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«Noi, ex suore, fuggite da una setta»

«Buonasera, le scrivo perché sono una delle ex suore della Comunità Loyola di Lubiana riuscita a fuggire da quella situazione settaria. La prego, mi metta in contatto con le mie ex consorelle che si trovano nella stessa situazione, so che lei può farlo». È parte del testo di una mail dal tono molto accorato che abbiamo ricevuto nei giorni scorsi nella casella postale di Left in cui raccogliamo le testimonianze che ruotano intorno al caso del religioso gesuita Marko Rupnik e al commissariamento della Comunità Loyola ([email protected]).

Due vicende che si sono intersecate, come vedremo, fino al 1993 ma che la Santa sede e la Compagnia di Gesù stanno tentando in ogni modo di tenere separate agli occhi dei media per contenere le conseguenze dello scandalo legato alle accuse di violenza psicologica e in alcuni casi anche sessuale mosse da 9 religiose della Comunità Loyola contro Rupnik, che uno scoop del nostro giornale online ha reso pubblico il 2 dicembre scorso (vedi nota a fine articolo, ndr). Dopo il nostro primo articolo tante altre cose sono emerse nell’ultimo mese: giudicato dal tribunale dei gesuiti Rupnik è stato prosciolto a ottobre 2022 perché i reati di cui era accusato dalle 9 suore sono prescritti dal punto di vista canonico; ciononostante la Compagnia di Gesù lo ha sottoposto a misure restrittive temporanee per limitare il suo «modo di fare»: niente confessione e nessun accompagnamento spirituale delle donne per tre anni; è inoltre emerso che Rupnik era stato processato anche nel 2019 per aver assolto in confessione una donna con cui aveva avuto un rapporto sessuale. Si tratta di un reato gravissimo, per la Chiesa, che comporta la scomunica automatica ma basta dichiararsi pentiti, cosa che Rupnik ha fatto, perché questa venga eliminata. Il fatto è accaduto nel 2015 nel contesto della scuola d’arte Centro Aletti di Roma, diretta all’epoca da Rupnik, e non è chiaro se la donna fosse consenziente (per capire la mentalità di chi lo ha giudicato basti dire che il capo dei gesuiti, reverendo Sosa, in un’intervista rilasciata all’Associated press ha dato per scontato che lo fosse dato che si tratta di una donna adulta…). Di sicuro non era consenziente un’altra donna che ha fatto parte dell’entourage artistico di Rupnik al Centro Aletti che ci ha raccontato il modus operandi del religioso: «Quando arrivai a Roma avevo grandi aspettative, ero un’artista, avevo lavorato in diversi atelier, volevo far parte della squadra del famoso padre Rupnik realizzatore di mosaici per le chiese di mezzo mondo, avevo un enorme desiderio di imparare».

Ma le cose non sono andate come desiderava. «Le mie aspirazioni sono diventate il suo terreno di conquista, la sua arte è diventata il suo terreno di seduzione. E a un certo punto è iniziato un rapporto “nuovo”. Nel senso che senza che me ne rendessi conto lui ha iniziato ad avere su di me un dominio psichico al punto che per due anni ho perso la mia libertà di pensiero e quasi la libertà di muovermi. Ero completamente presa da quest’uomo e soprattutto completamente persa. Vivevo un grande caos interiore». Potrebbe sembrare un innamoramento ma secondo la nostra fonte era qualcosa di molto diverso. Era manipolazione. «Lui poteva fare di me quello che voleva. Ero sotto il suo controllo e pian piano ha iniziato a compiere dei gesti su di me che non si devono fare. Gesti che non possono essere qualificati come vera e propria aggressione sessuale, siamo proprio al limite. Io semplicemente non volevo che mi mettesse le mani addosso ma lui si è avvicinato troppo. In tal senso la mia vicenda è molto meno grave della storia denunciata dalle suore di Lubjana. Ne sono consapevole. Siamo su due piani in parte diversi. La mia è molto più caratterizzata dal dominio psichico che dall’abuso sessuale». E come è finita? «Inizialmente ho cercato di reagire ma Rupnik mi fece capire che se avessi continuato a rifiutarlo beh… forse dovevo andare via dall’atelier e che il mio posto non era lì. In pratica il mio lavoro sarebbe dipeso dall’accettazione dei suoi gesti, dall’accettazione di quello che voleva fare di me. L’unica soluzione è stata fuggire».

E qui torniamo alla Comunità Loyola perché i nessi con quello che è accaduto a Lubiana appaiono innegabili ed è bene metterli in evidenza, perché la violenza sia essa “invisibile” in quanto agita sulla psiche di una persona, sia essa manifesta perché sfociata nell’atto “sessuale”, sempre violenza è. Sempre annullamento della realtà umana dell’altro è.
Ma cosa c’entra Marko Ivan Rupnik con una comunità di suore? Negli ambienti esterni alla Chiesa cattolica il suo nome potrebbe dire poco o nulla. All’interno del mondo ecclesiastico la questione è decisamente diversa. Rupnik è un acclamato artista religioso – i suoi ricchissimi mosaici, alcuni in oro e davvero giganteschi, sono installati in chiese e basiliche cattoliche di mezzo mondo, dal santuario di Loreto a quello di Padre Pio solo per citare un paio di esempi tra i più costosi – oltre che fine teologo e grande comunicatore. Tutto ha origine nei primi anni Ottanta presso la Comunità Loyola fondata da suor Ivanka Hosta, di cui Rupnik era amico e “padre spirituale”.

«Dopo le denunce di violenza psicologica e sessuale nel 1992-1993 la soluzione che viene trovata in accordo con il vescovo di Lubiana fu quella di allontanare Rupnik dalla Comunità» racconta una nostra fonte che chiede di rimanere anonima. Cosa che avvenne in maniera burrascosa «dopo un forte litigio e una separazione fra Rupnik e Hosta». Dopo questa fase critica nonostante il dolore e la sofferenza diffusa tra le consorelle abusate e manipolate, tutto tornò come prima, come se non fosse successo nulla. E la situazione è andata avanti così per quasi tre decenni, fino a quando cioè le “lacerazioni” interiori vissute negli anni da molte delle circa 50 suore vissute all’interno di questa comunità – «sofferenze acuite dall’atteggiamento omertoso della fondatrice riguardo il caso Rupnik», osserva la nostra interlocutrice – hanno spinto il Vaticano ad avviare nel 2020 in gran segreto una procedura di commissariamento affidato al gesuita monsignor Libanori nei confronti della Comunità fondata da Ivanka Hosta. L’accusa nei confronti di sr. Hosta e alcune sue fedelissime è di abuso di potere, violenza psicologica e spirituale tipici delle dinamiche settarie, stante la dipendenza e sottomissione rispetto alla fondatrice di tutte le altre suore. Molte delle quali, come l’autrice della mail di cui parliamo all’inizio, negli anni hanno trovato nella fuga dalla Comunità l’unica soluzione. Restando sole e senza un soldo in tasca da un giorno all’altro in un Paese straniero.

