Quelli che si offendono se vengono chiamati neofascisti ieri sono stati condannati a oltre 8 anni di reclusione per l’assalto alla sede della Cgil di Roma avvenuto durante una manifestazione contro il green pass del 9 ottobre di due anni fa e in aulaieri alla lettura della sentenza si sono levate urla (come “La gente come noi non molla mai” inno nelle manifestazioni no vax) ma anche braccia tese per fare i saluti romani fascisti. C’è anche chi tra familiari e amici degli imputati ha gridato “mò famo la guerra”.
La condanna riguarda l leader di Forza Nuova Roberto Fiore e quello che a lungo è stato il suo braccio destro, Giuliano Castellino. Con loro anche Luigi Aronica, ex Nar, organizzazione terroristica neofascista. Agli imputati venivano contestati, a vario titolo, il danneggiamento aggravato, devastazione e saccheggio, violenza e resistenza a pubblico ufficiale. La sentenza, sottolinea il segretario della Cgil Maurizio Landini, “conferma che quell’azione non fu un semplice episodio di generica violenza di matrice fascista, bensì un vero e proprio assalto alla casa dei lavoratori e al sindacato che li rappresenta”.
Forza Nuova in una nota parla di “sentenza politica” e lamenta di essere bloccata alla corse per le prossime elezioni europee. Peccato che la formazione neofascista non compaia nemmeno nelle rilevazioni grazie alle sue percentuali che non sfiorano nemmeno l’1%. Però non hanno tutti i torti: ogni condanna che riguarda manifestazioni di violenza di matrice neofasciste ha una forte valenza politica. Anzi, di più: ha a che fare con la Costituzione.
È un brutto segno dei tempi che l’anniversario del quarantesimo anniversario della morte al fondatore con Gramsci dell’Ordine Nuovo Umberto Terracini sia passato sotto silenzio. Comprendo che il governo, che certo non ama la Costituzione, non abbia, aperto bocca. Comprendo meno la distrazione dell’intellettualità democratica. Noi, comunque, vogliamo brevemente ricordarne lo splendido e prezioso lavoro di costituente, di cui rileviamo il respiro storico e l’attualità. Quella di Terracini, infatti, fu una vita costituente. Fu, non a caso, un comunista eretico che viveva la concezione fondativa dello Stato di diritto. Lo fu quando non approvò il patto Ribbentrop/ Molotov, quando tornò dal confino di Ventotene nel 1939, quando andò resistente in Val d’Ossola. Possiamo leggere il suo più completo punto di vista istituzionale, politico, ma anche sociale nel suo discorso a Camere riunite del 22 dicembre 1947,che volle intitolare “Dalla dittatura alla Repubblica”.
La Costituzione, per Terracini, era il ponte di passaggio verso la normalità democratica. Non a caso volle dare un contributo decisivo, anche giuridico, sul tema, che riteneva ineludibile, della autonomia e divisione dei poteri. Aveva visto giusto; il grande tema è ancora oggi al centro delle riforme incostituzionali del governo Meloni.
Terracini riteneva che a ciascun cittadino dovesse essere consentito di entrare “nell’età dei diritti”. Le più classiche libertà fondamentali incrociano i diritti sociali, di partecipazione politica, di sovranità popolare in una saldatura che rappresenta la equilibrata solidità della nostra Costituzione. Terracini, infatti, lottò, con determinazione ed autorevolezza, nella Costituente, per la costruzione di nuovi istituti e nuove strutture fondamentali per una equilibrata architettura dei poteri costituenti, costituita dalla triade: autonomia dei poteri, critica dei poteri, contropoteri. Penso anche solo alla Corte Costituzionale e al Consiglio superiore della magistratura. Penso, soprattutto, all’articolo 3 della Costituzione, specialmente al secondo comma: «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese». Quel «rimuove» è un verbo forte, particolarmente prescrittivo (come il «ripudia» la guerra dell’articolo 11), inedito nel linguaggio della nostra Costituzione. Lo è perché esso è la base del superamento delle diseguaglianze sociali. Non in astratto, ma nella materialità della vita quotidiana. E’ l’assegnazione di un compito/dovere primario alla nostra Repubblica , nata dalla Liberazione e dalla Resistenza, un moto di popolo. Per Terracini la Costituzione doveva avere una assoluta impronta sociale. Qui vi è un tema innovativo vero ( molto contemporaneo) rispetto alle Costituzioni liberali: la legalità costituzionale diventa la radice e la fonte del conflitto di classe, dell’aspirazione popolare alla trasformazione dei rapporti sociali. E’ lungimirante l’appello di Terracini alla pacificazione “del” popolo, “nel” popolo, alla “fratellanza”; che accompagna con la gratitudine nei confronti delle donne e degli uomini che si sono sacrificati per riconquistare le libertà. Terracini, in definitiva, invera il percorso storico , che è politico e istituzionale insieme, del superamento della società monodimensionale, ad una dimensione, della società disciplinare