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Dialoghi, Biancamaria Scarcia Amoretti e Sara Cabibbo

Il mondo musulmano e il mondo occidentale cristiano attraverso le voci  della professoressa Biancamaria Scarcia Amoretti, professore emerito di Islamistica alla Sapienza di Roma e massima esperta di religione musulmana in Italia e Sara Cabibbo, medievalista, esperta di cristianesimo. Un confronto per capire come nei secoli le due religioni si siano stratificate nella società e nella cultura.  E se ci sia la possibilità per un nuovo dialogo.

l’intervista integrale su left in edicola da sabato 31 gennaio 2015

INFOGRAFICA #MattarellaPresidente

Tutti i numeri per #MattarellaPresidente. I voti su cui potrebbe contare Renzi per l’elezione di Sergio Mattarella al quarto scrutinio.

Mattarella, tre cose da sapere sul futuro Presidente

Autorevolezza, esperienza, con una storia personale limpida. Un uomo con la schiena dritta, un fine conoscitore del sistema, un politico come pochi, una figura stimabile insomma, e, da non sottovalutare, in grado di unire il Pd. Queste le peculiarità che il premier Matteo Renzi sta spendendo per caldeggiare la candidatura di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica.

Tuttavia l’elezione non avverrà certo entro i primi 3 scrutini. Nonostante l’ampia convergenza sul nome, raggiunta all’ultimo minuto anche grazie al favore di Sel, il quorum fissato è ancora troppo alto. Renzi spera nell’elezione al Quarto scrutinio, dove per raggiungere il quorum basta una maggioranza assoluta (metà dei voti più uno). Secondo i pronostici sarebbero almeno 582 i grandi elettori, tra Pd, Sel, Gal, Scelta Civica e autonomi, pronti a garantire il sostegno al premier alla quarta votazione sul nome di Mattarella. Al momento non convergono sul nome dell’ex ministro Dc: Silvio Berlusconi e Forza Italia, Nuovo Centro Destra e Lega Nord. M5S pur continuando a votare Imposimato, valuterà una convergenza sul nome alla quarta votazione.

Perché a Berlusconi e Ncd non è gradito il nome di Mattarella?

Nonostante entrambi i partiti dichiarino indubbia la validità del nome, Forza Italia e Ncd si ostinano a ribadire che c’è un disaccordo sul metodo con il quale è stato scelto Mattarella. Un metodo tutto renziano che non ha considerato le preferenze dei due partiti di centrodestra, orientati su Amato e Finocchiaro, per non spaccare il Pd, piuttosto che mantenere saldo il Patto del Nazareno fortemente inviso alla minoranza democratica. Un’altra ragione di questa “antipatia Quirinale” va ripescata nella legge Mammì con cui di fatto nel 1990 si regolarizzò l’esistenza delle tre reti televisive berlusconiane, favorendo il gruppo Fininvest. L’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti pose la fiducia sull’approvazione della Legge Mammì, ma la reazione di parte del Governo fu immediata e 5 ministri della sinistra Dc si dimisero dall’incarico. Tra loro il probabile futuro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Mattarella potrebbe essere l’uomo giusto?


Sicuramente per il grande pubblico ha l’aura di una figura autorevole, del politico per bene, pulito. Mattarella (classe 1941) fratello di Piersanti, assassinato da Cosa Nostra quando era presidente della Regione Sicilia, si affaccia al mondo della politica giovanissimo, entrando a far parte della Gioventù studentesca dell’ Azione Cattolica. Ben presto diventa uno dei protagonisti della nascita della Dc, ricoprendo ruoli importanti e di prestigio fin dal governo Moro del 1966, e divenendo più volte ministro nei governi a guida democristiana, come il padre Bernardo. Oltre alla firma sulla legge elettorale, il famoso mattarellum, ricordiamo quando da ministro della Difesa, correva l’anno 2000, abolì la leva obbligatoria. Sicuramente per la lunghissima carriera politica può essere considerato un fine conoscitore della macchina statale.

Eppure quello di Sergio Mattarella non è un nome conosciuto e stimato all’estero e tanto meno è un nome di rottura. Più che portatore di un nuovo corso infatti, sembra essere il simbolo di un mondo politico che, mentre dice di guardare avanti, torna indietro. Inghiottito dalla “grande balena bianca” che segnò la storia non troppo encomiabile della Prima Repubblica.

