Le cinque delle 20.00
Riforme: dopo l’ok della Camera tensione nel Pd e Forza Italia si spacca
La Camera ha approvato in seconda lettura le Riforme costituzionali che ora tornano in Senato: 357 i sì e 125 i no al ddl Boschi, che contiene la revisione del Titolo V e la trasformazione dell’attuale Senato in una Camera delle Regioni. Soddisfatto Renzi, ma nel Pd la sinistra ha votato a favore, ma in un clima di tensione. Sono otto i deputati che non hanno partecipato al voto (Francesco Boccia, Giuseppe Civati, Stefano Fassina, Ferdinando Aiello, Paola Bragantini, Massimo Bray, Luca Pastorino, Michele Pelillo) e 3 gli astenuti (Angelo Capodicasa, Carlo Galli e Guglielmo Vaccaro).
LEGGE DI STABILITÀ
Dopo il via libera dell’Ue, Renzi esulta: un lavoro impressionante
Così il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, commenta su Twitter la promozione della legge di stabilità italiana da parte dell’Eurogruppo. «Grazie a tutti, specie a Padoan e Mogherini», conclude. «L’Italia contribuirà al piano Juncker con una iniziativa di Cassa depositi e prestiti per otto miliardi di euro», afferma il premier, sempre su Twitter, con riferimento al piano di investimenti per la crescita lanciato dal presidente della Commissione europea.
LAVORO
Il tasso di disoccupazione in Italia e nell’Eurozona continua a diminuire
Secondo i dati Ocse per gennaio 2015, nel nostro Paese la percentuale di senza lavoro è calata per il secondo mese consecutivo, passando dal 12,7% di dicembre al 12,6% di gennaio. L’area euro registra invece il terzo calo consecutivo, di 0,1 punti percentuali all’11,2%. Italia quart’ultima tra i paesi Ocse La maggiore flessione si registra in Portogallo (dal 13,6% al 13,3%), mentre in Spagna il tasso scende dal 23,6% al 23,4%.
CALCIO VIOLENTO
Genny ‘a Carogna torna libero, il capo ultrà era ai domiciliari
Torna in libertà Gennaro De Tommaso, capo ultras napoletano conosciuto come “Genny ‘a carogna”, accusato di una serie di violenze avvenute il 3 maggio scorso nel prepartita della finale di Coppa Italia Fiorentina- Napoli. Violenze per le quali era stato posto agli arresti domiciliari.
ARGENTINA
Precipitano 2 elicotteri: 10 morti, giravano un reality
L’olimpionica Camille Muffat ed altri due atleti morti nella tragedia più spaventosa nella storia dei reality. Ed è lutto anche nel mondo della tv e dello spettacolo: due elicotteri si sono scontrati in Argentina durante le riprese di Dropped, una sfida di sopravvivenza tipo l’Isola dei famosi. Nessun superstite, 10 i morti fra i quali la velista solitaria Florence Arthaud e gli atleti Muffat e Vastine.
Vicente Amigo, venticinque anni di Tierra flamenca
Il duende flamenco attraverserà l’Italia sulle corde di Vicente Amigo. Dopo l’Auditorium Parco della Musica di Roma il 10 marzo sarà all’ObiHall di Firenze e il 12 al Teatro Duse di Bologna.
Il mini tour si concluderà all’Auditorium Verdi del Conservatorio di Milano il 14: quattro date per celebrare, sulle sonorità flamenque, i suoi 25 anni di carriera. Sul palco Vicente torna alla formazione originaria accompagnato da Añil Fernández (Seconda Chitarra), Paquito González (Percussioni), Rafael de Utrera (Cantaor) e Dani Navarro (Bailador).
Maestosi interpreti del genere andaluso, dunque. Tuttavia la protagonista sarà indiscutibilmente lei, la sua chitarra flamenca, nota in tutto il mondo per il suo stile inconfondibile, trascinante e pulitissimo al tempo stesso, acuto ma conturbante e contemporaneamente dolcissimo: «La chitarra è un dolce tormento», racconta il maestro che intreccia le tradizione nelle trame finemente ricercate della sperimentazione.
