Ha raccolto un 90 per cento di adesioni il recente sciopero lanciato in Rai anche per difendere il patrimonio di informazione della radio, già svilito a mio avviso dall’unificazione dei Gr delle tre reti. Non per una difesa corporativa quindi, bensì per il potenziamento di questo agilissimo strumento informativo giunto, su base settimanale, a 44 milioni di utenti e in Rai trattato invece come una Cenerentola. Questo benché le tre reti, esposte indifese a nuove agguerrite concorrenze, siano in calo di ascolti. Di sole idee non si vive. Ci vogliono più investimenti, in talenti e in tecnologie.
Sono mesi che il governo Renzi sta girando intorno alla Rai, lanciando e rilanciando lo slogan “Fuori i partiti” e facendo capire di ritenere alto e superato il canone, che resta immobile a 113,50 euro. L’unico atto concreto di questo governo è stato il salasso di 150 milioni quale contributo di solidarietà per il bonus di 80 euro. Palazzo Chigi ha potuto imporlo alla Rai poiché essa, dopo la legge Gasparri del maggio 2004, è di sua proprietà. Non dei partiti. Il presidente del Consiglio ha infatti il diritto di nominarne il presidente e il nono, spesso decisivo, consigliere essendo tutte le azioni (tranne uno zero virgola della Siae) in sua mano.
Matteo Renzi poteva dunque, il giorno dopo la fiducia, presentare il disegno di legge col quale istituire, alla maniera inglese (o scandinava), una Fondazione a cui trasferire tutte le azioni Rai, garantita da alcuni “governors” scelti fra persone del più alto livello e da un vertice tecnico-professionale dai medesimi prescelto. Oppure optare per il sistema di garanzia francese attraverso un Consiglio superiore dell’audiovisivo (nominato per un terzo ciascuno dai presidenti della Repubblica, del Senato e della Camera) il quale a sua volta designa la maggioranza del Cda (dove siedono anche rappresentanti dei dipendenti). O studiarsi il complesso sistema di garanzia tedesco di chiara marca federale (una delle due potenti reti, Ard, è emanazione diretta dei Laender). Ha nominato una commissione di studio di cui non si sa molto. In genere le commissioni di studio vengono create per lasciare le cose come stanno. Solo che per la Rai ciò è sempre meno possibile. Da più punti di vista. Intanto da quello dei conti. Fino al 2007, vigilia della crisi, le entrate erano per metà da canone e per l’altra metà da pubblicità. Quest’ultima è crollata di esercizio in esercizio. Nel 2012 gli introiti pubblicitari sono assommati a 830 milioni contro i 1.737 milioni da canone. Insomma, il canone è diventato vitale: se lo si riduce, la Rai affonda.
Per ignoranza gli italiani pensano del canone il peggio possibile. Secondo il Censis è la tassa più odiata, più dell’Imu, più dell’Irpef. Eppure sono meno di 114 euro l’anno a famiglia. Non importa: come minimo quell’imposta è “insulsa”, come massimo è “iniqua”. La protesta è motivata dal fatto che “la Rai è piena di pubblicità” (balla solenne) e che il canone tv c’è soltanto in Italia. Una balla gigantesca. Comunque sia, un terzo circa degli utenti italiani non la paga. Contro l’8-10 per cento delle medie europee. Benché sia il canone più basso d’Europa.
Obiezione: già ma gli altri non hanno pubblicità. Non è esatto. Certo alle due reti pubbliche tedesche, Ard e Zdf, basta un 20 per cento appena di pubblicità. La Bbc è senza pubblicità, ma un suo canale, Channel 4, è pay. Però sono appena 8 inglesi su 100 che evadono il canone, contro i 30 italiani su 100. Se in Italia la percentuale di evasione fosse quella europea, diciamo un 10 per cento, la Rai incasserebbe dal canone oltre 2,1 miliardi di euro e potrebbe quindi fare a meno di un bel po’ di spot in mezzo ai programmi.
Ora si parla – ma lo si dice da decenni – di agganciare il pagamento del canone Rai a quello dell’utenza elettrica. Ciò consentirebbe di limitare al minimo l’evasione e magari di ridurre persino il tanto odiato canone. Il quale, assieme agli organismi di garanzia (Fondazione, Consiglio superiore dell’audiovisivo, ecc.), è il più concreto difensore della autonomia delle radio-tv pubbliche. Certo, se si dà un’occhiata alla geografia di chi paga e di chi evade quei 113,5 euro, si vede che essa combacia con le aree di maggior illegalità. Regno degli evasori sono le stesse regioni dove il “nero”, il sommerso trionfano. In testa a tutti in questa scandalosa graduatoria, non per caso, i comuni del Casertano con Casal di Principe dove il 90,45 per cento non paga il canone Rai. All’opposto il regno degli utenti “fedeli” è nei comuni per niente ricchi del Ferrarese come Berra e Portomaggiore dove paga oltre il 99 per cento degli utenti. Meglio dei sudditi britannici. Ma anche lì affiorano segni di disaffezione.
Per cui sulla Rai va dato al più presto un segnale forte: via il governo da viale Mazzini, via i partiti, certo, ritorno al merito, alla professionalità, all’autoproduzione di programmi di ogni genere. Altrimenti che ci stanno a fare oltre 11mila dipendenti fissi?