Dopo un anno di stallo dell’inchiesta, ci racconta la nostra fonte, papa Francesco ha ricevuto 4 lettere da altrettante ex suore della Comunità commissariata. «Una era la mia» dice. Eccone un passaggio: «Negli ultimi anni le scarse vocazioni nella Comunità Loyola sono venute soprattutto dal Brasile e dall’Africa. Sono ragazze fragili per cultura e per storie personali molto complesse e dolorose, che più facilmente possono essere irretite in relazioni di dipendenza e di sottomissione assoluta, secondo un modo poco sano (sia dal punto di vista religioso che antropologico) di concepire il valore e la prassi del voto di obbedienza e il proprio carisma comunitario, inteso come “disponibilità ai Pastori”. È evidente sempre più – prosegue la lettera – che la “dipendenza e l’abuso psicologico” è molto difficile da dimostrare e che per questo si configura come una forma di abuso ancora più grave. Un dolore silenzioso, che rende la vittima ancor più fragile ed esposta perché non creduta, non riconosciuta; o perché essa stessa si considera responsabile della sua condizione».

A questa e alle altre 3 lettere papa Francesco non ha mai dato risposta. Inoltre, denuncia la nostra fonte, «da mesi aspettiamo l’esito dell’indagine di Libanori sulla Comunità Loyola». Un silenzio inspiegabile del quale starebbero approfittando Ivanka Hosta e le sue fedelissime. «Oggi la Comunità Loyola in pratica non esiste più – dice la nostra interlocutrice – ma noi sappiamo che la fondatrice e le altre si sono spostate a Braga in Portogallo. Qui, nonostante l’indagine e tutti i divieti che ne conseguono, c’è stato un tentativo di far prendere i voti perpetui a una ragazza brasiliana. Sua sorella è disperata perché ha capito che è tutto un raggiro ed è molto preoccupata perché le impediscono di contattarla. Anche qui ci sono tutte le dinamiche di una setta: c’è stato un allontanamento dalla famiglia non del tutto volontario, c’è l’impedimento a qualsiasi contatto con l’esterno, c’è una situazione di fragilità interiore, e ci sono dei dubbi che hanno portato questa ragazza a un passo dal rinunciare. Dubbi che scompaiono con tanto di senso di colpa per aver tentennato, di fronte ad alcune delle figure di autorità, figure chiave della Comunità Loyola».

Di tutto questo è al corrente monsignor Libanori, così come 30 anni fa il vertice dei gesuiti era al corrente delle accuse contro Rupnik. Oggi come allora in Vaticano e presso la Compagnia di Gesù il massimo sforzo non è teso a tutelare le vittime ma a preservare l’immagine pubblica dell’istituzione religiosa. E con l’eventuale scioglimento della Comunità Loyola diverrebbe ancor più difficile gestire ciò che per 30 anni è stato tenuto nascosto sotto il tappeto. A cominciare dalla sistematica violenza invisibile contro decine di donne.

Il caso Rupnik su Left
Tutte le puntate della nostra inchiesta sulle accuse di violenza “sessuale” e abusi psicologici contro diverse donne in Italia e Slovenia a carico di padre Rupnik sono pubblicate integralmente sul sito di Left 

Le mani dei vescovi nelle nostre tasche

Condizionare la società non ha prezzo, soprattutto se riesci a far pagare il conto ai cittadini. È quanto accade nel nostro Paese, dove la classe politica garantisce un finanziamento pubblico di oltre 6,7 miliardi l’anno alla Chiesa cattolica. Risorse di tutti consegnate a un’organizzazione multimiliardaria, priva di regole democratiche e graniticamente impostata sulla disparità di genere.
Organizzazione che ha come obiettivo principale l’evangelizzazione e come prassi bimillenaria, per chiudere il cerchio, influenzare chi governa.
La cifra di 6,7 miliardi l’anno emerge dall’inchiesta icostidellachiesa.it, una dettagliata analisi dell’impatto sulle casse pubbliche dei contributi e delle esenzioni di cui gode la Chiesa cattolica. Una disamina in continua evoluzione, lanciata dall’Uaar undici anni fa e messa a disposizione di tutti. Al momento sono 48 le voci considerate, delle quali solo alcune come l’8permille sono note ai contribuenti e rendicontate dallo Stato (1.111.579.911 euro arrivati alla Cei per l’anno fiscale 2020), mentre per le altre regnano scarsa conoscenza ed estrema difficoltà per dare una misura in euro dello “sterco del demonio” in ballo. Misura che l’inchiesta però effettua, con stime prudenziali e argomentate. Si va dalla riduzione del canone Tv per gli istituti religiosi (0,37 milioni), allo stipendio erogato a dipendenti pubblici per assistere a funzioni religiose in orario di lavoro (1,5 milioni), alla copertura statale delle tariffe postali agevolate per gli enti ecclesiastici (7,5 milioni). Per passare a più sostanziose voci come i consumi idrici ed energetici del Vaticano (10 milioni), al mantenimento dei cappellani nell’esercito (20 milioni), ai contributi alle università cattoliche (42 milioni).

Come detto in apertura ciò che è impagabile di questa pioggia clericale di fondi pubblici è il condizionamento sociale che ne deriva. Sia chiaro, 6 miliardi l’anno sarebbero una straordinaria boccata d’ossigeno per le casse di uno Stato da anni sotto osservazione per il suo debito pubblico. Ma a preoccupare maggiormente devono essere gli effetti sociali, culturali e politici di queste sponsorizzazioni dei progetti della Chiesa. Un esempio su tutti: ai contribuenti italiani l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado costa 1,25 miliardi di euro l’anno. Ma il danno economico non è quello più rilevante. C’è quello di avere un’organizzazione esterna che seleziona e controlla, anche nella vita privata, 26mila docenti della scuola pubblica, la più grande forma di clientelismo in Italia visto che solo chi è nelle grazie del vescovo può avere il posto statale. C’è quello di avere «insegnamenti conformi alla dottrina della Chiesa» impartiti ogni settimana dai 3 ai 18 anni di età. C’è quello di avere un sistema educativo che divide i minori in base alle scelte religiose dei genitori, discriminando sistematicamente chi sceglie di non subire l’insegnamento cattolico.

