Home Blog Pagina 234

Incapaci di fare politica si buttano sul panpenalismo

Magistratura Democratica analizza il cosiddetto “Decreto Cutro” (il decreto-legge n. 20 del 2023) e dice quello che c’è da dire. In un comunicato stampa la componente dell’Associazione nazionale magistrati punta il dito contro la stretta sulla protezione speciale decisa dal governo Meloni che, scrivono i magistrati, «andrà a colpire persone che in Italia lavorano con contratti regolari, hanno un’abitazione e spesso avevano trasferito qui anche la famiglia. Persone, insomma, ormai parte integrante del sistema sociale del nostro Paese. La riposta ai morti di Cutro non è stata una rivisitazione critica della ratio punitiva e respingente che ha governato le politiche migratorie, ma si propone di estromettere queste persone dal sistema legale, impedire loro – nella volontà del Governo – di chiedere un permesso per protezione speciale».

Il risultato, come già avvenuto per altre inutili leggi repressive, scrive Magistratura Democratica, «potrà essere quella di produrre un esercito di irregolari che non potranno essere allontanati, in mancanza di accordi per il rimpatrio con la maggioranza dei Paesi dai quali provengono e che andranno ad alimentare il mercato del lavoro nero e dello sfruttamento o della criminalità, su cui lucrano potentati economici sempre più invadenti, interessati ad abbattere i costi della manodopera (ad esempio nel settore agroalimentare o in quello della logistica)».

Un altro passaggio che vale la pena leggere è quello dell’inasprimento delle pene per i trafficanti che Meloni, Piantedosi e Salvini stanno rivendendo come panacea di tutti i mali, tra l’altro dimostrando un’abissale ignoranza su chi siano gli scafisti e sulla differenza con i trafficanti. Scrive Magistratura Democratica: «Anche solo immaginare, infine, che il traffico di esseri umani si combatta con l’innalzamento esorbitante delle pene per i c.d. scafisti, è solo un’illusione che alimenta il mito del panpenalismo, al fine di anestetizzare le paure sociali e tacitare le coscienze, individuando un nemico da combattere, anzi da abbattere. La tecnica legislativa, poi, lascia – ancora un volta – molto a desiderare. La previsione penale, infatti, è strutturata con una formula così ampia e indeterminata che pone seri problemi di aderenza ai principi costituzionali, autorizzando interpretazioni che potrebbe estenderne l’applicazione anche a chi interviene per garantire aiuti umanitari. Applicare questa nuova fattispecie di reato a chi “dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato” pone sullo stesso piano condotte profondamente diverse tra loro, con una pena edittale minima elevatissima».

«Anche l’individuazione del nemico da abbattere – scrivono i magistrati – con la sanzione penale è frutto di approssimazione. L’esperienza dei processi penali celebrati contro i c.d. scafisti ci insegna, infatti, che chi si assume il rischio di condurre l’imbarcazione che ospita i migranti è di regola una persona altrettanto vulnerabile, alla quale si affida il timone in cambio della gratuità del viaggio o altri modesti vantaggi. Insomma: un povero tra i poveri, non certo il gestore del traffico e neppure un tassello della criminalità organizzata transnazionale che organizza il traffico di esseri umani. Per i timonieri degli scafi la pena prevista dall’articolo 12 del decreto legislativo n. 286 del 1998 è già oggi elevatissima; se, per come è usuale le persone trasportate sono più di 5, la pena prevista va da 5 a 15 anni. Non erano necessari, perciò, né inasprimenti delle pene, né nuove fattispecie di reato che non servono a garantire maggiore sicurezza sociale e non tutelano meglio – neppure indirettamente – la vita delle persone che attraversano il mare cercando una prospettiva dignitosa di futuro».

Intanto come accade ogni primavera i “giornali” spingono sull’ondata di “clandestini” che sarebbero in arrivo prossimamente. Sarebbero 685mila secondo Repubblica, 900mila secondo Il Messaggero che riprende una fonte di Fratelli d’Italia. Accade tutti gli anni. Previsioni che puntualmente si rivelano sbagliate (il numero massimo di arrivi in Italia è stato di 108mila). Ma l’importante è concimare la paura. Poi ci sarà sempre un nuovo reato da inventare o un vecchio reato da inasprire per coprire con il panpenalismo l’inettitudine politica.

Buon lunedì.

Nella foto: frame del video della conferenza stampa del Consiglio dei ministri, Cutro, 9 marzo 2023

Verità e giustizia per la strage di Cutro. Il discorso di Schlein neo segretaria del Pd

«Al governo Meloni chiediamo di chiarire e fare luce sulla dinamica della strage di Cutro», dice la neo segretaria del Pd Elly Schlein, ad apertura della assemblea che oggi a Roma l’ha proclamata al vertice del Pd.

«A Cutro abbiamo toccato con mano l’inumanità delle scelte di chi governa il Paese – dice Schlein-. Siamo stati i primi a ricevere una informativa urgente a Piantedosi e non abbiamo ancora ricevuto risposte. Nessuno ha ritenuto di rispondere, hanno fatto un Consiglio dei ministri a Cutro chiusi dentro, senza nemmeno dare omaggio alle vittime e ai loro familiari, come invece ha fatto il presidente Mattarella.  A destra sono deboli con i forti e forti con i deboli, non hanno il coraggio di dire ai loro alleati in Europa, come Orban, che non si può volere i benefici dell’Ue se non se ne condividono le responsabilità».

Così questa mattina Elly Schlein, neo segretaria del Pd all’Assemblea del Pd, che poi ha eletto Stefano Bonaccini presidente e Michele Fina tesoriere.

In rapida sintesi, riservandoci di approfondire ulteriormente, raccogliamo alcuni suoi spunti presentati oggi.

Politica migratoria. Abolizione della Bossi Fini:
“Insieme possiamo fare tante cose, se avremo coraggio, abbiamo una grande responsabilità, dobbiamo proporre un’altra politica migratoria: non rifinanzieremo mai più la guardia costiera libica, perché viola i diritti fondamentali. Dobbiamo abolire e riscrivere  quella pessima legge che porta il nome di Bossi e di Fini, prevedendo vie legali sicure per l’accesso. Vorrei che si facesse una battaglia per cambiare il regolamento di Dublino e che interrompesse la battaglia folle contro le Ong. Serve una mare nostrum europea che riconosca l’umanità di chiunque si metta in viaggio, come dicono i trattati internazionali”.