Perchè Renzi ha scelto Mattarella?

Mattarella è stato definito “una presenza politica sempre all’insegna della discrezione”. I maligni potrebbero pensare che, oltre all’indubbio background politico culturale comune, per il Premier questa sia una ragione sufficiente per puntare tutto sull’ex ministro siciliano.

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Business ostaggi

Su questo terzo numero di Left tornano Paolo Cacciari e le sue rivoluzioni e la satira di Bebo Storti. Ma non solo, scriviamo di una “buona idea” e lo faremo ogni settimana e sorrideremo alla lettura di Antonio Pronostico e Saro Poppy Lanucara, autori di una nuova rubrica buffa dal titolo “Epica filatelica”.

Flavia Cappellini e Adriano Manna sono stati ad Atene per noi e ci raccontano l’emozione della piazza alla vittoria di Syriza e le prime impressioni dell’economista Udry, consigliere di Alexis Tsipras.

Ma dopo la polemica a tratti grottesca sul pagamento del riscatto per le due cooperanti Greta e Vanessa finalmente tornate a casa, Left ha deciso di dedicare la copertina proprio ai sequestri e a quello che è diventato un vero e proprio business dei sequestri. Giacomo Zandonini ci racconta che solo nel 2014 sono stati quarantamila e che a guadagnarci non sono stati soltanto i terroristi ma anche le compagnie assicurative.

Imperdibile il fondo di Giuliana Sgrena che ci ricorda: “Una vita umana vale più di qualsiasi migliaio di dollari e lo Stato ha sempre il dovere di pagare per liberare”.  La retorica della spesa eccessiva si potrebbe ovviare in altro modo, ad esempio annullando l’acquisto dei cacciabombardieri F35.

E poi tanto altro, uno speciale dedicato ad alluvioni e cemento e alla gestione dell’emergenza; una storia bella, come lo sono le storie vere: quattro amici, un pulmino e una onlus. Grandi eventi e grandi sprechi alimentari che diventano occasioni di benessere per molti altri, questa è Ecoeventi.

Un lunga intervista alla storica Maria Scarcia Amoretti sull’Islam e i monoteismi, un approfondimento sulla conquista dell’Africa da parte dell’Isis e sui fatti recenti in Egitto di Umberto De Giovannangeli. Per chiudere con una splendida graphic novel, Alessio Spataro racconta la storia di Alejandro Finisterre, l’inventore del biliardino. Le interviste allo scrittore Norman Manea, al filosofo Giacomo Marramao e a un grande street artist, Agostino Iacurci. Buona lettura.

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#QuirinaLeft l’elezione del Presidente della Repubblica

#QuirinaLeft Il live tweet di #left per l’elezione del Presidente della Repubblica.


INFOGRAFICA: #QuirinaLeft 5 cose da sapere sui #GiorniDelColle

Dalla supplenza del presidente del Senato Pietro Grasso fino alla strategia del Partito Democratico per l’elezione del Presidente della Repubblica. Le votazioni, gli scrutini e il Patto del Nazareno, eterno convitato di pietra di questa legislatura.

#MeiLeft Roma Caput Indie, dal 6 all’8 febbraio i Premi degli Indipendenti

Dal 6 all’8 febbraio il Mei, Meeting delle Etichette Indipendenti festeggia a Roma i suoi 20 anni con il “Premio degli Indipendenti – Roma Caput Indie”: il PIMI Premio Italiano Musica Indipendente e il PIVI Premio Italiano Videoclip Indipendente, i premi più noti della scena musicale indie italiana.

Ideati da Giordano Sangiorgi, i due più importanti riconoscimenti dedicati alla musica e all’arte del videoclip sono rispettivamente coordinati dai giornalisti Federico Guglielmi e Fabrizio Galassi e aggiudicati grazie a giurie di tecnici ed esperti del settore.

Durante i tre giorni, oltre all’assegnazione dei premi, concerti con i migliori nomi della scena indie italiana, proiezioni di videoclip, incontri, presentazioni, anteprime assolute e una giornata dedicata agli Stati Generali della Nuova Musica in collaborazione con diverse realtà nazionali e romane.