fascista, verso il pluralismo, la coesistenza delle differenze come base della “fratellanza”. Il varo della Costituzione fu, per Terracini, un assillo storico, Quando furono ipotizzati rinvii nei lavori della Costituente dichiara:” il 31 dicembre la Repubblica italiana deve avere ed avrà la propria legge fondamentale, L’Assemblea Costituente si sente l’erede di tutta la più sana esperienza parlamentare prefascista nel quadro delle rinnovate istituzioni repubblicane”. E conclude solennemente, ma senza retorica:” l’Assemblea costituente, testimoniando così della volontà e capacità degli Italiani di erigere il loro avvenire sulla base di legalità democratica, li costituisce dinanzi al mondo tra i garanti della pace e della collaborazione tra i popoli”. Fu un padre della Repubblica eterodosso; il politico forse più eretico e più libero del secolo(lui che aveva vissuto il periodo più lungo, prigioniero tra carcere e confino). Fu un’antinomia tra fedeltà al partito di cui fu fondatore e straordinaria indipendenza del pensiero che lo sospinse a contrasti anche aspri con il suo partito; anche sul giudizio sull’Urss staliniana e poststaliniana. Con la sua passione civile, Terracini dimostrava che, dopo la catastrofe fascista, la Patria rinasceva anche nelle prigioni. Fu un trauma benefico, per il Paese, vedere salire sullo scranno di presidente dell’Assemblea Costituente un giurista cinquantenne , già galeotto, comunista ed anche ebreo. Fu una scelta di rottura; la giovane democrazia ne aveva bisogno; come aveva bisogno di madri costituenti come Teresa Noce. Partecipò attivamente, nell’Assemblea, ai dibattiti sul diritto di sciopero e sul diritto d’asilo. E, mi piace ricordarlo, fu protagonista, da capogruppo a Palazzo Madama, dello scontro molto aspro sulla “legge truffa”. che definì, il 14 marzo 1953, uno ” strumento di eversione della nostra Costituzione”. Io, giovane militante della Nuova Sinistra, ebbi il piacere di incontrarlo quando denunciò duramente la matrice eversiva di destra dell’attentato di piazza Fontana, manifestando solidarietà agli anarchici accusati e partecipando alla campagna per la liberazione di Valpreda. Partecipò anche alla campagna di denuncia della morte in carcere del giovane anarchico Franco Serantini. Dopo il rapimento Moro fu tra i pochissimi dirigenti del Pci contrari alla cosiddetta “linea della fermezza” e aderì all’appello per la trattativa per la liberazione di Moro. Terracini fu uno splendido nostro maestro, un comunista costituente. Ci insegna e ci interpella ancora.
In foto Umberto Terracini firma la Costituzione, fonte wikipedia
Qui il video dell’incontro su Terracini con interventi di Russo Spena, Aldo Tortorella, Gad Lerner, Luciana Castellina e molti altri organizzato dal Prc
C’è un modo semplicissimo per scollegare il benefare dei ricchi e collegare il fare bene alla comunità: un’imposta europea per i grandi patrimoni. La proposta è stata scritta non molto tempo fa da Oxfam e prevede l’istituzione di un’imposta europea sui grandi patrimoni, che in Italia, a titolo esemplificativo, potrebbe essere rivolta al solo 0,1% più ricco della popolazione con un patrimonio netto individuale sopra i 5,4 milioni di euro.
L’imposta progressiva sui grandi patrimoni potrebbe generare risorse considerevoli per l’Unione europea. A seconda dei destinatari e di come sarà strutturata, gli introiti potrebbero attestarsi tra 150 miliardi e 213 miliardi di euro all’anno. Il potenziale gettito per l’Italia sarebbe di 13,2 – 15,7 miliardi di euro all’anno, se ad essere tassato fosse lo 0,1% dei contribuenti più ricchi; 23 miliardi di euro all’anno, se si considerasse lo 0,5% più facoltoso dei nostri connazionali e le aliquote marginali replicassero quelle dell’imposta in vigore in Spagna. Le entrate erariali potrebbero essere anche più consistenti, se si aumentasse il grado di progressività dell’imposta, introducendo ad esempio un maggior numero di scaglioni e ricorrendo, in corrispondenza, ad aliquote marginali più elevate.
Nel 2021 due terzi dei rispondenti italiani a un sondaggio, commissionato all’istituto di ricerca di mercato Glocalities, dal network dei multi-milionari Millionaires for Humanity e da Tax Justice Italia, si è espresso favorevolmente su un’imposta dell’1% sui patrimoni netti superiori a 8 milioni di euro, il cui gettito fosse destinato al finanziamento della ripresa post-pandemica e alle famiglie più bisognose.
Il governo israeliano sta usando la fame dei civili come metodo di guerra nella Striscia di Gaza occupata, che è un crimine di guerra, ha detto oggi Human Rights Watch. Le forze israeliane stanno deliberatamente bloccando la consegna di acqua, cibo e carburante, mentre impediscono intenzionalmente l’assistenza umanitaria, apparentemente radendo al suolo le aree agricole e privando la popolazione civile di oggetti indispensabili per la loro sopravvivenza.