Italiani senza cittadinanza:
“Siamo al fianco degli italiani di nuova generazione, per una legge che dica che se sei nato e cresciuto qui sei italiano. Nessuno può toglierti il diritto di sentirti a casa tua. La società più sicura è quella che non discrimina, non marginalizza, non lascia indietro nessuno”.

Due punti cardine, Scuola pubblica e laica e  Sanità pubblica universalistica:

“Dobbiamo occuparci del crescente “disagio” psicologico fra  i giovanissimi e non solo, dopo anni di pandemia”.

Intelligenza collettiva:

“Serve una identità chiara, vicina, empatica, coerente, serve una nuova intelligenza collettiva”.

Pace non è una parolaccia:

“La pace non è una parolaccia per noi a sinistra deve essere un’aspirazione quotidiana, una mobilitazione costante. Ma deve essere una pace giusta. Non si può essere equidistanti da chi è stato aggredito e da chi ha aggredito. Dobbiamo continuare a sostenere in modo pieno il popolo ucraino che ha diritto di difendersi, dobbiamo continuare a sostenerlo, ma accanto a questo dobbiamo chiedere un protagonismo più forte all’Ue per uno sforzo politico e diplomatico”.

Giustizia climatica e sociale:

“Non abbiamo più tempo. Ha ragione la mobilitazione di chi chiede nelle piazze di agire con urgenza contro l’emergenza climatica. Dobbiamo essere in prima linea per una legge contro il consumo di suolo, abbiamo cementificato troppo. Serve un grande piano industriale verde, investire nella trasformazione ecologica”.

Lavoro:
Abolizione del Jobs Act. Serve una legge sulla rappresentanza che spazzi via i contratti pirata, accanto a questo il salario minimo. Ci siamo confrontati con il segretario Cgil Landini e sulla sicurezza sul lavoro va fatto un grande lavoro di prevenzione.
Incontrerò gli altri sindacati. Il tema della partecipazione è importante, anche sui luoghi di lavoro, non solo in politica. Dobbiamo scrivere le nuove tutele sul lavoro digitale, non è possibile che ci siano categorie che escono di casa per andare a lavorare senza assicurazione e senza tutele per la malattia. Il reddito di cittadinanza ha impedito a milioni di persone di scivolare verso la povertà e non capiamo perché questo governo si stia accanendo contro i poveri”.

Fisco: 

“Sulla riforma fiscale del governo Meloni dobbiamo lavorare molto, faremo muro, perché aumenta le diseguaglianze, invece noi siamo per la progressività. Difenderemo opzione donna per estenderla”.

Autonomia differenziata:
“Ci opporremo con grande forza al disegno di Calderoli sull’autonomia differenziata. Ci opporremo con grande forza perché non c’è riscatto dell’Italia se non c’è il riscatto del Sud. Rimettiamo al centro il diritto alla casa e all’abitare, più sostegno per l’affitto, per le case popolari, tenere insieme questione climatica e sociale. E ci opporremo con forza a questo disegno pericoloso di Calderoli  perché vuole dividere un Paese che deve essere ricucito”.

Lotta alla mafia:
“Il Pd è un presidio permanente e di contrasto ad ogni infiltrazione della mafia nell’economia, nella società e nella politica, c’è ancora una grande questione morale da affrontare nel nostro Paese. Servono strumenti di trasparenza e contrasto, per avere regole ferree” anche in Ue, basta con le porte scorrevoli”.

Classe dirigente del partito:
“Bisogna rinnovare il gruppo dirigente, ma stiamo già cambiando, ci sono tante giovani donne e uomini che sono entrati in questa assemblea. Facciamolo, avendo però l’ambizione non di un vuoto nuovismo, ma quella di creare nuovi ponti intergenerazionali”.

Tesseramenti:

“Non vogliamo più vedere irregolarità sui tesseramenti, abbiamo dei mali da estirpare, non vogliamo più vedere capibastone vari. Su questo dovremo lavorare tanto insieme, ne va della credibilità del Pd, su cui non sono disposta a cedere di un millimetro”.

No all’uomo o alla donna sola al comando:
“Non basta una nuova segretaria, dobbiamo farlo insieme, non ho mai creduto nell’uomo o nella donna sola al comando, ora poi che ce n’è una a palazzo Chigi. Serve un’identità chiara, prossima, vicina, coerente comprensibile. È l’occasione per provare a ricucire i fili, per essere una casa aperta ed accogliente”.

Presidenzialismo:

“Dobbiamo essere insieme per contrastare il presidenzialismo voluto dalla destra, lo faremo con proposte alternative”.

 

 

Vilipendio di cadaveri

Giorgia “sono una donna, sono una mamma, sono cristiana” Meloni non ha trovato un secondo per rendere omaggio alle vittime della strage di Cutro. Ha trovato comunque il tempo di passare da lì per riunire un Consiglio dei ministri che sarà ricordato come l’imbarazzante apice della retorica e dell’ignoranza sui temi migratori conclusosi con un decreto che è un guazzabuglio di disumanità, di regole inutili e di interventi sbagliati.

Il governo di Giorgia Meloni, del resto, ha dimostrato fin da subito di non avere la statura morale per riconoscere cosa sia una questione umanitaria e cosa una questione politica. Confondere i due piani regala un condono morale che legittima la xenofobia (morbida e sottaciuta) che è uno dei propellenti del governo.

Così dopo i cadaveri sulla spiaggia, dopo i buchi nella catena di soccorso che non sono stati chiariti dal ministro Piantedosi, dopo avere ascoltato lo stesso Piantedosi rivittimizzare le vittime perché si sono imbarcate, dopo aver depositato i sopravvissuti in una topaia marcia (per poi mandarli in albergo appena è montata l’indignazione), dopo aver tentato di sguincio di deportare le salme, Giorgia Meloni licenzia un decreto legge che inasprisce le pene per i trafficanti (già previste dal Testo Unico del 1998) e stabilisce un nuovo reato per chi “promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, quando il trasporto o l’ingresso sono attuati con modalità tali da esporre le persone a pericolo per la loro vita o per la loro incolumità o sottoponendole a trattamento inumano o degradante”.

Peccato che né Giorgia Meloni, né Piantedosi, né Salvini (e tantomeno i parlamentari della maggioranza) sembrano conoscere la differenza tra “trafficanti” e “scafisti”. Per comodità (meglio, vigliaccheria) preferiscono concentrarsi su quest’ultimi che però hanno poco a che fare con la gestione dell’immigrazione illegale e anzi molto spesso si rivelano semplici migranti che si sono messi al timone per minaccia, per paura o per salvarsi. I “trafficanti” sono comodamente seduti nel divano di casa propria a contare i soldi incassati dai disperati e dagli Stati (come l’Italia, come anche l’Unione Europea) che li legittimano come “autorità” di Stati che sono un conclave di sgherri. Anche in questo caso siamo alle solite: forti con i deboli.