Non piacciono le etichette, al chitarrista sevillano che imbracciò “l’arma” a soli 8 anni: «La mia musica come una specie di fusion senza etichette. E lo è perché il mio modo di sentire è così. Io cammino per strada e mi possono interessare le cose più differenti e dallo stile più diverso. Così è la mia musica», racconta, «cerco di trovare la mia personalità. Devi confrontarti con queste cose e rischiare con naturalezza».
Questo consente l’esplorazione dei confini: «La chitarra è in un momento brillante. I chitarristi di oggi sono molto preparati. Il flamenco sta dando molto alla musica e sta avvicinando persone con culture musicali differenti. E non è perché è una musica esotica, ma perché è una musica di verità».
La vita, il proprio modo di risponderle, il sentido (il “sentire”) personale: questo è il flamenco, percepibile in ogni intreccio e strisciata sulla chitarra di Amigo. Che tiene sempre in mente (e nella cassa di risonanza) un cardine: il radicamento al suolo, alla terra, alle origini del flamenco, com’è più che evidente nel titolo del suo ultimo album, Tierra: «Quando io suono, suona anche la mia terra, l’Andalucia».
Lilian Thuram: quando sono diventato nero
«Le persone sono razziste, è così e non cambierà». Lilian Thuram ha nove anni quando mamma Marianne gli svela la sua percezione delle cose. È il 1981, e il piccolo Lilian ha da poco raggiunto la madre a Parigi, emigrata l’anno prima da Pointe-à-Pitre, Guadalupa. Vivono a La Fougeres, quartiere di Avon, alla periferia della capitale, non proprio un’immagine da cartolina. Ma Lilian è felice, studia, gioca a calcio per strada con gli altri bambini, e poco importa se sono bianchi o neri, se sono nati in Francia o sono figli d’immigrati. Un giorno, a scuola, lo chiamano “Noiraude”, come la mucca nera di un cartone animato in voga all’epoca. Noiraude è stupida, e l’etichetta non gli piace, così di ritorno a casa chiede spiegazioni alla mamma, che lo invita a farsene una ragione e ad accettare l’immutabilità della situazione. Intanto Lilian cresce, diventa uomo e calciatore di fama, insuperabile difensore che raggiunge nel 2008 il record di presenze con la Nazionale francese (142, tuttora imbattuto). Dodici gol in carriera, ma due di questi valgono per cento: li fa a Parigi con la maglia dei Bleus, nella semifinale dei Mondiali ’98. Quella partita la stava vincendo la Croazia, poi ci ha pensato lui, spianando la strada alla Francia verso la conquista del titolo. Il secondo gol è una perla di volontà e precisione, e dopo il tiro non strepita: s’inginocchia, porta la mano sinistra al volto, l’indice sul naso come se stesse pensando. In quell’esultanza senza fronzoli c’è tutta l’essenza del personaggio, che non ha mai smesso di riflettere, nemmeno dopo aver appeso le scarpe al chiodo sette anni fa, per colpa di un cuore un po’ difettoso. Ambasciatore Unicef dal 2010, porta avanti con la Fondazione Lilian Thuram un’intelligente battaglia contro i pregiudizi culturali e storici che opprimono le popolazioni di pelle nera. Battaglia combattuta anche con i libri: due, finora, quelli scritti dall’ex difensore, Le mie stelle nere e Per l’uguaglianza (Add editore).
Thuram, nel suo ultimo libro Per l’uguaglianza, si interroga sul perché gli uomini insistano a pensare all’esistenza di culture superiori ad altre.
Il concetto di uguaglianza è fondamentale, la sua comprensione viene prima di ogni altra cosa, prima della lotta al razzismo, al sessismo, all’omofobia. È la prima cosa che dobbiamo difendere e verso cui dobbiamo tendere, sapendo però che non è affatto scontata. Il fatto che si ragioni ancora a compartimenti stagni – “bianchi e neri”, “uomini e donne”, “eterosessuali e omosessuali” – fa capire come l’uguaglianza rappresenti una novità che deve essere ancora assimilata dalla società. In fondo l’apartheid in Sudafrica è stata sconfitta appena una ventina d’anni fa, le lotte razziali negli Stati Uniti erano vive negli anni 60, non in tutto il mondo le donne hanno il diritto di voto e la più antica forma di gerarchia, quella che prevede la superiorità dell’uomo sulla donna, è ancora piuttosto diffusa.