Lo afferma un rapporto di Human Rights Watch (Hrw) sottolineando come si tratti di un crimine di guerra secondo il diritto internazionale. Un orrendo crimine di guerra, verrebbe da aggiungere. Da quando i combattenti guidati da Hamas hanno attaccato Israele il 7 ottobre 2023, alti funzionari israeliani, tra cui il ministro della Difesa Yoav Gallant, il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir e il ministro dell’Energia Israel Katz hanno fatto dichiarazioni pubbliche esprimendo il loro obiettivo di privare i civili a Gaza di cibo, acqua e carburante: dichiarazioni che riflettono la politica condotta dalle forze israeliane. Altri funzionari israeliani hanno dichiarato pubblicamente che gli aiuti umanitari a Gaza sarebbero condizionati o al rilascio di ostaggi detenuti illegalmente da Hamas o alla distruzione di Hamas.
“Per oltre due mesi, Israele ha privato la popolazione di Gaza di cibo e acqua, una politica stimolata o approvata da alti funzionari israeliani e che riflette l’intenzione di affamare i civili come metodo di guerra”, ha detto Omar Shakir, direttore di Israele e Palestina di Human Rights Watch.
Quattrocento anni fa, nell’ ottobre 1623, veniva pubblicato a Roma per i tipi dell’editore Mascardi, Il Saggiatore, nel quale con bilancia esquisita e giusta si ponderano le cose contenute nella Libra astronomica e filosofica di Lotario Sarsi Sigensano (è da poco in libreria per Hoepli una nuova edizione commentata a cura di Michele Camerota e Franco Giudice).
Frontespizio dell’edizione originale, 1623
Galileo Galilei scrisse questo libro per continuare l’aspra polemica che lo opponeva al gesuita Grassi, celato dietro lo pseudonimo Sarsi, intorno al fenomeno delle comete. Sulla questione specifica lo scienziato pisano si sbagliava, ed era più vicino allaverità il suo avversario. Galileo infatti pensava che le comete fossero un fenomeno assimilabile all’arcobaleno, un’illusione ottica dovuta a vapori fluttuanti e che non fossero corpi orbitanti, come giustamente sosteneva il Grassi. Ma il libro è considerato un capolavoro e una pietra miliare nella storia della scienza, per gli aspetti metodologici che esso contiene, per il modo in cui, con una prosa di alto livello letterario, Galileo smonta la concezione aristotelica, allora dominante, e propone il suo modo di concepire la scienza.
La pagina proposta (v.alla fine dell’articolo) è una delle più celebri del Saggiatore, vi troviamo testimonianza dell’adesione di Galileo all’atomismo, per influenza diretta di Democrito, e la conseguente formulazione della distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie degli oggetti di cui facciamo esperienza. Questa teoria, ripresa da Cartesio, da Locke e da altri, ha avuto un ruolo fondamentale nella “rottura epistemologica” con cui si realizzò la rivoluzione scientifica del ‘600. Per capire di che si tratta è sufficiente che pensiamo a come oggi sia conoscenza elementare quella che riguarda le frequenze delle onde luminose o sonore: quel rosso che ci appare è diverso da un giallo perchè ogni colore non è altro che l’effetto, sul nostro apparato percettivo, di onde a diversa frequenza; ciò che in realtà è un dato meramente quantitativo – digitalizzabile – ci appare come una differenza qualitativa; rimosso il soggetto che percepisce – dice Galileo – quel rosso, quel dolce, quel ruvido o quel liscio (le cosiddette qualità secondarie) – scompaiono, perché non sono proprietà della cosa ma solo i nomi che diamo alla nostra percezione; nella cosa ci sono soltanto proprietà quantitative: posizione, velocità, forma geometrica, e solo di queste realtà oggettive è possibile fare scienza, altrimenti la “lettura del libro dell’universo” (dice in una pagina altrettanto celebre) è preclusa alla comprensione umana e rimane solo “un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto”.
Che Galileo traesse questa concezione da Democrito è evidente confrontando quanto egli dice con la proposizione del filosofo greco vissuto tra il V e il IV secolo a.C.: “opinione il dolce, opinione l’amaro, opinione il caldo, opinione il freddo, opinione il colore; verità gli atomi e il vuoto”. Questo è il modo in cui viene spesso presentato il celebre frammento, ovvero la citazione del pensiero di Democrito (contenuta in forma diretta in un testo di Sesto Empirico del II secolo, giunto a noi per il tramite dei codici medievali) secondo cui l’esistenza delle qualità sensibili è una credenza ingannevole (opinione) dovuta alla sensazione, la verità sta nell’idea dell’atomo e del vuoto. La traduzione più fedele è: “per convenzione il dolce, per convenzione l’amaro, ecc.”. Infatti il termine greco è νόμωι (nomoi), dativo di nomos: legge, convenzione, costume, ecc.