Taranto chiama. Renzi risponda
Signor presidente del Consiglio, ha inaugurato il suo mandato parlando di scuola, educazione e infanzia. Ha iniziato a girare l’Italia visitando prima le scuole e poi tutto il resto. Se tutto ciò non fosse risultato troppo propagandistico ai miei occhi avrei sicuramente allargato la schiera dei suoi sostenitori. Ma è mio solito dubitare più di quanto io possa credere agli effetti speciali della politica. Così, ho continuato a osservare le sue mosse da lontano, da lì dove sono ormai radicate le mie idee politiche, nelle regioni più isolate dello scetticismo: da Taranto.
Ho aspettato che si facesse vedere da queste parti per capire le sue vere intenzioni, per darmi la possibilità di cambiare idea nei suoi confronti, ma come i suoi predecessori (lo scorso settembre) anche lei si è limitato a una fugace visita in Prefettura. Nessuna scuola ha potuto ospitarla, nessun alunno ha potuto darle il benvenuto. E pensare che avrebbe fatto un figurone a salutare la nazione dalla scuola Deledda del rione Tamburi, se solo avesse ascoltato le richieste di aiuto di un bimbo a cui è vietato giocare nei parchi, che è costretto a studiare in una scuola costruita addirittura sopra i suoi canali di scarico della grande fabbrica. Avremmo davvero potuto credere che lei fosse l’uomo giusto venuto a restituirci la dignità che ci hanno rubato. Ma non è stato così, ha persino evitato di incontrare i pediatri che le avevano chiesto udienza (e guardi che qui i casi di tumori infantili e mortalità per patologie precoci sono certificate dall’Istituto superiore della sanità).
Quanta delusione signor presidente, quanto rammarico, quanta rabbia ci fa il vostro disinteresse per la nostra salute. Io però non voglio attaccarla, voglio chiederle, anzi supplicarla, di rispondere a questa lettera che il Comitato di cui faccio orgogliosamente parte ha deciso di inviarle. La legga attentamente: è l’ennesima richiesta legittima che operai, cittadini, studenti e disoccupati, fanno alle istituzioni. Non c’è niente di straordinario, le viene richiesta solo buona volontà e trasparenza di giudizio. Non c’è nessun fine ideologico, nessuna trappola, solo un nuovo grido di aiuto. Perché siamo tremendamente ostinati a rivendicare le nostre ragioni e i nostri timori. Perché continuiamo a sentirci oppressi e sfruttati da chi partorisce idee solo ed esclusivamente in nome del profitto e dell’interesse economico. Si lasci accompagnare da noi, faccia in modo di prestarci anche solo 30 minuti del suo tempo per mostrarle quello che nessuno in Italia osa mostrare di questa ormai tristemente famosa Ilva.
Le scriviamo in merito alla visita che farà a Taranto nei prossimi giorni e che, stando alle indiscrezioni, prevederà anche una visita all’interno dello stabilimento Ilva. In questi anni il Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti ha svolto un importante ruolo negli eventi nevralgici che hanno segnato la storia della città e del siderurgico che ospita. Al proprio interno raccoglie cittadini impegnati in prima linea nella lotta all’inquinamento e lavoratori da anni attivi affinché, proprio in quella fabbrica, il lavoro non fosse solo un moltiplicatore di morte (tanto nello svolgimento delle proprie mansioni quanto coi fumi e i veleni della produzione). Alcuni di loro hanno svolto un ruolo centrale e decisivo anche nell’ambito dell’inchiesta “Ambiente Svenduto” condotta dalla magistratura tarantina. Un esempio su tutti: difficilmente si sarebbe giunti alla scoperta dei fiduciari dei Riva in fabbrica, che operavano come kapò pur non avendo alcun inquadramento aziendale, senza chi vi scrive; senza il mobbing e le angherie subiti da pochi coraggiosi operai spesso osteggiati anche da Cgil, Cisl e Uil. Se oggi non esiste più un “governo ombra” nello stabilimento lo si deve alle nostre scelte. Le scriviamo, dunque, perché il giorno in cui verrà a Taranto non vorremmo contestarla, urlarle contro le colpe che pure il suo Governo ha nella vicenda Ilva. Al contrario vorremmo accompagnarla, portarla negli impianti per farle conoscere la “vera” Ilva con gli occhi di chi per anni ha denunciato nel silenzio totale di istituzioni e sindacati (fino all’arrivo dei sigilli della Magistratura). Vorremmo poter esprimere le nostre idee alternative per Taranto, il Sud e l’Italia. La nostra posizione e la nostra storia non possono in alcun modo essere rappresentati dai sindacati e siamo certi che se si limiterà ad incontrare loro non potrà avere una vera idea di cosa è Taranto e di ciò che tutt’oggi accade nell’Ilva. Camminerebbe all’interno della bolla di vetro linda e pulita che sono bravi a decorare per le grandi occasioni. Noi le offriamo la possibilità di un viaggio vero nella carne moribonda del mostro d’acciaio, ma le ricordiamo anche che le organizzazioni sindacali non sono rappresentative di tutti gli operai presenti in fabbrica, bensì solo di una minoranza. Noi le diamo l’occasione di non fare una semplice passerella, e le chiediamo in cambio solo la possibilità di esporle il nostro punto di vista, quelle verità che tanto i sindacati quanto le forze politiche (a cominciare da chi rappresenta in terra ionica il Partito Democratico, l’on.Michele Pelillo) non le racconteranno mai.
A.P.S. Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti