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Fatte le dovute precisazioni, direi che è meglio emigrare altrove

Io mi rifiuto di continuare a parlare di uno che fino a qualche giorno fa urlava “chi non salta clandestino è”. Anche perché, dolorosamente, mi ricorda un altro che su un palco simile ma di diversa parte politica, alla fine di una campagna elettorale impegnativa, urlava con la stessa leggerezza “chi non salta bianconero è”. Senza voler fare nessun paragone (di “gravità”) penso però che non ne valga più la pena.

Se facciamo il riassunto dell’ennesima settimana in Italia passiamo dall’incubo/rituale delle primarie in Campania alla piazza fascista di Salvini. Con al centro, la richiesta di 44 deputati della nostra Repubblica (molti del Pd) al nostro premier, di agevolare fiscalmente l’accesso alle scuole paritarie (in larga maggioranza cattoliche). Il quadro non è roseo, anzi il quadro non ha colori. È tutto uguale. Perché tutto deve essere uguale.

Personalmente non colgo alcun trasformismo, non avevo mai creduto nella forza innovatrice né di Renzi né, più in generale, di questa ondata cattodem, deformazione del vecchio e caro cattocomunismo. L’irriducibile contraddizione di “chi pensa di trasformare il mondo” con “chi crede che il mondo ce l’abbia regalato qualcuno che vive lassù”, non è sanabile e produce mostri. Lo scriveva l’antropologa Amalia Signorelli qualche tempo fa, se si ha l’idea di una verità rivelata (o di un mondo creato e regalato) non si trasformerà mai nulla, né il mondo né gli esseri umani che lo popolano.

E allora va bene tutto. Va bene che scuole pubbliche e private abbiano gli stessi diritti, va bene che Salvini e i 44 deputati (molti Pd, lo ripeto) citino insieme sia Gramsci che don Milani, va bene che a vincere delle primarie Pd ci sia un indagato, va bene che in tv qualcuno possa urlare a una donna sinti che “è la feccia della società”, va bene continuare a ingoiare punizioni e promozioni da quest’Europa. E va bene anche che Matteo Renzi renda felici Alfano e Sacconi agitando lo specchietto di un governo di centrosinistra. Io non colgo nessun trasformismo, sono tutti esattamente quelli che sono. Quindi, fatte le dovute precisazioni, direi che è meglio accantonare il peggio. E migrare altrove. Anche lontano.

Lunedì scorso Saverio Tommasi ha salutato Pepe Mujica, oramai ex presidente dell’Uruguay, e ha scritto così: «Un giorno, caro Presidente, ho sentito dire che le belle persone come lei non nascono più. Io non ci credo. Io credo invece che nascano di continuo e che ogni bambino sia come lei. E mi creda, questo è il più bel complimento che mi viene in mente. Arrivederci». Voglio dire a Saverio Tommasi che anche a me sembra il più bel complimento che possa venire in mente.

Luigi Pirandello ne I Giganti della montagna diceva: «È il libero avvento di ogni nascita necessaria. Al più al più noi agevoliamo con qualche mezzo la nascita». La nascita è necessaria. E di continuo nascono belle persone e Pepe Mujica è come ogni bambino, ha ragione Saverio Tommasi. Non c’è fascista o razzista che tenga. Non c’è prassi politica o cultura cattodem che possa impedirlo. Sta a noi dirlo, andarcene e raccontarvi altro. Debellare il virus e farvi capire che una cattiva politica è figlia di una cattiva cultura, quella che costringe a credere non tanto in Tina (There Is No Alternative) quanto che l’alternativa è semplicissima, essenziale, e non ha bisogno della vostra partecipazione per essere realizzata. È un atteggiamento culturale che inevitabilmente diventa politico. Di prassi politica che esclude i molti. Che ha fastidio dei tanti. Bianchi o neri, diversi o simili. Sono sempre troppi.

Saluto anche io Pepe Mujica e i suoi cinque meravigliosi anni in cui ha, per esempio, triplicato gli investimenti sulla scuola. Perché come ha detto una volta: «Ci hanno educato in un mondo cristiano che diceva che questa è una valle di lacrime, e che solo dopo incontreremo un paradiso. Ma per favore! Il mondo non può essere una valle di lacrime, il paradiso è questo e ognuno se lo deve costruire “socialmente”. L’affermazione biblica “nato senza camicia”, se la prendi alla lettera è un’assurdità. Bisogna vivere per le cose importanti: gli amici, la persona che ami, i figli. Tutto il resto è superfluo. Bisogna tenersi “il tempo” per vivere. Si deve insegnare a vivere la vita appieno, con onestà e facendo “comunità”, circondandosi di persone che lo vogliono veramente». Bello no? I risultati? L’indice di disoccupazione è sceso al 6%; i salari sono in aumento; il Pil è cresciuto del 6%, in meno di dieci anni e il tasso di povertà è diminuito dal 39% al 6%. In Uruguay.

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Matisse e l’Oriente, in mostra cento opere del pittore francese

Dalle Donne di Algeri di Delacroix, alle odalische nude di Ingres, per arrivare alla sensuale regina di Saba di Gustave Moreau. L’Oriente, anche se in versione esotica, affascinò profondamente scrittori e pittori dell’Ottocento francese. Ma se lo sguardo occidentale è sempre stato velato di orientalismo, come ha scritto Edward Said, quello di un pittore come Henri Matisse non fu mai influenzato dalle logiche colonialistiche della madre patria. Anzi.

Fra gli artisti delle avanguardie storiche fu tra i più liberi da ideologie di conquista, ma anche da ogni supponenza eurocentrica. Come dal 4 marzo racconta l’attesa mostra Henri Matisse-Arabesque curata da Ester Coen, alle Scuderie del Quirinale, a Roma. Una monografica non solo ricca di capolavori provenienti da musei parigini come l’Orangerie e il Pompidou, ma anche da musei di Oltreoceano come il MET, il MoMa, i musei di Philadelphia e di Washington e soprattutto da musei russi come il Puškin e l’Ermitage, dove sono conservate le tele di Matisse più direttamente ispirate alla cultura visiva dell’Est Europa e del continente asiatico.