Galileo traeva la sua conoscenza del frammento di Democrito da un altro testo assai diffuso tra il ‘500 e il ‘600, pubblicato in traduzione latina dall’editore Giunta a Venezia, Gli elementi secondo Ippocrate del medico greco Galeno, vissuto anch’egli nel secondo secolo; la citazione democritea vi appare in una delle prime pagine: “lege enim, i.[ipse] νόμωι, color, lege amarum, lege dulce: vere autem, i.[ipse] ἐτεῆι, est atomus et vacuum”. Il traduttore inserì i termini greci corrispondenti a quelli latini con cui rendeva la contrapposizione tra ciò che è mera convenzione e ciò che è verità. Credo sia plausibile che Galileo fosse indotto dall’omofonia tra il greco νόμωι (che leggeva nel testo) e l’italiano nomi, a scegliere questa parola per esprimere il concetto che ricavava da Democrito, così facendo evocava contemporaneamente un’altra fonte del suo antiaristotelismo, ovvero la concezione nominalista di Guglielmo da Occam, il francescano ribelle alla Chiesa le cui opere erano nell’ Indice dei libri proibiti.
Il Saggiatore, edizione commentata, Hoepli, 2023
Veniva abbandonata, come un “ostacolo epistemologico” la concezione aristotelica delle sostanze, delle essenze, degli accidenti; l’esperienza non ci mette di fronte a queste realtà esterne, di cui il nostro intelletto, se la conoscenza è vera, ci darebbe una interna riproduzione; essa piuttosto è la reazione del nostro organismo agli stimoli che provengono dall’esterno (urto di atomi che penetrano nel nostro corpo, secondo la scuola atomista) i quali si traducono in immagini che raggruppiamo per analogia, che classifichiamo costruendo i concetti con cui ci riferiamo alla realtà, ma i concetti sono nostri, sono attività del soggetto conoscente e non proprietà delle cose conosciute che sono tutte aggregazioni di atomi privi di qualità se non geometriche (secondo gli atomisti) e sono tutte realtà singolari (secondo Occam). Il concetto che abbiamo della cosa è una approssimazione sempre passibile di riforma e di progresso (vedi nel Saggiatore la bellissima favola del cercatore di suoni), il cammino della conoscenza è infinito (come aveva insegnato Giordano Bruno), la conoscenza aristotelica delle “essenze” si rivela un sapere vuoto e tautologico, diventerà, con Molière, bersaglio comico: monsieur Jourdain, “borghese gentiluomo”, tutto felice di aver scoperto che l’oppio fa dormire perché contiene la “virtù dormitiva”. Si apre la strada a una visione funzionalista dei concetti scientifici, ognuno dei quali ha senso solo in una relazione con altri, come nei princìpi di Newton: la forza è il prodotto della massa per l’accelerazione.
Ma Galileo oltre a essere uno scienziato rigoroso, un infaticabile indagatore, era anche uno spirito allegro, e aveva risorse espressive brillanti per catturare l’attenzione dei suoi lettori, gli viene in mente il solletico per fare un esempio di reazione sensibile a un evento in cui la qualità percepita è, con tutta evidenza, nel corpo che sente e non nell’oggetto che lo urta, che può essere tanto una mano animata quanto una piuma inanimata. Il solletico non è una “cosa” che passi da un oggetto esterno al nostro corpo, ma solo il nome che diamo alla nostra reazione a un movimento puramente meccanico.
In quel periodo Galileo era relativamente prudente. Dopo la condanna di Copernico, messo all’Indice nel 1616, e l’ammonizione impartitagli dal cardinale Bellarmino (quello del processo a Bruno concluso col rogo del 1600, quello fatto santo nel 1930) di non sostenere l’eliocentrismo e la teoria dei movimenti della Terra, si era adeguato, senza però rinunciare alle polemiche e alla divulgazione delle sue idee. Che in questo caso però erano forse molto pericolose, più di quanto lui stesso pensasse. Lo storico Pietro Redondi in un suggestivo saggio per Laterza del 1983,Galileo eretico, ha sostenuto che proprio in questa pagina, più che nella sua convinzione copernicana, c’è l’origine dei guai di Galileo. Abolire la concezione aristotelica delle qualità sensibili come proprietà intrinseche alle cose, ovvero (detto in forma aristotelica) come accidenti propri delle sostanze, era mettersi contro niente di meno che il dogma dell’eucaristia, il più importante della religione cattolica, riaffermato dal Concilio di Trento nel 1551, per “strappare dalle radici la zizzania degli abominevoli errori e degli scismi”, sulla base della teologia di Tommaso d’Aquino la quale, a sua volta, si fondava sui concetti di Aristotele. Secondo il canone tridentino ciò che avviene ogni volta durante il rito è il miracolo della transustanziazione: la sostanza del pane e quella del vino si trasformano totalmente nel corpo e nel sangue del Cristo, ma le “specie” (altro termine per dire gli “accidenti”, o le “qualità sensibili”) rimangono inalterate: il sapore, il colore, la consistenza, rimangono quelli del pane e del vino, ma ciò che vi è “sotto” (la substantia) è totalmente altro, presenza divina inesplicabile se non per fede. È chiaro che questa esposizione, in cui l’elemento fideistico è comunque legato alla razionalità aristotelica, non regge se viene abolita concettualmente la distinzione tra qualità e sostanza, come appunto con la filosofia atomista e con il nominalismo occamiano. Secondo Redondi la concezione atomistica galileiana lo esponeva all’accusa di eresia, di vicinanza alle idee dei protestanti i quali, in forme più o meno radicali, contestavano tutti la dottrina cattolica dell’eucaristia, a vantaggio di una concezione simbolica del rito. Addirittura, secondo Redondi, fu questa la causa vera della persecuzione del filosofo, nei confronti del quale, per intercessione del papa Urbano VIII, che già da cardinale era stato un estimatore e protettore di Galileo, l’accusa più grave venne accantonata, coperta da quella, ben più lieve, di aver disobbedito all’intimazione di Bellarmino riguardo ai massimi sistemi.