Lei è “diventato” nero a 9 anni, quando è andato a vivere a Parigi. Com’è cambiata la sua vita?
Non tanto, a dire il vero. I soldi erano pochi, ma ero sereno, andavo a scuola a piedi ed ero tornato a vivere con mia madre dopo la sua partenza da Guadalupe. Giocavo a calcio per strada con gli altri bambini: portoghesi, pakistani, algerini, zairesi, c’era di tutto, le origini non importavano. Poi a scuola hanno cominciato a chiamarmi “Noiraude” e ho scoperto di essere nero. Il razzismo comincia così, quando qualcuno ti dice “tu sei nero”: è l’avanguardia di un gruppo di persone che pensano di essere superiori alle altre.
Sua madre le suggerì di rassegnarsi.
Mi spingeva a restare una vittima, ad accettare questa situazione come semplice destino. Ho preferito farmi delle domande, e ho capito che il razzismo è una costruzione intellettuale che può essere abbattuta.
Poi è arrivato il calcio.
Fondamentale per la mia crescita, mi ha permesso di farmi degli amici e di capire l’importanza di appartenere a un gruppo in modo sano. Grazie al calcio ho viaggiato, e ho capito cosa conta davvero nella vita: l’etica del lavoro, l’umiltà, la capacità di ascoltare e di imparare dagli altri. Se si vuole raggiungere un obiettivo bisogna imparare a relazionarsi con le altre persone, e il colore della pelle non ha più alcun valore.
Come nella Francia campione del mondo nel ’98, di cui lei era titolare: c’erano Zidane che ha origini berbere, Djorkaeff e Boghossian armene, Lizarazu basche, Desailly è nato in Ghana, Vieira in Senegal, Karembeu in Nuova Caledonia.
Quella vittoria ha rappresentato una fase in cui la società francese ha dovuto riflettere su se stessa. Era l’affermazione di un cambiamento sociale di cui i francesi dovevano prendere coscienza. La storia si evolve, gli uomini si muovono: per la Francia vincere i Mondiali ha significato accettare definitivamente l’idea della multiculturalità e dei tanti colori.
Un concetto che in Italia non vuole passare, se pensiamo alla gaffe fatta dal presidente della Federcalcio Tavecchio sulle banane mangiate dal simbolico giocatore di fantasia nero Optì Pobà prima di arrivare in Europa.
Non era una gaffe, ha detto semplicemente quello che pensava. È la verità che viene a galla, e le società che ne hanno appoggiato la candidatura probabilmente sono dello stesso avviso. Purtroppo l’episodio rende l’idea dell’aria che si respira in Italia.
Certi politici non sono da meno: il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, ha proposto su twitter di lasciare a largo gli immigrati che cercano di sbarcare in Italia.
Alla base del razzismo c’è il mancato riconoscimento del diverso come essere umano. Salvini cerca consensi facendo passare il concetto che gli immigrati non sono uomini, non hanno i nostri stessi diritti e possono anche morire senza che cambi qualcosa. È un pensiero estremamente pericoloso, fonte d’ispirazione di tutte le forme di schiavitù e genocidio: ripetendolo spesso la gente finisce per farlo suo. Agli elettori di Salvini vorrei ricordare che gli immigrati sono anzitutto essere umani, proprio come loro: sarebbero davvero disposti a lasciarli morire in mezzo al mare?
Pensa che l’Italia sia un Paese razzista?
Il razzismo è dappertutto, in Francia come in Italia. Le gerarchie basate sul colore della pelle esistono da sempre, sono insediate nella società e negarlo è da ipocriti. Il razzismo ha origini antiche, radicate generazione dopo generazione: per sconfiggerlo bisogna parlarne, non nasconderlo. Serve un nuovo Umanesimo, tornare a riconoscere l’essere umano come centro dell’universo, affermandone definitivamente la dignità.