Un ragionamento simile può essere fatto per i 35 milioni l’anno che costano alle Regioni gli assistenti religiosi cattolici negli ospedali. Ognuna di queste figure, tipicamente sacerdoti o frati, è selezionata dal vescovo e pagata dal Sistema sanitario nazionale con lo stipendio di infermiere. Tagliare questa spesa e assumere davvero degli infermieri sarebbe sicuramente un vantaggio per la sanità pubblica. Ma di nuovo ci sono altri elementi da considerare. Nell’immaginario dei pazienti e quasi sempre anche del personale sanitario si tratta di volontari pronti a dare conforto ai loro fedeli. Ma non è affatto così, è un residuo di Stato confessionale che organizza il conforto conforme a una certa dottrina religiosa, discriminando atei, agnostici e fedeli delle religioni di minoranza. Senza considerare che le convenzioni tra curie e ospedali spesso prevedono oltre allo stipendio anche alloggi, uffici, luoghi di culto e la possibilità di girare liberamente per i reparti, in barba alla riservatezza di chi è ricoverato a cui può capitare di essere importunato da un estraneo in abito talare mentre non è consentito incontrare le persone più care.

I Comuni sono tenuti a garantire il diritto di «rendere al defunto le estreme onoranze» e di conseguenza dovrebbero rendere disponibili spazi laici per i funerali civili. Ciò accade raramente, e così quando muore una persona l’unica opzione concretamente fruibile ai dolenti è quasi sempre il funerale in chiesa. Anche se la persona scomparsa non aveva nulla da spartire col cattolicesimo. L’inchiesta icostidellachiesa.it riporta la voce dei contributi comunali all’edilizia di culto. Oltre 90 milioni di euro l’anno che i Comuni potrebbero (dovrebbero?) destinare a sale del commiato, ossia luoghi di proprietà pubblica dove ricordare la vita di chi ci ha lasciato nel rispetto dei suoi valori, religiosi o esclusivamente umani che fossero. Invece, scegliendo di finanziare le proprietà immobiliari degli enti religiosi, si spinge di fatto a subire funzioni religiose.
Per concludere gli esempi di condizionamento sociale correlato alla volontà politica di finanziare la Chiesa non si può trascurare il mondo dell’informazione. Parte del canone Tv è destinata non solo a riportare i pensieri del Papa in ogni Tg, ma a costose strutture di propaganda come Rai Vaticano. L’apoteosi viene raggiunta se si esamina l’elenco dei «contributi diretti alle imprese editrici», che da alcuni anni vede al primo posto Famiglia cristiana (6 milioni), al terzo il quotidiano dei vescovi Avvenire (5,4 milioni) e a seguire una lunga serie di testate cattoliche, a cui vanno complessivamente 23,6 milioni su un totale di 64,8.

Anche tra i non integralisti qualcuno potrebbe obiettare che tutto sommato qualche miliardo l’anno a favore della Chiesa è ragionevole che lo Stato lo spenda, perché così viene fatta carità e vengono aiutati i bisognosi. A parte che la carità non si fa con i soldi degli altri e che gli stessi scarni rendiconti dell’8permille mostrano che la Cei utilizza poco meno del 75% per scopi diversi da quelli caritativi, il principio guida dovrebbe essere che le religioni devono essere sostenute da chi le professa. A seguire che «la proprietà pubblica delle opere costituisce la più piena e duratura garanzia della loro effettiva destinazione a finalità di interesse generale», come da parere del Servizio Affari generali della Regione Emilia-Romagna sul finanziamento dell’edilizia di culto. E per estensione che istruzione, sanità e welfare pubblici e laici dovrebbero essere i destinatari del finanziamento statale per tali ambiti di interesse generale.

I prossimi aggiornamenti dell’inchiesta vedranno probabilmente sfondato il tetto dei 7 miliardi. Sono infatti alle porte ben due giubilei, quello standard 2025 e quello straordinario 2033. Inoltre è già partito l’assalto alla diligenza del Pnrr, basti pensare che il solo comune di Piacenza ha dirottato 14 milioni del Piano alle cattedrali della diocesi. Ben difficile aspettarsi cambi di rotta dalla nuova maggioranza, che ha esordito con il goffo tentativo di regalare soldi pubblici per convincere a sposarsi in chiesa e con il più concreto impegno di aumentare di 70 milioni il finanziamento alle scuole paritarie. Ma il governo Meloni era stato anticipato dall’opposizione: pochi giorni prima la giunta Lepore aveva infatti deciso un incremento del 13% del finanziamento alle scuole parrocchiali dell’infanzia di Bologna. Per ricordarci che in questo Paese l’impegno laico è doppio, perché il clericalismo è bipartisan.

L’autore: Roberto Grendene è segretario nazionale della Uaar-Unione degli atei e degli agnostici razionalisti

Patronati Cgil: L’accordo esclusivo dell’Inps con la Caritas? Lo abbiamo scoperto su Facebook

«Ci rincresce non essere state coinvolte nella sottoscrizione del protocollo d’intesa “Inps per tutti”. Infatti, lo stesso è stato sottoscritto esclusivamente con Provincia di Lecce, Comune di Lecce, Anci Puglia, Caritas Diocesana di Lecce, Nardò Gallipoli, Otranto e Ugento Santa Maria di Leuca, trascurando di coinvolgere i soggetti istituzionalmente deputati a svolgere assistenza nell’erogazione dei più significativi servizi dell’Inps (per approfondire v. inchiesta di Corsetti e Tulli, ndr) . Come è noto i patronati, in forza di una legge dello Stato, operano in prima linea da decenni e rappresentano un punto di riferimento per tutti coloro che hanno bisogno, fornendo gratuitamente assistenza e servizi. La sottoscrizione del protocollo d’intesa così come definita rischia di diventare un’operazione propagandistica e priva di sostanziali vantaggi per gli utenti». Questo testo è un brano della lettera che 14 associazioni datoriali e organizzazioni sindacali di Lecce (Confcommercio, Confartigianato, Confesercenti, Federaziende, Coldiretti, Cia, Confagricoltura, Unione coltivatori italiani, Aic, Cna, Claai, Cgil, Cisl, e Uil) hanno inviato al direttore regionale Inps Puglia e al direttore provinciale Inps Lecce per chiedere conto «del mancato coinvolgimento dei patronati» nel progetto “Inps per tutti”. La lettera è stata inviata il 15 novembre 2022 e ad oggi non ha ricevuto risposta.

«Sono venuta a sapere di questo protocollo da un post sui social del sindaco di Lecce – racconta a Left la segretaria generale della Cgil Lecce, Valentina Fragassi -. Sono rimasta allibita. Ci dicono che “Inps per tutti” è stato realizzato per avvicinare i servizi Inps alle periferie, ai poveri, gli anziani in difficoltà dimenticando che durante i due anni di pandemia con i nostri servizi di patronato e caf in tutte le “periferie” abbiamo fatto fronte ai bisogni soprattutto di coloro che non vivevano una situazione semplice». Secondo Fragassi il problema non è l’idea che c’è dietro “Inps per tutti”. «Si tratta di un protocollo condivisibile ma monco – osserva -. Storicamente i nostri patronati e caf sono impegnati nella lotta contro la povertà ma per vincere sappiamo bene che è necessario fare rete. Per questo dico che il protocollo avrebbe dovuto includere e non escludere chi da anni fa questo lavoro». La segretaria generale della Cgil Lecce è anche sorpresa dal risalto mediatico dato a un progetto di questa portata. «Nessuno ha dato rilievo a questa notizia non solo in Puglia ma in tutta la Penisola. Se ne dovrebbe parlare su tutti gli organi di stampa invece noi lo abbiamo appreso da un post su Facebook. Nessuno sapeva niente e nessuno ha pubblicizzato nulla».

