo di ragionare, invece, nell’ottica della collettività, dell’interesse comune. Allora i gioielli, i palazzi, non si devono vendere. Invece si deve procedere sistemando la finanza in modo strutturale.

Prima però c’è da conquistare Ca’ Farsetti. Il suo principale avversario sarà Luigi Brugnaro, imprenditore e presidente della Reyer basket, molto popolare in città. Capo di una grossa agenzia interinale (Umana), ex Confindustria, ex referente per Expo Venezia. Ex, eppure il centrodestra continua a denunciare il rischio di conflitto d’interessi.

Intanto, non so se sarà il mio principale avversario, perché il centrodestra è molto frastagliato. Brugnaro da alcune di queste situazioni ha dato o darà le dimissioni. Certo è che i conflitti d’interesse vanno assolutamente evitati e cancellati.

Come?

Per esempio, rispetto alla scelta degli assessori e della squadra, ho detto in maniera chiara che dovrà trattarsi di persone che facciano esclusivamente gli assessori a tempo pieno, che siano privi di qualsiasi problema a carattere giudiziario e privi di qualsiasi conflitto d’interessi. Mi pare preliminare addirittura rispetto a qualsiasi considerazione di merito.

Passiamo alla sua parte politica, qui a Venezia il vecchio centrosinistra tiene. Lei è il candidato del Pd, ma con un sostegno ampio. A livello nazionale sarebbe impensabile al momento, come mai questa anomalia?

Non la chiamerei anomalia, noi veneziani potremmo dire che anomalo è il resto. In effetti mi sostiene uno schieramento molto ampio, è segno della ricchezza della società politica veneziana. Poi, il messaggio e le proposte che faccio riguardano tutti i cittadini e perciò possono abbattere tranquillamente le barriere. Quando parlo di Grandi navi o di Casinò, il messaggio va al di là degli schieramenti e parla direttamente ai cittadini.

Invece sul piano nazionale le distanze tra il Pd e sinistra aumentano, perché?

Ci sono delle rigidità maggiori negli schieramenti, c’è un problema di numeri. Se ci si rendesse conto che i numeri, a livello nazionale, potrebbero essere la maggioranza per il centrosinistra, lo si farebbe subito e senza ricorrere a Ncd per governare. Me ne rendo conto adesso che ancora sono in Senato: quando si discute di legalità, di ambiente, di diritti civili, con il Nuovo centrodestra il governo si spacca, la maggioranza si spacca. Abbiamo una cultura diversa, idee diverse ed è anomala questa alleanza. Alla fine di questa legislatura si vedrà. Bisognerà ricreare quest’area di centrosinistra.

Riconoscerà però che si spacca anche il Partito democratico.

Mi pare che per il momento si stia spaccando il centrodestra. Anzi, polverizzando. Guardi il Veneto… Zaia, Tosi. I problemi sono soprattutto all’interno del centrodestra. Vediamo se sarà possibile, data questa situazione, vincere anche in regione.

Ma la sinistra del Pd naviga ancora a vista. Non mi dica di no…

La minoranza del Pd dovrebbe un po’ chiarirsi le idee. Dovrebbe essere più chiara nella prospettiva politica, nelle decisioni e nei comportamenti. Quando in Parlamento si ragiona, si va in una certa direzione, poi al momento delle decisioni ci si divide. C’è un problema complessivo di riorganizzazione del mondo della sinistra e della sinistra del Pd, ma direi che è una situazione molto diversa rispetto alle realtà locali. Perché nei territori si ragiona di temini molto più concreti che hanno a che fare con la vita quotidiana dei cittadini. Quando penso ai servizi sociali o alla sicurezza è chiaro che ho delle idee molto lontane da quelle della destra. Per concretizzarle, però, devo convincere i cittadini che queste prospettive potranno essere utili a tutti quanti.

Ancora più a sinistra la riorganizzazione è già in corso. Il 28 si tiene il battesimo in piazza della Coalizione sociale di Maurizio Landini. Come la vede?

È ancora un po’ confusa, è una costellazione di posizioni che però se riuscissero a organizzarsi avrebbero pure un senso politico. Il vizio perenne della sinistra è quello di stare a frastagliarsi, dalla Prima, Seconda e Terza internazionale in poi… Invece bisognerebbe che la sinistra si ricomponesse e venissero meno i personalismi. È quello che abbiamo sempre teorizzato, ma in pratica è proprio quello che manca.