A colpire la sua fantasia furono in primis i motivi decorativi delle preziose stoffe e porcellane che arrivavano in Europa attraverso la via della Seta. Durante un viaggio in Marocco ebbe poi modo di conoscere il vocabolario di segni sconosciuti che fiorivano sui tappeti lavorati soprattutto dalle donne secondo codici antichissimi, eppure di volta in volta rielaborati in modo del tutto personale.

Analogamente, durante il suo soggiorno in Russia, Matisse rimase particolarmente colpito dalle elaborate trame e dall’intreccio di colori che formavano le decorazioni di damaschi e di altre preziose stoffe, di cui i suoi due principali committenti russi – Scukin e Morozov – erano produttori e mercanti, fra i più in vista, nella Russia imperiale.

E se opere qui esposte come Ragazza con copricapo persiano , (1915) e Gigli, iris e mimose (1913) ci parlano del brillante cromatismo e del trionfo di azzurro e verdi mutuati dalla scoperta dell’arte ottomana, opere più tarde come Ramo di Pruno, fondo verde (1948) mostrano invece come Matisse sapesse giocare con forme arabescate e astratte facendone quasi un motivo musicale che scandisce ritmicamente la tela.

Grazie alla progressiva semplificazione della forma, «rafforzata dal confronto con la sintesi cromatico-lineare», scrive Ester Coen nel catalogo Skira che accompagna la mostra, Matisse seppe raggiungere «leggerezza ed essenzialità nipponiche», al tempo stesso regalando alle sue figure misteriose «il potere emotivo della pittura dei Primitivi del Louvre».

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Le cinque delle 20.00

Teramo, scoppia gasdotto. Disagi al Centro per il maltempo

In Abruzzo lo smottamento dovuto alle forti piogge ha provocato il cedimento di un traliccio dell’alta tensione che è crollato su una condotta del metano a Mutignano, frazione di Pineto (Foto da Twitter/@haiku_ralf). La deflagrazione ha provocato 12 intossicati. Due morti: uno nell’Aquilano, l’altra nelle colline pistoiesi. Crolli anche a Napoli su auto in sosta.

ECONOMIA
Fisco, in arrivo il 730 precompilato
A partire dal 15 aprile sarà disponibile per 20 milioni di pensionati e lavoratori dipendenti. Dal 2016 saranno presenti nella dichiarazione anche le spese sanitarie che danno diritto a deduzioni e altre voci, come le tasse universitarie.

POLITICA
Salvini vede Berlusconi e incalza Tosi: O con Zaia o è fuori
In vista delle regionali il segretario federale della Lega ha incontrato nel pomeriggio Silvio Berlusconi, ma all’uscita dal vertice, parlando con i giornalisti, si è limitato a dire: Abbiamo parlato del Milan. Unica  concessione politica da parte di Salvini in merito all’incontro la  precisazione che «se si collabora sui candidati e il progetto, siamo  aperti a chiunque ci sia». Poi attacca il sindaco di Verona, che a Sky TG24 dice: «Se mi dimetto pronto a candidarmi governatore».

IMMIGRAZIONE
Frontex lancia l’allarme sui migranti, è tensione con Gentiloni
Fabrice Leggeri, direttore dell’agenzia europea che sorveglia i confini dell’Ue lancia l’allarme: Il 2015 può essere più difficile dell’anno scorso. Il rischio è che dietro all’organizzazione dei barconi ci possa ora essere l’Isis e il ministro degli esteri italiano, Paolo Gentiloni, replica: «Non serve sollevare allarmi e allarmismi, si tratta di impegnarci di più».

IRAQ
L’Isis rade al suolo il sito archeologico di Nimrud
All’inizio di quest’anno gli uomini di al Baghdadi avevano annunciato l’intenzione di distruggere i reperti archeologici con la motivazione che secondo loro offendevano l’Islam. E il 26 febbraio erano arrivate, con un video di cinque minuti, le immagini della devastazione del museo di Mosul, della distruzione di statue e manufatti.

Jobs act, Italicum, giustizia: ma se l’avesse fatto Berlusconi?

Dite la verità: ve lo siete chiesto anche voi. Anche voi avete pensato di scriverlo su facebook, almeno una volta. «Ma se questa cosa l’avesse fatta o detta Berlusconi, come avremmo reagito?». Avremmo reagito male, lo sapete. Solo che al governo di Matteo Renzi si concede ciò che non era concesso al centrodestra, e questo è il punto da cui oggi parte Left nel provare a raccontare quello che solo in parte è il risultato di uno slittamento culturale, un progressivo avvicinarsi alle tesi liberiste non solo dei dirigenti del centrosinistra ma anche degli elettori del Pd.

Per il resto è il risultato della narrazione del premier, che ha permesso di spacciare il terzo consecutivo governo di larghe intese, per un governo invece politico e monocolore. Color Renzi.

E invece non è così, e basterebbe contare i ministri di origine berlusconiana, i centristi, i confindustriali, per accorgersene. Angelino Alfano, ministro dell’Interno, Beatrice Lorenzin, alla Salute, con nel cassetto, chiusa, la nuova legge sulla fecondazione assistita, Maurizio Lupi, alle Infrastrutture. L’Udc Gian Luca Galletti, all’ambiente, l’ex montiana Stefania Giannini alla Scuola (e chissà perché si parla sempre di aumentare i contribuiti alle scuole private). Federica Guidi, già vicepresidente di Confindustria, allo Sviluppo economico. Potremmo proseguire con i sottosegretari, ma sarebbe lunga. Poi basterebbe fare il punto sulle cose fatte, i risultati di un primo anno di Renzi a Roma. Vediamoli.

La cosa più facile è cominciare dal Jobs act

Basterebbe prendere la dichiarazione di Angelino Alfano, immortalata dalle telecamere quando il parlamento approvò definitivamente la delega al governo, per doversi fermare a riflettere. È una di quelle dichiarazioni che verrano citate per anni: «Stiamo facendo una riforma di centrodestra con un governo di centrosinistra». Come logica fa acqua da tutte le parti – perché mai questo dovrebbe essere un governo di centrosinistra, se c’è Alfano, resta un mistero – ma il punto politico rivendicato dal ministro dell’Interno è chiarissimo. Dietro gli slogan di Matteo Renzi, sul lavoro, non c’è solo il maglioncino di Sergio Marchionne, c’è il sorriso di Maurizio Sacconi.