Negli stadi italiani la situazione non è migliore: già dieci anni fa l’ivoriano Zoro minacciò di abbandonare il campo durante un Messina-Inter a causa dei cori razzisti, e per lo stesso motivo il ghanese Boateng ha fatto interrompere un’amichevole del Milan. Ha mai pensato di fare altrettanto in situazioni analoghe?
Mai. Penso anzi che a uscire dal campo dovrebbero essere i compagni di squadra del giocatore coinvolto: sono loro che devono aiutare chi è vittima di cori razzisti, non farlo sarebbe una sorta di omissione di soccorso. Quando un’intera squadra uscirà dal terreno di gioco avremo fatto un bel passo avanti nella lotta al razzismo.
Dopo i recenti attentati terroristici in Francia e Danimarca, nell’immaginario collettivo il diverso forse fa ancora più paura.
Violenza e paura sono ormai concetti politici: riconoscendole come tali rischiamo di cadere nella trappola, e non solo in Francia. La prima reazione dev’essere quella di capire il grado di difficoltà di certe persone nello sviluppo della libertà di pensiero: è da qui che bisogna partire, dal comprendere il tipo di educazione ricevuta e il pregresso personale. Poco conta che gli attentatori di Parigi fossero francesi e musulmani: l’estremismo non c’entra, la chiave è l’uomo. D’altronde quanti musulmani sono morti per mano dei jihadisti?
Cosa pensa della satira di Charlie Hebdo?
Può dar fastidio, ma vivere in un Paese in cui è possibile fare satira sulle religioni significa vivere in un Paese libero.
Il discorso cambia quando c’è di mezzo il controverso comico (per alcune battute antisemite), Dieudonné.
Pessima gestione del personaggio: più l’opinione pubblica lo attacca, più ne fa una vittima, rendendolo così ancora più popolare.
Cosa direbbe a Marine Le Pen che invoca la pena di morte per i terroristi?
Gli estremisti sono facilissimi da riconoscere perché cadono sempre nel tranello della violenza. Dire sì alla pena di morte significa tornare indietro di secoli: il risultato sarebbe una società involuta in cui la regola dominante è quella della brutalità. La violenza genera violenza, e i violenti finiscono per uccidersi. Ricordatevelo, Salvini e Le Pen: la violenza porta solo morte.
Piero Ciampi, il francobollo
Questa settimana dedichiamo il francobollo a un personaggio fuori contesto della storia della canzone italiana: Piero Ciampi, livornese, comunista, anarchico.
Uno che non si considerava ricco perché non poteva avere contemporaneamente una frittata di cipolla, un bicchiere di vino, un caffè caldo e un taxi alla porta. E non si sentiva povero perché rispetto all’ultimo dei miserabili aveva qualcosa in più: la poesia.
Ciampi era uno fragile, perennemente incazzato, dal vaffanculo facile. Uno che sembrava rincorrere la sorte beffarda. Quando l’occasione buona bussava alla sua porta, Piero era sempre chissà dove, non lo si trovava mai. Poteva essere ovunque, a Parigi o in Spagna, a Genova o a Milano, in Giappone o ubriaco sul muretto di un vicolo qualsiasi di Livorno. Uno di quei vicoli che ancor oggi portano il nome delle donne che lì professavano il mestiere.
Nella sua vita, Ciampi amò Livorno, due donne e il vino. Litigava con tutti. Spesso non finiva neanche la prima canzone che aveva litigato con il gestore o con il pubblico del baraccio di turno. Questo lo portò ad autodefinirsi «il cantante più pagato di sempre: Duemila franchi per mezza canzone!». Ma il rissoso Piero aveva «tutte le carte in regola per essere un artista», e lo sapeva al punto da autocelebrarsi in una canzone.
Le donne lo abbandonarono, la poesia non gli permise mai di sostentarsi. Alla Rai erano costretti a passare le sue apparizioni in orari improponibili a causa del suo evidente stato di ebrezza. Storica la sua rissa con Califano, colpevole di non avergli offerto da bere nel suo club romano. Piero era evitato da quasi tutti i suoi colleghi e a lui questa cosa sembra non dispiacesse troppo. Piero Ciampi, va detto, non era un codardo, era un coraggioso disposto a salire su un palco e mettersi in discussione ogni volta un po’ di più.