Dettagli, info e programma completo nel sito del MEI: http://goo.gl/JafbcJ

Vincono il PIMI 2014 per le migliori produzioni indipendenti italiane dell’anno: Virginiana Miller,  Le Luci della Centrale Elettrica, Bud Spencer Blues Explosion, Riccardo Sinigallia, Soviet Soviet e Foxhound.

Vincono il PIVI 2014 per i migliori videoclip indipendenti dell’ultima stagione: Marta sui Tubi con Franco Battiato ex-aequo con Zen Circus, Salmo, Paolo Benvegnù, Mannarino, Fast Animals and Slow Kids e Be Forest

La manifestazione è realizzata con il sostegno di Roma Capitale – Assessorato alla Cultura, Creatività,  Promozione Artistica e Turismo – Dipartimento Cultura – Servizio Spettacoli ed Eventi  in collaborazione con l’Assessorato Scuola, Sport, Politiche Giovanili e Partecipazione.

Tra i primi partner: Arci Roma, Arci Fanfulla, AudioCoop, Rete dei Festival, Radio Città Futura, RCA, Radio Popolare Roma, Maxsi Factor, Radio Rock, Leave Music, Indie Sound Better, Poche Parole, Materiali Sonori, Voci per la Libertà, Carovana dei Festival, Davvero Comunicazione, Vololibero, Ibs Roma, Strategie di Comunicazione, Radio Rai WR8, Associazione L’Uno per Mercato Equo e Solidale musicale, Tamurriata Rock, 100decibel, CheapSound, ALT!, Just Kids , Radio Kaos, iCompany, Italy Digital Music e tanti altri.

Organizzazione MEI: Giordano Sangiorgi, Roberta Barberini, Cinzia Magnani, Michela Verrillo

Per Arci: Saro “Poppi” Lanucara, per AudioCoop Fabiana Manuelli

Per Left: Tiziana Barillà

Curatori Pimi e Pivi: Federico Guglielmi e Fabrizio Galassi

Patrioti contro l’Islam, l’intervista a Tomasz Konicz

L’effetto attentato di Charlie Hebdo a Parigi non si è fatto aspettare. Alla settimanale marcia di lunedì 12 gennaio scorso, i simpatizzanti di Pegida – losco acronimo per “Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente” – avevano già raddoppiato passando da 10mila a 25mila persone.

Da ottobre scorso questo nuovo movimento di estrema destra, nato nella storica martoriata città di Dresda, è cresciuto in modo esponenziale. Le marce mobilitano la galassia di fascisti e neonazisti, ma grazie a internet e social media, attraggono soprattutto centinaia di “tedeschi ordinari”.

Gli slogan? Sbarrare la strada all’islamizzazione della società tedesca e al multiculturalismo, che diluirebbe la cultura cristiana tedesca. Nei cortei, croci teutoniche e tutti i simboli del nazionalismo. L’amalgama: l’annoso tema dell’immigrazione. In un Paese che è diventato primo destinatario di rifugiati nell’Ue, il movimento chiede la fine del diritto di asilo e le deportazioni dei migranti. Al raduno della galassia neonazista, fascista e hooligans, tra eccessi di odio e tensione, alla fine delle parate sono avvenuti vari episodi di aggressioni a sfondo razziale.

Proprio la notte di lunedì 12 gennaio, giorno della “Montagsdemo”, un rifugiato politico eritreo Khaled è stato assassinato. E da mesi si moltiplicano gli attacchi agli stranieri e ai centri di accoglienza: insulti, calci, intimidazioni, in un clima di vera e propria caccia all’uomo. Sono tanti i rifugiati che temono per la propria pelle e dichiarano di voler lasciare la città. Se per il momento il centro delle marce è la Sassonia, tradizionalmente di estrema destra, Pegida sta già diventando un movimento regionale e potrebbe rapidamente estendersi alla Rühr, colpita dalla deindustrializzazione e dove da anni è radicato un imponente movimento neonazi.

Pegida gode anche di simpatie nel resto del Paese, come rivelano recenti sondaggi: circa il 60 per cento dei tedeschi pensa che il go- verno non abbia fatto abbastanza per prevenire l’immigrazione, e un terzo è convinta che sia in corso una tendenza all’islamizzazione della Germania. In meno di 3 mesi, nel cuore della Germania, Pegida è diventato un mo- vimento di massa. Come?