Susanna Camusso, segretaria della Cgil, sta provando senza troppo successo a disinnescare le parole chiave del premier: lei il contratto a tutele crescenti lo chiama «contratto a monetizzazione crescente», cercando di spiegare che alla fine, stringi stringi, la principale innovazione introdotta è l’abolizione dell’articolo 18. Abolito, è l’ironia, anche con i voti di Guglielmo Epifani, ex segretario della Cgil. Ricordate la piazza del circo Massimo, il mare rosso ai piedi di Sergio Cofferati? Era il 2002 e c’era anche Epifani, all’epoca numero due di quella Cgil. «L’articolo 18 non si tocca» dicevano insieme. «Non lo tocchi Berlusconi » era il senso, abbiamo scoperto adesso.

Non è stato però il solo, Epifani, ad aver cambiato idea. Si può fare un rapido elenco con gli ex sindacalisti Cgil che hanno votato la riforma che fa felice Maurizio Sacconi: Cesare Damiano, Teresa Bellanova, Luisella Albanella, Patrizia Maestri, Cinzia Maria Fontana, Marco Miccoli. Poi c’è anche l’ex operaio Antonio Boccuzzi, simbolo della tragedia dello stabilimento ThyssenKrupp di Torino. Potremmo continuare, anche qui. Poi, certo, Cesare Damiano, insieme ad altri della minoranza dem, oggi si lamenta, e condanna l’estensione del meccanismo della monetizzazione anche ai licenziamenti collettivi mascherati da individuali: «È eccesso di delega» ripete.

Renzi, comunque, ha preferito ascoltare ancora Sacconi: «Chiediamo al Consiglio dei ministri di disattendere il parere contrario sui licenziamenti collettivi delle commissioni Lavoro» ha chiesto l’alfaniano. Accontentato. Anche l’idea di aprire alla possibilità di demansionare un lavoratore pure se non ci sono licenziamenti da evitare è di Sacconi. Accontentato nuovamente. «Vedrete funzionerà» ripetono comunque a Left tutti i renziani interpellati (per tutti la domanda è: «Non vi fa venire qualche dubbio fare una riforma che piace a Maurizio Sacconi?»). «Anche le recenti assunzioni della Fiat e i dati dell’Istat», dice una dirigente del Pd, «sono lì a dimostrare che può funzionare, che si può tornare ad assumere ». Vedremo.

Intanto sappiamo che dei tanto sbandierati 88.000 posti di lavoro in più nel 2014, solo 18.000 sono a tempo indeterminato e 79.000 sono invece a termine. Comunque a fare una rapida sintesi della riforma, a partire dai decreti già approvati dal governo, si capisce molto bene perché Renzi ai più ricordi la Thatcher. Il nuovo meccanismo che sostituisce il diritto al reintegro in caso di licenziamento giudicato illegittimo, stabilisce che al lavoratore licenziato senza giusta causa spettino due mensilità l’anno di indennizzo con un minimo di quattro mensilità. Come detto, il principio, che è valido solo per chi sarà assunto con il nuovo contratto, è applicato anche ai licenziamenti giudicati illegittimi perché in realtà collettivi, e cioè se un’azienda invece di aprire le procedura per la mobilità, licenzi più di cinque lavoratori in 120 giorni. Ci sono gli incentivi per le assunzioni, è vero, ma il rischio – ha denunciato la Uil – è che a un certo punto possa convenire assumere e licenziare giusto al termine degli sgravi.

Matteo Renzi ha approvato la riforma del lavoro in meno di un anno. Questo non gli impedisce però di cavalcare un altro cavallo tipicamente berlusconiano, il fastidio per il parlamento. Quando Berlusconi andò ospite da Michele Santoro, in una delle sue ultime apparizioni da nemico pubblico numero uno, ero nelle prime file, tra il pubblico. Anche lì Berlusconi, prima della messa in onda, tentando di ingraziarsi il pubblico, sfoderò la sua più classica delle scuse: «Sapete quanto ci vuole in Italia per approvare una legge? È per quello che governare è impossibile». Per Renzi, come per Berlusconi, ogni giorno è buono per lamentarsi delle lungaggini parlamentari.

Ecco allora le riforme costituzionali

L’abolizione del Senato che non è un’abolizione, ma che trasforma la camera alta del parlamento in un’assise di eletti di secondo livello, consiglieri regionali in gita. Forse esagera Barbara Spinelli, a evocare il piano di Licio Gelli e la P2. Forse, però. «L’efficienza e la rapidità delle decisioni economiche prevalgono su processi democratici ritenuti troppo lenti e incompetenti» dice l’eurodeputata dell’Altraeuropa, «gli effetti di questa decostituzionalizzazione li tocchiamo con mano in Italia. Il Piano di rinascita democratica di Gelli è stato fatto da Craxi, poi da Berlusconi, infine da Matteo Renzi». Bene: perché non convochiamo allora un girotondo? D’altronde siamo ancora lì, alla gestione autoritaria del potere. Lo dice proprio lo storico Paul Ginsborg, con Francesco Pardi protagonista di quella stagione: «Abbiamo vissuto con Berlusconi una spinta autoritaria. Renzi resta in quella stessa tradizione». Una tradizione di promesse e sogni. «Di decisionismo contro rappresentanza». Come nota Lorenza Carlassare, costituzionalista di Padova.

Carlassare si sofferma sulla legge elettorale

Quella figlia del patto del Nazareno, della storica visita di Berlusconi nella sede del Pd. Secondo la costituzionalista, la legge truffa del 1953 «era molto più democratica dell’Italicum perché il premio di maggioranza si otteneva avendo almeno il 50 per cento. Se non si raggiungeva questa soglia, non scattava». «Questo Italicum» continua la professoressa, «è più legato alla legge Acerbo del 1923», quella che assegnava due terzi dei seggi con il solo 25 per cento dei consensi. E l’aver abbassato le soglie di sbarramento, non può funzionare da contropartita: «Perché è vero», conclude la costituzionalista, «che la soglia di sbarramento è stata abbassata, ma il pluralismo è comunque impedito visto il premio di maggioranza». Soprattutto considerando la passione (e qui Renzi ha superato tutti, anche Berlusconi per i voti di fiducia: 31 in un solo anno).