Noi epici filatelici millantastorie lo vogliamo ricordare in modo semplice ed estroso come la sua ultima apparizione al Premio Tenco, quando arrivò barcollando gonfio di vino sul palco, litigò col pubblico che lo fischiò e lui lo zittì a modo suo, con un misto di compostezza e violenza. Poi, portò a termine la sua interpretazione: fece un passo indietro, un sorriso e un inchino. L’anno dopo non si presentò, mandando un telegramma lapidario: «Non sono potuto venire». Piero Ciampi lo ricordiamo con la stessa semplicità che si trova in un buon bicchiere di vino.
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[social_link type=”facebook” url=”https://www.facebook.com/antoniopronostico” target=”on” ][/social_link] Antonio Pronostico
Le cinque delle 13.00
Riforme, via libera al voto Camera
Riforma della Costituzione, via libera della Camera al disegno di legge. Su 489 presenti, i voti favorevoli sono stati 357, i contrari 125 e sette gli astenuti. Il Movimento 5 stelle non ha partecipato al voto, Forza Italia ha votato contro con una parte dei deputati tentata di votare a favore. Sel e Lega contrari.
GIUSTIZIA
Processo Ruby in Cassazione. Pg: annullare l’assoluzione Berlusconi
E’ iniziata l’udienza in Cassazione del processo Ruby, che vede imputato il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi per concussione e prostituzione minorile. I giudici della sesta sezione penale, presieduti da Nicola Milo, sono chiamati a decidere se confermare o meno la sentenza con cui la Corte d’appello di Milano, il 18 luglio scorso, pronuncio’ l’assoluzione per l’ex presidente del Consiglio, che in primo grado era invece stato condannato a 7 anni di reclusione.
ARGENTINA
Precipitano 2 elicotteri: 10 morti, giravano un reality
L’olimpionica Camille Muffat ed altri due atleti morti nella tragedia più spaventosa nella storia dei reality. Ed è lutto anche nel mondo della tv e dello spettacolo: due elicotteri si sono scontrati in Argentina durante le riprese di Dropped, una sfida di sopravvivenza tipo l’Isola dei famosi. Nessun superstite, 10 i morti fra i quali la velista solitaria Florence Arthaud e gli atleti Muffat e Vastine.
LEGA NORD
Tentativo d’intesa in extremis tra Salvini e Tosi
Ricucitura in extremis nella Lega. La riunione di ieri del comitato di disciplina deputato a decidere sulle espulsioni, riunitosi ieri, ha rinviato ogni decisione a oggi pomeriggio. Ieri è anche scaduto l’ultimatum del Consiglio federale che ha sancito l’incompatibilità tra chi fa parte della Fondazione di Flavio Tosi, il sindaco ribelle di Verona e la militanza nel Carroccio.
ECONOMIA
Ue, Renzi: Italia contribuirà a piano Juncker con 8 mld
L’Italia contribuirà al piano Juncker “con una iniziativa di Cassa Depositi e Prestiti per 8 miliardi” di euro. Lo scrive su Twitter il presidente del Consiglio Matteo Renzi mentre a Bruxelles è in corso la riunione dell’Ecofin. Il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, ha presentato al Parlamento europeo un piano che punta a sbloccare in tre anni oltre 300 miliardi di investimenti e a creare un milione di posti di lavoro.
Abbiamo raschiato il barile Per una modernità compressa
«Abbiamo speso 30 anni con l’ossessione di diventare come i Paesi occidentali, ora siamo ricchi anche più di voi, ma non sappiamo che farcene». Fa un certo effetto ascoltare queste parole a Seoul, mentre cammini lungo i sentieri di una montagna, un’oasi in una metropoli con oltre venti milioni di abitanti. Chang Kyung-Sup è un uomo sulla sessantina, professore di sociologia all’Università Nazionale di Seoul, dopo un dottorato a Brown negli Stati Uniti. Uno che invece che enfatizzare le classifiche scalate dal suo Paese, ha speso l’intera carriera a interrogarsi sugli effetti di quella che ha definito “modernità compressa”, il percorso della Corea verso la modernità in solo trent’anni. Il mio incontro con la modernità compressa precede questo viaggio.