Tra gli altri provvedimenti c’è poi l’annunciato decreto flussi per il triennio dal 2023 al 2025 rivenduto come novità e conquista. Peccato che il decreto flussi sia in campo dal 1998 e nei fatti non abbia migliorato la situazione umanitaria, limitato nei numeri. Ad oggi, infatti, con le normative vigenti può entrare in Italia solo chi è già in possesso di un contratto ed esclusivamente nell’ambito delle quote e dei settori lavorativi definiti dal decreto flussi, non sulla base dei concreti bisogni delle aziende. Il decreto flussi non ha niente a che vedere con quelli che scappano dalla guerra e che anche ieri Giorgia Meloni con molta ignoranza ha chiamato “partenze irregolari”. Che le persone asfissiate nel mare di Cutro fossero irregolari avrebbe dovuto stabilirlo la risposta a una domanda d’asilo che quelli non hanno potuto presentare perché inghiottiti in anticipo dal mare.

Poi c’è l’ampliamento dei Centri per il rimpatrio (Cpr) che potranno essere realizzati “anche in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione”. Il viatico per strutture ancora più sgarrupate e indecenti di quelli che già ci sono.

Infine c’è il capolavoro, il potenziamento della sorveglianza marittima che avrebbe dovuto essere in capo al Comando della squadra navale quindi in mano a Guido Crosetto. Giorgia Meloni prova a commissariare i poco capaci ministri Salvini e Piantedosi in favore del ministro della Difesa Guido Crosetto. In pratica hanno mancato l’operazione di ricerca e soccorso preferendo un’operazione di polizia a Steccato di Cutro e ora provano di virare su un’operazione militare. Non accade per poco, solo perché Salvini si ribella ma il segnale di sfiducia politica è chiarissimo.

Ci sarebbe anche il tono di Giorgia Meloni, quell’apocalittica conferenza stampa tenuta con aria di sfida. “State dicendo che il Governo ha voluto non salvare quelle persone?”, chiede di nuovo. Sì, rispondiamo ancora.

Siate maledetti.

Buon venerdì.

Frame del servizio video a Steccato di Cutro dalla pagina facebook di Cartabianca, 7 marzo 2023

«No alla passerella di ministri a Cutro, serve una svolta nelle politiche migratorie»

Si chiama Rete 26 febbraio e rappresenta la reazione della società civile, dei cittadini, delle associazioni di fronte al naufragio di Cutro, avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 febbraio scorsi e costato la vita ad almeno 72 persone (purtroppo un dato in aggiornamento) partite dalle coste della Turchia e provenienti da Afghanistan, Iran, Pakistan e Siria. Un naufragio che non è stato frutto di una tragica fatalità, ma di anni di scelte politiche “migranticide” tra le quali, per esempio, il decreto Piantedosi che ostacola le Ong che effettuano soccorsi in mare, varato a gennaio 2023 e approvato alla Camera dei deputati a febbraio, e il rinnovo, sempre a inizio febbraio scorso, del documento d’intesa con la Libia firmato per la prima volta nel 2017 sotto il governo Gentiloni allo scopo di contrastare l’immigrazione irregolare.

E infatti il naufragio di un’imbarcazione che trasporta migranti nel Mediterraneo è un fatto quasi all’ordine del giorno, che il più delle volte passa in sordina anche a livello mediatico. Di diverso questa volta c’è che i resti del peschereccio e della tutina rosa di una bambina giacciono sulla sabbia umida e scura di una spiaggia calabrese, e che centinaia di persone, tra cui il presidente Mattarella, si sono raccolte al Palasport di Crotone per rendere omaggio a decine di bare allineate lì, in quel luogo spoglio e straniero. Sono passati dieci anni dal 3 ottobre 2013, quando 368 persone persero la vita vicino a Lampedusa in quel naufragio a seguito del quale fu avviata l’operazione Mare nostrum, e il fatto di dover parlare ancora di morti nel Mar Mediterraneo suscita un’inevitabile indignazione.

Le parole di Manuelita Scigliano, portavoce del Forum del Terzo settore crotonese e presidente dell’associazione Sabir, fanno comprendere quanto si sta vivendo a Crotone in questi giorni. L’aria è pesante, e al dolore collettivo si è aggiunto quello dei parenti delle vittime e dei superstiti giunti in città: «La popolazione di Crotone e noi operatori siamo frastornati, è difficile gestire tanto dolore. Noi siamo quotidianamente con i familiari ed è davvero straziante», racconta. Il suo tono di voce tradisce la stanchezza di chi con determinazione si muove nella giusta, faticosa, direzione, anche quando il vento è sfavorevole. Pochi giorni dopo il naufragio il Forum del Terzo settore crotonese, spinto dall’esigenza di fare rete e di auto-organizzarsi, data l’inefficacia delle risposte istituzionali, ha convocato una riunione: la presenza è stata molto più massiccia del previsto, e l’intento congiunto con cui si è conclusa è stato quello di lanciare un appello per fare rete. Rete 26 febbraio, appunto. Ad oggi questo appello ha raccolto 320 adesioni, di cui 222 enti italiani ed europei, e un centinaio di persone singole.

Le primissime questioni che la Rete si è adoperata ad affrontare sono state di natura logistica: «Ci siamo occupati dell’accoglienza dei familiari che stavano provenendo da ogni parte d’Europa e del mondo, della fornitura dei pasti, di un cambio di vestiti perché alcuni sono partiti in tutta fretta sperando di poter riabbracciare i loro cari, di una Sim per il telefono per chi invece era superstite dal naufragio e voleva mettersi in contatto con la famiglia», spiega Scigliano. Questioni basilari, cui si aggiungono quelle, altrettanto concrete, di tradurre – non soltanto dal punto di vista linguistico, ma anche in termini di mediazione con le istituzioni – le istanze dei familiari. «Che ad oggi sono principalmente due: il rimpatrio delle salme, la maggior parte delle quali in Afghanistan, e il ricongiungimento dei superstiti con i familiari in Europa», continua. Mentre scriviamo, sul trasferimento in Afghanistan dei feretri delle vittime del naufragio, permangono ancora problemi burocratici tanto che la notte scorsa i familiari per impedire che le salme dei loro cari venissero trasportate a Bologna per essere seppellite nel cimitero musulmano, hanno dormito nel palasport di Crotone, il luogo che ospita le bare.

La protesta dei familiari delle vittime, Crotone, 8 marzo 2023

Dare sostegno e conforto ai familiari delle vittime e ai superstiti è necessario, sì, ma non sufficiente, e le persone di questa Rete neo-costituitasi si sono rese conto fin dalle prime ore che è arrivato il momento di dire basta, e di mobilitarsi affinché simili tragedie non succedano più nel Mediterraneo. «Soprattutto dire basta al clima di criminalizzazione delle vittime, dei migranti: non si può dire che le morti in mare sono loro responsabilità, non si può dire che si prevengono prevenendo le partenze. Si prevengono garantendo i soccorsi in mare e soprattutto garantendo vie legali e sicure di ingresso in Europa, e politiche migratorie che favoriscano l’integrazione e l’accoglienza», dichiara ancora la presidente di Sabir, che continua decisa: «La tragedia di Crotone è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso». Il chiaro riferimento è alle affermazioni del ministro dell’interno Piantedosi, tanto per citarne una quella sull’assenza di senso di responsabilità delle persone che si imbarcano con i propri figli, parole per le quali ne sono state chieste le dimissioni a più voci, tra le polemiche sorte sulla presunta omissione dei soccorsi.

Di fronte a dichiarazioni di questo tipo il bisogno di fornire un’alternativa è d’obbligo, e l’alternativa passa in prima battuta attraverso la comunicazione. «L’idea che è passata dal momento in cui si è venuta a creare la Rete», spiega Francesco Turrà, coordinatore del Consorzio di cooperative sociali Jobel, «è stata quella di partire dalla comunicazione, che è spesso il problema principale. Comunichiamo concetti chiari. Va bene il confronto di idee, va bene il dibattito, ma poi le istanze che giungono dalla società civile devono portare a una sintesi coesa che permetta di fare delle rivendicazioni a livello italiano ed europeo. Questo non avviene ormai da troppo tempo». Rivendicazioni chiare, quindi, su pochi concetti chiave: aprire i corridoi umanitari, salvare le vite in mare e rendere legali e sicure le vie di accesso in Europa.

Nel frattempo i riflettori di tutta Europa sono puntati su Crotone, dove il presidente Mattarella è stato in visita lo scorso giovedì, e dove oggi, 9 marzo, si tiene un Consiglio dei ministri straordinario. «Da un lato nutriamo speranza che questo Consiglio dei ministri possa segnare una svolta sia nella risposta all’istanza dei familiari sia per un cambio di passo nel ragionamento sulle politiche migratorie, dall’altro temiamo che sia l’ennesima passerella politica, un cordoglio sterile che poi non porterà a nessun risultato effettivo», spiega Scigliano, che d’altro canto giudica positivamente la visita del Capo di Stato, «che si è preso l’impegno personale a dare il proprio contributo affinché venissero date risposte concrete», conclude.

Per sabato 11 marzo, poi, è stata convocata proprio a Crotone una manifestazione nazionale che ripercorrerà i luoghi della tragedia: «Riuscire a catalizzare un movimento del genere in questo contesto così periferico e marginale, che già vive internamente numerose contraddizioni, può essere una buona occasione», dichiara Turrà, «non solo per sollevare questo tema ma in generale, secondo me, per unificare tanti tipi di lotte che poi alla fine hanno a che fare sempre con il concetto di potere e di prevaricazione dell’essere umano sull’essere umano». Anche in occasione di questa manifestazione saranno società civile e terzo settore a scendere in piazza: «La società civile deve operare una sorta di attività di lobby nei confronti della politica, spingere la politica a fare determinate cose. Non basta scendere in piazza. Dobbiamo farlo, poi però devono intervenire i corpi intermedi, i sindacati». Soprattutto, poi, bisogna agire in fretta, perché il vaso è già traboccato da tempo o, per usare la metafora di Turrà, il fiume straripato. «Quando gli argini cominciano a cadere – e ne sono caduti tanti – poi non ci rendiamo neanche conto di quando arriva la piena. Questa è una piena», conclude il coordinatore di Jobel, «e tollerare un evento del genere, dal punto di vista politico, significa buttare giù un altro bel pezzo di argine, e aprire la strada a fatti ancora peggiori».

Foto Francesco Turrà

Sì, ma cosa proponete?

Poiché i parlamentari e i partiti politici sono pagati, votati e chiamati a trovare soluzioni legislative ai temi più o meno complessi negli ultimi giorni, al di là dell’indignazione per la strage di Cutro, circola la buffa idea che sul tema delle migrazioni (qui si parla del lato politico, dando come prerequisito il lato umanitario) non esistano proposte alternative.

Ieri è giunta notizia che il Piatto democratico, il Terzo polo e +Europa siano convenuti su una proposta di legge che è lì bella pronta fin dal 2017 (la trovate qui) e che Riccardo Magi ha già depositato. La legge nasce dalla campagna #EroStraniero lanciata da Radicali italiani insieme alla Fondazione Casa della carità «Angelo Abriani », Acli, Arci, Asgi, Centro Astalli, Cnca, A buon diritto, con il sostegno di centinaia di sindaci e di organizzazioni impegnate sul fronte dell’immigrazione, tra cui Caritas italiana, Fondazione Migrantes, Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle chiese evangeliche ita- liane, Cgil, Emergency e tantissime associazioni locali.

Questi i principali punti di riforma proposti dalla campagna:

  • Reintroduzione del sistema dello sponsor (sistema a chiamata diretta)

Si propone la reintroduzione del sistema dello sponsor, originariamente previsto dalla legge Turco-Napolitano, per l’inserimento nel mercato del lavoro del cittadino straniero su invito del datore di lavoro italiano. Si tratta di una prestazione di garanzia per l’accesso da parte di singoli datori di lavoro che permettono al lavoratore straniero di venire in Italia, essere assunto e inserirsi nel mercato del lavoro, assicurando risorse finanziarie adeguate. Tale assunzione dovrebbe avvenire in qualsiasi momento, senza dover attendere che vengano stabiliti click day e definiti settori determinati.