Mentre aspettiamo che la Corte costituzionale si pronunci su questo nuovo porcellum, possiamo fare il punto di come dovrebbe funzionare. La legge, dopo innumerevoli cambiamenti, ha il doppio turno. Il ballottaggio tra i primi due si convoca se nessun partito riesce a conquistare il premio di maggioranza, che scatta con il 40 per cento dei voti, e assicura il 55 per cento dei seggi: 340 su 618. Nei 100 collegi, i partiti si presenteranno con un capolista bloccato e poi una breve lista composta da tre a sei nomi. Le preferenze si potranno quindi esprimere, per questi, ma le opposizioni hanno più volte e inutilmente fatto notare che quasi esclusivamente il partito che prenderà il premio di maggioranza, eleggerà qualche altro deputato oltre ai capolista bloccati. Come nel Porcellum ci sono poi le candidature multiple. Un candidato potrà essere capolista contemporaneamente fino in dieci circoscrizioni: elezione assicurata e libero arbitrio nel decidere chi far scattare al tuo posto. Effettivamente, la soglia di sbarramento è più bassa di quanto inizialmente proposto: era all’otto per cento, perché il fastidio che Renzi prova per i piccoli partiti è forse anche maggiore di quello da sempre dichiarato da Berlusconi. Sarà al tre.

Punti di contatto ci sono anche sulla scuola pubblica

L’unica riforma su cui Renzi ha prima annunciato corse senza sosta, e poi si è limitato a un disegno di legge, riscoprendo la centralità del parlamento, per coprire la carenza di fondi e l’impossibilità di procedere rapidamente alle 150.000 assunzioni promesse. I soliti sindacati sostengono che Renzi mutui molte parole dai bei tempi della riforma Gelmini. Ricordate le tre “i” berlusconiane? La prima era inglese, e Renzi vorrebbe alcune materie insegnate direttamente in inglese, la seconda impresa, e Renzi vuole l’apprendistato anche per gli studenti delle superiori, la terza informatica, e per mesi Renzi è andato in giro dicendo che bisognava aggiungere un insegnamento: il coding. Potremmo notare che lo stesso ex ministro Maria Stella Gelmini ha salutato con una certa eccitazione le intenzioni dichiarate da Renzi con la Buona scuola. «Alla fine il tempo ci ha dato ragione » diceva a settembre, «dopo anni di battaglie per risollevare un sistema educativo intorbidito dalla coda del ’68, ora anche la sinistra finalmente ha dovuto dare atto ai governi Berlusconi di aver agito nella direzione giusta per riportare la scuola italiana ai fasti che merita. Parole quali merito, carriera dei docenti, valutazione, premialità, raccordo scuole-impresa, modifica degli organi collegiali della scuola, sono state portate alla ribalta dal centrodestra, seppur subendo le censure e le aspre critiche da parte di sinistra e sindacati».

Vogliamo parlare dello Sblocca Italia?

Sicuri non vi ricordi la Legge obiettivo di Berlusconi? Cosa c’è di nuovo nel puntare ancora sulle grandi opere, che sostengono un’industria tecnologicamente “matura”, con scarso tasso di innovazione e alto tasso di corruzione, e concentrano gli introiti nelle mani di pochi big player (quindi a parte gli spiccioli per gli operai, niente ricchezza diffusa)? Cosa c’è di nuovo nel ricorso ai commissariamenti, che consentono di aggirare le procedure di impatto ambientale? Cosa c’è di nuovo nell’inserire «la non responsabilità penale e amministrativa per il commissario» nel decreto sull’Ilva? Salvatore Settis nel libro collettivo Rottama Italia, si sofferma sull’articolo 6 dello Sblocca-Italia che «cancella del tutto l’autorizzazione paesaggistica prescritta dal Codice dei Beni Culturali per ogni posa di cavi (sottoterra o aerei) per telecomunicazioni ». «L’articolo 25 invece» continua l’archeologo, «“semplifica”, cioè di fatto rimuove, ogni autorizzazione per “interventi minori privi di rilevanza paesaggistica”, governati ormai dal silenzio-assenso. L’articolo 17, poi, è un inno alla “semplificazione edilizia”, di stampo paleo-berlusconiano: scompare la “denuncia di inizio attività”, sostituita da una “dichiarazione certificata”, di fatto un’autocertificazione insindacabile; e si inventa un “permesso di costruire convenzionato”, che affida al negoziato fra costruttore e Comune l’intero processo, dalla cessione di aree di proprietà pubblica alle opere di urbanizzazione, peraltro eseguibili per “stralci”, cioè di fatto opzionali». È così, a un certo punto l’antipatia un po’ futurista di Matteo Renzi per i professoroni si è trasformata in un’antipatia per le soprintendenze che – è parola di premier – «incatenano» il Paese. Settis analizza poi «il trionfo dei “diritti edificatori generati dalla perequazione urbanistica” e delle “quote di edificabilità” commerciabili, che Lupi persegue da anni». Lupi Maurizio, il ministro che fate finta di non vedere.

È la responsabilità civile dei giudici il successo postumo più significativo di Silvio Berlusconi

«Se sbagliano, è giusto che paghino » diceva ad ogni comizio l’ex cavaliere. Quando Montecitorio approva definitivamente la legge, Renzi twitta: «Anni di rinvii e polemiche, ma oggi la responsabilità civile dei magistrati è legge!». Punto esclamativo. Rimettendo mano alla legge Vassalli del 1988, la nuova legge amplia la possibilità per il cittadino di fare ricorso, innalza la soglia economica di rivalsa del danno, fino alla metà stipendio del magistrato; elimina soprattutto il filtro di ammissibilità dei ricorsi. La responsabilità scatta in caso di negligenza grave e travisamento del fatto e delle prove. «La giustizia sarà meno ingiusta e i cittadini saranno più tutelati», dice il ministro della Giustizia Andrea Orlando, uno che viene dalla sinistra Pd. Dall’Associazione nazionale magistrati replica Rodolfo Sabelli: «Non è stata ancora approvata una riforma sulla corruzione, sul falso in bilancio, ma ci si precipita a votare una legge contro i magistrati che combattono la corruzione», accusa, spiegando poi che così, «si intacca il profilo dell’indipendenza dei magistrati. Vi è un rischio di azioni strumentali dando la possibilità alla parte processuale più forte economicamente di liberarsi di un giudice scomodo. È una strada pericolosa verso una giustizia di classe».

