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La fotografia del nostro tempo

Forse da giovane sarà anche stata “la più bella del mondo”, come ancora sostiene Bersani, ma dopo esser stata massacrata per decenni è impensabile fingere che oggi sia in buona salute. Di chi stiamo parlando? Della Costituzione italiana! Sì, perché se «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge» ed «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (art. 3), allora è doveroso, come ha ricordato il nuovo presidente della Repubblica Mattarella nel suo discorso alla Camera, prestare attenzione alla condizione delle persone disabili.

Più che promuovere «le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro», la Repubblica continua a mantenere sistemi assistenzialistici che assorbono risorse che sarebbero preziose per il welfare. «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani» (art. 7), ma i privilegi del potere clericale ancora sopravvivono, e ancora più sopravvivono leggi di epoche magari trascurate dal nuovo corso Vaticano ma non certo cancellate.

«La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica» (art. 13), ma spesso adotta leggi illiberali proprio a causa di un analfabetismo scientifico oltre che delle derive clericali di cui sopra. Se «la libertà personale è inviolabile», che dire del fatto che l’Italia è costantemente condannata dalla Corte europea dei Diritti dell’uomo per i tempi della giustizia e i trattamenti disumani nelle carceri, senza che nemmeno il messaggio alle Camere dell’allora presidente Napolitano sia riuscito a indurre il Parlamento a reagire?

Infine, se «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» (art.32), perché lo stesso Parlamento continua a girarsi dall’altra parte senza discutere davanti al fatto che quotidianamente malati terminali si lanciano da un balcone o muoiono tra atroci sofferenze perché lo Stato si accanisce contro di loro? Ed è sempre lo stesso Parlamento che sceglie di non modificare una legge dichiarata parzialmente incostituzionali dalla Corte costituzionale in materia di fecondazione medicalmente assistita e lascia che siano i giudici ad intervenire pur di non riportare la discussione nell’agenda politica.

Questa è la fotografia del nostro tempo, ma è anche la prima agenda di lavoro per il nuovo presidente della Repubblica. Prima di parlare delle riforme, certamente indispensabili ma che rischiano di diventare controriforme, è bene partire dalla legalità, dal diritto, dai principi inviolabili della persona umana e dalla necessità di non lasciarli solo sulla carta, ma di creare le condizioni per la loro realizzazione.

Oggi più che mai risuonano le parole di Piero Calamandrei pronunciate il 26 gennaio 1955 in occasione di un ciclo di sette conferenze sulla Costituzione italiana: «Una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo […] a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società. E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere!».

Già, un lavoro enorme, se pensiamo che l’Italia da allora è riuscita ad andare nella direzione opposta, perdendo per strada anche la “forma” della democrazia e dello Stato di diritto.

 [social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/Filomena_Gallo” target=”” ][/social_link] @Filomena_Gallo

*Segretario nazionale Associazione Luca Coscioni

 @ass_coscioni

L’occasione perduta del Partito sociale

«Dove stanno i compagni?». Italo se li ricorda bene, quando arrivarono al campo di Camarda. Due, greci, giovani. Studiavano in Italia ma erano attivisti di Syriza. Erano i giorni di Pasqua del 2009. La notte della domenica delle Palme un terremoto aveva squassato L’Aquila e centinaia di militanti di Rifondazione e dei centri sociali s’erano mossi immediatamente raggiungendo le frazioni intorno alla città molto prima della pesante macchina governativa della protezione civile. A Camarda e Tempera c’erano le Brigate di solidarietà attiva del Prc, a Fossa funzionava l’Epicentro solidale.

Grigoris era il più giovane dei greci ma anche il più curioso. La Grecia era ancora all’alba della sua crisi, le elezioni le aveva vinte il Pasok. Syriza era nata da poco per coalizzare la frammentatissima sinistra greca sulla spinta del movimento no global (tre anni prima ad Atene c’era stato il quarto Forum sociale europeo). «Lavoravamo insieme tutto il giorno e la sera discutevamo durante e dopo la cena comunitaria», racconta ancora Italo Di Sabato, 51 anni, molisano, operatore sociale dopo una lunga esperienza in politica. «Erano rimasti molto colpiti da quella nostra pratica sociale di autogestione della solidarietà, di costruzione del protagonismo delle persone in quella situazione, di conflitto con il modello passivizzante degli aiuti di Stato. I greci erano con noi anche l’ultima sera, quando consegnammo agli abitanti di Camarda la loro cucina da campo».

Poi vennero i giorni del G8 di luglio, e altra gente di Syriza arrivò a L’Aquila a studiare l’esperienza di «solidarietà conflittuale», ricorda ancora Italo, lo spaccio popolare, che distribuiva generi di prima necessità raccolti in tutta Italia e distribuiti in base alle esigenze. Il tentativo di non “ospedalizzare” le persone come succedeva nelle altre tendopoli. Finché il modello berlusconiano delle new town non ha sparpagliato la gente lontano dalle proprie case, disperdendo quel fragile esperimento. Ma non le Brigate, che avrebbero continuato le loro sperimentazioni di mutualismo.

Pochi giorni fa, Italo ha rivisto i compagni di Grigoris, li ha incontrati ad Atene negli ambulatori popolari di Syriza dove, sulla base di un bisogno materiale si prova a ricostruire un tessuto sociale sconvolto da quel terremoto permanente chiamato neoliberismo e si rivendica la ripubblicizzazione della sanità.

Dal pane a un euro ai Gap

«Tutto comincia dal pane a un euro a Roma», ricorda Francesco Piobbichi, umbro, 42 anni, operatore sociale anche lui. S’è occupato, nel tempo, di curve ultra, tossicodipendenze, lotta al caporalato, migranti, rifugiati. Era il 2008, la parola carovita ritornava dagli anni 70 nel vocabolario corrente. E una sigla, Gap, che evocava la resistenza ma anche i Gas, i gruppi di acquisto. Popolari quelli dei Gap, solidali quelli dei Gas. E poi Arancia metalmeccanica: comprare le arance dai contadini siciliani che rifiutavano di svenderle alle multinazionali per finanziare le casse di resistenza, la più famosa quella di Eutelia, 1.200 lavoratori truffati dal loro padrone.

Dentro Rifondazione, proprio durante la disfatta del secondo orrendo Prodi, si iniziò a discutere di “partito sociale”. «Una parte della sinistra, azzerata sul piano elettorale, scoprì di essere fatta da “partiti senza società” – dice ancora Piobbichi citando Pino Ferraris – e pensò di potersi ricostruire nella società, producendo autorganizzazione e solidarietà là dove la crisi, sgretolando il welfare, fa avanzare il rancore dei penultimi verso gli ultimi».

Se Piobbichi è la guida indiana di questo viaggio dentro l’occasione perduta (finora) dalla sinistra italiana, Pino Ferraris, ricercatore e storico del movimento operaio scomparso giusto tre anni fa, ne è stato il teorizzatore. «È a lui che si deve il termine stesso di partito sociale, mentre i partiti si perdevano nell’esperienza di governo del centrosinistra, l’idea di organizzare le “forme della politica diffusa e parziale” in una nuova confederalità sociale». Le Edizioni dell’Asino di Goffredo Fofi hanno ripubblicato il suo Ieri e domani. Perché, mentre il capitalismo prende forme selvagge e violente come a cavallo tra ’800 e ’900, anche Ferraris tenta un viaggio a ritroso nel tempo per immaginare il futuro. E riscopre, come Valerio Evangelisti, nel suo Noi saremo tutto, la dimensione dell’azione collettiva che diede vita alle prime leghe, alle società di mutuo soccorso, alle esperienze con cui gli operai e i contadini provavano a organizzarsi sulla base di bisogni immediati. «Le prime mutue servivano a pagare le spese dei funerali», dice ancora Piobbichi. Insomma, prima di farsi Stato, di diventare “partito delle cariche pubbliche”, il movimento operaio s’era interrogato a lungo su come inventare l’autorganizzazione sociale. E ancora lo fa.