Nel leccese la notizia dopo essere rimbalzata sui social ha iniziato a circolare grazie anche a un’intervista rilasciata a leccenews24.it da Simona de Lume, presidente Federaziende e altra firmataria della lettera del 15 novembre. Le abbiamo chiesto un commento: «Questo progetto – dice de Lume – nasce per raggiungere tutte quelle persone in difficoltà, come i senza tetto, che hanno diritto a una serie di servizi gratuiti e non ne usufruiscono per mancanza di informazione». Una volta intercettate queste persone con i questionari di cui si parla nel protocollo “Inps per tutti”, chi darà seguito alle pratiche? si chiede la presidente di Federaziende. «Come farà il comune di Lecce, in perenne difficoltà e carenza di personale, a gestirle? Per formare nuovo personale ci vuole molto tempo. Peraltro ci sono i patronati che fanno già questo lavoro. Allora perché escluderci?». Risposta: a gestire le pratiche sarà la Caritas con la collaborazione delle Acli (v. inchiesta a pag. 8). Per farsi un’idea del contesto, nel 2022, il patronato Inca-Cgil ha disbrigato in provincia di Lecce 25.154 pratiche, così distribuite: 4.707 pratiche di assegno unico universale, 4.890 disoccupazioni agricole e Naspi, 338 maternità, 2.585 pensioni e 2.672 pratiche sociali (migranti, mutilati, disabili, pensioni sociali). In questa provincia i redditi e le pensioni di cittadinanza garantiscono una vita dignitosa a 41.628 persone, ossia a circa il 5% degli abitanti.

Anche il presidente dei comitati provinciali Inps, Salvatore Labriola, è convinto che l’esclusione di patronati e caf “storici” da “Inps per tutti” sia un errore. «Il progetto voluto da Pasquale Tridico nasce prima della pandemia e qui in Puglia è stato sperimentato prima a Bari ma di questo protocollo nessuno ne ha saputo nulla, nel senso che non è uscita notizia sui giornali o sulle agenzie. Ma anche oggi che se ne sa qualcosa… “grazie” a Facebook alla nostra richiesta su quante persone fra Bari e Lecce sono state raggiunte nessuno ci ha risposto». Secondo Labriola, nel momento in cui la Caritas intercetta un senza tetto, dovrebbe informarlo dei suoi diritti, gli dovrebbe far compilare un questionario Inps anonimo relativo ai suoi bisogni, e poi suggerirgli di scegliere autonomamente un patronato. Ma già così si crea una situazione per cui «essendo la Caritas un ente cattolico c’è il rischio che possa sfavorire i patronati laici». Insomma, proprio non si capisce la scelta fatta dall’Inps. A maggior ragione non si capisce, sottolinea anche Labriola, pensando al ruolo sociale svolto durante i due anni durissimi della pandemia dai soggetti esclusi da “Inps per tutti”. «Durante il covid l’Inps era un ente inaccessibile, solo i patronati hanno tenuto aperto le porte ai cittadini e ora ci si dimentica di loro. Dopo anni di difficoltà causati dalla pandemia, dopo i tagli importanti del governo Berlusconi in cui era ministro Tremonti e successivamente di Renzi non è stato corretto muoversi in questo modo».

Quei milioni di euro alla lobby cattolica dell’assistenza

Questa è la storia di un subappalto ultramilionario che riguarda un pezzo consistente del welfare italiano o meglio di uno dei pilastri dello Stato sociale, così come disegnato dalla nostra Costituzione: l’assistenza alle persone che vivono in stato di emarginazione e/o di particolare fragilità socioeconomica. Questa è la storia di uno Stato, laico per Costituzione, che senza fare troppo rumore ha deciso di mettere in mano agli ambasciatori di uno Stato teocratico le chiavi di accesso alla soddisfazione dei bisogni primari (e alle informazioni più sensibili) di un bacino potenziale di cittadini pari a circa il 9% della popolazione totale italiana, vale a dire 5,6 milioni di persone. Tanti sono, stando all’ultimo rapporto della Caritas, gli italiani in povertà assoluta.
La Caritas, appunto. Non citiamo a caso questa onlus perché come vedremo è la principale beneficiaria di un protocollo siglato con l’Inps per l’apertura di sportelli in tutti gli 8mila Comuni italiani per la gestione delle domande di assistenza ai cittadini più vulnerabili, che hanno diritto alle seguenti prestazioni: Reddito di cittadinanza (Rdc) e pensione di cittadinanza; assegno familiare dei Comuni; assegno di maternità dei Comuni; Bonus bebè; premio alla nascita; bonus asilo nido; Naspi; assegno sociale e invalidità civile. Insomma, cose di non poco conto.

Ma andiamo per ordine. Questa vicenda parte, in sordina, da lontano. Precisamente l’11 ottobre 2019. E sempre in sordina, come un fiume carsico, si è ingrossata inarrestabile e indisturbata via via negli anni fino a oggi. Cosicché quella che inizialmente sembrava “solo” una importante iniziativa dell’Inps per facilitare l’accesso alle prestazioni assistenziali e previdenziali per i soggetti più bisognosi (denominata “Inps per tutti”) – «in collaborazione con alcune organizzazioni ed associazioni caritatevoli» citava il comunicato ufficiale senza menzionare quali fossero – si è successivamente trasformata, senza che i grandi media ne dessero mai notizia, in un accordo praticamente esclusivo tra l’Istituto nazionale per la previdenza sociale e l’organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana per la promozione della carità, nato nel 1971 per volere di Paolo VI: la Caritas italiana.
“Inps per tutti” come si legge nella nota del 2019, «è rivolta alle fasce più deboli della popolazione: persone in stato di povertà assoluta, senzatetto o senza fissa dimora; abitanti di Comuni distanti dagli uffici dell’Inps; utenti non consapevoli dei propri diritti». L’idea, disse in conferenza stampa il presidente Inps, Pasquale Tridico, «è quella di portare l’Istituto tra le persone in difficoltà, al fine di facilitare per tutti l’accesso ai nostri servizi. Andiamo tra chi ha barriere di ogni tipo, rendendo esigibili i diritti. Spesso sono le persone più fragili quelle che rimangono escluse e c’è il problema dei senza fissa dimora che non hanno residenza, problema al quale i Comuni riescono in parte a ovviare».
Fin qui nulla da eccepire, l’Inps si rende conto di non riuscire a raggiungere tutta la platea dei cittadini più vulnerabili per erogare dei servizi vitali e d’accordo con l’Anci (Associazione nazionale Comuni italiani) e alcune Regioni decide di aprire in punti strategici a Roma, Milano, Napoli, Bologna, Torino e Bari degli info point per i soggetti interessati – ai quali verrà somministrato un questionario per sapere di cosa hanno bisogno e diritto. Ed è così che a fine ottobre 2019 parte la sperimentazione di “Inps per tutti” e la Caritas figura nel progetto solo con due info point a Roma presso le sedi (alternate) di via di Porta San Lorenzo e di via delle Zoccolette.