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Le cinque delle 13.00

Flavio Tosi: Mi dimetto da sindaco di Verona e mi candido in Veneto

E’ sempre più resa dei conti nella Lega Nord. Il sindaco di Verona, Flavio Tosi minaccia di dimettersi e candidarsi contro Zaia: «Se il Consiglio federale non torna indietro forse mi dimetto e ‘liberi tutti’. E allora potrei candidarmi a governatore« ha detto a Radio24. Così aveva invece detto Salvini: «Per quel che riguarda il Veneto ho dato a tutti la possibilità di scegliere e ho lasciato tempo, anche troppo. La questione è chiusa, ora si parte con Zaia».

NEL MERIDIONE
Maltempo sull’Italia. Esplode un metanodotto in Abruzzo, sette feriti
Il maltempo continua a flagellare l’Italia e in particolare il centrosud, colpito da vento forte o intense bufere di neve. E mentre Toscana e Marche fanno la conta dei danni di ieri, quasi tutto il Molise oggi è bloccato dalla neve così come il Potentino. In provincai di Teramo uno smottamento avrebbe fatto cadere un traliccio su un gasdotto, le fiamme dell’incendio, sono ora visibili a km di distanza. A Napoli caduta un’impalcatura.

MEDIO ORIENTE
Gerusalemme, auto si lancia sui passanti: ferite 4 poliziotte
Torna il terrore a Gerusalemme, dove quattro agenti donna della polizia di frontiera sono rimaste ferite dopo che un palestinese le ha investite con l’auto. L’aggressore ha prima investito le quattro donne, poi ha proseguito la corsa per qualche centinaio di metri fino alla stazione metro di Shimon Hatzadik, dove ha urtato un ciclista israeliano di passaggio. A quel punto è uscito dall’auto agitando una spranga di ferro, ma un altro agente della guardia di frontiera gli ha sparato, ferendolo, ed è stato arrestato.

CESANO BOSCONE
L’ultimo giorno di Berlusconi ai servizi sociali
«L’incontro con la Sacra Famiglia di Cesano Boscone, il tempo passato con i malati, con i volontari, con gli operatori sanitari e sociali è stata un’esperienza toccante e ha rappresentato una pausa di serenità. Per questo intendo continuare questa esperienza e questo impegno», lo ha detto Silvio Berlusconi al termine dell’ultima giornata trascorsa alla Sacra Famiglia di Cesano Boscone, dove il 9 maggio scorso aveva iniziato il periodo di affidamento in prova ai servizi sociali con i malati di Alzheimer.

IRAQ
L’Isis rade al suolo il sito archeologico di Nimrud
All’inizio di quest’anno gli uomini di al Baghdadi avevano annunciato l’intenzione di distruggere i reperti archeologici con la motivazione che secondo loro offendevano l’Islam. E il 26 febbraio erano arrivate, con un video di cinque minuti, le immagini della devastazione del museo di Mosul, della distruzione di statue e manufatti.

Il Cavaliere Matteo

Il nostro monologo di carta lo ha scritto Emmanouil Glezos con Giulio Cavalli. Emmanouil è un vecchio partigiano greco ora eurodeputato di Syriza. “L’avevamo sognata bellissima”, si intitola. E parla d’Europa. Questa settimana apriamo così un numero duro, di critica anche aspra, alla nostra politica.

In copertina il mito di Narciso per spiegarvi quanto e come le riforme sul lavoro, sulla giustizia, sulla legge elettorale, sulla scuola, portate avanti da Matteo Renzi siano specchio della destra. Certamente quella di Berlusconi, che per anni ha annunciato quello che ora “il cavaliere Matteo” fa. Fiero di farlo, pop al punto giusto, emozionato dai grandiosi progetti di Marchionne, chiede solo che lo si “lasci lavorare”. Senza “inutili” intralci.

Giulio Cavalli firma un’intervista inedita a Giuseppe Cimarosa, nipote di Messina Denaro, nuovo simbolo contro la mafia, che racconta la sua lunga storia e quella di suo padre che ha deciso di collaborare con i magistrati. La paura sì, ma il suo dire “No. Io non ci sto. I mafiosi siete voi”. Il nostro speciale, su questo numero, è dedicato al rapporto di Agromafie 2014 che dimostra come anche nel settore agroalimentare la frontiera tra economia sana e interessi criminali salti ogni anno di più.  Leggerete poi di Inghilterra che va al voto, del rischio anche lì che si faccia largo Farage e il suo antieuropeismo, e di Iran dove l’uso di stupefacenti  riguarda 5 milioni di persone.

Ma questa settimana, a ridosso dell’8 marzo, le nostre pagine di cultura le dedichiamo a Carl Djerassi, l’inventore della pillola anticoncezionale, padre della più bella delle rivoluzioni del XX secolo. Che ha rotto definitivamente ogni vincolo tra sesso  e riproduzione biologica regalando a tutti la libertà di realizzare la propria sessualità.  Una vera rivoluzione sessuale che ha liberato anche la ricerca scientifica, come ci racconta il genetista Edoardo Boncinelli intervistato da Simona Maggiorelli.

E ancora letteratura con Filippo La Porta e musica con l’intervista a Jovica Jovic, fisarmonicista rom di 61 anni che sarà al Cinema L’Aquila per il “Roma sinti festival” il 14 marzo.

È un numero forte a modo nostro, dove la politica diventa letteratura, la laicità diventa rifiuto e la cultura diventa scoperta. Buona lettura.