Era il 2008 e avevo da poco iniziato il mio dottorato, quando leggendo Ulrick Beck mi ero imbattuto in una menzione del lavoro di Chang Kyung-Sup: Compressed Modernity and its Discontents. La sua teoria parlava a tutto il mondo sviluppato e non solo a quel Paese assurdamente diviso. Diedi l’articolo alla mia compagna di dottorato coreana. E così, sette anni dopo, Sophia dopo avermi invitato a parlare della Maggioranza invisibile nell’università di Seoul mi dice che ha un regalo per me. Un pomeriggio con l’accademico più interessante del suo Paese. Mentre i grattaceli di Seoul si fanno sempre più piccoli, Chang Kyung-Sup mi parla del legame indissolubile tra sviluppo e confucianesimo e di quanto crescere senza un obiettivo, e così in fretta, possa ledere le fondamenta di una società.
Una cosa mi ha colpito: l’attore principale nella sua teoria è sempre la famiglia, unica ricchezza per i coreani, che non hanno però sostenuto con politiche sociali adeguate. La famiglia con donne impegnate prima nel lavoro di cura e l’educazione dei figli e poi, quando questi raggiungevano un’età adeguata, il loro ritorno al lavoro, prima in fabbrica e poi nei servizi, oggi è esausta. Da questa stanchezza deriverebbero secondo Chang Kyung-Sup i bassissimi tassi di fertilità e i più alti tassi di suicidio nel mondo sviluppato. Tornando da Seoul, mi appare chiaro come anche noi abbiamo vissuto una storia per molti versi analoga.
Durante il processo di modernizzazione, e ora nella crisi, è sempre la famiglia ad ammortizzare i costi. Il lavoro di cura delle donne mentre l’uomo andava in fabbrica nel dopoguerra, e oggi i risparmi che tengono in piedi i figli, che non hanno uno straccio di lavoro. Ci siamo confrontati con una modernità “meno compressa” di quella coreana, ma una crescita pur sempre veloce, ha mostrato tutte le sue falle. Benessere materiale senza idea di sviluppo.
Dopo aver esaurito tutte le energie della famiglia, e averla messa al centro di ogni interazione sociale, ci troviamo spaesati da una progressiva “perdita di valori”. Difficile riconoscere che mentre questo accadeva ci siamo appoggiati all’unica istituzione solida del nostro Paese, perché Stato e mercato non hanno mai funzionato. Non è “la funzione naturale” della famiglia che abbiamo tutelato in questi anni, ma su di essa, e sulle donne in particolare, abbiamo scaricato i costi della corsa verso la modernità. Per questa ragione, è solo andando alla ricerca di una nuova visione di sviluppo che ridaremo dignità alla famiglia. La famiglia come nucleo costituito da due o più persone che vivono insieme, non certo quella “naturale”.
Così la vista di Seoul si trasforma in una panoramica sul futuro del capitalismo e del nostro Paese. Abbiamo raschiato il barile, lo abbiamo fatto per una modernità compressa fatta di consumo e benessere materiale. Viene da chiedersi se il futuro non stia proprio nella capacità di decostruire quest’equazione perversa, e di riabbracciare una visione di sviluppo compatibile con i ritmi di tutti gli individui.
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Isis fa tabula rasa. Unesco: è crimine di guerra
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L
Loro, i militanti di Isis, la chiamano “promozione dei valori e della virtù”, ma per la direttrice generale dell’Unesco si tratta di un atroce crimine di guerra. «È un attacco diretto contro la storia delle città arabo-islamiche e conferma il ruolo della distruzione nello sviluppo della propaganda dei gruppi estremisti» ha spiegato Irina Bokova a capo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura.