La controversa tesi di Redondi forse pecca di radicalismo, ma certamente la sua è stata una ricerca di grande valore e ha messo ancor più in luce l’importanza dell’atomismo nella formazione di Galileo e nella rivoluzione scientifica del ‘600; non va dimenticato l’impatto che nella cultura rinascimentale ebbe la scoperta del poema di Lucrezio, il De rerum natura, da parte di Poggio Bracciolini agli inzi del ‘400, per il cui tramite risorse, dall’occultamento medievale, la filosofia di Epicuro, l’altro padre dell’atomismo antico. E in ogni caso, che quella sul solletico fosse una pagina “pericolosa” possiamo pensarlo con considerazioni alquanto più libere, fuori dal rigore filologico di una ricerca come quella di Redondi. Galileo ci sta parlando di una reazione psichica, umana, a uno stimolo materiale che agisce sul corpo; Cartesio, riprendendo, nel primo capitolo del Mondoo Trattato della luce, lo stesso esempio di Galileo, parla dell’ “idea del solletico”: “Un fanciullo che s’addormenta e sulle cui labbra si passi dolcemente una piuma avvertirà il solletico: pensate che l’idea del solletico che concepisce sia simile a qualche cosa che è in questa piuma?”. Sensazione, idea, a cui possiamo aggiungere, emozione: la realtà psichica pensata come emergenza per uno stimolo proveniente dalla realtà naturale esterna… Certo Galileo non si avventurò in questa direzione. Anzi, stabilì che di queste sensazioni soggettive, di questi “puri nomi” non si possa fare scienza, tranne che per il lato oggettivo, ovvero la realtà misurabile dei corpi materiali e del loro movimento: di ciò che non è quantificabile non è data possibilità di conoscenza. Come avrebbe detto Husserl – quando negli anni trenta del ‘900, in piena catastrofe della civiltà occidentale, inseguiva la possibilità di colmare la frattura tra la ragione tecnico-scientifica e il mondo-della-vita, quello in cui viviamo immersi con le nostre senzazioni, le nostre emozioni, i nostri nomi – Galileo fu “un genio che scopre e insieme occulta”.
L’autore: Vincenzo Bonaccorsi già docente di filosofia e storia nei licei
La pagina “pericolosa” sul solletico, dal Saggiatore (1623), paragrafo 48
Restami ora che, conforme alla promessa fatta di sopra a V. S. Illustrissima, io dica certo mio pensiero intorno alla proposizione “Il moto è causa di calore”, mostrando in qual modo mi par ch’ella possa esser vera. Ma prima mi fa di bisogno fare alcuna considerazione sopra questo che noi chiamiamo caldo, del qual dubito grandemente che in universale ne venga formato concetto assai lontano dal vero, mentre vien creduto essere un vero accidente affezzione e qualità che realmente risegga nella materia dalla quale noi sentiamo riscaldarci.
Per tanto io dico che ben sento tirarmi dalla necessità, subito che concepisco una materia o sostanza corporea, a concepire insieme ch’ella è terminata e figurata di questa o di quella figura, ch’ella in relazione ad altre è grande o piccola, ch’ella è in questo o quel luogo, in questo o quel tempo, ch’ella si muove o sta ferma, ch’ella tocca o non tocca un altro corpo, ch’ella è una, poche o molte, né per veruna imaginazione posso separarla da queste condizioni; ma ch’ella debba essere bianca o rossa, amara o dolce, sonora o muta, di grato o ingrato odore, non sento farmi forza alla mente di doverla apprendere da cotali condizioni necessariamente accompagnata: anzi, se i sensi non ci fussero scorta, forse il discorso o l’immaginazione per se stessa non v’arriverebbe già mai. Per lo che vo io pensando che questi sapori, odori, colori, etc., per la parte del suggetto nel quale ci par che riseggano, non sieno altro che puri nomi, ma tengano solamente lor residenza nel corpo sensitivo, sì che rimosso l’animale, sieno levate ed annichilate tutte queste qualità; tuttavolta però che noi, sì come gli abbiamo imposti nomi particolari e differenti da quelli de gli altri primi e reali accidenti, volessimo credere ch’esse ancora fussero veramente e realmente da quelli diverse. Io credo che con qualche essempio più chiaramente spiegherò il mio concetto. Io vo movendo una mano ora sopra una statua di marmo, ora sopra un uomo vivo. Quanto all’azzione che vien dalla mano, rispetto ad essa mano è la medesima sopra l’uno e l’altro soggetto, ch’è di quei primi accidenti, cioè moto e toccamento, né per altri nomi vien da noi chiamata: ma il corpo animato, che riceve tali operazioni, sente diverse affezzioni secondo che in diverse parti vien tocco; e venendo toccato, verbigrazia, sotto le piante de’ piedi, sopra le ginocchia o sotto l’ascelle, sente, oltre al commun toccamento, un’altra affezzione, alla quale noi abbiamo imposto un nome particolare, chiamandola solletico: la quale affezzione è tutta nostra, e non punto della mano; e parmi che gravemente errerebbe chi volesse dire, la mano, oltre al moto ed al toccamento, avere in sé un’altra facoltà diversa da queste, cioè il solleticare, sì che il solletico fusse un accidente che risedesse in lei. Un poco di carta o una penna, leggiermente fregata sopra qualsivoglia parte del corpo nostro, fa, quanto a sé, per tutto la medesima operazione, ch’è muoversi e toccare; ma in noi, toccando tra gli occhi, il naso, e sotto le narici, eccita una titillazione quasi intollerabile, ed in altra parte a pena si fa sentire. Or quella titillazione è tutta di noi, e non della penna, e rimosso il corpo animato e sensitivo, ella non è più altro che un puro nome. Ora, di simile e non maggiore essistenza credo io che possano esser molte qualità che vengono attribuite a i corpi naturali, come sapori, odori, colori ed altre.