  • Introduzione di un permesso di soggiorno temporaneo per la ricerca di occupazione

Si propone un permesso di soggiorno temporaneo (12 mesi) da rilasciare a lavoratori e lavoratrici dei paesi terzi per facilitare l’incontro con i datori di lavoro italiani e per consentire a quanti sono stati selezionati sulla base delle richieste di determinate figure professionali, di venire in Italia, svolgere i colloqui di lavoro e finalizzare l’assunzione. La selezione può avvenire anche attraverso l’attività di intermediazione svolta da enti pubblici e privati (quali organizzazioni, associazioni, patronati, sindacati, università, agenzie per il lavoro), autorizzati dal ministero del lavoro e inseriti in un apposito albo nazionale, per far incontrare l’offerta di lavoro da parte di cittadini stranieri e richiesta di lavoro da parte di datori di lavoro in Italia, selezionando nei paesi di origine lavoratori e lavoratrici che rispondono a determinati requisiti.

  • Regolarizzazione su base individuale degli stranieri “radicati”

Si propone la regolarizzazione su base individuale degli stranieri che si trovino in situazione di soggiorno irregolare allorché sia dimostrabile l’esistenza in Italia di un’attività lavorativa, sul modello della Spagna e della Germania. Tale titolo di soggiorno dovrebbe prevedere una procedura sempre accessibile, su base individuale, e non legato a sanatorie: si può fare richiesta del permesso in qualsiasi momento se si è in possesso dei requisiti.

  •  Effettiva partecipazione alla vita democratica

Si propone l’elettorato attivo e passivo per le elezioni amministrative a favore degli stranieri titolari del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo.

  • Abolizione del reato di clandestinità

Si propone l’abolizione del reato di clandestinità, abrogando l’articolo 10-bis del decreto legislativo 26 luglio 1998, n. 286.

È, ovviamente, l’inizio di una discussione ma delinea un pensiero che, al di là della narrazione di certa cattiva stampa, qualcuno finge di non vedere.

Buon giovedì.

L’8 marzo in numeri

Aumentano i casi di omicidio nel 2022 con 319 persone uccise ma il numero delle vittime donne cresce ancora di più (125) con un +12% rispetto al 2019. Anche in ambito familiare-affettivo, a una diminuzione dell’8% degli omicidi commessi, corrisponde un aumento del 10% di quelli con vittime di genere femminile. È quanto emerge dai dati sulle donne vittime di violenza elaborati dal Dipartimento della pubblica sicurezza-Direzione centrale della polizia criminale del Viminale. Nello stesso ambito, invece, risultano in diminuzione sia gli omicidi commessi dal partner o ex partner (-17%) sia il numero delle relative vittime donne che, da 68 del 2019 passano nell’anno appena trascorso a 61, con un decremento che si attesta al 10%. Per quanto riguarda il tasso degli omicidi commessi nel 2022 rapportati alla popolazione residente emerge un tasso medio pari a 0,54 vittime (di entrambi i sessi), ma con un valore più elevato per il genere maschile (0,67) rispetto a quello femminile, che si attesta a 0,41. Il trend del numero degli omicidi commessi è decrescente fino al 2020, ma con un successivo costante incremento fino al 2022, anno che, comunque, fa registrare valori uguali a quelli del 2019.

L’azione di contrasto mostra, a partire dal 2020, una flessione della percentuale dei casi scoperti, con il minimo nel 2022: il decremento nell’ultimo anno fa comunque registrare una percentuale di casi scoperti pari all’86%. Gli omicidi con vittime di genere femminile evidenziano nel 2022 un incremento. Si tratta di un trend in aumento dal 2019, anno in cui erano state riscontrate 112 vittime donne, dato che poi cresce progressivamente e nel 2022 sale a 125, nonostante il numero di eventi complessivi (319) sia uguale per i due anni in esame: da un’incidenza che nel 2019 era del 35% si giunge nel 2022 al 39%. Approfondendo l’esame per il solo 2022, emerge che le donne vittime di omicidio costituiscono il 39% del totale; di queste, il 95% erano maggiorenni e il 78% italiane. Focalizzando l’attenzione, in particolare, sull’ambito familiare-affettivo si evidenzia, invece, come, dal 2020, gli omicidi con vittime donne mostrino un costante incremento, a fronte di un trend discendente del dato complessivo. Nell’ambito familiare-affettivo si evidenzia, infatti, come nel 2022 la percentuale delle vittime donne si attesti al 74% dei casi (103 su 140). Inoltre si rileva come, tra le persone uccise dal partner o ex partner, la percentuale di donne raggiunga il 91% (61 su 67), mentre solo nel 9% dei casi le vittime sono uomini. Considerando le sole donne uccise in ambito familiare-affettivo, le stesse sono vittime di partner o ex partner nel 59% dei casi (61 su 103). Numerosi anche i casi in cui risultano uccise per mano di genitori o figli (33%, 34 su 103), mentre è residuale il caso di omicidi commessi da altro parente (8%, 8 su 103). Per quanto attiene al modus operandi, negli omicidi volontari di donne avvenuti in ambito familiare-affettivo si rivela preminente l’uso di armi improprie o armi bianche, che ricorre in 49 casi; in 23 eventi sono state utilizzate armi da fuoco. Seguono le modalità di asfissia-soffocamento-strangolamento (16 omicidi), lesioni o percosse (14 eventi) e avvelenamento in un unico caso.

Buon 8 marzo.

Allevare manodopera a basso costo

Allevare manodopera a basso costo è un lavoro difficile. Come tutti gli altri allevamenti bisogna essere capaci di restare sul crinale del sostentamento (solo quel che basta) e dell’affamare per rendere le bestie vigili e attive. È importate anche che escano dalla stalla il primo possibile, che fremano per uscire il prima possibile: per alimentare la voglia di uscire dal recinto basta rendere il recinto il più moderatamente ma insopportabilmente possibile invivibile.

Il governo che avrebbe dovuto abolire il Reddito di cittadinanza non lo farà. Era ovvio. Qualsiasi politico o cittadino senziente sa che non si può buttare in mezzo alla strada milioni di poveri (che in Italia aumentano ogni anno, da un po’) solo per vendicativa soddisfazione dei ricchi. Tra l’altro – mannaggia – i poveri votano come i ricchi e finché non riusciranno a risolvere questo fastidioso inghippo burocratico andrà così.

Non potendo abolire il Reddito di cittadinanza hanno deciso di intraprendere la strada più semplice: cambiargli nome. Gli elettori sono ancora abbastanza mansueti, siamo ancora nella coda lunga della luna di miele di Giorgia Meloni. Ascoltare un nome diverso nelle urlanti trasmissioni delle reti Mediaset rilascerà le endorfine della presunta verità. L’hanno chiamato Mia “Misura di inclusione attiva” e sostanzialmente è un idea banale: meno soldi a meno persone. Una soluzione banale di una classe dirigente banale.