La distruzione dei monumenti storici e artistici in Siria e Iraq è solo l’ultimo capitolo di un’epica totalitarista che si nutre di propaganda e distruzione. Di rimozione della memoria collettiva. Dagli enormi Buddha di Bamiyan distrutti a cannonate dai Talebani nel marzo 2001 – qualche mese prima che l’attacco fosse diretto al cuore dell’America e dell’Occidente – fino alle distruzione nazista delle “opere d’arte degenerate” – ovvero l’ “entartete Kunst” oggetto anche di una mostra itinerante ideata dallo stesso Goebbles – o ai roghi di libri che hanno contraddistinto ogni pensiero oscurantista, la propaganda del pensiero unico passa da qui.
Da quel potere di distruggere, di radere al suolo e fare tabula rasa gridato a mezzo stampa o filmato con orgoglio. Per impressionarci e colpirci con una follia spregiudicata quanto codarda, visto che nessun manufatto assiro di 5000 anni fa può difendersi da ruspe e cannoni. Atto simbolico dunque ma, come fa notare Artribune in un articolo di qualche tempo fa, il ritorno, come in ogni guerra è anche economico. «Insomma, quella roba vale parecchio, e c’è un fiorente mercato sotterraneo che ne è interessato. Vi invitiamo a riguardare con attenzione il video postato dall’ISIS.
Qualcosa non torna in diversi casi, con sculture imponenti buttate a terra con un minimo sforzo e che si sfracellano nel momento in cui toccano il suolo, mentre per scalfire altre sono necessarie mazze enormi. Nel primo caso si tratta di copie in gesso? Così sostengono alla commissione nazionale per il patrimonio (lo riporta Sponda Sud). Non stupirebbe affatto che alcuni manufatti originali stiano già viaggiando in direzione di altri lidi».
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Le cinque delle 20.00
L’Eurogruppo dà l’ultimatum ad Atene: Basta perdere tempo
I negoziati fra Grecia e le istituzioni Ue riprenderanno mercoledì a Bruxelles, il governo greco continuerà ad aggiornare la lista delle riforme e le istituzioni sono disponibili a risolvere i problemi finanziari del governo: è quanto fanno sapere le autorità greche in un comunicato. Questo mentre a Bruxelles va in scena una nuova riunione dell’Eurogruppo, vertice dominato dal caso greco. «Stiamo perdendo troppo tempo», ha detto all’arrivo il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem. L’estensione degli aiuti è solo per quattro mesi e abbiamo già perso due settimane.
CRONACA
Nozze gay, il Tar: solo tribunale può annullare trascrizioni
L’annullamento di trascrizioni nel registro dello stato civile di matrimoni contratti da persone dello stesso sesso, celebrati all’estero, può essere disposto solo dall’Autorità giudiziaria ordinaria, e quindi: «il Ministero dell’Interno e le Prefetture non hanno il potere di intervenire direttamente annullando le trascrizioni». Lo si legge in una nota del Segretariato generale della giustizia amministrativa in cui si riportano le motivazioni del Tar del Lazio.
GIUSTIZIA
Mattarella: Da valutare gli effetti sulla responsabilità civile dei magistrati
Il presidente della Repubblica incontra al Quirinale i magistrati ordinari in tirocinio e dice: «Della nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati andranno attentamente valutati gli effetti concreti della sua applicazione».
RIFORME
Domani il voto sul ddl Costituzione. M5S fuori dall’aula, Fi verso il no
Si è conclusa alla Camera la discussione del ddl riforme costituzionali che porterà domani al voto finale, dopo il completamento dell’esame del testo lo scorso 14 febbraio. Il testo prevede il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione. La minoranza del Pd si dice intenzionata a «dare un segnale» sulle riforme istituzionali in aula alla Camera senza però assumere posizioni estreme in occasione del voto finale fissato per domani.
HITECH
Tim Cook presenta il nuovo Apple Watch
Da circa un’ora il Ceo di Apple Tim Cook mostra la novità più attesa, quella del nuovo Apple Watch che potrebbe vendere 30 milioni di pezzi nel primo anno, come sostengono gli analisti.