Non passano nemmeno due mesi che lo scenario cambia radicalmente. L’11 dicembre 2019 Caritas italiana emana un comunicato in cui dichiara di aderire formalmente a “Inps per tutti” con l’obiettivo di dare informazioni, orientamento e supporto alle persone che si rivolgono ai propri centri, «sulle prestazioni erogate dall’Inps a cui essi potrebbero accedere, data la condizione economica o personale in cui si trovano, o che già ricevono e rispetto a cui hanno problemi». Attraverso un collegamento diretto fra gli operatori di Comuni, Caritas e Sant’Egidio, altra onlus cattolica che aderisce a Inps per tutti, e gli addetti delle agenzie e sedi Inps locali (con modalità che vengono definite negli accordi siglati a livello locale), si legge nel Rapporto Caritas 2022, «si riescono a risolvere in tempi molto brevi situazioni incagliate (ritardi o revoca nell’accredito del Rdc, sanzioni legate al Rdc, ecc.) per persone e famiglie che versano in situazioni di grande difficoltà e che sono seguite dai centri Caritas, dai servizi sociali e da Sant’Egidio». Fatto sta che dopo due anni di sperimentazione avvolta nel silenzio mediatico, il 21 novembre 2021, si passa alla firma di un “Accordo quadro di collaborazione tra l’Inps, l’Anci, la Caritas Italiana e la Comunità di Sant’Egidio”.

Prima di proseguire e provare a fare i conti in tasca ai “beneficiari” di questa operazione di subappalto del welfare alla Chiesa cattolica, vale la pena soffermarsi su alcuni “passaggi” politici solo apparentemente scollegati sia tra loro che da questo contesto avvenuti tra la presentazione di “Inps per tutti” da parte di Tridico nel 2019 e la sigla dell’accordo quadro del 2021. Inps per tutti, è bene precisare, nasce durante il primo governo Conte. Pasquale Tridico prima delle elezioni del 2018 era tra i “papabili” al ministero del Lavoro in caso di vittoria del Movimento 5Stelle. La cosa non quagliò e nel marzo del 2019 Conte lo nomina a capo dell’Inps. L’attuale capo dei M5s è colui che nei giorni antecedenti alla Pasqua del 2020, da presidente del Consiglio del “Conte due”, ringraziò ufficialmente la Conferenza episcopale per aver donato una quota dell’8permille proprio alla Caritas, sebbene le donazioni di questo genere rientrino nelle “voci di spesa” dell’8permille ecclesiastico. Quindi ancora oggi ci si chiede cosa c’è di così eccezionale in questo trasferimento di denaro tanto da guadagnarsi la gratitudine di un’istituzione del calibro della presidenza del Consiglio. E sorvoliamo sul fatto che Conte ringraziò la Cei e non coloro che hanno materialmente contribuito a finanziare la Caritas, cioè i cittadini italiani. Ciò su cui si fa molta fatica a sorvolare è che pochi mesi dopo quella dichiarazione di Conte, nel settembre del 2020, quindi sempre durante il “Conte due”, il ministro della Salute Speranza nomina a capo della “Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria per la popolazione anziana” un altissimo prelato vaticano.

Niente meno che monsignor Vincenzo Paglia, gran cancelliere del Pontificio istituto teologico per le scienze del matrimonio e della famiglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, consigliere spirituale della Comunità di sant’Egidio e altro ancora. Una nomina, ma anche un omaggio istituzionale alla Chiesa, sconcertante. La guida di una importantissima Commissione tecnica messa nelle mani non di un tecnico ma di un arcivescovo che ricopre incarichi importanti in istituzioni di uno Stato straniero. «Il presidente di una commissione – scriveva su Left del 2 ottobre 2020 Quinto Tozzi, cardiologo e già direttore dell’Ufficio di qualità e rischio clinico dell’Agenas – ha sempre, e particolarmente in questo caso, una nevralgica funzione di salvaguardia dei valori istituzionali nazionali di unità, coerenza e integrità del Sistema sanitario nazionale sia rispetto alle forze centrifughe delle Regioni, sia di bilanciamento degli interessi del privato, sia di rispetto di principi etici e laicità. E questo porta con sé inconfutabili, invalicabili e volutamente ignorati incompatibilità e conflitti di interesse. Conflitti materiali (gli accreditamenti supermilionari delle strutture sanitarie del Vaticano con le Regioni) e conflitti etici (l’ottica palesemente di parte su temi delicatissimi, a cominciare dall’interruzione volontaria di gravidanza)». A proposito di odor di conflitti d’interesse, Tozzi ci aveva visto lungo. Il 16 giugno 2021 la Commissione di Paglia pubblica un rapporto redatto con l’Istat sui bisogni di assistenza sociosanitaria della popolazione anziana over 75, che in pratica individua un target preciso nell’ambito della platea di cui si occuperebbero la Caritas in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio per conto dell’Inps. Il Rapporto identifica infatti, su una popolazione di riferimento composta da circa 6,9 milioni di over 75, oltre 2,7 milioni di individui che presentano gravi difficoltà motorie e patologie che compromettono l’autonomia nelle attività quotidiane. Tra questi, 1,2 milioni di anziani dichiarano di non poter contare su un aiuto adeguato alle proprie necessità, di cui circa un milione vive solo oppure con altri familiari tutti over 65 senza supporto o con un livello di aiuto insufficiente. Infine, circa 100mila anziani, soli o con familiari anziani, oltre a non avere aiuti adeguati sono anche poveri di risorse economiche, con l’impossibilità di accedere a servizi a pagamento per avere assistenza. Praticamente l’identikit delle persone a cui è rivolto “Inps per tutti”.