L’obiettivo? Perfezionare l’allevamento della manodopera a basso costo. Stabilire un livello di assistenza che renda preferibile qualsiasi lavoro ai sussidi è il sogno del capitalismo da sempre. Una delle ipotesi sulla nuova misura del governo è una soglia Isee che dagli attuali 9.360 euro scende a 7.200: per fare domanda bisognerà essere più poveri. Questo dovrebbe bastare a escludere fino a un terzo della platea dei beneficiari del Rdc. Inoltre, i nuclei senza minori, over 60 o disabili e quindi occupabili, prenderanno 375 euro al mese invece di 500 e per un massimo di 12 mesi anziché 18, mentre il rinnovo non supererà i 6 e passerà fino a un anno e mezzo tra il secondo rinnovo e il terzo.

Il messaggio è chiaro: cari italiani, abbassate le vostre pretese. Non si tratta della pretesa di galleggiare al di sopra della linea della povertà (siamo un Paese in cui si è poveri anche se lavoratori), qui siamo all’accondiscendenza verso quegli imprenditori che negli ultimi anni hanno infarcito i giornali (con il sostegno di certi liberali di casa nostra, utili alla destra com’è nel loro dna) lamentando una mancanza di manodopera che veniva smascherata al primo approfondimento.

Allevare manodopera a basso costo è un lavoro difficile. Com’era ipotizzabile qualcuno è disposto a farlo.

Buon martedì.

Perché quest’amnistia a Giorgia Meloni?

C’è nelle ultime settimane una pratica politica, soprattutto giornalistica, che invade il dibattito pubblico e investe Giorgia Meloni. Niente di grave rispetto a quello che stiamo vedendo e quello che stanno scontando migranti, presidi, studenti e “avversari” politici, ma si tratta comunque di qualcosa molto interessante da osservare.

La voce diffusa, quindi il pensiero sottostante, è che Giorgia Meloni sia un’abilissima politica che è incappata in una squadra di governo sfortunata, in ministri che non sono all’altezza, in dichiarazioni dei suoi compagni di avventura che rischierebbero di “rovinare” il suo impegno. Insomma, Giorgia Meloni è una grande statista che non ci meritiamo noi che ci permettiamo di criticarla e che non si meritano nemmeno i suoi alleati politici.

Il banalissimo trucco di comunicazione non arriva inatteso. Là fuori c’è un’orda di “competenti” che non vedono l’ora di potersi attaccare alla sottana del potente di turno e che sono in conflitto con sé stessi. Questo Paese pieno di gente di destra che deve fingersi progressista per non arrecare un dispiacere ai propri parenti e quindi si colloca in un’area di centro (preferibilmente chiamata – con poco senso – “liberale”) per poter essere discoli senza sembrarlo.

Nessuno che si prenda un minuto per riflettere sul fatto che Giorgia Meloni è stata partorita dalla cultura delle persone di cui è circondata. Non solo: Giorgia Meloni è circondata da ministri e sottosegretari che sono i suoi abituali compagni di viaggio che l’hanno portata fin lì. Ancora: Giorgia Meloni è la portatrice di quella cultura politica che (giustamente) fa così schifo. L’ha interpretata così bene che ne è diventata la leader. Indossa i panni moderati perché spera – sbagliandosi – di poter allungare così la sua luna di miele. Ma l’allure istituzionale si sgonfia presto, soprattutto di fronte a crisi sociali, economiche e umanitarie che inevitabilmente accadono nella storia del mondo.

Qui subentra un ulteriore dubbio. Non è che “salvare” Giorgia Meloni in realtà serva più ai presunti salvatori che ai salvati? Non è che una schiera di politici, opinionisti e cittadini ha bisogno che Meloni non fallisca per non vedersi frantumare la retorica della competenza che ha leccato fin qui? Se ci pensate il finto salvatore che si sta occupando solo di salvare sé stesso – anche quello – è perfettamente in linea con la cultura meloniana.

Buon lunedì.

Nella foto: frame del video di Cinque minuti, 27 febbraio 2023

Il jazz si fa in duo

Due personalità diverse, una donna e un uomo, si incontrano, si indagano, si riconoscono e nasce una intesa, umana prima ancora che artistica, che pian piano si sviluppa in un rapporto fecondo i cui esiti si concretizzano in un disco. Pianista, ma anche arrangiatrice e compositrice, Stefania Tallini da tempo è proiettata sulla scena internazionale, con collaborazioni con musicisti di tante parti del mondo e con uno sguardo sempre attento al Sud America ed all’universo poetico brasiliano, spesso rivisitato nei suoi progetti discografici, come nel recente album Brasita. Franco Piana, trombettista, flicornista, arrangiatore e compositore, si è specializzato nella composizione e nell’arrangiamento per formazioni jazz ampie e complesse, fino alla classica Big band, come brillantemente testimoniano i numerosi album a firma del Dino e Franco Piana Ensemble, nei quali troviamo i migliori solisti jazz italiani, come Enrico Pieranunzi, Max Ionata, Fabrizio Bosso, Roberto Gatto, oltre che naturalmente il leggendario Dino Piana, papà di Franco. E se domani è il nuovissimo album (Alfa Music) in duo di Stefania Tallini e Franco Piana, appena pubblicato su tutte le piattaforme digitali e in uscita su Cd il 24 marzo. A raccontarci questo progetto sono i due protagonisti, compagni d’arte oltre che nella vita.

Innanzitutto, chiediamo, come è nato E se domani? «C’è un antefatto – risponde Stefania Tallini -, nell’estate del 2020, durante una tregua della pandemia feci un concerto per solo pianoforte nel Salento, nel quale invitai Franco a dialogare con me come ospite in alcuni brani. Da lì sono nati una serie di concerti negli ultimi due anni, attraverso i quali il duo è cresciuto sempre di più, rivelando a noi stessi un incredibile feeling ed una profonda intesa musicale e personale. Il disco è poi nato nella più totale spontaneità e naturalezza». «Dopo gli ultimi concerti della scorsa stagione estiva – conferma Franco Piana – ho realizzato che il livello di intesa raggiunto tra noi dovesse essere immediatamente messo “nero su bianco” e quindi concretizzato nell’incisione del disco avvenuta subito dopo nell’autunno scorso». Si tratta di un incontro tra due artisti che vengono da esperienze musicali molto diverse e per certi aspetti assai lontane, come raccontano loro stessi. «Ho sempre privilegiato un’espressione artistica diretta – dice Stefania Tallini – con una predilezione per il lavoro impostato su piccoli gruppi, spesso in duo, trio o al massimo in quintetto, laddove l’interazione ed il rapporto emotivo e personale tra i partecipanti rappresentano una condizione irrinunciabile per la riuscita del progetto, mentre Franco ha sempre lavorato con formazioni allargate in situazioni più complesse ed elaborate. In realtà c’era già stata una mia collaborazione nel recente album Reflections del Dino e Franco Piana Ensemble, che contiene tra l’altro la mia composizione “Piana’s Mood”».

