Funziona così: gli album, al momento, o non entrano in borsa, o stanno tutti in una tasca, senza nemmeno essere di proprietà. La musica sembra non avere mezze misure. Nell’eterno combattere tra un formato e l’altro, nella continua evoluzione tecnologica che ha reso per anni il mercato discografico un girone dantesco, tra cassette da riavvolgere con la matita e cd a rischio usura, si affaccia un nuovo (precario?) equilibrio. Da un lato c’è lo streaming, che consente l’ascolto di milioni di brani in cambio di una connessione internet, e dall’altro il buon vecchio vinile, che rivive, almeno tra il pubblico, momenti di gloria. Tra i due opposti, un limbo.
A settembre 2014, nella classifica “Top of the Music” settimanale, realizzata da Fimi/Gfk, hanno fatto ingresso, per la prima volta, i dati dello streaming, integrati a quelli del download (cioè tracce e album acquistati e scaricati): insieme costituiscono ciò che viene definito “segmento digitale”. La Federazione industria musicale italiana, nei suoi conteggi, ha tenuto conto dei vari protagonisti di questo settore attivi nel nostro Paese come Spotify, Deezer, Google play, Juke, Napster, Play.me, Rdio, TIMmusic e Xbox Live. Si tratta di piattaforme web e relative applicazioni digitali per smartphone e tablet, che sono immensi archivi musicali.
Le modalità di fruizione per il pubblico cambiano a seconda del mezzo, ma si muovono principalmente su due binari: l’accesso gratuito, ma con inserzioni pubblicitarie e limitazioni in termini di tempo, o l’abbonamento mensile, che di norma costa 9.99 euro. In questo caso si possono ascoltare illimitatamente tutte le canzoni che il servizio offre, sia da computer, sia da mobile (attraverso il traffico dati). Tanto per avere un’idea delle dimensioni del fenomeno, Spotify (lancio svedese nel 2008) conta attualmente più di 50 milioni di utenti attivi e oltre 12,5 milioni di abbonati, il tutto in 58 Paesi. Deezer invece, francese, ha 16 milioni di utenti mensili attivi, 6 milioni di abbonati paganti, in oltre 180 Paesi. Sempre restando in Italia, secondi i dati forniti da Deloitte per Fimi, nei primi 9 mesi del 2014 «il digitale, fortemente trascinato dai ricavi connessi ai servizi streaming cresce del 20 per cento, in particolare i servizi in streaming sono saliti del 109 per cento», si legge nella nota ufficiale.
Il concetto di cambiamento del paradigma di fruizione, “dal possesso all’accesso”, significa proprio questo: album e tracce non sono più nelle pile di dischi sparsi in casa e in auto, ma sono in uno spazio altro al quale si accede previa autenticazione e/o pagamento. Una gioia per i più compulsivi e curiosi – di solito i servizi sono dotati di algoritmi più o meno efficaci che consigliano all’utente musica nuova in base ai suoi gusti – e una quadratura del cerchio da trovare ancora, per gli artisti.
Mentre la maggior parte delle case discografiche ha ritenuto le piattaforme una valida alternativa al download illegale, molti sono gli artisti che si sono schierati contro, lamentando principalmente uno scarso rendimento economico rispetto al numero di ascolti sulle loro opere. La popstar Taylor Swift, per esempio, che ha ritirato il suo “1989” dalle piattaforme, ha venduto 3.661 milioni di copie, riporta Billboard analizzando gli ultimi dati Nielsen Music per gli States.
Sempre secondo quest’analisi, lo streaming è cresciuto del 54 per cento rispetto al 2013. La storia “artisti Vs streaming” offre sempre nuove puntate: Marty Bandier, Ceo di Sony/Atv, ha chiesto spiegazioni, per così dire, al servizio Pandora, in merito ai guadagni di Pharrell Williams. La sua “Happy”, tormentone 2014, propinato in ogni salsa, ha guadagnato 2.700 dollari a fronte di 43 milioni di ascolti streaming, ha detto Bandier a Digital music news. Pandora ha risposto che in realtà i soldi corrisposti ai titolari dei diritti per quel brano erano 150mila dollari in tre mesi e che, se le etichette hanno difficoltà di ripartizione royaltie al loro interno, beh, problema loro. E ancora, il tira e molla sulle condizioni economiche tra Youtube e l’agenzia Merlin, che rappresenta frotte di indipendenti, prima del lancio del servizio streaming Youtube music key, il cui impatto sul settore genera molta attesa.
In tutta questa baraonda, in un mercato sempre più affollato di servizi che se la giocano a suon di nuove funzioni di piattaforma, o nuove esclusive – per esempio TimMusic, per gli utenti Tim, si è accaparrato quella del nuovo disco di Marco Mengoni – il vinile fa la sua bella figura, portando a casa numeri che ridono in faccia agli altri supporti. Il più vecchio di tutti regge meglio degli altri. Freni chi pensa sia roba per fanatici hipster: la dicotomia streaming/vinile è più formale che sostanziale.