Se Franco Giordano – nel fervore della scissione di Sel – bocciò l’idea di partito sociale come «plebeismo», qualche anno dopo sarà un assessore provinciale ferrarese, di Rifondazione (ora capo degli agrari della Cia), a sbarrare la strada alle Brigate di solidarietà attiva (ma non a Casapound) che volevano intervenire sui luoghi del sisma emiliano. Anche dentro il Prc c’è chi non ha compreso la sfida del partito sociale, chi ha avuto solo un approccio strumentale, propagandistico, o, addirittura, vi ha intravisto una minaccia al consueto tran-tran istituzionalista.

Nuovo mutualismo

Eppure, a macchia di leopardo, il partito sociale esiste. E, a volte, si intreccia, si scontra o convive con altre esperienze di autorganizzazione: palestre popolari, occupazioni di case, autogestioni di centri sociali, fabbriche recuperate come Rimaflow a Milano, esperienze di coworking come le romane Officine Zero, ambulatori, scuole, osterie, orti, gruppi di acquisto, esperimenti di risparmio, finanza autogestita e solidale, microcredito, commercio solidale, riappropriazione delle terre. Nessuna città è immune da questo tipo di pratiche.

«Le modalità di queste forme hanno a che fare con i cardini del mutualismo: reciprocità, democrazia gestionale, cooperazione», spiega a Left Lorenzo Guadagnucci, giornalista di Altreconomia e autore de Il nuovo mutualismo (Feltrinelli, 2007), una delle migliori ricerche su forme radicate di pratiche alternative. «Non si tratta di soluzioni estemporanee, tirate fuori dal cappello, ma hanno radici nella storia del movimento operaio delle origini: l’idea di far da sé, crearsi il lavoro, autogestirsi la vita, mettere in piedi un’idea di società». Queste pratiche si fondano su altre parole d’ordine, diverse anche dall’idea delle socialdemocrazie: «Credo sia questo il messaggio più importante che viene da questo mondo, ma c’è ancora un ascolto debole da parte della sinistra e una relazione complicata anche con il sindacato», continua il giornalista. «La stessa Syriza fatica a distaccarsi dal keynesismo che il mondo dell’altra economia rifiuta cercando altre modalità. Questo è il campo sul quale si gioca la sopravvivenza della sinistra, almeno in Europa».

l’articolo integrale su left in edicola da sabato 7 febbraio 2015

Radicali e liberi, intervista a Emma Bonino

Nel mondo di adesso, raccontare di Emma Bonino vuol dire tratteggiare le gesta di un’eroina medievale come Trotula, Ildegarda, Eloisa. Donne immense, di una coerenza granitica, spaventosa. Un avamposto umano di laicità ed intelligenza: in questi tempi grigi in cui tutto converge e si confonde per confondere, lei spende il suo tempo a distinguere. Ha passato la vita a farlo e a promuovere diritti civili e libertà.

Radicale da sempre, eurodeputata, deputata, senatrice, Commissaria europeo, ministro per il commercio internazionale e per le politiche europee nel Governo Prodi II, vicepresidente del Senato, ministro degli Esteri nel governo Letta, membro del Comitato esecutivo dell’International Crisis Group, ideatrice e promotrice della Corte penale internazionale, professoressa emerita all’Università americana del Cairo, delegata per l’Italia all’Onu per la moratoria sulla pena di morte, fondatrice di Non c’è pace senza giustizia per l’abolizione delle mutilazioni genitali femminili, madre della “Dichiarazione di Sana’a”, nel 2011 Newsweek l’ha inclusa tra le “150 donne che muovono il mondo”.

E lei il mondo lo ha tutto in testa, difficile costringerla in Italia. Le sue battaglie sono state tra le nostre più belle, e con lei parliamo di laicità. Perché neanche un mese fa, ignara o forse no, di tutto quello che sarebbe accaduto nei giorni successivi ha lanciato un appello quanto mai vitale: “Laici di tutto il mondo unitevi”.

Ciao Emma, come stai?

Io benino.

Ti va di rispondere a qualche domanda?

Sì, basta che non mi “incianfrugli” sulla politica italiana [elezione del nuovo presidente della Repubblica] che mi è ancora tutto poco chiaro. Forse voi avete capito, io no. Una sola considerazione allora: ancora un uomo e ancora un cattolico. Aspetterei qualche giorno per capire bene, non so come sia uscito Sergio Mattarella. So per certo che i candidati desiderati erano altri.

Passiamo al vero oggetto della nostra chiacchierata, pochi giorni prima dei terribili fatti di Parigi hai lanciato un appello ai laici di tutto il mondo nel tentativo di incoraggiare la costruzione di un dialogo interlaico, come mai?

La mia valutazione dei fatti di Parigi è che non siano molto diversi da quelli di Madrid, 200 morti e non so quanti feriti alla stazione Atocha, o da quelli di Londra. Quello che ci ostiniamo a non capire, perché il contrario ci farebbe comodo, è che questi gruppi di fanatici non rimangono sempre uguali, cambiano, mutano, hanno agende loro, sono più mobili degli Stati. Sono andati in Siria, poi in Iraq, si sono spostati nello Yemen. Hanno una capacità di usare le tecniche di comunicazione molto forte. L’Isis oggi, Al-Qaeda ieri, hanno la stessa matrice culturale, che è wahabita, salafita, da cui hanno ricevuto anche sostegni finanziari. Le loro vittime peraltro sono soprattutto musulmani, poi ogni tanto aggiungono dei gesti più o meno eclatanti che a noi ci emozionano molto, ma il numero delle vittime è molto più alto tra le minoranze cristiane o musulmane o tra i musulmani da loro ritenuti corrotti. Persino un editoriale sul Financial Times finalmente sostiene che bisogna cominciare a parlare francamente all’Arabia Saudita. Non possiamo far finta che siano impegnati davvero nella lotta al terrorismo e che non c’entrino nulla con questi gruppi di estremisti, perché la verità è che sono complici sia dal punto di vista della matrice filosofica e culturale sia sul versante del sostegno economico. In più, a complicare le cose, mi pare evidente che allo scontro tradizionale tra sunniti e sciiti si è aggiunta una guerra fratricida all’interno della stessa famiglia sunnita, e quindi abbiamo da una parte le monarchie del Golfo (Arabia Saudita ed Emirati) e dall’altra i Fratelli musulmani, sostenuti dalla Turchia e, in modo più altalenante, dal Qatar. Questo è, e noi non possiamo fare tantissimo, capisco che è frustrante e sarebbe più rassicurante dire “andremo, faremo, li distruggeremo…” però è illusorio e sbagliato. Nell’immediato dovremo certamente prendere dei provvedimenti securitari.

Non temi una deriva securitaria?
Sì certo, è l’unica cosa che sappiamo fare. È una coazione a ripetere, noi (gli americani e noi dietro) sappiamo fare solo la guerra. Francamente, come si uccide un dittatore noi lo sappiamo molto bene. Conosciamo anche modi più raffinati: colpi di Stato, interventi dell’esercito, questo lo sappiamo fare. Di disastri ce ne siamo intestati parecchi. Mentre non sappiamo che fare il giorno dopo.

La tua reazione è all’opposto, ti appelli ad una possibile unione dei laici. Vuoi parlare di che fare il “giorno dopo”?

Il problema è che non vogliamo leggere tutto questo groviglio di scontri interni e di interessi. Continuiamo a non vedere e a pensare stupidamente che da una parte ci siano i buoni, l’Arabia Saudita e i wahabiti, e dall’altra i cattivi, i Fratelli musulmani, l’Iran e gli sciiti.

Perché dei laici dovrebbero fare meglio?

Parlo per me, anche se ci sono analisti superesperti che sostengono quello che dico anche io. Penso di conoscerli un po’ meglio, ho investito tempo ed energie per capire, studiare,  viaggiare, leggere cose meno scontate, a parlare non solo con i regimi ma con circoli intellettuali, gente comune, ho frequentato università per conoscere i diversi tipi di società. Invece la visione generale e generalizzata no, rimane sempre la stessa: sciiti e Fratelli musulmani cattivissimi e gli altri buonissimi. Caricaci poi Israele e le politche di Netanyhau e andiamo avanti così. E per evitare equivoci, sono filoisraeliana da sempre, e sostengo con forza l’idea di Israele e Palestina democratiche nell’Unione europea… ma questo non vuol dire accettare in modo acritico le proposte politiche di Netanyhau and co. Senza dubbio ci sono buchi nella nostra rete di sicurezza da affrontare ma sono peggiori, ti assicuro, i “buchi di conoscenza”. Basta che ti dica che nelle ambasciate occidentali non si sa l’arabo, non lo sanno parlare, non lo studiano, non leggono i giornali locali, non si informano.