Nell’album E se domani ci sono molte sorprese. Come è stato raggiunto questo risultato? «Il livello di empatia e complicità – risponde Tallini – ci ha permesso di lasciarci andare ad alcune “trasgressioni” che non avevamo mai osato realizzare nei nostri contesti professionali precedenti. Io per esempio mi sono cimentata come cantante in “Inutil Paisagem”, un classico della canzone brasiliana uscito dalla penna del mio amatissimo Antonio Carlos “Tom” Jobim». «Io invece – aggiunge Piana – mi sono ritrovato inaspettatamente a propormi in modo inedito, non solo flicornista ma anche “cantante scatman” e “percussionista”. Grazie all’insistenza e all’entusiasmo di Stefania, ho deciso di vincere la mia timidezza e ritrosia e mi sono buttato in questa nuova avventura. Mai avrei pensato di registrare su disco le mie improvvisazioni “scat” alla voce utilizzando il mio amato flicorno come strumento percussivo».

Il racconto dei due musicisti diventa anche l’occasione per la ricostruzione di una formazione musicale e personale. «In un certo senso siamo entrambi tornati indietro nel tempo – prosegue Stefania Tallini -. Io stessa all’inizio della carriera mi cimentavo nei classici del “songbook” americano come pianista e cantante, per poi concentrarmi esclusivamente sullo strumento». «Mentre per me – aggiunge Franco Piana – è stata quasi una regressione all’infanzia, quando da bambino, a soli quattro anni, non avendo ancora la tromba, mi divertivo a canticchiare gli assolo dei miei jazzisti preferiti che mi arrivavano dal giradischi di casa, percuotendo qualsiasi oggetto che avessi a portata di mano».

La chiave definitiva di questo lavoro, quindi, va ricercata nel rapporto diretto che si è creato tra i due musicisti: «L’interplay con Stefania – conferma Piana – è stato spontaneo e immediato, ad un livello che accade davvero raramente. Tutto ciò è apparso al contempo facile e difficile, ma in questo frangente penso che mi abbia aiutato la consuetudine all’ascolto, una capacità di interagire affinata in tanti anni di esperienza con formazioni allargate. Mi è venuto naturale esprimermi in questo contesto grazie al feeling artistico e umano che caratterizza questo nostro duo, che ci ha permesso di affrontare insieme le tre improvvisazioni estemporanee inserite nel disco, dove il nostro dialogo si esprime in modo totalmente libero e senza confini».

Nell’album, oltre alle composizioni originali dei due musicisti, sono stati rivisitati alcuni “classici” della canzone italiana come “E se domani” di Carlo Alberto Rossi e Giorgio Calabrese e “Estate” di Bruno Martino, divenuta poi uno “standard” del jazz internazionale. Nel film Round Midnight di Bertrand Tavernier il protagonista – il leggendario sassofonista Dexter Gordon – ad un certo punto si ferma, e dice: «Non posso andare avanti a suonare perché non ricordo le parole della canzone». Vi riconoscete in questa situazione? «Assolutamente sì – risponde Stefania Tallini – soprattutto nel brano che dà il titolo al disco sembra che ogni nota voglia scandire ciascuna sillaba del testo della canzone, come quel “e sottolineo se…” che resta indelebilmente scolpito nell’animo dell’ascoltatore. In conclusione, ciò che abbiamo cercato sono state l’espressività, l’emozione, la poesia attraverso l’ascolto attento e costante l’uno dell’altra in ogni singola nota – e per traslato in “ogni singola parola” – suonata. Siamo quindi giunti ad un “punto di fusione”, arrivando da percorsi diversi e mantenendo una propria autonomia di linguaggio. Siamo molto felici del risultato ottenuto e speriamo che tutto questo possa arrivare al cuore delle persone che ascolteranno E se domani».

Infine, tra gli altri progetti in corso, la pianista ci tiene a ricordare l’album Brasita recentemente rilanciato sulle piattaforme di tutto il continente latino-americano e degli Usa grazie all’etichetta discografica Biscoito Fino che vanta nel suo catalogo i più prestigiosi artisti brasiliani, tra i quali Chico Buarque, Maria Bethania, Gilberto Gil. «L’album – racconta – era nato dall’incontro con l’armonicista e compositore brasiliano Gabriel Grossi, fondendo le suggestioni dell’armonica a quelle del pianoforte, in una dimensione senza confini spazio-temporali e non riconducibile ad alcun “genere” musicale predefinito, in un linguaggio italo-brasiliano del tutto personale e caratteristico, da cui il titolo Brasita». «Un progetto cameristico – conclude Stefania Tallini – in cui si alternano sia composizioni originali mie e di Gabriel, sia alcune ispirate ad autori classici come Bach, Chopin, Piazzolla, che arrangiamenti particolari su musiche di Morricone, Puccini, Jobim, Villa Lobos. E come “ospite speciale” uno dei grandi nomi della musica brasiliana e mondiale: il violoncellista, compositore e arrangiatore Jacques Morelebaum». Una ricerca musicale e culturale, come si vede, che non ha confini.

L’enigma di Cecco del Caravaggio

Artista colto e raffinato quanto sfuggente e misterioso, Cecco del Caravaggio, al secolo Francesco Boneri (1585 circa – post 1620), originario del bergamasco e probabilmente di Caravaggio, è una figura rimasta a lungo avvolta nell’incertezza sia sotto il profilo biografico che negli aspetti storico-artistici. Una mostra all’Accademia Carrara di Bergamo riunisce per la prima volta sotto il titolo Cecco del Caravaggio. L’allievo modello, 19 dei 25 dipinti autografi attribuiti al pittore, in un itinerario che si snoda attraverso 40 opere, provenienti da collezioni pubbliche e private, italiane e internazionali.