Il pubblico degli appassionati del supporto, dei booklet, dei contenuti speciali, sono gli stessi che negli anni hanno fatto produrre ai maggiori artisti (ma anche agli indipendenti), pacchi di cofanetti deluxe, edizioni speciali, copie firmate dalle madri degli artisti, inviti a cena con la band (le ultime sono volutamente parossistiche) e, appunto, vinili limitati. A ottobre, dal Medimex 2014 la Fimi faceva sapere che il trend di crescita del vinile prosegue la recente traiettoria in controtendenza con il comparto del fisico – in calo del 19 per cento invece il download, così come pure, anche se di poco, le vendite del supporto fisico, con un 4 per cento – e, pur rappresentando solo una piccola nicchia sull’intero mercato, ha registrato un +66 per cento. Nielsen conferma: + 52per cento delle vendite (9,2 milioni nel 2014, rispetto ai 6,1 milioni nel 2013).
Un’impennata così importante, da far emergere un problema non banale, secondo il Wall Street Journal: i macchinari sono vecchi, e quel tipo di industria, in realtà, non esiste più. Su questo si pronuncerà il tempo, ma intanto, come fa notare Rolling Stone, il mondo risponde. Discogs ha lanciato VinylHub (.com), per trovare i negozi di vinili in tutto il mondo. E questo, al momento, è un altro punto di contatto tra il digitale e il fisico.
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E’ la storia di Chris Kyle, soldato dei corpi speciali Navy Seals, divenuto “Leggenda” per la mira straordinaria e la precisione impeccabile, grazie alla quale ha freddato 160 persone: questo il numero ufficiale, che in realtà potrebbe essere più elevato. Il biopic (a cui di recente la cinematografia statunitense ricorre sempre più frequentemente) è ispirato all’autobiografia del “cecchino” più letale della storia americana – come recita la tagline che promuove il film – edita in Italia da Mondadori.





Il pericoloso Tsipras visto da Berlino
Da quando Alexis Tsipras ha guadagnato punti nei sondaggi, l’Europa dei conservatori ha tuonato e i grandi guru della Politica hanno vaticinato che una sua vittoria potrebbe rappresentare un pericolo per l’Europa intera.
La preoccupazione più forte è stata espressa dalla Germania guidata da Angela Merkel dopo che il quotidiano tedesco Der Spiegel aveva per primo ipotizzato l’uscita della Grecia dall’euro (Grexit) come soluzione praticabile, non più un tabù. Le tesi a sostegno di questa ipotesi sono cresciute di giorno in giorno fino a quando, a seguito delle forti pressioni interne (Spd) e da parte di altri leader europei (Holland), la Merkel è tornata cauta su quest’ipotesi, malgrado la stampa continui a martellare su questo aspetto sostenendo che il rischio per la Germania di un’uscita dall’euro della Grecia sarebbe comunque «limitato» .
La “Thessaloniki-agenda”, come viene definita sui quotidiani tedeschi, prevede la ridiscussione del debito e della tassazione, un aumento del salario minimo, la creazione di 300mila nuovi posti di lavoro nel pubblico e privato, la distribuzione gratuita di medicinali a tutti i greci, distribuzione di beni alimentari per 300mila famiglie povere e un credito speciale per le famiglie con un alto debito.
Samaras in Grecia parla di un piano folle che condurrà al disastro e proprio questo scuote la destra teutonica e preoccupa Jean-Claude Junker. Così, con un linguaggio apocalittico molti commentatori e giornalisti si dicono preoccupati poiché Tsipras è un «estremista». La Germania dei conservatori si sente minacciata dai propositi di Tsipras ma è anche vero che i tedeschi stessi dimostrano ormai un certo grado d’insofferenza.
Quello che emerge dalla lettura dei commenti e delle analisi politiche è che i tedeschi chiuderanno i rubinetti. L’intervento a gamba tesa di Angela Merkel, sostenuto dal suo ministro delle finanze, Wolfgang Schäuble, può però essere letto in tanti modi, ma sono due i punti centrali:
Il Pasok è dato al 3,5%: un fallimento totale. Certo è che l’ipotesi iniziale di un’uscita dall’euro della Grecia non è affatto piaciuta all’Spd. Così il vice cancelliere, Sigmar Gabriel (Spd) ha avvertito la Cdu: «L’obiettivo di tutto il governo federale, dell’Unione europea e del governo di Atene per sé è quello di mantenere la Grecia nella zona euro. Non c’era e non c’è alcun altra ipotesi». Ma non ha fatto mancare il suo monito ad Atene, a Syriza e Tsipras: «Wir sind nicht mehr erpressbar» ossia «non siamo più ricattabili».
Un altro esponente di spicco del partito socialdemocratico tedesco, il vice presidente Carsten Schneider, invita i partner di Governo Cdu e Csu, dalle colonne di Die Welt, a rispettare l’esito delle urne in Grecia qualunque sia il risultato.
Di fatto nemmeno i socialdemocratici gioiscono all’idea della vittoria di Tsipras, tuttavia non cedono al sentimento euroscettico e rigettano in modo forte l’idea di un’uscita dall’Euro della Grecia. Schneider si dice preoccupato per un simile scenario in cui secondo i suoi calcoli la Germania potrebbe perdere 60 miliardi.
La partita è dunque tutta interna alla Germania: Angela Merkel cerca di recuperare il consenso ceduto all’ala di estrema destra ed euroscettica rappresentata dall’Afd, con crescenti problemi interni di xenofobia e razzismo (come il movimento Pegida), mentre i socialdemocratici, partner di governo della Cancelliera, cercano di marcare la differenza senza però dare un appoggio diretto a Tsipras né alla sua Agenda. Ma lo invitano a «rispettare i patti».
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