Sicurezza, grovigli economici, diplomazia cieca, politica incapace, che senso ha allora parlare di laicità?

Perché va approcciato il fatto che le religioni sono tante; che una cosa è il peccato, altra è il reato, e che al di là di qualsiasi credo individuale deve essere chiaro che le varie fedi non possono essere la base delle istituzioni e delle leggi. La laicità è il presupposto dell’accettazione dell’altro. È proprio il presupposto, l’a-b-c: sei cittadino come me ma ti organizzi la vita personale e privata in modo diverso da me. Nel nostro Paese con qualche fatica e neanche compiutamente l’abbiamo imparato, anche se poi si sono inventati “i valori” non negoziabili… Quando io ero giovane erano semplicemente diritti civili, ora li chiamano “valori” e li cavalcano malamente.

l’intervista integrale su left in edicola da sabato 7 febbraio 2015

Spiragli di luce nell’opacità dell’Unione

La partita è molto complicata, difficile prevedere se e come si potrà uscirne. Il nodo è sempre quello. Una politica che, nel senso tradizionale delle istituzioni e dei processi di rappresentanza democratica, è rimasta nazionale, ma nella sostanza è senz’armi, perché le decisioni sono prese altrove, a livello dell’Unione, tramite meccanismi e processi decisionali del tutto estranei ai canoni della democrazia. D’altra parte nell’Unione i rappresentanti dei governi nazionali hanno lo sguardo continuamente rivolto alle ricadute che le decisioni prese dalle istituzioni europee avranno all’interno dei propri paesi, attenti a ogni possibile anche minimo effetto sul livello di consenso. I processi decisionali europei risultano così lentissimi, inefficaci, spesso del tutto inconcludenti.

Alla fine perdente è la politica, in periferia come al centro. Il nuovo governo greco lancia precisi messaggi ai propri elettori che terrà senza indugio fede alle promesse. Si annunciano aumenti di retribuzioni e pensioni, rispristino della tredicesima, riassunzione dei dipendenti statali licenziati, annullamento dei piani di privatizzazioni (anche se, sul porto del Pireo, si fa poi marcia indietro, riaprendo le trattative con il gruppo di trasporto marittimo cinese Cosco, il che, forse, per i greci non è neanche un male, magari lo è per i porti italiani). Il governo greco sa però bene che tutto questo potrà tenere se e solo se si scioglierà a livello europeo il nodo del debito greco.

La Merkel e il ministro delle Finanze Schäuble, dal canto loro, respingono con decisione ogni ipotesi di ristrutturazione del debito greco. Guardano al proprio interno: a due settimane dal voto ad Amburgo, devono rassicurare gli elettori tedeschi, cui ci si ostina a far credere che di una ristrutturazione del debito greco sarebbero le prime vittime.

Altri governi, come quello francese e italiano, galleggiano tra problemi di consenso interno, esigenze di iniziativa nell’ambito dell’Unione, timori reverenziali nei confronti della Germania. Così il governo italiano, che avrebbe tutto da guadagnare da una forte iniziativa politica in sede europea sul problema dei debiti pubblici, si muove con una snervante prudenza, considerando forse troppo prezioso il nuovo legame empatico tra Renzi e la Merkel che è stato propinato all’opinione pubblica. Ma i “mercati”, come si dice, non aspettano la politica. In Grecia il rendimento del bond è schizzato al 17%, nelle ultime settimane si è prelevato dai depositi bancari circa un miliardo al giorno. Il sistema bancario è al collasso. Lo tiene in vita la Bce che continua ad erogare liquidità di emergenza. Ma fino a quando potrà farlo in assenza di un grande accordo politico sulla finanza greca?

Mentre si scrivono queste note, giungono le notizie che Tsipras e il proprio ministro delle finanze Yanis Varoufakis hanno scompaginato le carte proponendo uno schema di ingegneria finanziaria “intelligente”, come loro stessi l’hanno definito: ai possessori di titoli del debito greco è proposto lo scambio con un nuovo tipo di obbligazioni il cui rendimento viene fatto dipendere alla crescita economica della Grecia. Mostrano intelligenza e coraggio. E a loro dobbiamo se si è finalmente aperto a livello europeo, in tutta la sua valenza tecnica e politica, il dibattito sulla troika e sulla sua legittimazione: tanto che lo stesso presidente Juncker ha dichiarato che è forse venuto il momento di sostituirla con qualcosa di diverso. Spiragli di luce nell’opacità dell’Unione.

#LeftAlMei Cambiamo musica

Nella patria di Verdi e di Puccini la musica non si insegna in modo organico partendo dagli asili per arrivare ai licei. È prevista alle elementari e alle medie inferiori, nelle scuole medie a indirizzo musicale e nei licei musicali. Ma è ben poca cosa rispetto a quanto fanno gli altri Paesi europei. Una formazione musicale carente rappresenta un minus nella cultura generale dei cittadini. Significa meno partecipazione e quindi anche meno pubblico. Dalla scuola possono arrivare risposte per rivitalizzare un settore importante come quello dello spettacolo e delle arti.

Sono anni che si invocano provvedimenti sull’educazione musicale.  Dopo raccolte di migliaia di firme, incontri con i vari ministri dell’Istruzione, audizioni nelle commissioni parlamentari, l’universo costituito da associazioni, docenti, pedagogisti, musicisti, è ancora in attesa. Molto attivo in questa mobilitazione è stato il Forum nazionale per l’educazione musicale costituito da scuole civiche, associazioni musicali e didattiche, federazioni di musicoterapia: 160mila tra utenti, soci e docenti.  Nel 2013 il Forum consegnò all’allora ministro dell’Istruzione Carrozza una petizione firmata da diecimila firme tra cui quelle di numerosi musicisti e artisti.

Altre proposte sono state lanciate anche dal Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della musica di cui è presidente Luigi Berlinguer. Un anno fa molte speranze erano arrivate dal ddl 1365 “Abbado” “Disposizioni sull’educazione musicale e artistica” presentato dalla senatrice Ferrara e sottoscritto da tutti i partiti.  La proposta di legge contemplava 100 ore annuali nei curricula della scuola elementare e media e 50 in quelli delle superiori. Peccato che sia ancora fermo nei cassetti di Palazzo Madama.

Intanto, nel documento della Buona scuola, reso pubblico dal governo Renzi a settembre 2014, per la prima volta la musica insieme all’arte viene definita “patrimonio storico”. Manca però una indicazione precisa sull’insegnamento della musica nella scuola secondaria di secondo grado. Così come non vengono delineati aspetti relativi alle graduatorie del personale docente, al ruolo e all’accreditamento del vivace e poliedrico mondo del terzo settore. Mancano anche indicazioni sulla fascia di studi superiori, quella dei Conservatori, in attesa anch’essi di una trasformazione. Tra poche settimane sapremo se la Buona scuola diventerà legge e se quanto annunciato dal governo Renzi, si concretizzerà.

Intanto, il mondo di associazioni, docenti, musicisti, si confronterà al tavolo dell’Educazione musicale agli Stati generali della musica, domenica 8 febbraio. Come Left saremo presenti in nome della cultura delle nuove generazioni.

Il futuro della produzione indipendente

Coordinatore: Giampiero Bigazzi
Parola chiave: PRODUZIONE

Il presente e il futuro della produzione indipendente, coordinato da Giampiero Bigazzi della Materiali Sonori con gli interventi del musicista e produttore Stefano Saletti, del musicista Dario Cantelmo web music developer di Italy digital music, del produttore e musicista Massimo Bonelli di i-company. Si parlerà di sostenibilità economica e organizzativa dei progetti di produzione musicale; dalla produzione “fisica” a quella on line; c’è ancora un mercato per la musica registrata; c’è ancora la possibilità e la necessità di fare un’etichetta indipendente; quale può essere il suo ruolo nell’epoca del digitale e della musica liquida; l’autogestione e i compiti del produttore; i sistemi di autofinanziamento.