Arriviamo così all’accordo quadro del 2021 in cui si prevede che la Caritas possa gestire direttamente un certo numero di importanti prestazioni assistenziali: Reddito/pensione di cittadinanza, assegno familiare dei Comuni, assegno di maternità dei Comuni, bonus bebè, premio nascita, bonus asilo nido, Naspi, assegno sociale e Invalidità civile. Per meglio comprendere come le organizzazioni cattoliche hanno allungato i loro tentacoli sulla assistenza, occorre capire come sono strutturati in Italia i relativi servizi.
Generalmente e storicamente sono le principali organizzazioni sindacali, come la Cgil e la Cisl, e associazioni di lavoratori che istituiscono al loro interno i patronati, i quali gestiscono pratiche sia di previdenza che di assistenza. Fino a qualche anno fa, tutte le pratiche dei patronati erano offerte all’utenza gratuitamente, perché i costi di gestione, per ogni pratica evasa, erano a carico dello Stato. Tutti i patronati, infatti, vengono finanziati attraverso una aliquota prelevata dal gettito complessivo dei contributi previdenziali obbligatori incassati dall’Inps e dall’Inail, e il finanziamento è erogato attraverso un sistema “a punteggio” per cui ogni pratica evasa dà un punteggio minimo di 0,25, e un punto vale all’incirca 35 euro.

Nel 2018 è intervenuta una modifica e alcune pratiche assistenziali non vengono più svolte gratuitamente per l’utente, garantite cioè con il finanziamento del sistema a punteggio, ma l’utente deve pagare un compenso al patronato, stabilito con decreto ministeriale all’interno di un accordo stipulato tra il ministero del Lavoro e la singola organizzazione. Le pratiche gratuite sono le domande, a titolo esemplificativo, per ottenere le pensioni di inabilità, l’assegno di invalidità, le pensioni d’invalidità, le pensioni di guerra, le pensioni sociali, le richieste di permesso di soggiorno, le richieste di ricongiungimento familiare. Per esempio ogni pratica di pensione di anzianità al patronato vengono riconosciuti 5 punti e il patronato percepisce dallo Stato 175 euro, mentre per una pensione di inabilità al patronato vengono riconosciuti 6 punti e lo Stato eroga 210 euro. Poi ci sono una serie di pratiche per le quali il patronato non è finanziato dallo Stato e può chiedere un contributo direttamente all’utente, che non può essere superiore a 24 euro. Le pratiche a pagamento sono, a titolo esemplificativo, la richiesta dell’estratto contributivo, la domanda degli assegni familiari per i lavoratori dipendenti attivi, la domanda sulla disoccupazione naspi, la domanda bonus bebè, bonus mamma e bonus asilo, l’invio delle dimissioni online, la domanda di richiesta ratei di tredicesima del pensionato defunto.

Una grande rete di associazioni parasindacali che operano con patronati in tutta Italia, sono le Acli – Associazioni cristiane lavoratori italiani, che contano migliaia di sedi, in media una sede ogni due comuni. Ed è con le Acli che la Caritas ha stipulato un accordo in base al quale dopo aver intercettato e preso in carico il cittadino che necessita di assistenza per uno o più dei servizi citati lo indirizza presso gli sportelli del Caf e del patronato Acli. Per farsi un’idea le Acli hanno oggi circa 900mila soci e dal ministero del Lavoro hanno incassato come anticipo 2021 per i servizi di patronato oltre 36,5 mln. Non ci è stato permesso di accedere al dato relativo al numero e al tipo di pratiche evase dall’Acli ma possiamo fare una stima del “volume d’affari” potenziale che andrebbero a gestire quasi in esclusiva questi due soggetti (Caritas e Acli) con la prospettiva di raggiungere una platea di oltre 5mln di persone: oltre 200mln di euro l’anno.

Ignorando ogni criterio quantomeno di parità rispetto ad associazioni sindacali e di lavoratori non cattoliche, a livello istituzionale si è deciso di assecondare l’assalto delle organizzazioni religiose all’assistenza, consentendo che la Caritas potesse gestire i servizi fin qui elencati. Nella prospettiva di creare una enorme holding dell’assistenza, la Caritas ha quindi stipulato un accordo con Acli che avrebbe portato in dote migliaia di patronati e quindi gli operatori abilitati e le strutture necessarie a gestire i servizi ai “nuovi” utenti. Laddove le strutture non ci sono l’accordo Inps/Caritas prevede che siano i Comuni a metterle a disposizione gratuitamente. L’accordo Caritas/Acli è stato denominato “Un nuovo patto per la non autosufficienza” e prevede che debba essere esteso ad altre 50 organizzazioni con la creazione di un unico Sistema nazionale assistenza anziani che inglobi tutti gli strumenti, i servizi e le misure dedicati alla non autosufficienza (diligentemente elencati nel Rapporto della “Commissione Paglia”). Da qualche mese spuntano come funghi i patronati che materializzano l’intesa. A Cagliari, per esempio, è già nata la Rete Caritas-Acli-patronato Acli e la presentazione è stata fatta nella sala stampa del Seminario Arcivescovile. A Catania lo sportello Caritas-Acli è attivo presso la sede della Caritas. Di quello che è accaduto in Puglia, qui come altrove all’insaputa delle altre parti sociali e dei sindacati che storicamente gestiscono i patronati, ne parliamo nell’articolo seguente a pagina 17. A Roma le Acli metteranno a disposizione della Caritas i loro operatori specializzati «per fornire ogni tipo di informazione e raccogliere le pratiche relative ai servizi da erogare» attingendo “materiale umano” in tutti i circuiti cattolici, dai centri d’accoglienza agli oratori, ovvero in quelle sponde di marginalità e di fragilità sociale dove l’assistenza è necessaria come l’aria per respirare. Le Acli hanno la fetta più grande nella erogazione del finanziamento da parte del ministero in relazione ai servizi che offrono e alle pratiche che espletano. L’accordo che l’Inps ha stipulato con la Caritas, e quello a sua volta stipulato con le Acli, farà crescere in maniera esponenziale il cumulo di servizi finanziati, rendendo questo duo un soggetto monopolista nella assistenza. Una gigantesca lobby religiosa gestirà indennità e sussidi erogati dallo Stato italiano in favore delle persone che ne faranno richiesta.

Lo Stato sociale ha come presupposto che ogni indennità erogata costituisca diritto e preservi la dignità di chi lo riceve. Consentire che l’assistenza venga gestita con modalità monopolista da una organizzazione come la Caritas significa degradare l’assistenza a mera concessione benevola. La carità è la negazione della solidarietà e dunque della dignità umana e sociale. Chi fa la carità pretende la riconoscenza. Uno Stato che soppianta la solidarietà con la carità è uno Stato fallito perché ha tradito il principio di laicità.

L’avvocata Carla Corsetti è segretaria nazionale di Democrazia atea

La fine dei religiosi

Egregia presidente Meloni si rassegni, è rimasta sola con qualche nostalgico che, vergognosamente, inneggia al fascista Rauti. Il mondo va in direzione diversa e contraria dal suo slogan «Dio, patria e famiglia».

Egregio ministro Salvini che, con il crocifisso di legno al collo, invoca ad ogni piè sospinto i valori cristiani, lasciar morire persone in mare è da cristiano? Si tratta di una violenza inaccettabile, per non dire dell’ipocrisia che c’è dietro tutto questo.