Lo abbiamo chiesto a Tomasz Konicz, autore di Krisenideologie e di vari articoli, tra cui un’Antologia che uscirà a breve per Stampa alternativa. Konicz è un attento osservatore del fenomeno della crisi nel suo Paese.

Tomasz Konicz, il rigetto dell’Islam è davvero il substrato ideologico del movimento Pegida o esso manifesta una più generale xenofobia anti migranti?

L’anti islamismo sembra il semplice detonatore di questo movimento marcatamente razzista. Permette a questi cittadini di esprimere apertamente per strada la loro xenofobia. Nel loro manifesto non si trovano appelli alla lotta contro l’estremismo islamista o lo Stato Islamico, ma chiamate a una mano forte nei confronti dei migranti e a deportazioni verso i loro Paesi di origine. La retorica islamofoba, però, ha guadagnato un nuovo consenso dopo gli attentati di Parigi e l’intero movimento ha fatto un balzo in avanti. D’altronde, esiste una strana correlazione tra estremisti islamisti e estremisti di destra, entrambi traggono vantaggio dall’escalation della violenza rispettiva, spingendo per “una guerra tra culture”, per conquistare l’egemonia culturale.

In meno di 3 mesi le marce sono cresciute vertiginosamente, conquistando migliaia di tedeschi a ogni raduno. Ci sono le condizioni per uno “tsunami” nazionale?

È difficile fare previsioni, il movimento potrebbe consolidarsi e diventare un tassello del panorama politico tedesco, se si consolida l’alleanza con il nuovo partito Alternative für Deutschland (Afd). Potrebbe anche estendersi ad altre nazioni se nuovi attentati di matrice islamista dovessero accadere. Decisamente preoccupante è il tentativo delle élite tedesche di inglobare Pegida, senza chiaramente condannarlo. In particolare, tra le fila del partito conservatore di Angela Merkel, la Cdu, alcune voci esprimono comprensione per questo movimento. E i media mainstream sono divisi tra rigetto e approvazione. Anche se Pegida dovesse rifluire, il potenziale razzista rimane intatto: si profila un’influenza crescente dell’estrema destra e della sua ideologia in Europa.

Pegida è nato a Dresda, la città tedesca rasa al suolo durante la Seconda guerra mondiale, poi socialista… una strana continuità storica dal nazismo allo stalinismo. Quali sono le ragioni più profonde e nascoste di questo movimento tedesco?

Se si vuole afferrare le ragioni più pro- fonde di Pegida, bisogna in primis af- frontare le crisi sistemiche del capitalismo e della crisi europea. Aggravata in Germania dalle brutali riforme sociali e dai tagli (Agenda 2010), dal degrado delle condizioni di lavoro e degli stipendi nel Paese più ricco d’Europa. Ciò ha prodotto una “brutalizzazione” della società tedesca, sentita specialmente dalla classe media: esclusione di intere fasce della popolazione, competizione sul mercato del lavoro e paura di perdere il proprio status (quasi tutti i simpatizzanti di Pegida si lamentano di bassi salari e pensioni). Su questo terreno fertile, le ideologie razziste dell’esclusione hanno trovato crescente popolarità. Non dimentichiamo il brodo culturale degli ultimi anni: il dibattito intorno al best seller di Thilo Sarazzin sugli immigrati musulmani, di cui una parte delle élite tedesche ha sposato le tesi darwiniste e apertamente eugenetiche; la crisi dell’euro carica di odio verso “quei fannulloni pigri europei del Sud”; e, infine, l’apparizione di Alter- native für Deutschland, una forza elettoralmente nuova che in pochissimo tempo si è imposta alle urne. Pegida è il risultato di questo lungo processo di radicalizzazione della società tedesca.

Questo insorgere di un movimento razzista nel cuore della Germania, può essere interpretato come neonazismo o è un fenomeno totalmente nuovo?