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Giuseppe Cimarosa, in sella contro la mafia

È travolto da tanta e improvvisa attenzione Giuseppe Cimarosa, il giovane parente del latitante di Cosa nostra Matteo Messina Denaro che ha infiammato la “Leopolda siciliana” disconoscendo pubblicamente il boss e la sua famiglia davanti all’applauso commosso di un migliaio di persone. Travolto come si viene travolti in questo Paese quando il marketing antimafioso si butta su un nuovo simbolo ma Giuseppe ha molto di più da dire, al di là degli stereotipi o i falsi miti. «Non è normale – mi dice- tutta questa attenzione all’improvviso, no. Anche se non so esattamente quale sia la causa. Posso dire però che per fortuna la “Leopolda” ha reso pubblica una vicenda che sembrava appesa nel nulla. Io ci ho partecipato per caso senza nessuno spirito di appartenenza politica perché non è questo che voglio fare nella vita».

Hai fatto più politica con un piccolo intervento tu che molti dei politici presenti, però…

Sì. Ma diciamo che la mia è stata politica molto “spirituale”. La definirei così. Non sapevo nemmeno esattamente cose fosse una “Leopolda” ma il mio unico pensiero era ed è fare sentire la mia voce a più gente possibile.

E ci sei riuscito.

È da un anno che ci provo. All’inizio ho contattato le cosiddette “associazioni antimafia” che mi giravano attorno a Castelvetrano (il luogo dove Giuseppe vive con la sua famiglia nonché paese natale di Matteo Messina Denaro, ndr) e dintorni ma mi hanno snobbato, ignorato e a volte addirittura osteggiato.

Osteggiato? Addirittura?

Certo. Sotterraneamente, ovvio, perché pubblicamente non potrebbero farlo. All’inizio avevo pensato che i loro dubbi derivassero dal fatto che qui non è mai successo che un membro di una famiglia così “pesante” prendesse pubblicamente le distanze dalla mafia. Poi invece mi sono convinto della cattiva fede.

Quindi possiamo dire che la politica della Leopolda ha antenne più allenate del mondo dell’antimafia?

Credo che anche quelli del Pd siano rimasti sorpresi. Avevano in mente di affrontare anche il tema dell’antimafia e un amico di Castelvetrano mi ha chiesto se avessi voluto intervenire. Anzi, mi ha detto “hai cinque minuti” e io mi ero preparato anche il discorso bello scritto ed ordinato. Quando è stato il mio turno però non ho letto nulla, il discorso ce l’avevo nello stomaco ed è successo qualcosa di incredibile.

Cioè?

Un silenzio. Assordante. Il silenzio assordante. Gente in piedi che piangeva. In quel momento credo che tutti si siano dimenticati del partito e della “politica”. Ne sono stato felice.

E poi mi vuoi dire che non c’è stato il tentativo prevedibile di “mettere il cappello” sulla tua storia?

Beh, certo. Anche se in realtà sono stati più quelli degli altri partiti che, accusando il Pd di volermi strumentalizzare, hanno finito per farlo loro stessi.

Possiamo dire che, comunque, è stata una buona occasione per te.

Avevo bisogno di parlare. Di urlare. E meno male che è successo. Io non vivo una situazione facile: una volta che decido di mettermi contro un mafioso, tra l’altro ancora libero, non posso più tornare indietro. Mica posso dirgli “scusa Matteo Messina Denaro mi sono sbagliato, ti chiedo perdono, torno al mio posto”. Mi sono lanciato nel vuoto e devo andare fino in fondo.

Riannodiamo i fili della tua storia. Quando nella tua vita ti rendi conto di essere il “parente” di un boss?

Da piccolo. Considera però che mia madre questo parente l’ha visto per l’ultima volta al suo matrimonio. Malgrado mia madre fosse cugina con la famiglia Messina Denaro, la mia famiglia non ha avuto rapporti con loro per venticinque anni. Fino a circa tre anni fa quando c’è stato questo maledetto avvicinamento da parte loro, ovviamente perché avevano bisogno di qualcosa. Fin da piccolo si respirava questa figura misteriosa con questo fascino nero.

Quindi quasi positivo?

In casa si preferiva non parlarne ma a scuola, con i ragazzi, molti sicuramente lo vedevano come un mito perché imprendibile, nascosto bene e tutte queste storie… Finché, quando avevo quattordici o quindici anni, mio padre venne arrestato per la prima volta per collusione e favoreggiamento nei confronti della famiglia Messina Denaro. Ovviamente per la parentela che li accomunava mio padre non avrebbe potuto facilmente dire di no. Sbagliando, mio padre ha pensato che quello sarebbe stato il male minore.

L’INTERVISTA INTEGRALE SU LEFT IN EDICOLA DA SABATO 7 MARZO

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Lupi di Toscana

Nel suo Viaggio in Toscana (Donzelli) l’anno scorso il governatore Enrico Rossi annunciava un Piano paesaggistico della Toscana molto avanzato di tutela e di progresso della Regione, che sarebbe potuto diventare un progetto pilota all’avanguardia in Italia. Left ne ha raccontato la genesi e gli sviluppi raccogliendo commenti di ambientalisti, storici dell’arte, archeologi, giuristi, costituzionalisti che hanno evidenziato il valore di sfida politica e civile di questo Piano paesaggistico, basato non su un’astratta difesa della natura, ma su un modello di sviluppo a misura d’uomo, centrato sulla qualità della vita nel rispetto del territorio. Tuttavia il Pd guidato dal premier Renzi ora pare deciso a contrastare questa prospettiva anche a livello locale. E il Piano toscano potrebbe non vedere mai la luce. Con tutti i rischi che ciò comporta per la difesa del demanio e delle Apuane, già sottoposte a sfruttamento intensivo delle cave di marmo. La decisione finale è prevista per il 10 marzo.

«Con tutta evidenza il Pd a livello nazionale ha scelto una strada molto diversa da quella espressa dal Piano paesaggistico toscano, che invece è ben bilanciata fra esigenze di tutela e di crescita qualitativa», commenta lo storico dell’arte Tomaso Montanari, autore di saggi di forte impegno civile come Istruzioni per l’uso del futuro (Minimum fax) a cui ora fa seguito il graffiante saggio Privati del patrimonio (Einaudi). «Il Piano che la Toscana si apprestava a varare non era né anti sviluppo né un piano di decrescita felice. Ma – spiega il docente dell’Università di Napoli – un piano di crescita sostenibile che cercava di trovare una quadra fra tutela, lavoro, consenso e sviluppo».