Non procureranno il dolore simulato e obbligatorio come ai tempi di Steccato di Cutro i 61 morti al largo della Libia. Da quelle parti il Mediterraneo non è sentito come mare nostro, possiamo fottercene.
Mentre a Roma stringono accordi con l’Albania (bloccati dalla Corte costituzionale albanese), con la Tunisia (anche se non se ne parla più) e ora con la Gran Bretagna almeno 61 migranti sabato sono morti nel naufragio di un gommone al largo delle coste della Libia. Secondo le prime ricostruzioni a bordo del gommone partito c’erano 86 persone, anche donne e bambini, alla deriva da almeno giovedì 14 dicembre. A dare la notizia l’agenzia delle Nazioni Unite, l’Organizzazione Internazionale per le migrazioni (Iom).
Il gommone si sarebbe ribaltato sabato a causa del mare grosso, con onde alte fino a tre metri che non inducono gli scafisti a rallentare le partenze. Secondo il giornalista di Radio Radicale Sergio Scandural’area di mare in cui si trovava il gommone sarebbe stata sorvolata da diversi aerei dell’agenzia di frontiera dell’Unione Europea Frontex mentre la Guardia Costiera aveva diramato un’allerta per un gommone al largo delle coste libiche. E l’imbarcazione era alla deriva almeno da giovedì. Si sono salvate 25 persone, i superstiti che hanno raccontato che a bordo del gommone c’erano 86 persone. Si tratta di una delle stragi più gravi degli ultimi anni.
Ma per fortuna sono morti abbastanza lontani per non sanguinare nei nostri salotti. Quindi la notizia si può nascondere nelle pagine degli Esteri, come se non fosse cosa nostra.
Buon lunedì.
Nella foto: i resti di un gommone naufragato vicino allo stretto di Gibilterra (adobe stock)
È da poco uscito un lavoro firmato da due straordinarie musiciste e interpreti, che propongono al mercato pop italiano, con un coraggio davvero esemplare, l’idea di riportare all’attenzione di tutti la matrice iniziale della musica d’autore (o di autrici, in questo caso): quella acustica. Se proprio vogliamo dirla fino in fondo su questo album, In punta di corde, dobbiamo riconoscere a Chiara Raggi, voce e chitarre, e Giovanna Famulari, violoncello e voce – la capacità di asciugare tutti quegli orpelli e quelle sonorità pop, schiave della moda, contenute in tutte le produzioni che ultimamente stanno affollando la rete dei social e il pubblico mediamente giovane. Le due artiste invece si presentano completamente “nude”, come alla nascita, con la “speranza”che questa loro bellezza possa essere accolta dal “seno” delle ninfe della Musica.
Chiara Raggi,cantautrice, chitarrista diplomata al Conservatorio della sua città natale, Rimini, nonché produttrice discografica, è founder & director di Musica di Seta, una etichetta discografica dedicata alle cantautrici. Ha all’attivo cinque album ed è stata vincitrice di numerosi premi. Famulari, diplomata al conservatorio di Trieste, è violoncellista, pianista e produttrice artistica. Anche lei vincitrice di numerosi premi, ha al suo attivo diversi album con collaborazioni artistiche prestigiose tra le quali va ricordata quella con Tosca –con la quale ha vinto due Targhe Tenco per Morabeza.Ha fatto conoscere il suono del suo violoncello nei più prestigiosi teatri del mondo collaborando con diversi artisti nazionali ed internazionali tra i quali Solomon Burke, Ron, Nicola Piovani, Lenny White, Fred Martins, Marcus Eaton, Mogol, Vinicio Capossela, Gegè Telesforo,Luca Barbarossa e tantissimi altri. Giovanna vanta anche una lunga esperienza teatrale e televisiva con Stein, Veronesi,Sepe, Lina Sastri, Tony Servillo e altri.