La somiglianza con l’ascesa del fascismo di tipo anni Trenta è ovviamente seducente, perché siamo di fronte a una grave crisi sistemica del capitalismo. Per me, il fascismo è in realtà un’“ideologia della crisi”( krisis-ideologie ) che riguadagna sempre terreno in tempi di crisi. L’emergenza del razzismo è dovuta in parte alla paura, che viene proiettata sugli stranieri. I simpatizzanti di Pegida pensano di poter rimediare alla crisi facendo fuori i migranti e chiudendo le frontiere. Assurdamente incolpano gli stranieri per il crollo del loro livello di vita. Questo “estremismo del centro”, porta a una ribellione conformista, essenza stessa del fascismo. Questi lavoratori si sentono sfruttati ma sono incapaci di rivoltarsi contro il sistema capitalista e la struttura del potere autoritario, in cui si identificano. Riversano quindi la loro frustrazione contro i più deboli, già marginalizzati e “diversi”. L’ideologia dominante legittimando tutte le forme di esclusione si dirige verso la sua forma più estrema, quella razziale. La situazione diventerà davvero pericolosa se le élite, per preservare il loro potere, decideranno di prendere questa direzione.

Escludere gli altri per mantenere la propria identità?

Stiamo assistendo al risorgere della politica dell’identità, dal nazionalismo al separatismo. Quando tutto crolla intorno a sé, la società è spiazzata, la gente cerca capisaldi nella propria identità a cui si aggrappa e da cui espellere gli elementi stranieri. Ciò spiega la costante crescita dei movimenti islamisti e nazionalisti negli ultimi anni. Nei Paesi arabi colpiti dalla miseria, il credo religioso, alla base dell’identità, viene manipolata dagli islamisti verso forme estremiste di ideologia. Di fatto, lo Stato Islamico è un’organizzazione para religiosa fascista che ha eretto il suo potere sulle rovine del Medio Oriente. In Europa, l’identità nazionalista apre la porta all’ideologia della crisi fascista. In realtà, sia il fascismo europeo che l’islamismo arabo sono due versioni, cultural- mente diverse, di una stessa irrazionale crisi delle ideologie.

I diritti chiamano. Nessuno risponde

Tre fenomeni accompagnano il tema dei diritti civili nel nostro Paese: per la sinistra non sono una priorità dell’agenda politica, la destra se ne ricorda solo per proibire e osteggiare spazi di libertà individuali, i tribunali e la Corte costituzionale sono costretti a cogliere i cambiamenti sociali.

Vanno sicuramente riconosciute delle eccezioni all’interno dei partiti, le quali esprimono il desiderio di rafforzare l’interesse per il tema o anche farsi portatori di riforme, ma in generale la politica da moltissimi anni è in ritardo rispetto alle manifestazioni di espressione delle libertà individuali dei cittadini italiani.

Pensiamo ai matrimoni gay, ad una legge sul fine vita come quella depositata alla Camera dei deputati dall’Associazione Luca Coscioni e mai discussa, alla fecondazione assistita più volte proclamata incostituzionale.

Se pensiamo agli anni Settanta e all’affermazione dei diritti civili vissuta 40 anni fa – legge sull’aborto, riforma del diritto di famiglia, legge sul referendum – oggi siamo costretti a definirci degli incivili, a prendere atto di una regressione politica e culturale sul tema.

Renzi lo scorso settembre , nel suo discorso alle Camere per fare il punto sul suo programma, aveva dichiarato: «Entro la fine dei Mille giorni ci sarà una legge sui diritti civili», non ha l’aria di un contentino last minute? E la destra, invece, lascia ai Sacconi, ai Gasparri, alla Roccella gridare alla scomunica quando qualcuno si permette di negoziare e rivisitare in chiave liberale concetti come vita, morte, nascita, matrimonio. La conseguenza dell’indifferenza della politica nei confronti delle libertà individuali potrebbe tradursi in una frase apparentemente banale ma in realtà rivelatrice: c’è un telefono che squilla ma nessuno risponde.

I cittadini italiani, pur se distratti in massa dalle urgenze economiche, quando messi a conoscenza dei propri diritti di libertà, cominciano a pretenderli, ma chi dovrebbe garantirli si volta all’altra parte o addirittura li limita. Lo abbiamo visto con la legge 40 sulla fecondazione medicalmente assistita; su tre aspetti si è pronunciata la Corte costituzionale – ultimo quello sul divieto di eterologa – definendola incostituzionale, mentre la politica non vuole mai intervenire per sopprimere quelle norme chiaramente lesive dei principi di uguaglianza e autodeterminazione in materia di inizio vita.