Spesso si protesta contro i vincoli paesaggistici «con la retorica, targata Guido Carli, dei “lacci e lacciuoli”», commenta l’archeologo Salvatore Settis, a lungo direttore della Normale e oggi presidente del comitato scientifico del Louvre. «Ma il solo modo di allentare i vincoli è di sostituirli con la co-pianificazione Regioni-ministero, come previsto dalla legge. Il Piano paesaggistico toscano, grazie all’impegno e alla competenza dell’assessore Anna Marson – dice il professore – è il più organico tentativo mai fatto in Italia in questo senso. Lo provano anche le reazioni contrarie, ispirate a una logica Verdini-Lupi che anche il Pd, copiando alla lettera gli stessi emendamenti proposti da Forza Italia, ha mostrato di condividere. L’Amleto della situazione si chiama Enrico Rossi: ha dato indizi di apertura in tutti i sensi possibili. Ma io spero ancora che non bruci la sua immagine per pura acquiescenza o calcolo elettorale. L’alternativa al Piano è infatti una sola: una deregulation selvaggia che devasterebbe la Toscana».

L’assessore all’Urbanistica Anna Marson ha parlato al Corsera di un “partito del cemento e della pietra” che si oppone al Piano regionale toscano, di che si tratta? «L’ala affaristica, la destra del Pd, ha proposto un emendamento killer che distrugge il Piano paesaggistico toscano» risponde Montanari. «Ad avanzarlo sono stati consiglieri espressione di collegi in cui prevalgono gli interessi di chi, per esempio, sfrutta le cave apuane. In accordo con lo Sblocca Italia, siamo alla “lupizzazione” della Toscana. Se dovesse finire così sarebbe a rischio il futuro della Regione». Nel frattempo il governo Renzi ha annunciato una grande vendita di edifici pubblici, perlopiù caserme, molti dei quali sottoposti a vincolo dalle soprintendenze. Negli anni Novanta provvedimenti di cartolarizzazione e di svendita caratterizzarono le politiche ultra liberiste del centrodestra. Contro cui si levava la voce di studiosi autorevoli come Salvatore Settis con puntuali libri di denuncia come Italia Spa (Einaudi, 2002). Quell’assalto feroce al patrimonio pubblico viene ripercorso ora da Montanari nel suo nuovo libro, alla luce del presente. Nel capitolo “Alienazioni” la cronistoria parte dall’ex ministro dell’Economia Tremonti, perno della finanza creativa del governo Berlusconi, e arriva all’attuale consigliere di Renzi Marco Carrai, che rilancia l’idea di Italia Spa. «È un circolo vizioso – nota Montanari -. Si svende il patrimonio pubblico perché non c’è alcuna intenzione di recuperarlo e riutilizzarlo. E la svendita genera nuovo bisogno di costruire. Senza contare che la dismissione di questo tipo di monumenti non va a detrimento delle classi alte. Chi non ha una casa aveva almeno delle case pubbliche: adesso non avrà più neanche quelle». La traduzione in legge dello Sblocca Italia, di fatto, ha ulteriormente peggiorato il quadro, denuncia lo storico dell’arte: «Perché è stato abrogato il comma di una legge del 2013 che permetteva al ministero dei Beni culturali di intervenire nella scelta dei beni da alienare. Ora il Mibact non ha più nemmeno diritto di parola. Di fronte a tutto questo il ministro Franceschini si sarebbe dovuto dimettere, invece non ha nemmeno protestato. Per assurdo ora gli Uffizi potrebbero essere messi in vendita senza che il ministero possa nemmeno fiatare».

Intanto, da destra ma anche da certa sinistra, si continua a invocare l’intervento “taumaturgico” dei privati per la tutela e la valorizzazione del paesaggio e del patrimonio d’arte. E in una maniera tutta italiana che, stigmatizza Montanari, significa collettivizzazione delle perdite mentre i profitti vanno in tasca ai privati. «Le privatizzazioni in cui si fa solo l’interesse del privato sono un fenomeno globale. Joseph Stiglitz ne ha parlato per quanto riguarda gli Usa. Ma da noi non ci sono nemmeno le privatizzazioni in senso liberale, la retorica del privato copre una privatizzazione che va a discapito delle finanze pubbliche. Alla fine è sempre la mano pubblica a pagare». E mentre proliferano lobbies e clientele politiche nella valorizzazione dei beni culturali (nel libro Montanari non fa sconti a nessuno, da Civita di Letta a MetaMorfosi di Folena) rarissimi sono i veri mecenati.

Nel saggio Privati del patrimonio, di fatto, figurano solo l’esempio virtuoso di Packard a Ercolano e quello dell’imprenditore Yuzo Yagi, che ha dato un milione per il recupero della Piramide di Cestio a Roma. Con una avvertenza. «L’esempio di Packard non si può replicare – precisa Montanari – perché lui, per scelta, non chiede nulla in cambio e non usa il potere che il contratto gli dà. Altri, privi di questa sua visione delle cose, ne approfitterebbero e non andrebbe affatto bene». E poi aggiunge: «In realtà c’è un altro esempio positivo che non ho fatto a tempo a inserire nel libro, è quello del restauro del Battistero di Firenze». Che cosa è successo in questo caso? «Il sindaco Nardella in un soprassalto di decenza ha proibito di mettere le pubblicità sul Battistero da restaurare. L’Opera del Duomo ha fatto appello al “mecenatismo” degli imprenditori ma nessuno ha risposto. Il che – sottolinea Montanari – chiarisce bene la differenza fra sponsor e mecenate. In questa situazione di stallo l’Unicoop ha deciso di intervenire nonostante la forte presenza della Curia nell’Opera del Duomo. È nata così la prima campagna di mecenatismo popolare diffuso. La Coop, che ha un milione e duecento mila soci, invita i donatori nel Battistero restituendo ai cittadini sovranità attraverso la conoscenza. È un esempio di mecenatismo, senza paternalismo e senza alienazioni. Attraverso la diffusione dell’azionariato popolare. Come già succede in Inghilterra e in Francia, dove ogni anno con questo sistema raccolgono un miliardo di euro».