I dipinti attribuiti a Cecco, alcuni dei quali individuati in epoca recente dal curatore della mostra Gianni Papi, profondo conoscitore e autore di due monografie sull’artista, sono accostati ad opere dei maestri cui Cecco sembra essersi ispirato (Gerolamo Savoldo e Caravaggio) e a quelle di artisti a lui vicini (Valentin de Boulogne, Bartolomeo Mendozzi, Bartolomeo Cavarozzi) in un percorso di sicuro interesse e di grande fascino. La biografia di Francesco Boneri è estremamente scarna: non si conosce la data e il luogo di nascita e neppure quella di morte del pittore. Cecco è ricordato da Giulio Mancini, noto biografo del Merisi, tra gli appartenenti alla “schola” del Caravaggio, assieme a Spadarino, Manfredi e Ribera, gli artisti più vicini alla lezione del naturalismo del Merisi. La sua permanenza nella capitale è ricostruita a partire da un documento giudiziario, in cui Cecco risulta lavorare assieme ad Agostino Tassi agli affreschi per Villa Lante a Bagnaia. Si è inoltre spesso accostato il nome di «Francesco garzone», abitante in casa di Michelangelo Merisi nell’elenco compilato dal parroco per il precetto pasquale del 1605, a Francesco Boneri, senza però averne la certezza. Dunque un apprendista che lavorava e viveva con Merisi, come del resto accadeva all’epoca per gli apprendisti di qualunque mestiere o professione, o addirittura un suo modello, come sostiene il curatore della mostra, certamente un allievo di grande talento che ebbe modo di osservare il linguaggio pittorico e il metodo del dipingere “dal vero” del maestro.

«Cecco propone una sfida continua per la sua ostinata decisione di nascondersi, di non offrire tracce di sé, di affidare a un gruppo di quadri, la più parte misteriosi, talvolta sconvolgenti, tutto quello che vuol far sapere di sé» scrive Gianni Papi nel saggio del catalogo della mostra. Sono infatti i dipinti, spesso di sorprendente livello qualitativo, a sostanziare di contenuti la personalità dell’artista, a farcelo incontrare nella splendida tela della Cacciata dei mercanti dal tempio (Berlino, Gemäldegalerie) nella quale spicca sull’estrema sinistra un giovane elegantemente abbigliato in velluto nero e cappello rosso alla moda, dall’espressione altera, visibilmente contrariato, estraneo alla massa scomposta dei mercanti che si slanciano fuori dal tempio, un personaggio nel quale si potrebbe scorgere un autoritratto dell’artista. Questo quadro in particolare colpì Roberto Longhi, acuto e visionario critico d’arte del secolo scorso, il primo a formare un nucleo di opere attorno a Cecco del Caravaggio, da lui definito «una delle più notevoli figure del caravaggismo nordico».

Si deve a Gianni Papi il definitivo riconoscimento della figura di Cecco del Caravaggio in Francesco Boneri, attraverso i documenti di commissione della decorazione della cappella Guicciardini in Santa Felicita a Firenze: una delle 3 pale d’altare era stata commissionata attorno al 1619 a Francesco Boneri, detto in un documento Francesco del Caravaggio. La pala rappresentante La Resurrezione (Chicago, The Art Institute, non esposta in mostra), una tela di grandi dimensioni palesemente anticonvenzionale, dissacrante e iperrealista per la scena teatrale evidentemente costruita nello studio del pittore (di cui si vede la parete laterale e il soffitto), centrata sulla figura di un angelo in veste bianca che guarda accigliato lo spettatore piuttosto che il Redentore, il quale non si libra nell’aria ma appoggia un ginocchio su un cuscino, venne rifiutata dal committente che ne rimase certamente disorientato. Il rifiuto documenta l’ultima traccia finora nota della vita e della carriera di Cecco: dopo il 1620 non troviamo più alcuna notizia del pittore che forse, dopo il rifiuto, potrebbe aver lasciato Roma trasferendosi in Spagna, Paese in cui si trovano alcuni suoi splendidi dipinti, come la Ragazza con colombe (Madrid, Museo del Prado), frutto di una intensa maturazione artistica.

Si delinea così nel percorso espositivo e nei saggi del catalogo, la complessa personalità di Francesco Boneri, «pittore caravagge­sco della prima maniera, autore di dipinti di straor­dinario livello qualitativo e dai raffinati significati simbolici che in gran parte oggi ci sfuggono» secondo la definizione di Francesca Curti, autrice di un saggio sul dipinto di un inedito San Lorenzo (Roma, S. Maria in Vallicella) in cui il giovane santo campeggia sul fondo scuro della tela con lo sguardo pensoso e assorto, avvolto in una sontuosa dalmatica di velluto rosso, mentre i segni del martirio (la graticola e la palma) rimangono seminascosti: un magnifico brano di natura morta in primo piano mostra un volume in pelle, pergamene con sigilli, oggetti nei quali è racchiuso il significato recondito del quadro e della sua committenza. Un pittore estremamente raffinato, un intellettuale che costella i suoi dipinti di allusioni e rimandi simbolici cui affida il messaggio che la realtà visibile sottintende sempre una verità più profonda che si svela solo ad un occhio più esperto, a una mente colta.

Il fulcro della mostra si condensa in tre dipinti di soggetto simile esposti in una sequenza suggestiva che permette di apprezzare lo stile di Cecco e di coglierne le assonanze, pur nella radicale diversità del tratto pittorico, in lui secco, tagliente e asciutto, con le novità assolute introdotte dal genio del Merisi nei dipinti di soggetto musicale. Le due versioni del Fabbricante di strumenti musicali (Londra, The Wellington Collection, Atene, National Gallery), affiancate a Il suonatore di flauto (Oxford, Ashmolean Museum) condensano l’essenza della pittura di Cecco: personaggi dall’abbigliamento ricercato, in cui spicca il tessuto lavorato delle maniche, il cappello piumato, il tamburello raffigurato ora di fronte ora di profilo e le prodigiose nature morte in primo piano che si proiettano verso lo spettatore. I giovani musicisti dai volti affilati e sofferti, la fronte corrugata, la bocca socchiusa nel canto o nello sforzo di soffiare nel fischietto, la posizione del busto di scorcio, quasi sfuggente, quel “quid nordico” che relega a distanza lo spettatore, ricordano a prima vista il Ragazzo con la canestra di frutta, il Suonatore di liuto o i ragazzi del Concerto di giovani di Caravaggio ma al tempo stesso si distaccano radicalmente dai volti radiosi e sereni, colmi di vitalità prorompente che affollano i dipinti del Merisi.

L’autrice: Orietta Verdi, archivista storica, specialista delle fonti documentarie storico-artistiche, è autrice di saggi storici e curatrice di mostre di documenti e dipinti fra cui Caravaggio a Roma. Una vita “dal vero” (Roma, 2011)

Nella foto: Fabbricante di strumenti musicali (1610 ca), di Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio (particolare), Londra, Apsley House, Wellington Museum