Il futuro dei festival per emergenti

Coordinatori: Roberto Grossi e Michele Lionello
Parola chiave: FESTIVAL

Il Tavolo di Lavoro – a cura di Roberto Grossi (Varigotti Festival / Carovana dei Festival)
Michele Lionello (Voci per la Libertà) – è rivolto ai festival strutturati per emergenti, alle associazioni, agli
 operatori e ai soggetti che, a diverso titolo, operano in tale settore
. Scaletta di massima dei temi da trattare: Ricognizione sullo situazione attuale dei festival per emergenti: le realtà e le
 esperienze in atto.
- Gli obiettivi: quali spazi e opportunità per gli artisti emergenti.
- Fare “rete”. Esperienze e proposte per condivisioni ed econimie e di scala
- La ricerca delle risorse. Autofinanziamento, sponsorizzazioni, finanziamenti pubblici
- Il ruolo dei media: l’assenza del servizio pubblico televisivo ed il coinvolgimento
delle radio
- Gli “headliner” ed il rapporto con le agenzie di Booking
- Le criticità organizzative e il rapporto con gli Enti Locali
. Le richieste al Governo ed agli Enti Pubblici e l’assenza/presenza della Rai.

La musica live e le città (Arci e Arci Real)

Coordinatori: Carlo Testini e Lorenzo Siviero
Parola chiave: LIVE

C’è la crisi. Vero. Difficile organizzare eventi musicali. Vero. Mancano spazi per il Live. Vero. In Italia non c’è ancora una politica organica a favore della musica. Vero. Fortunatamente la creatività musicale del nostro Paese è viva e vegeta. In ogni ambito e genere. Ma non è facile organizzare eventi Live, pur essendo diventato ambito fondamentale per il sostegno e lo sviluppo del mondo della musica. Soprattutto per il mondo indie e dintorni. Allora è necessario trovare nuovi strumenti per facilitare la vita di chi organizza musica live, per sostenere gli artisti, per semplificare procedure dei Comuni e abbattere costi non più sostenibili. A voi la parola! Carlo Testini e Lorenzo Siviero (Arci e Arci Real) ne parlano con Adriano Bonforti (Patamu), Pietro Camonchia (Metatron), Celeste Costantino* (Sinistra, Ecologia e Libertà), Daniela Esposito (l’Asino che Vola), Pier Luigi Ferrantini (RadioRai 2), Gianni Pini (I-Jazz), Tommaso Sacchi (FI)*, Vincenzo Santoro (Anci), Vincenzo Spera (Presidente di Assomusica), Giulio Stumpo (SMartit), Veronica Tentori (Partito Democratico), Andrea Valeri *(Assessore alla Cultura del Municipio I – Comune di Roma).

Cambiamo musica (Left)

Coordinatrice: Donatella Coccoli
Parola chiave: FORMAZIONE

Un tavolo per fare il punto su musica e formazione, dall’asilo ai conservatori. A che punto è il ddl Abbado? E la campagna di alfabetizzazione musicale? Con Checco Galtieri, coordinatore Forum nazionale per l’educazione musicale; Annalisa Spadolini, didatta, Miur; Giuseppe Speranza docente Conservatorio Bari, sindacalista Flc Cgil; Giuliana Pella, Scuola popolare di Testaccio; Giovanni Piazza didatta Orff scuola di Donna Olimpia Roma; Maria Cristina Paciello insegnante liceo classico Tasso, Roma; Serena Ciardi, insegnante Istituto comprensivo Regina Margherita Roma.

Dall’indipendenza all’autorganizzazione

Coordinatrici: Tiziana Barillà e Cristina Brizzi
Parola chiave: AUTORGANIZZAZIONE

Tavolo di incontro tra le reti e i collettivi autorganizzati nati ultimamente e spontaneamente in tutta Italia. Vuole essere l’occasione per l’incontro tra le reti e i collettivi di musicisti (e non solo) autorganizzati e nati ultimamente (e spontaneamente) in tutta Italia. Un incontro, quindi. Perciò chiedo a ognuno di voi di venire a rappresentare la vostra realtà a questo “tavolo”. L’obiettivo? Conoscere e conoscersi. Raccontare le proprie esperienze e ascoltare quelle degli altri, tentare di stendere un manifesto che metta insieme le esigenze e le difficoltà comuni. E perché no? Magari, riuscire a creare un network tra “simili”. Saranno presenti: collettivo (L)imitazione – Reggio Calabria, Bee your concert – Roma, I Camillas – gruppo indie da Pesaro, Fusoradio – web radio, Radio Zammù – Catania, Radio Lab – web radio, Selva Elettrica – net label, NO-DE – piattaforma per la creatività, RAM – Rete Abruzzo Musica e altri ancora.

I lavoratori della musica (Cgil)

Coordinatori: Enrico Massaro (Slc Cgil), Umberto Carretti (Slc Cgil), Tito Russo (Flc Cgil)
Parola chiave: LAVORO

Dagli orchestrali ai montatori di palco la condizione e situazione di chi lavora nel settore. Contratti, Welfare e Sicurezza: diritti di Artisti e tecnici insieme per lo spettacolo. Evoluzione del settore  alla luce del CCNL per i Lavoratori dello Spettacolo in cooperativa e del Decreto Palchi. Con Chiara Chiappa (Legacoop Cultura), Saro Lanucara (consigliere nazionale Arci), Giulio Stumpo (direttore SmartIT, la mutua dei lavoratori dello spettacolo), Indiana Raffaelli (responsabile SIAM-Sindacato Artisti della Musica), esperti di Sicurezza nello spettacolo.

Il futuro della gestione collettiva del diritto d’autore in Italia

Coordinatore: Andrea Marco Ricci
Parola chiave: DIRITTO D’AUTORE

Tavola rotonda tecnica, con i rappresentanti degli autori/compositori e degli editori musicali, e la Siae affinché si possa avviare un confronto sull’idea che la reale categoria dei titolari dei diritti, ha in prospettiva, di come la gestione collettiva del diritto d’autore dovrebbe essere normata in Italia, anche alla luce della prossima introduzione in Italia (entro febbraio 2016) della “Direttiva Collecting” 2014/26/UE. Saranno presenti: Fabio Massimo Cantini Presidente S.N.A.C. (Sindacato Nazionale Autori e Compositori), Francesco Fiumara Segretario S.N.A.C. (Sindacato Nazionale Autori e Compositori), Alessandro Angrisano – Presidente di ACEP, Tommaso Zanello – Presidente AIA, Biagio Proietti – Membro del Consiglio di Gestione della SIAE

L’editoria indipendente, editoria e giornalismo nel rapporto con la musica (Exit Well)

Coordinatori: Francesco Galassi e Riccardo De Stefano
Parola chiave: EDITORIA

Un’occasione di confronto e discussione per superare insieme il momento di crisi in cui versa la nostra musica e per gettare le fondamenta della nuova scena musicale italiana. In un’epoca in cui sia l’editoria che la musica soffrono di una crisi sensibile l’editoria musicale non può che subire il peggio dell’una e dell’altra crisi. Oggi più che mai però l’informazione musicale può avere un ruolo centrale nel processo di crescita e sviluppo di tutto l’ambiente musicale. Questa occasione di confronto ci viene incontro e ci offre l’occasione di cambiare le nostre prospettive e di scoprire che il dialogo può rappresentare un enorme vantaggio per l’attività di tutti, ma soprattutto per l’ambiente musicale.

La musica in video: il videoclip

Coordinatore: Fabrizio Galassi
Parola chiave: VIDEO

Equiparazione dei Videoclip ai Film e Documentari. Accesso ai fondi pubblici, creazione di circuiti, sezioni e festival dedicati, il ruolo delle Film Commission e il Tax Credit. Il PIVI organizza una tavola rotonda con i videomaker e registi di videoclip per la creazione di un documento ufficiale da presentare agli organi competenti. L’incontro ha come scopo quello di intercettare le richieste, le difficoltà, i possibili sviluppi culturali ed economici che possono scaturire dall’equiparazione dei videoclip a quello di lungometraggi e documentari.