Il Pd ha una doppia posizione. Civati dice: non si può non dialogare con Landini, Renzi sembra ignorare questo processo. Lei da che parte sta?

Sono solo tatticismi: quando quella di Landini sarà una posizione politica precisa, bisognerà comunque ragionarci. Sono convinto che sul territorio, ma anche a livello nazionale, non solo si può, ma bisogna dialogare. Poi si decide anche sulla base dei numeri che si hanno. Fatto salvo un mio limite culturale, a parte i fascisti, bisogna ragionare con tutti.

[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/TizianaBarilla” target=”on” ][/social_link] @TizianaBarilla

Le cinque delle 13.00

G8 di Genova, alla Scuola Diaz fu tortura. La Corte di Strasburgo condanna l’Italia per le violenze compiute dalle forze dell’ordine la sera del 21 luglio 2001 alla scuola Diaz di Genova durante il G8: deve essere qualificato come tortura, e l’Italia non ha una legislazione adeguata a punire questo tipo di reati.

Def in Consiglio dei Ministri. Il documento di economia e finanza che sarà sul tavolo del Consiglio dei ministri intorno alle 13.30, secondo indiscrezioni, dovrebbe prevedere almeno 10 miliardi di nuovi tagli della spesa pubblica per evitare l’aumento di Iva e accise.

Iraq, oltre dieci fosse comuni rivenute a Tikrit. Secondo le indiscrezioni pubblicate da Al Jazeera le fosse comuni rinvenute hanno la capienza di circa 1.700 corpi di soldati iracheni, che i miliziani dell’Isis sostengono di aver ucciso a giugno.

Kenya in piazza dopo il massacro all’Università di Garissa, dove le milizie islamiche Shebab hanno ucciso 148 persone. Ieri l’aviazione militare ha bombardato due campi di Al Shabaab.

Blocco dei social in Turchia. La stampa indipendente si scaglia oggi contro il blocco di Twitter, Facebook e Youtube, e le minacce a Google, scattati ieri per ordine della procura di Istanbul.

Il Principe, il Dialogo di Galileo e Se questo è un uomo di Levi fra i 50 top di Taylor

Quali sono i libri italiani, nel tempo, che hanno cambiato il mondo? Ammesso che si possano stabilire i criteri di una tale classifica, secondo il giornalista inglese Andrew Taylor, che ha provato a elencare le 50 opere che hanno modificato il corso della storia – I 50 libri che hanno cambiato il mondo, Garzanti – sono tre: Il principe di Machiavelli (1532), Il dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo di Galileo (1632), e Se questo è un uomo di Primo Levi (1947).

Libri, Andrew Taylor, 50 Libri, leftAh, non illudetevi, Gerardo Mercatore, autore cinquecentesco dell’Atlante, è olandese! L’elenco non è esente da sciovinismo: quasi la metà, 19 testi, sono di autori inglesi (ci metto anche Joyce e lascio fuori la versione ottocentesca delle Mille e una notte di Sir Richard Burton), tra cui – inopinatamente – le poesie di Wilfred Owen sulla Grande Guerra. Però possiamo consolarci pensando che gli Stati Uniti sono rappresentati da quattro titoli (Moby Dick, Capanna dello zio Tom, Giovane Holden e Primavera silenziosa), i francesi e i tedeschi da 2 (rispettivamente Madame Bovary e Il secondo sesso di De Beauvoir, e il Werther goethiano e il Manifesto di Marx).), mentre la Spagna può contare sul solo Cervantes, come peraltro la Cina (Mao) e l’Africa (Chinua Achebe).

Dunque, ci è andata complessivamente bene! Ma chiediamoci: i nostri autori inclusi nel cerchio magico, hanno a che fare con il Made in Italy, con l’immagine della nostra identità oggi? Sappiamo che il Made in Italy, nonostante tutto (nonostante la volgarità e gli scandali di Berlusconi, la corruzione dilagante, Mafia Capitale, etc.) regge miracolosamente. E anzi….

Bene, dei tre libri uno indica un’area direttamente scientifica, un altro la scienza della politica, l’ultimo una letteratura di testimonianza (ma lo scrittore è anche scienziato). Singolare. L’umanesimo italiano sembra avere una forte coloritura scientifica. Inoltre: da tutti e tre libri emerge un modello di stile: una eleganza fatta soprattutto di semplicità, di essenzialità. Ne saranno all’altezza gli italiani del terzo millennio?