Il valore aggiunto di una piccola grande operazione come questa di Unicoop Firenze è anche quello di provare a riallacciare i rapporti tra periferia e centro storico, invitando chi esce solo per andare in “non luoghi” come i centri commerciali a interessarsi del patrimonio d’arte, che in Italia è anche e soprattutto patrimonio diffuso sul territorio. La perdita di un rapporto equilibrato fra periferie e campagna, il consumo di suolo, la speculazione edilizia, il proliferare di quartieri senza disegno urbano, la finanziarizzazione delle grandi opere: sono alcuni dei problemi analizzati da Paolo Berdini nel suo nuovo saggio Le città fallite (Donzelli). «Dopo vent’anni di urbanistica contrattata, un fiume di cemento e di asfalto si è riversato sul Paese» scrive l’urbanista denunciando la scomparsa del welfare urbano causato da «una criminale sudditanza alle dottrine economiche neoliberiste». Ma non solo. Anche Berdini, da attento osservatore delle trasformazioni del paesaggio italiano, vede un forte pericolo nell’idea di mettere a reddito il patrimonio d’arte avanzata dal premier Renzi e attuata da Franceschini. L’attacco renziano al prezioso lavoro di tutela che hanno sempre svolto le soprintendenze in Italia, dice l’urbanista, dovrebbe far scattare un campanello d’allarme. «Lo stesso ministro Franceschini sembra ignorare il grande ruolo che hanno avuto le soprintendenze di Stato, per esempio, nella costruzione della bellezza di città come la sua Ferrara». Allora da dove ripartire? Dalla difesa di presidi di tutela attivi sul territorio, dice Berdini, dalla difesa del Piano paesaggistico della Toscana, dal lavoro teorico di giuristi come Paolo Maddalena e storici dell’arte come Salvatore Settis che in libri come Paesaggio, costituzione, cemento (Einaudi, 2013) «ha enunciato il mancato raccordo tra tutela dei paesaggi e normativa urbanistica». E ora torna a svolgere più ampiamente quel discorso nel libro Il mondo salverà la bellezza? (Ponte alle Grazie), rovesciando la celebre frase de L’Idiota di Dostoevskij per cercare di risvegliare la coscienza civile del Paese.

«Commentando lo sfregio della Barcaccia in molti hanno parlato dei problemi di tifoserie, di rivalità fra nazioni – torna a dire Tomaso Montanari -, io penso che questa distruttività sia il segno che abbiamo perso qualcosa a livello profondo. Il patrimonio diffuso italiano è la cornice di una società democratica, le opere d’arte sono come delle sentinelle, la loro distruzione indica la distruzione di qualcosa di noi stessi. L’arte non ha a che fare con la nazionalità, ma con la nostra umanità». L’articolo 9 della Costituzione, del resto, «si spiega con l’articolo 3 là dove si dice che la Repubblica ha come ragione sociale il pieno sviluppo della persona umana. Il più bell’editoriale sulla Barcaccia – conclude Montanari – è di Staino: “Babbo gli olandesi non sanno che sono opere d’arte?” chiede la figlia a Bobo. E lui risponde: “Veramente siamo noi italiani che le consideriamo petrolio.

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Le cinque delle 13.00

Maltempo in Toscana, Umbria, Lazio e Marche. Due vittime

Forti raffiche di vento, pioggia e neve stanno colpendo gran parte d’Italia dalla scorsa notte. La zona con maggiori danni è quella della Toscana, dove il maltempo ha fatto una vittima nel comune di Borgo a Mozzano (Lucca): si tratta di un uomo di 41 anni travolto con la sua auto. Altra vittima nelle Marche, si tratta di una donna di Urbino schiacciata da un albero schiantato da fortissime raffiche di vento.

VISITE DI STATO
Renzi a Mosca, prima l’omaggio a Nemtsov poi l’incontro con Putin
Dopo la tappa di Kiev e il vertice con il presidente ucraino Petro Poroshenko, Matteo Renzi è a Mosca dove ha incontrato il premier Dimitri Medvedev e il presidente Vladimir Putin. “Il nostro dialogo politico è sempre molto attivo e sono felice di incontrarla a Mosca per parlare nel complesso dei nostri rapporti” così il Presidente russo ha accolto il premier italiano. “Lavoriamo insieme in vari settori: nell’energia, nei macchinari industriali, nello spazio e in molti altri ambiti”. Al centro del faccia a faccia col leader russo, i dossier internazionali: dalla crisi ucraina, a quella libica, fino al conflitto in Siria e la situazione in Medio Oriente.

GIUSTIZIA
Prescrizione, Alfano: Siamo vicinissimi all’intesa
Sarebbe vicina una soluzione sulla questione del ddl sulla prescrizione sul quale ieri la maggioranza si è divisa. “Ho parlato col ministro Boschi”, fa sapere il leader di Ncd Angelino Alfano, “siamo vicinissimi a un accordo, troveremo la quadra”. “Non siamo in un momento di spaccatura della maggioranza”, ha aggiunto.

CRONACA
Allarme bomba al Sole 24 Ore. Evacuato l’edificio
Poco dopo le 11 un anonimo ha chiamato il 112 e avrebbe detto: “Nel palazzo c’è una bomba”. Secondo i primi accertamenti la telefonata che segnalava l’arrivo della chiamata minatoria è stata fatta dal centralino del Sole 24 Ore al Numero Unico di Emergenza. A parlare, in un italiano non del tutto corretto, un uomo che ha detto soltanto: “Hanno messo bomba”. Il luogo dove si trova il servizio di telefonia non è nello stesso palazzo dove si trova la Redazione. I carabinieri e gli artificieri stanno ispezionando la sede del quotidiano economico.

LEGA NORD
Salvini vede Tosi: «Non siamo una caserma»
La partita tra il sindaco di Verona Flavio Tosi, il governatore Luca Zaia e Matteo Salvini non è ancora chiusa: «Penso che con Tosi un accordo di buon senso si troverà. Noi non siamo una caserma ognuno ha diverse sensibilità ma l’obiettivo è proseguire con l’esperienza di Luca Zaia», ha detto questa mattina il segretario della Lega Nord ospite della trasmissione Omnibus.