È inaccettabile l’idea che la religione interferisca con la cosa pubblica e la laicità dello Stato. Ormai l’hanno capito tutti, perfino in Italia dove, nonostante il fumo negli occhi «dell’influencer Bergoglio» (cit. Raffaele Carcano su Left), è drammaticamente chiaro che la diffusione della pedofilia nel clero affonda le sue radici nel pensiero religioso che annulla il corpo e nega la sessualità umana. Non a caso è diventata una voragine (che in qualche modo la Conferenza episcopale ha tentato di nascondere con una «indagine indipendente» farlocca). Parliamo di un agghiacciante e inaccettabile crimine sui bambini; violenze che, come per primi abbiamo smascherato grazie alle inchieste di Federico Tulli, vengono compiute ai più alti livelli ecclesiastici sui più piccoli ed anche sulle suore.

Anche per questo gli italiani lasciano la Chiesa. Ma non solo. È da molto tempo, infatti, che la secolarizzazione della società italiana va avanti a ritmi galoppanti, spinta dal rifiuto di dogmi antiscientifici che negano i diritti umani e l’identità della donna.
Lo abbiamo documentato costantemente su Left negli anni e lo documentano studiosi come il sociologo Franco Garelli, autore di Piccoli atei crescono (Il Mulino), in cui dimostra come fra i giovanissimi la religione sia considerata “roba vetero”, completamente fuori dal tempo, demodé. E più di recente, per lo stesso editore, con il saggio Gente di poca fede.

Questa rivolta silenziosa progredisce nonostante il baciapilismo della classe politica e la prepotente presenza della Chiesa in tre pilastri del nostro welfare: sanità, istruzione e, da oggi, assistenza. Lo raccontiamo nella storia di copertina di questo numero con un’inchiesta esclusiva sullo sconcertante accordo dell’Inps con la Caritas, che consegna a questa onlus, diretta emanazione della Cei, la gestione praticamente esclusiva nei quasi 8mila Comuni italiani, dell’erogazione di indennità e sussidi in favore di oltre 5 milioni di anziani, poveri ed emarginati. Un “affare”, per la Chiesa, da 200 milioni di euro l’anno. Un fiume di denaro che si somma ai circa 6,7 miliardi l’anno che già incassa dai contribuenti italiani sotto forma di finanziamenti pubblici statali, regionali e comunali, fondi alle paritarie (mai così alti come quelli stanziati dal governo Meloni, ha denunciato poche settimane fa Francesco Sinopoli, segretario generale Flc-Cgil: 620mln), pensioni ai cappellani militari, stipendi ai religiosi nelle corsie d’ospedale, 8permille, esenzioni, e contributi di vario tipo: in tutto sono ben 48 le voci di spesa, ma sarebbe più corretto dire le prebende, sottratte al welfare laico e donate alla casta clericale.

La secolarizzazione italiana rispecchia un andamento che si rileva in molti Paesi, da Oriente a Occidente. Perfino in Polonia, dove il governo ha imposto feroci leggi contro l’aborto, che hanno fatto morire molte donne, i più giovani, anche per questo, si stanno allontanando dalla religione. E negli Stati Uniti, dove fandonie come quella del creazionismo hanno largamente preso piede nella società, oggi i non credenti sono al 22 per cento. L’avanzare di un sano e vitale ateismo si segnala anche in Inghilterra e Galles dove i non credenti hanno superato i credenti di tutte le religioni. Altrettanto clamoroso è quello che sta accadendo in Turchia e in Iran dove i giovani in massa si stanno ribellando al fondamentalismo religioso dei rispettivi governi.

In Iran lo fanno a costo della vita, in una straordinaria e dolorosa lotta nonviolenta di cui sono protagonisti migliaia e migliaia di giovanissimi al grido di “donna, vita, libertà”, (facendo proprio lo slogan delle donne curde), come ci racconta su questo numero lo scrittore iraniano Kader Abdolah.

«I mullah, come i talebani in Afghanistan sono stupidi, non accettano la cultura, l’arte, la poesia, hanno paura delle belle donne indipendenti», dice Abdolah. E lo ribadisce la scrittrice iraniana Azar Nafisi: «Le dittature fondamentaliste cercano di confiscare, di distruggere e annullare l’identità delle donne, delle minoranze e di chi esprime una diversità culturale. Ma le donne in primis non sono più disposte ad accettarlo e scendono in piazza per i diritti di tutti, costi quel che costi». E noi siamo e saremo sempre con loro.


Editoriale di Left n.1 del 6 gennaio 2023

Erano pronti. Per la stangata

Il prezzo del gas è sceso sensibilmente nei mercati internazionali ma continua a salire nelle case degli italiani. L’aggiornamento mensile dell’authority Arera segnala che i clienti del mercato di maggior tutela (per un tragico gioco di parole) subirà a dicembre un aumento medio del 23,3% rispetto al mese di novembre che determina per il 2022 un esborso cresciuto del 64,8%.

«Una Caporetto. Al rincaro di novembre del 13,7% si aggiunge ora quello di dicembre. Bollette da infarto, insostenibili per troppi italiani», commenta Marco Vignola, responsabile del settore energia dell’Unione nazionale consumatori. «Se il prezzo del gas sale del 23,3% rispetto a quello di novembre 2022, aumenta del 55,9% rispetto a un anno fa, ossia rispetto a dicembre 2021 e del 125% nel confronto con dicembre 2020. Il governo si sta dimostrando del tutto inadeguato ad affrontare questa emergenza nazionale, limitandosi a riciclare quanto fatto da Draghi nonostante la situazione sia nel frattempo profondamente peggiorata».

Il costo di benzina e gasolio è salito di circa 20 centesimi al litro rispetto al 30 dicembre. Questo perché il 2023 si è aperto con l’aumento delle accise su benzina, gasolio e Gpl. Poi ci sono i costi autostradali: le tariffe dal primo gennaio sulla rete di Aspi – ora è controllata dalla Cassa depositi e prestiti con i fondi Macquarie e Blackstone – sono aumentate del 2%. E a luglio è previsto un ulteriore rincaro dell’1,34%. In base alle elaborazioni di Assoutenti, per andare da Roma (sud) a Milano (ovest), ad esempio, il pedaggio sale dai 46,5 euro del 2022 a 47,3 euro. A luglio, in tempo per le vacanze estive, arriverà 48 euro a luglio, con un aumento di 1,5 euro. Da Napoli (nord) a Milano si spendevano lo scorso anno 58,6 euro: ora servono 59,7 euro (60,5 euro a luglio, +1,9 euro). Per la tratta Bologna-Taranto la spesa sale da 55,1 euro a 56,1 euro del 2023 (56,9 euro da luglio, +1,8 euro).