L’addio a Giovanni Berlinguer

È morto a Roma, nella notte fra domenica 5 e lunedì 6 aprile, Giovanni Berlinguer. Nato a Sassari il 9 luglio 1924, aveva 90 anni. Figlio dell’avvocato e politico Mario, fratello del leader comunista Enrico, è stato medico, professore universitario e parlamentare con il Pci. La camera ardente sarà allestita in Campidoglio sarà aperta oggi dalle 18 alle 20 e martedì dalle 8 fino alle 20. Il cordoglio del popolo della sinistra nei tweet.

Scrittori nel pallone

Kafka è stato Rivera prima di Rivera. L’indifferenza dello scrittore a passeggio tra la gente di Praga si sovrappone, come fosse la scena iniziale di un film senza ancora i titoli di testa, alla solitudine di Rivera che torna a centrocampo dopo l’ennesimo assist vincente per Pierino Prati nella finale di coppa Campioni del ’69 tra Milan e Ajax. Questa la tesi spiazzante del libro Figurine. I grandi scrittori raccontati come campioni del pallone scritto da Silvano Calzini per INK Edizioni.

Il calcio quindi è la lente d’ingrandimento per leggere “dentro” gli scrittori. Alcuni di questi, come Albert Camus, Conan Doyle e Nabokov, furono anche giocatori. Gli altri, sono raccontati attraverso la metafora calcistica. Calzini lavora le storie dei singoli, le biografie, le caratteristiche, lo stile e le opere maggiori per poi affidarle ad una fantasia capace di proporre personaggi nuovi: i calciatori d’altri tempi. Basta agitare bene e si ottiene la figurina: il portiere, il difensore, il mediano, l’attaccante, l’ormai estinto fantasista o l’eterno senza ruolo.

Il numero uno non poteva essere che lui: Albert Camus, il portiere, il primo uomo, il più giovane Pallone d’Oro di sempre. Talmente forte da costringere in panchina il russo Nabokov, precursore di Jascin e Dasaev. Tra i difensori si parte dal libero, perché il calcio che Calzini ama è quello di una volta, quello che non può prescindere dal libero. Ed ecco allora Giorgio Bassani e la sua lunga carriera tutta con la maglia della Spal. I terzini di fascia sono Lucentini e Fruttero, complementari.

Samuel Beckett, irlandese, è lo stopper che non si spinge mai in avanti. Un attendista. Davanti alla difesa fa scudo Carlo Emilio Gadda, ingegnere di Milano, l’unico laureato insieme agli indimenticabili Fulvio Bernardini ed Annibale Frossi. E se non bastasse, è pronto Leonardo Sciascia, stile essenziale: fisico alla Bertie Vogts e visione di gioco alla Beckenbauer. A centrocampo c’è l’imbarazzo della scelta. Longanesi è il motorino instancabile al fianco di Conan Doyle che calciatore lo fu davvero e di Sandòr Marai, titolare fisso nell’Ungheria di Puskas.

Buzzati, Calvino e Malaparte, toscano maledetto dai piedi buoni, garantiscono la qualità insieme a Cesare Pavese che ha sprovincializzato il calcio di casa nostra. Thomas Mann, dedica alla professione 24 ore su 24. Eugenio Montale è saggiamente definito l’altro Eusebio. Le convocazioni degli attaccanti, si sa, sono sempre le più difficili. Il solista Luciano Bianciardi spicca al pari di Hemingway: il cecchino che inquadrava la porta come nessuno e che segnò gola grappoli nella Liga spagnola.

Ennio Flaiano è la finta ala destra e Alberto Moravia il Garrincha “de noantri”. Ed è nell’incessante susseguirsi di attaccanti e di fantasisti che il lettore, proprio come un tifoso, può soffermarsi su tutti i suoi campioni eventualmente aggiunti alla lista, perché no, anche a sacrificio di altri nomi. L’autore stesso ammette di aver dovuto escludere, a malincuore, le scrittrici per le evidenti ragioni che ispirano l’opera. E proprio perché si parla di pallone, ognuno può sempre sentirsi in diritto di criticare le scelte dell’allenatore.

Bella la postfazione di Antonio D’Orrico in cui ciascun amante della letteratura e del bel calcio che c’era una volta troverà lo spunto per comporre la propria formazione ideale. Rigorosamente dall’1 all’11.