Possiamo dire che da queste due importanti figure della musica attuale non poteva che uscire un risultato bellissimo, denso di emozioni. Raggi e Famulari capovolgono completamente l’attualemainstream, che ci raccontadi un pop senza bussola, quasi da supermercato. È vero, ci troviamo di fronte ad un album di covers ma con un contenuto completamente riscritto dalle due protagoniste, che si cimentano negli arrangiamenti e nella produzione. I brani, ritagliati in maniera certosina e presi in esame dalle due musiciste, si trasformano in qualcosa di assolutamente nuovo. Dieci tracce alle quali si aggiunge in chiusura come “bonus track”, una canzone originale dal titolo “Mi ritroverai”, scritto da Raggi, assolutamente coerente con il progetto, nei suoni, e nella intenzione, soprattutto. Le canzoni – le cui autrici sono Nada, La Rappresentante di Lista, Carmen Consoli, Grazia di Michele, Madame, Rettore, Giuni Russo, Mariella Nava, Paola Turci, Cristina Donà – sono state scelte con cura e preparate nelle minime sfumature.
Sole davanti ai microfoni della RSI, sostenute dal produttore Sergio Albertoni, le due interpreti ci guidano verso costellazioni sonore dove talvolta, composizioni anche non troppo note, come astri lontani, riescono ad arrivare brillando fortemente davanti a noi. L’album che ha un valore artistico elevato nel suo concept acustico, non ci fa rimpiangere minimamente le versioni originali. Ci sono cambi di tempo come “in Ciao Ciao” oppure ritmi diversi sparsi lungo il percorso musicale. L’album è davvero ispirato, regalando a diversi brani, scritti anni fa, una nuova vita. Anche se in alcuni casi – come per il brano “In bianco e nero” di Carmen Consoli o nel cantato di Nada – gli stili di scrittura e il fraseggio sono riconoscibilissimi,è soprattutto in altri momenti che il lavoro di reinterpretazione svetta fino a farci pensare che le canzoni siano state scritte tutte dalle stesse mani. L’omogeneità del sound e del mix delle due protagoniste; gli interventi del violoncello – che non è mai sopra le righe – e in particolar modo la ripresa microfonica degli strumenti e delle voci per la registrazione, danno all’ascoltatore la perfetta sensazione della unicità del progetto della coppia che sa muoversi tra i pentagrammi, dimostrando di essere a proprio agio.E questo è senz’altro un pregio ulteriore che si aggiunge agli altri che si scoprono di volta in volta, ad ogni ascolto.
Il disco cresce lentamente in questa atmosfera a volte malinconica, che ci avvicina a certe sperimentazioni di Marianne Faithfull nella collaborazione con Nick Cave e Warren Ellis in “Negative Capability” di qualche anno fa. Potrebbe sembrare azzardato il parallelismo ma è l’incedere della certa e adamantina voce di Raggi, nel “portare” i poetici brani in luce che colpisce al cuore, sebbene sia opposta alla storica “scura” voce della artista inglese. Così altrettanto il violoncello di Famulari, che ci ricorda in parte gli interventi contenuti nel sopra citato album della cantante inglese, e per fraseggi e arrangiamenti originalissimi o addirittura sfidanti. Ma uno dei tanti elogi che possiamo senz’altro raccontare è che le due artiste hanno registrato questo materiale in diretta live allaRadio elevisione svizzera italiana durante il programma radiofonico “Musica di seta, viaggio in punta di corde nella musica d’autrice”. Programma scritto dalla stessa Raggi che ripercorre con storie e canzoni, donne pioniere, che raccontano le loro conquiste e le loro scelte di vita attraverso la forza della parola e del linguaggio universale della musica. Un disco coraggioso, militante addirittura, oseremmo dire, visti i tempi odierni e i temi centrali che le due artiste scelgono di reinterpretare. Non rimarranno deluse le autrici originali, che con queste canzoni hanno voluto sottolineare le gioie e le problematiche dell’universo femminile. Un album che per le caratteristiche e l’evidente capacità delle protagoniste di trasformare dei brani in “altro”, senza snaturarli della loro essenza, dovrebbe essere preso ad esempio nelle scuole di musica.
Un album che nella sua scarna ma efficace e perfetta esecuzione, racconta della purezza dei volti ritratti dal mitico Paolo Soriani in copertina. Due fiori con una unica bocca: quella che parla, canta, denuncia, grida la forza, la rabbia, l’ironia e la poesia dell’essere donna. E di essere rispettata e che non può e non deve tacere mai. Due rose rosse nella neve dell’inverno che ci sorprenderà a breve. Due donne, due voci che diventeranno nostre amiche, riscaldandoci in questi tempi turbolenti, insegnandoci il senso della vita.
L’appuntamento
Chiara Raggi, voce e chitarre e Giovanna Famulari, violoncello e voce, presentano in concerto il loro nuovo album In punta di corde Live at RSI il 13 gennaio al Teatro degli Atti a Rimini
In un pezzo da ritagliare Paolo Frosina de Il Fatto quotidiano ripercorre le tappe del governo Meloni sul Mes, il meccanismo europea di stabilità che sta facendo impazzire Giorgie Meloni, i suoi ministri e i partiti di maggioranza.