L’Europa e la Musica

Coordinatore: Gianluca Polverari
Parola chiave: EUROPA

Tavolo promosso dai membri italiani di  CAE Culture Action Europe, offre una panoramica sui finanziamenti europei, diretti e indiretti, legati al mondo artistico-culturale per la formazione, produzione e circuitazione  con particolare attenzione allo sviluppo delle reti internazionali di cooperazione. Saranno presentate le linee di finanziamento esistenti, le opportunità, le modalità e gli strumenti di accesso  illustrando anche programmi e progetti già finanziati con successo. Con Giulio Stumpo (SMartit), Patrizia Braga (Melting Pro), Cristina da Milano (ECCOM), Carlotta Garlanda (Project Manager), Pino Boccanfuso (Festa Europea della Musica), Davide Cardea (MEGASOUND), Marianna Massimiliani (LIVEUROPE/Circolo degli Artisti Roma).

Scrivere la tradizione. Lo stato dell’arte sulla ricerca nella musica tradizionale italiana

Coordinatore: BlogFoolk
Parola chiave: TRADIZIONE

Partendo da un’analisi degli attuali studi nel campo etnomusicologico, la discussione spazierà attraverso le problematiche della conservazione, della tutela e della diffusione del patrimonio della tradizione musicale italiano, per toccare le relazioni tra tradizione e tradimento, tradizione ed innovazione, tradizione e sperimentazione che attualmente caratterizzano le principali produzioni discografiche della scena world e trad italiana. Al tavolo, coordinato da Salvatore Esposito, direttore editoriale di Blogfoolk, partecipano Vincenzo Santoro ricercatore, e operatore culturale, Domenico Ferraro e Valter Colle di SquiLibri e Nota, gli accademici Giancarlo Palombini e Maurizio Agamennone e Ciro De Rosa, direttore responsabile di Blogfoolk, e collaboratore di Songlines e del Giornale della Musica. A margine della tavola rotonda sarà consegnato a Riccardo Tesi il premio “Blogfoolk Choice – Disco dell’anno World Music” in collaborazione con MEI per “Maggio”.

Sinistra? Non pervenuta

Quando ero bambino una volta alla settimana toccava obbligatoriamente la minestrina. Non si sfuggiva: ogni settimana era un supplizio inevitabile condito dall’entusiasmo descrittivo di mia madre che me la impiattava con iperbolici aggettivi ogni settimana nuovi e diversi, eppure ogni settimana era poi sempre solo la solita minestrina. Un mio compagno di giochi, avremo avuto sì e no cinque o sei anni, mi raccontò di essere riuscito a superare la minestra di casa convincendosi che fosse buonissima. «Ma ti piace?», gli chiesi e lui: «No, ma se mi convinco che è buona prima o poi magari la mangio volentieri». Fu così che capii che i problemi sono spesso comuni ma le soluzioni invece sono molto differenti.

Matteo Renzi, in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica, come spesso accade, ha voluto essere la mamma con la minestrina obbligatoria e contemporaneamente l’amichetto furbo che ti aiuta a scamparla, e non stupisce che ci sia riuscito ma atterrisce il come: ha capito che per portare a compimento il proprio processo politico (rivestire di sinistrofila modernità la stantia democristianità) serviva aggiungerci i sapori giusti dell’antimafia, del lutto, della mitezza, di un consono cattolicesimo, e il menù fisso sarebbe stato un successo. E infatti i sempiterni democristiani Fioroni e Rosy Bindi (ma anche qualche forzaitaliota e i nuovicentrodestri) hanno pianto lacrime di gioia sull’elezione di Sergio Mattarella. Dicono che Renzi sia stato bravissimo a trovare un candidato che il centrodestra non poteva non votare, scrivono i giornali in uno spaventoso coro unanime che Renzi ha spaccato il centrodestra, esultano i morotei, esultano i miglioristi, esultano i fanfaniani.

E la sinistra? Non pervenuta: inghiottita nel conformismo del pensiero unico e disarmata dall’odore di incenso. Non sia mai che si parli di un famigliare vittima di mafia uscendo dal pietismo piallante, non sia mai che si metta in discussione un democristiano solo perché democristiano, un cattolico solo perché cattolico, o un politico solo perché riservato: in questo Paese la mediazione al ribasso è una vittoria politica, il servilismo intellettuale un cromosoma trasversale e il dibattito è solo un esercizio stanco da campagna elettorale e così la laicità, la lotta sindacale, i diritti (verrebbe da scrivere: la sinistra) sono stati sospesi per apparecchiare tranquilli al nuovo Presidente.

I resti della “sinistra” (a sinistra del Pd e a sinistra nel Pd) ci dicono che poteva andare peggio, anzi ci invitano a brindare, ad apprezzare l’unità popolare, da Sel addirittura sottolineano che fu quello stesso Mattarella che si dimise per protesta contro Berlusconi e il voto sulla legge Mammì (era il 1990: Matteo Renzi aveva 15 anni, per dire) e che anzi dovremmo tutti concordare sul fatto che l’assenza dal dibattito politico sia un requisito presidenziale obbligatorio. No, scusate, non mi convinco, no: non ha vinto Renzi, ma ha abdicato questa sempre più logora sinistra che non ha gli strumenti culturali per descrivere uno slancio, per riuscire a vivere il momento “politicissimo” delle elezioni presidenziali un po’ più “in alto” di una settenaria riunione condominiale, per raccontare un’altra storia (come si diceva da queste parti prima di diventare tutti così vecchi e fiacchi).

Eravamo ai preliminari con i safari “sinistrosi” tra Syriza e Podemos, ci siamo sorbiti i pavoneggianti delle Leopolde sinistre e ora dovremmo esultare per la minestrina? No, grazie. Grazie, no. Scrive Mark Cirino che «la gente che dorme sotto la coperta del conformismo riposa bene, si fa le sue belle otto ore di sonno, ma fa sogni squallidi». Noi qui facciamo tanto per stare svegli, invece.

Il terzo giorno resuscitò il sistema politico italiano. Gioiamo tutti al miracolo!

Il terzo giorno (delle elezioni presidenziali) il sistema politico italiano risuscitò da morte: un corpo elettorale composto per lo più da nominati e non da eletti scelse e votò il suo candidato. E oggi siede alla destra dell’eletto. Intanto un coro di giornalisti genuflessi ha intonato il Magnificat e il Te Deum.

L’ostensione televisiva ha reso visibile il protagonista del culto in tutte le sue apparizioni. Una semplice passeggiata domenicale per le strade di Roma è diventata un miracolo di poco inferiore al camminare sulle acque del lago di Tiberiade. L’uscita da Messa circondato da suore devote, il ricorso non all’auto blu ma alla Panda di una Fiat pur sempre un po’ italiana, sono stati oggetto di infiniti e ammirati commenti.

Le poche parole dette dall’eletto subito dopo l’elezione hanno strappato gridolini di ammirazione per la loro brevità da chi per anni aveva commentato quotidianamente e devotamente le parole – molte – del predecessore. Ancora una volta, questo teatro nauseante, prevedibile e interminabile ci ricorda che l’Italia non ha mai creato un proprio rituale laico per le successioni dinastiche e gli avvicendamenti istituzionali. Non siamo la Francia monarchica del celebre annuncio della continuità del potere oltre la vita del suo detentore – “Le roi est mort, vive le Roi!” – né abbiamo mai neppure sfiorato l’asciutta serietà dei riti anglosassoni.

Qui da noi la retorica incontrollata dell’innalzamento del vincitore ha il suo risvolto nell’oscena esecrazione del perdente. Oggi ci godiamo una beatificazione fatta secondo il rito rapido e tumultuario delle promozioni sul campo, del “santo subito” che con papa Wojtyla ha travolto nella Chiesa di Roma le cautelose severissime regole varate secoli fa. Ora, non è tanto il personaggio del nuovo Presidente che è in questione. Di lui si tratterà di vedere in che modo riuscirà a tradurre nel corso di un settennato il programma del suo discorso al Parlamento.