Il 14 aprile ci aspetta un altro importante appuntamento dinanzi alla Consulta che dovrà decidere se il divieto di accedere alla tecniche di Pma per le coppie fertili ma portatrici di patologie genetiche è incostituzionale. E poi ci sarà anche la decisione sulla possibilità, ora vietata, dell’utilizzo degli embrioni per la ricerca scientifica. Due aspetti che riguardano le speranze genitoriali di migliaia di italiani e gli sviluppi della medicina dinanzi alle sfide di malattie ora incurabili.

Fino a queste date posso scommettere sul silenzio di Governo e Parlamento e su una valanga di dichiarazioni di soddisfazione e sdegno a pochi minuti dalle decisioni. Noi, come Associazione Luca Coscioni, insieme ai cittadini che ci sostengono e lottano con noi e per tutti, non rimaniamo mai in silenzio e ci azioniamo anche quando tutti vogliono imporre una pax bioetica che fa comodo ai partiti ma scontenta la maggioranza degli italiani.

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(*) Segretario nazionale dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica

Lunga vita al partigiano Ken

Come ha fatto Ken Loach a sopravvivere alla caduta del muro di Berlino, al fallimento del comunismo, lui, unico regista schierato nel panorama cinematografico internazionale che mette al centro dei suoi film i lavoratori, gli immigrati, le donne, gli emarginati?

Viene il sospetto che Loach nutra il pensiero che la ribellione sia una condizione naturale dell’uomo ancor prima di venir esaltata o deprezzata dalle ideologie e dagli intellettuali. Che l’umanità sia naturalmente di sinistra e che l’uomo sia fondamentalmente un animale sociale. E che la religione, il fascismo, l’egoismo, l’individualismo liberista siano una perversione del pensiero umano, non la sua essenza.

Tutto questo lo avverti nei film del britannico da come inquadra i suoi personaggi, dalle storie che racconta, dal vento di forte umanità che spira dalle sue pellicole. Vi è la convinzione in Loach, al pari di Camus, che nell’uomo vi sia un’invincibile estate dura a morire anche di fronte al più rigido inverno. Che non è il sol dell’avvenire né il paradiso in terra per gli uomini di buona volontà. E’ un’idea di uguaglianza che non può essere toccata nell’uomo pena la rivolta. Questo per Loach è il motore della storia e delle sue storie.

Jimmys Hall, leftJimmy’s hall non fa eccezione. Irlanda Anni Trenta. Jimmy è un ragazzo di provincia con idee progressiste (già costretto a fuggire per questo) che desidera semplicemente creare uno “spazio caldo” (dice proprio così!) per la sua comunità lontano dallo sguardo delle guardie e del clero. Una sala da ballo che sia anche luogo di incontro, di lettura, di studio. Tutte cose che non possono esistere sotto l’imperio di Santa madre Chiesa. Nella sala di Jimmy si balla, le ragazze vi giungono belle, le loro gambe e le loro braccia si muovono sinuose. Per il clero e le autorità irlandesi è una colpa imperdonabile, più dei sabotaggi dell’Ira perché infine anch’esse odorano di incenso. La curia impersonata da padre Sheridan a braccetto con le forze di repressione minaccia, scheda, terrorizza la vita di donne e bambini. Considera pericoloso quel ritrovo perché sa che quella rivolta partita dalle gambe potrebbe giungere alla testa.

A Loach è riuscita l’impresa di fare un film storico col tempo presente. Jimmy’s Hall è il più riuscito dei tre (Terra e Libertà e Il vento che accarezza l’erba) perché va dritto all’essenziale, non eccede in retorica e non fa sconti a nessuno. Che l’Irlanda non sia cambiata e che i nemici siano quelli di sempre, Santa Romana Chiesa e una forza straniera che ne condiziona il destino?

Ken Loach conferma la coerenza e lo stile di una vita, anche se occorre ricordarlo, il suo cinema ha compiuto una svolta fondamentale a metà degli anni Novanta con la collaborazione dello sceneggiatore Paul Laverty che gli ha tolto il grigiore di Piovono pietre e Ladybird Ladybird rendendo la sua opera meno manichea, più complessa e aperta ai molteplici umori del mondo. I tipi di Loach e Laverty sono gente comune: precari, adolescenti smarriti, donne che provano a farcela da sole. Un popolo che pensa.