Si parte il 30 giugno con il disegno di legge per la ratifica che passa in Commissione esteri solo con i 3 voti dell’opposizione poiché i membri della maggioranza scappano. Il 5 luglio la seconda seduta alla Camera si blocca alla discussione generale perché i quattro capigruppo del centrodestra (Tommaso Foti per FdI, Riccardo Molinari per la Lega, Paolo Barelli per Forza Italia e Maurizio Lupi per Noi Moderati) chiedono e ottengono una sospensiva per avere quattro mesi in più di riflessione “a seguito dei recenti cambiamenti nel contesto internazionale”. Irraggiungibile la dichiarazione del deputato di Fi Andrea Orsini: «non è una fuga dal problema ma un modo per affrontarlo nei tempi giusti, nei modi giusti e con le giuste condizioni».
Il 23 novembre viene calendarizzato di nuovo ma si ritrova ad essere in fondo all’agenda. Slitta la sua discussione. Viene ricalendarizzato per il 14 dicembre (ieri) ma la maggioranza il 13 dicembre si esibisce in un capolavoro di melina che allunga i lavori. Niente da fare, saltato ancora. Nuova data: il 19 dicembre. Anche in quell’occasione però l’elenco dei temi è lungo e farlo slittare sarà un gioco da ragazzi per dei professionisti come questa maggioranza. Se ne parlerà forse nel 2024. L’Italia è l’unico Paese membro a non avere ratificato.
Se la “credibilità internazionale” diventa uno slogan di cui riempirsi la bocca per scaldare la propaganda va a finire sempre così, com’è accaduto ieri alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni che scaldava già la penna per firmare oggi il fatidico “memorandum con l’Albania”. L’idea di costruire in trasferta due centri per il rimpatrio nel territorio albanese che costerebbero come tutti i Cpr italiani è stata stoppata dalla Corte costituzionale albanese che ieri ha annunciato la sospensione delle procedure parlamentari per l’approvazione dell’accordo.
La Corte è stata chiamata in causa da due ricorsi presentati separatamente dal Partito democratico albanese e altri 28 deputati schierati a fianco dell’ex premier di centrodestra Sali Berisha. Nel ricorso si sostiene che l’intesa viola la Costituzione e le convenzioni internazionali alle quali l’Albania aderisce. I ricorsi avevano evidenziato i potenziali limiti imposti dal diritto internazionale senza contare le denunce pubbliche delle organizzazioni che si occupano di diritti umani. La presidente della Corte, Holta Zaçaj ha spiegato che «il collegio dei giudici riunitosi oggi ha considerato che i ricorsi presentati rispettano i criteri richiesti, ed ha deciso di esaminarli in seduta plenaria». Tutto fermo quindi fino a quando la corte non si esprimerà con un verdetto. Secondo la legislazione albanese, la Corte costituzionale dovrebbe prendere una decisione entro tre mesi dalla data della presentazione del ricorso, quindi, entro il prossimo 6 marzo.
Ancora una volta quella “rottura” del diritto internazionale mette i bastoni nelle ruote alla ferocia. E siamo solo all’inizio.
Buon giovedì.
Nella foto: Il primo ministro albanese Edi Rama e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni siglano il memorandum Italia-Albania sull’immigrazione, Roma, 6 novembre 2023 (governo.it)
«Io oggi sono libera, sarebbe stata una vera tortura non avere la libertà di scegliere». Anna, nome di fantasia, è una donna triestina di 55 anni morta a casa sua dopo l’auto somministrazione di un farmaco letale fornito dal Sistema sanitario nazionale. Il decesso è avvenuto lo scorso 28 novembre ma è stata resa nota ieri dall’associazione Luca Coscioni. «È il primo caso in Italia – ha spiegato l’associazione – ad aver avuto accesso al suicidio assistito con l’assistenza completa del Ssn», che ha fornito il farmaco letale e un medico di supporto.
Anna soffriva di una malattia irreversibile da tredici anni. Dodici mesi fa aveva chiesto di potersi avvalere del diritto alla morte assistita volontaria. In mancanza di qualsiasi pietosa risposta dall’Asl ha dovuto rivolgersi al tribunale.
«Anna è il nome che ho scelto e, per rispetto della privacy della mia famiglia, resterò Anna», è il messaggio lasciato dalla donna. «Ho amato con tutta me stessa la vita, i miei cari e con la stessa intensità ho resistito in un corpo non più mio. Ho però deciso di porre fine alle sofferenze che provo perché ormai sono davvero intollerabili. Voglio ringraziare chi mi ha aiutata a fare rispettare la mia volontà, la mia famiglia che mi è stata vicina fino all’ultimo».
Mentre la politica tentenna qui fuori le persone cercano libertà come possono, infilandosi tra le pieghe di una sentenza della Corte costituzionale e confidando nel rispetto di una legge che non c’è per vigliaccheria parlamentare. Un accanimento burocratico per mancanza di legge è il regalo che i misericordiosi della politica lasciano a chi soffre. Se vi sembra giusto, se vi sembra normale.