Un discorso breve ma con spunti singificativi; anche di nobili accenti capaci di parlare al cuore migliore del Paese, come l’ammonimento nel nome di Stefano Taché ai tanti che in Italia alimentano l’intolleranza fascistoide e razzista del leghismo. Da oggi in poi vedremo come riuscirà a conciliare l’esigenza di “confermare il patto costituzionale” e i diritti fondamentali e la pari dignità che quel patto garantisce a tutti i cittadini con le riforme istituzionali portate avanti dal presente governo che di quella Costituzione stravolgono l’assetto.

E poi: ci sarà nei fatti quella dichiarata continuità col presidente Napolitano per quanto riguarda l’approvazione della nuova legge elettorale? Non dimentichiamo che Mattarella come giudice costituzionale ha contribuito a eliminare il Porcellum, con la motivazione che quella legge impediva agli elettori di scegliere davvero i rappresentanti.

E prendiamo sul serio le dichiarazioni in materia di corruzione e di obbligo di correttezza fiscale da parte dei cittadini anche se dispiace vedere risorgere il pregiudicato Berlusconi nelle vesti di invitato d’onore ai riti festivi. Ma intanto gioiamo tutti al miracolo della prima conversione operata dal nuovo santo: un Pdr ieri lacerato da contrasti profondi e sull’orlo della scissione oggi appare magicamente, impudentemente unito in un abbraccio concorde e pronto ad affrontare una ancor lunga e ben compensata convivenza nel Palazzo. E’ proprio vero quello che scriveva l’Ariosto: «Fu il vincer sempre mai laudabil cosa».

Arriva la #BalenaTricolore

«No, scusate, non mi convinco no: non ha vinto Renzi, ma ha abdicato questa sempre più logora sinistra che non ha gli strumenti culturali per descrivere uno slancio, per riuscire a vivere il momento “politicissimo” delle elezioni presidenziali un po’ più “in alto” di una settenaria riunione condominiale». Così scrive questa settimana su Left lo scrittore e attore Giulio Cavalli, commentando il clima di unanime consenso intorno all’elezione di un ex Dc, Sergio Mattarella,  a nuovo presidente della Repubblica.

A questo è dedicato lo sfoglio di apertura, non al ritorno della Balena bianca ma all’arrivo della Balena tricolore, quella nazionale costruita ad arte da Matteo Renzi. Molte le nostre voci, lo storico Adriano Prosperi,  il politologo Gian Enrico Rusconi, il segretario nazionale della Uaar Raffaele Carcano, la leader radicale Emma Bonino. Tutti preoccupati dall’assenza di laicità nella nostra classe politica, affetta da un “perbenismo”, così lo definisce Emma Bonino, paralizzante.

Qui da noi, come ci racconta Checchino Antonini, l’ipotetica nuova sinistra, non riesce nemmeno, come ha fatto Syriza in Grecia, ad ancorarsi e connettersi con tutti quegli esperimenti di welfare autorganizzato sul territorio: dai medici sociali ai gruppi di acquisto popolari.  Mentre nascono nuove sigle e partitelli dal senso ancora non pervenuto: Italia Unica, Noi Italiani, Popolari per il Sud.

Ci siamo poi occupati di Primavere arabe e di sentire cosa ne pensa di questo e dell’avanzata dell’Isis in Africa, il viceministro degli Esteri Lapo Pistelli. Per continuare con l’intervista di Simona Maggiorelli alla scrittrice angloindiana e premio Pulitzer Jhumpa Lahiri che ci racconta di come si sia innamorata dell’italiano e di cosa abbia rappresentato scrivere il suo primo libro nella nostra lingua: «è avvenuto un cambiamento creativo ma anche personale. In questo nuovo percorso linguistico sono rinata. Spero che questo libro sia un nuovo inizio». E tanto altro, scienza, fiction e altre passioni. Buona lettura.

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#LeftalMei il 6,7,8 febbraio alla Pelanda Factory di Roma

«La musica è una terapia, una delle migliori terapie che esistano». Sono parole del maestro Claudio Abbado. È a lui che è dedicato il ddl 1365, il disegno di legge “Disposizioni in materia di valorizzazione dell’espressione musicale e artistica nel sistema dell’istruzione”, depositato al Senato per iniziativa della senatrice Pd Elena Ferrara.

Ed è da qui che comincia l’avventura di Left: Cambiamo musica. «Non si studia la musica per diventare professionisti, esattamente come non si impara a leggere e a scrivere per diventare tutti scrittori e poeti. Si impara l’alfabeto per essere cittadini e comunicare con gli altri cittadini. Un’alfabetizzazione musicale di massa è l’unica rivoluzione che oggi può tenere assieme il nostro passato e il nostro futuro», ha scritto Paolo Fresu sulla nostra rivista, inaugurando la campagna di sostegno al ddl quasi un anno fa.

Perché un giornale spende tante energie per la musica? Perché è l’incanto che consente all’uomo di trasformare l’aria in qualcos’altro. Perché «il suono si propaga per un fenomeno di oscillazione dell’aria che poi l’uomo ha codificato in linguaggio», come ha spiegato per noi Mario Tronco dell’Orchestra di Piazza Vittorio. E perché, oltre a raccontare, qualche volta è necessario costruire la realtà, contribuire a migliorarla. E provare a trasformarla.

È quello che proveremo a fare dal 6 all’8 febbraio alla Pelanda Factory di Roma. E, in particolare la domenica, con gli Stati generali della nuova musica italiana. Proveremo a definire i nuovi confini dell’universo musicale nostrano: dai diritti dei lavoratori del settore ai diritti d’autore dei compositori. Dai grandi festival ai piccoli collettivi autorganizzati sui territori. Dall’Europa al più piccolo dei paesi di provincia. Ci proveremo, insieme al Mei, all’Arci, ai tanti musicisti e operatori che parteciperanno a questo evento. Perché con la cultura non solo “si mangia”, ma oltre al pane si possono avere anche le rose.

Il futuro della produzione indipendente

Coordinatore: Giampiero Bigazzi
Parola chiave: PRODUZIONE

Il presente e il futuro della produzione indipendente, coordinato da Giampiero Bigazzi della Materiali Sonori con gli interventi del musicista e produttore Stefano Saletti, del musicista Dario Cantelmo web music developer di Italy digital music, del produttore e musicista Massimo Bonelli di i-company. Si parlerà di sostenibilità economica e organizzativa dei progetti di produzione musicale; dalla produzione “fisica” a quella on line; c’è ancora un mercato per la musica registrata; c’è ancora la possibilità e la necessità di fare un’etichetta indipendente; quale può essere il suo ruolo nell’epoca del digitale e della musica liquida; l’autogestione e i compiti del produttore; i sistemi di autofinanziamento.

Il futuro dei festival per emergenti

Coordinatori: Roberto Grossi e Michele Lionello
Parola chiave: FESTIVAL

Il Tavolo di Lavoro – a cura di Roberto Grossi (Varigotti Festival / Carovana dei Festival)
Michele Lionello (Voci per la Libertà) – è rivolto ai festival strutturati per emergenti, alle associazioni, agli
 operatori e ai soggetti che, a diverso titolo, operano in tale settore
. Scaletta di massima dei temi da trattare: Ricognizione sullo situazione attuale dei festival per emergenti: le realtà e le
 esperienze in atto.
- Gli obiettivi: quali spazi e opportunità per gli artisti emergenti.
- Fare “rete”. Esperienze e proposte per condivisioni ed econimie e di scala
- La ricerca delle risorse. Autofinanziamento, sponsorizzazioni, finanziamenti pubblici
- Il ruolo dei media: l’assenza del servizio pubblico televisivo ed il coinvolgimento
delle radio
- Gli “headliner” ed il rapporto con le agenzie di Booking
- Le criticità organizzative e il rapporto con gli Enti Locali
. Le richieste al Governo ed agli Enti Pubblici e l’assenza/presenza della Rai.

La musica live e le città (Arci e Arci Real)

Coordinatori: Carlo Testini e Lorenzo Siviero
Parola chiave: LIVE

C’è la crisi. Vero. Difficile organizzare eventi musicali. Vero. Mancano spazi per il Live. Vero. In Italia non c’è ancora una politica organica a favore della musica. Vero. Fortunatamente la creatività musicale del nostro Paese è viva e vegeta. In ogni ambito e genere. Ma non è facile organizzare eventi Live, pur essendo diventato ambito fondamentale per il sostegno e lo sviluppo del mondo della musica. Soprattutto per il mondo indie e dintorni. Allora è necessario trovare nuovi strumenti per facilitare la vita di chi organizza musica live, per sostenere gli artisti, per semplificare procedure dei Comuni e abbattere costi non più sostenibili. A voi la parola! Carlo Testini e Lorenzo Siviero (Arci e Arci Real) ne parlano con Adriano Bonforti (Patamu), Pietro Camonchia (Metatron), Celeste Costantino* (Sinistra, Ecologia e Libertà), Daniela Esposito (l’Asino che Vola), Pier Luigi Ferrantini (RadioRai 2), Gianni Pini (I-Jazz), Tommaso Sacchi (FI)*, Vincenzo Santoro (Anci), Vincenzo Spera (Presidente di Assomusica), Giulio Stumpo (SMartit), Veronica Tentori (Partito Democratico), Andrea Valeri *(Assessore alla Cultura del Municipio I – Comune di Roma).

Cambiamo musica (Left)

Coordinatrice: Donatella Coccoli
Parola chiave: FORMAZIONE

Un tavolo per fare il punto su musica e formazione, dall’asilo ai conservatori. A che punto è il ddl Abbado? E la campagna di alfabetizzazione musicale? Con Checco Galtieri, coordinatore Forum nazionale per l’educazione musicale; Annalisa Spadolini, didatta, Miur; Giuseppe Speranza docente Conservatorio Bari, sindacalista Flc Cgil; Giuliana Pella, Scuola popolare di Testaccio; Giovanni Piazza didatta Orff scuola di Donna Olimpia Roma; Maria Cristina Paciello insegnante liceo classico Tasso, Roma; Serena Ciardi, insegnante Istituto comprensivo Regina Margherita Roma.

Dall’indipendenza all’autorganizzazione

Coordinatrici: Tiziana Barillà e Cristina Brizzi
Parola chiave: AUTORGANIZZAZIONE

Tavolo di incontro tra le reti e i collettivi autorganizzati nati ultimamente e spontaneamente in tutta Italia. Vuole essere l’occasione per l’incontro tra le reti e i collettivi di musicisti (e non solo) autorganizzati e nati ultimamente (e spontaneamente) in tutta Italia. Un incontro, quindi. Perciò chiedo a ognuno di voi di venire a rappresentare la vostra realtà a questo “tavolo”. L’obiettivo? Conoscere e conoscersi. Raccontare le proprie esperienze e ascoltare quelle degli altri, tentare di stendere un manifesto che metta insieme le esigenze e le difficoltà comuni. E perché no? Magari, riuscire a creare un network tra “simili”. Saranno presenti: collettivo (L)imitazione – Reggio Calabria, Bee your concert – Roma, I Camillas – gruppo indie da Pesaro, Fusoradio – web radio, Radio Zammù – Catania, Radio Lab – web radio, Selva Elettrica – net label, NO-DE – piattaforma per la creatività, RAM – Rete Abruzzo Musica e altri ancora.

I lavoratori della musica (Cgil)

Coordinatori: Enrico Massaro (Slc Cgil), Umberto Carretti (Slc Cgil), Tito Russo (Flc Cgil)
Parola chiave: LAVORO

Dagli orchestrali ai montatori di palco la condizione e situazione di chi lavora nel settore. Contratti, Welfare e Sicurezza: diritti di Artisti e tecnici insieme per lo spettacolo. Evoluzione del settore  alla luce del CCNL per i Lavoratori dello Spettacolo in cooperativa e del Decreto Palchi. Con Chiara Chiappa (Legacoop Cultura), Saro Lanucara (consigliere nazionale Arci), Giulio Stumpo (direttore SmartIT, la mutua dei lavoratori dello spettacolo), Indiana Raffaelli (responsabile SIAM-Sindacato Artisti della Musica), esperti di Sicurezza nello spettacolo.

Il futuro della gestione collettiva del diritto d’autore in Italia

Coordinatore: Andrea Marco Ricci
Parola chiave: DIRITTO D’AUTORE

Tavola rotonda tecnica, con i rappresentanti degli autori/compositori e degli editori musicali, e la Siae affinché si possa avviare un confronto sull’idea che la reale categoria dei titolari dei diritti, ha in prospettiva, di come la gestione collettiva del diritto d’autore dovrebbe essere normata in Italia, anche alla luce della prossima introduzione in Italia (entro febbraio 2016) della “Direttiva Collecting” 2014/26/UE. Saranno presenti: Fabio Massimo Cantini Presidente S.N.A.C. (Sindacato Nazionale Autori e Compositori), Francesco Fiumara Segretario S.N.A.C. (Sindacato Nazionale Autori e Compositori), Alessandro Angrisano – Presidente di ACEP, Tommaso Zanello – Presidente AIA, Biagio Proietti – Membro del Consiglio di Gestione della SIAE

L’editoria indipendente, editoria e giornalismo nel rapporto con la musica (Exit Well)

Coordinatori: Francesco Galassi e Riccardo De Stefano
Parola chiave: EDITORIA

Un’occasione di confronto e discussione per superare insieme il momento di crisi in cui versa la nostra musica e per gettare le fondamenta della nuova scena musicale italiana. In un’epoca in cui sia l’editoria che la musica soffrono di una crisi sensibile l’editoria musicale non può che subire il peggio dell’una e dell’altra crisi. Oggi più che mai però l’informazione musicale può avere un ruolo centrale nel processo di crescita e sviluppo di tutto l’ambiente musicale. Questa occasione di confronto ci viene incontro e ci offre l’occasione di cambiare le nostre prospettive e di scoprire che il dialogo può rappresentare un enorme vantaggio per l’attività di tutti, ma soprattutto per l’ambiente musicale.

La musica in video: il videoclip

Coordinatore: Fabrizio Galassi
Parola chiave: VIDEO

Equiparazione dei Videoclip ai Film e Documentari. Accesso ai fondi pubblici, creazione di circuiti, sezioni e festival dedicati, il ruolo delle Film Commission e il Tax Credit. Il PIVI organizza una tavola rotonda con i videomaker e registi di videoclip per la creazione di un documento ufficiale da presentare agli organi competenti. L’incontro ha come scopo quello di intercettare le richieste, le difficoltà, i possibili sviluppi culturali ed economici che possono scaturire dall’equiparazione dei videoclip a quello di lungometraggi e documentari.

L’Europa e la Musica

Coordinatore: Gianluca Polverari
Parola chiave: EUROPA

Tavolo promosso dai membri italiani di  CAE Culture Action Europe, offre una panoramica sui finanziamenti europei, diretti e indiretti, legati al mondo artistico-culturale per la formazione, produzione e circuitazione  con particolare attenzione allo sviluppo delle reti internazionali di cooperazione. Saranno presentate le linee di finanziamento esistenti, le opportunità, le modalità e gli strumenti di accesso  illustrando anche programmi e progetti già finanziati con successo. Con Giulio Stumpo (SMartit), Patrizia Braga (Melting Pro), Cristina da Milano (ECCOM), Carlotta Garlanda (Project Manager), Pino Boccanfuso (Festa Europea della Musica), Davide Cardea (MEGASOUND), Marianna Massimiliani (LIVEUROPE/Circolo degli Artisti Roma).

Scrivere la tradizione. Lo stato dell’arte sulla ricerca nella musica tradizionale italiana

Coordinatore: BlogFoolk
Parola chiave: TRADIZIONE

Partendo da un’analisi degli attuali studi nel campo etnomusicologico, la discussione spazierà attraverso le problematiche della conservazione, della tutela e della diffusione del patrimonio della tradizione musicale italiano, per toccare le relazioni tra tradizione e tradimento, tradizione ed innovazione, tradizione e sperimentazione che attualmente caratterizzano le principali produzioni discografiche della scena world e trad italiana. Al tavolo, coordinato da Salvatore Esposito, direttore editoriale di Blogfoolk, partecipano Vincenzo Santoro ricercatore, e operatore culturale, Domenico Ferraro e Valter Colle di SquiLibri e Nota, gli accademici Giancarlo Palombini e Maurizio Agamennone e Ciro De Rosa, direttore responsabile di Blogfoolk, e collaboratore di Songlines e del Giornale della Musica. A margine della tavola rotonda sarà consegnato a Riccardo Tesi il premio “Blogfoolk Choice – Disco dell’anno World Music” in collaborazione con MEI per “Maggio”.

Alluvione di cemento

Una serie di bollettini meteo che hanno il sapore di quelli di guerra hanno caratterizzato la cronaca negli ultimi anni. Terribili alluvioni hanno sommerso intere zone dell’Italia e con loro i sacrifici e le vita di molte persone: Giampilieri (Messina) 2009, Vicenza e Padova 2010, Cinque Terre (La Spezia) 2011, Genova 2011 e 2014, Maremma grossetana 2012 e 2014, Olbia 2013, Carrara 2014, Milano 2014, Senigallia e Chiaravalle (Ancona) 2014, Refrontolo (Treviso) 2014. L’elenco potrebbe continuare a lungo. Anche se questi fenomeni atmosferici sono stati definiti “straordinari” perché in quelle zone “non pioveva così da oltre cent’anni”, le “bombe d’acqua” non sono l’unica causa dei disastri.

Da decenni il rischio idrogeologico non si affronta con efficacia, complici la cementificazione dissennata di zone già caratterizzate da una difficile situazione fluviale e la mancanza di coordinamento nella prevenzione con un continuo “mettiamoci una pezza”. Si poteva intervenire prima e si potrà fare qualcosa per il futuro? Per il responsabile scientifico di Legambiente, Giorgio Zampetti, «è necessario invertire la tendenza secondo la quale fino ad oggi si è pensato di affrontare il dissesto idrogeologico attraverso interventi che hanno mutato sempre più la condizione naturale dei corsi d’acqua».

Ma c’è anche da invertire la rotta rispetto al refrain delle mega-opere: «Servono politiche di gestione del territorio efficaci e meno dispendiose dei grossi interventi strutturali – precisa l’esperto di Legambiente -. Invece di costruire argini con strutture molto costose, fatte per difendere aree agricole che continuano ad allagarsi, si può pensare che quelle zone dei fiumi possano essere allagate in caso di piena, così da creare spazi di contenimento e prevedendo al contempo un indennizzo per gli agricoltori».

In seconda battuta è necessaria una legge che coordini gli interventi su scala di bacino, «nel senso che se si vuole costruire un argine per proteggere un Comune che sta a metà di un corso d’acqua, si deve intervenire conoscendo la situazione lì dove nasce il fiume e prevedendo cosa succederà a valle, nella foce, una volta fatti i lavori». Un aspetto altrettanto importante riguarda le zone a rischio messe in sicurezza ma poi rese edificabili. «Nel caso dell’alluvione di Carrara, è accaduto che una zona R4 (il livello di rischio massimo, ndr) ha subito interventi di messa in sicurezza, a seguito dei quali l’area è stata classificata di pericolosità inferiore. Così, in molti casi in quelle zone si è costruito: questo non è più ammissibile».

L’estate scorsa è stata inaugurata Italiasicura, la struttura di missione della presidenza del Consiglio contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, coordinata da Erasmo D’Angelis, che spiega a Left: «Lo scandalo italiano degli ultimi trent’anni, la vera vergogna nazionale, che riguarda la politica ma anche i “furbi”, è stato l’aver avuto la possibilità scientifica ed economica di fare della sana prevenzione, evitando scempi che hanno massacrato il territorio, ma non aver mai intrapreso questa strada».

Uno dei target di Italiasicura è la prevenzione, strumento essenziale se ben utilizzato, e al primo posto c’è l’urbanistica. «Negli ultimi trent’anni ci sono stati tre condoni edilizi, una legislazione nazionale senza controllo e regolamentazioni regionali che hanno permesso di tutto – lamenta D’Angelis -. La cementificazione sregolata ha fatto sì che interi corsi d’acqua sono stati cementificati, deviati, raddrizzati, tombati. Questa idraulica che ha coperto i fiumi, specie a ridosso e dentro le città, ha avuto alla base delle valutazioni sbagliate: sono stati intubati dentro delle bombe a orologeria pronte a esplodere e che sono scoppiate nel tempo. Mi riferisco ad esempio a Genova, dove nel 1920 si è detto che la piena del Bisagno era di 500 metri cubi d’acqua, mentre invece è arrivata a 1.400».

Nell’incapacità di coordinare interventi condivisi a livello nazionale, fino ad oggi si è fatto un uso eccessivo delle misura d’urgenza. Il coordinatore di Italiasicura promette di non ripetere gli errori del passato: «L’incubo dell’inseguimento dello stato d’emergenza ha paralizzato un Paese che non ha mai voluto fare prevenzione, trasformandolo in un tristissimo notaio dei disastri. Ma la cosa che mi manda in bestia è che abbiamo sempre avuto ministri dell’Ambiente o dei Lavori pubblici che hanno detto “servono un tot di miliardi per sistemare l’Italia”. L’ultimo è stato Clini… “Ma per fare che?” mi domando io.

Di fronte a cifre sparate a caso, quando siamo arrivati qua abbiamo chiesto un elenco delle opere e degli di interventi necessari per mettere in sicurezza il Paese alle regioni, alle autorità competenti e alla Protezione civile. Certo adesso ci vogliono almeno sei o sette anni di lavoro». Perché queste parole non siano un ennesimo spot, magari un po’ più articolato di quelli sentiti negli anni passati, è necessaria una sinergia tra Stato, Regioni, Comuni e autorità di riferimento. «Al cittadino deluso chiediamo di denunciare le opere sospette che vede realizzare nella propria città – è l’appello dell’ex sottosegretario – In più, le Regioni devono rendere inedificabili le zone a rischio.

Intanto tracciamo il quadro delle delocalizzazioni in itinere grazie al “Collegato ambientale” che si voterà a breve in Senato e che stanzia i primi 10 milioni per spostare le costruzioni che ostruiscono i corsi dei fiumi. Un esempio è il Gargano, dove secondo un report di Forestale e Carabinieri di un mese fa ci sono 50 costruzioni abusive costruite nelle fiumare. Oppure in positivo, la situazione di Messina, dove il sindaco Renato Accorinti ha bloccato un milione di metri cubi di cemento: parliamo di costruzioni definite nel piano regolatore e previste nell’alveo dei fiumi».

La prevenzione di per sé ha costi bassi ma deve fare i conti con i poteri forti e con le casse dello Stato: il nuovo ciclo di opere da realizzare scontenterà qualcuno e ha bisogno di grosse coperture economiche. «C’è una necessità di circa 20 miliardi di euro spalmati su tutte le regioni per un totale di settemila opere – precisa Erasmo D’Angelis -. Di queste le cantierabili sono il 10% e costituiscono, comunque, un punto zero drammaticamente vero dal quale iniziare. Il resto sono studi di fattibilità, progetti ancora da finanziare o da iniziare.

Un esempio per tutti è il caso di Olbia, dove le risorse non si possono spendere perché non ci sono progetti che possano diventare cantieri». Ma dove si trovano le risorse e come spenderle? «Nelle 14 città metropolitane italiane abbiamo un miliardo da spendere in opere cantierabili e qui “la parte del leone” la fa Genova con circa 400 milioni in progetti già esecutivi – chiarisce il coordinatore di Italiasicura -. In più c’è un ritaglio di cinque miliardi di investimenti di fondi di sviluppo e coesione, cioè il ciclo europeo 2014-20 che inizierà tra un anno, e l’impegno delle Regioni a mettere altri due miliardi di co-finanziamenti. Quindi altri sette miliardi da spendere man mano che i progetti arrivano a cantiere.

Anche se oggi avessimo i 20 miliardi complessivi, non li potremmo spendere perché dovremmo aspettare che i progetti siano cantierati». Un programma ambizioso, tutto da realizzare, che i cittadini potranno monitorare vigilando sul territorio e navigando sul sito web georeferenziato italiasicura.governo.it.