L’assicurazione delle auto aumenta per 815mila automobilisti che hanno peggiorato la propria classe di merito. Ma non solo: l’Osservatorio Facile.it rileva che «il dato assume ancora maggior gravità se si considera che, a dicembre 2022, il premio medio Rc auto registrato in Italia è stato di poco superiore ai 458 euro, vale a dire ben il 7,23% in più rispetto ad un anno prima». Secondo l’analisi del comparatore – su un campione di oltre 720mila preventivi raccolti su Facile.it a dicembre – il numero di automobilisti colpiti dai rincari è in crescita del 2% rispetto allo scorso anno. In un Paese, tra l’altro, in cui più di 700mila italiani hanno saltato il pagamento della polizza auto. Nel 2023 i morosi sono destinati ad aumentare visto, secondo il rapporto, che «sono oltre 1,5 milioni gli italiani che hanno ammesso di poter essere obbligati a saltare il prossimo rinnovo in caso di ulteriori rincari».

A Milano dal 9 gennaio il biglietto ordinario Atm passerà da 2 a 2,20 euro, il carnet da dieci corse da 18 a 19,50 euro, il giornaliero da 7 a 7,60 euro e il biglietto valido per tre giorni da 12 a 13 euro. Anche a Roma sono in arrivo rincari: il Contratto di servizio per il trasporto pubblico ferroviario di interesse regionale e locale siglato tra Regione Lazio e Trenitalia prevede che da luglio 2023 il biglietto integrato a tempo, che dura 100 minuti, salga da 1,50 a 2 euro, mentre gli abbonamenti mensili saliranno da 35 a 46,70 euro e gli annuali da 250 a 350 euro.

Per l’elettricità, secondo le stime dell’authority per l’energia, la spesa della famiglia-tipo nell’anno compreso tra il 1° aprile 2022 e il 31 marzo 2023 sarà di circa 1.374 euro,+67% rispetto ai 12 mesi equivalenti dell’anno precedente. Nonostante il calo del 19,5% del prezzo di riferimento per il primo trimestre.

La manovra modifica le aliquote di accisa sui trinciati, prevedendo un aumento di quella di base dal 59 al 60% e di quella minima da 130 euro a 140 per kg per ottenere un maggior gettito di 50,1 milioni. Con il risultato che le sigarette fai-da-te costeranno fino a 40 centesimi in più. Per quanto riguarda le bionde, l’accisa passa da 23 a 28 euro al kg. Un pacchetto che nel 2022 costava 5 euro rincara dunque di circa 10-12 centesimi.

Buon mercoledì.

Yasmeen Lari: La mia architettura sostenibile per risollevare il Pakistan

Yasmeen Lari è la prima donna architetto in Pakistan (v. Left del 29 maggio 2020), un’attivista umanitaria che da anni si batte per ottenere la giustizia egualitaria nel suo Paese anche attraverso i mezzi dell’architettura sostenibile, a emissione zero di carbonio, da realizzare in contesti di assoluta povertà. Da decenni inoltre Lari chiede che si ponga attenzione alle conseguenze del cambiamento climatico che, come è accaduto la scorsa estate, investono il suo Paese, tra i territori al mondo più soggetti a fenomeni meteorologici estremi.

Il lavoro di Lari sul territorio del Pakistan è ispirato da una sapienza antica derivante dalle pratiche costruttive indigene e dalle costruzioni storiche dell’architettura del Medio Oriente asiatico rese in chiave moderna per aiutare la popolazione locale vessata dalla povertà e oggi da un’emergenza climatica di gravità senza precedenti.
Il suo operato supera i confini tradizionali dell’architettura moderna e si rivolge alle popolazioni povere rurali, coinvolgendo in particolare le donne dei villaggi. A seguito della disastrosa e urgente situazione ambientale in Pakistan, abbiamo parlato con l’architetto Lari degli interventi organizzati per aiutare le popolazioni.

Con la sua creazione, Barefoot Social Architecture, sta attualmente ripensando e rielaborando i mezzi per insegnare ai potenziali «imprenditori sociali a piedi nudi» – come li chiama – a costruire strutture a basso costo e senza sprechi, fatte di terra, calce e bambù. Ha avviato questa iniziativa in risposta alla crisi del Covid 19 e ora ha spostato la sua attenzione e la sua visione a favore delle vittime delle inondazioni. Con i suoi collaboratori Yasmeen Lari ha creato un Comitato per l’emergenza alluvione Flood Emergency Response (Heritage foundation of Pakistan) il cui scopo è stato sia quello di fornire alloggi di emergenza costituiti da una struttura di moduli di bambù che possono essere facilmente assemblati dagli stessi abitanti che quello di aiutare nella depurazione dell’acqua oltre che nella distribuzione congiunta degli aiuti.

Lari infatti è stata capace negli anni di creare una rete umanitaria indipendente con appoggio internazionale, attraverso l’operato anche di molte donne e persone con disabilità residenti nelle zone rurali, spesso esclusi dalle dinamiche societarie del profitto commerciale, coinvolti nei giorni dell’emergenza nella attuazione e effettiva organizzazione degli aiuti. La crisi umanitaria dovuta principalmente alla negazione del cambiamento climatico globale e alla cattiva gestione di terre in Pakistan e in tutto il mondo, in quelle terre ha provocato una catastrofe, oltre 1000 morti di cui un terzo bambini, una lunga estate segnata da continui eventi alluvionali e mancanza di interventi anche perché questi disastri colpiscono persone che vivono già in condizioni precarie. Come riporta Oxfam, sono state colpiti dal disastro meteorologico 33 milioni di pakistani, di cui 6 milioni sono rimasti senza un riparo. Con Yasmeen Lari abbiamo quindi affrontato il tema dell’emergenza ma anche la sua visione per il futuro del Paese, cioè la possibilità che le popolazioni possano avere dei mezzi costruttivi per gestire la loro vita in contesti agricoli di estrema povertà. Soprattutto adesso, dopo il disastro climatico, il problema è gestire direttamente gli aiuti finanziari che arrivano dall’estero. Non è più l’architettura monumentale, dice Lari, che la interessa in questo momento storico, ma la priorità per lei sono questi interventi per rendere migliore la vita delle persone.

Yasmeen Lari, ci può parlare degli interventi che ha realizzato coinvolgendo la popolazione stessa nella creazione delle proprie case sostenibili prendendo spunto dalle antiche costruzioni indigene e anche dall’architettura storica più nota del Pakistan? E come pensa di continuare su questa linea nel dopo emergenza?
Prima di tutto stanno arrivando molti soldi in Pakistan, perché ci sono molte persone di buon cuore che hanno fatto delle donazioni e questa è una buona cosa. Ma dall’altro lato sento che a lungo termine questa solidarietà non basterà e noi dobbiamo avere il coraggio di cambiare. Perché penso che necessariamente i soldi da soli non aiutino. Da anni arrivano aiuti al governo e nel settore delle Ong attive, ma le condizioni di vita delle persone non sono migliorate. Ora ci troviamo in una situazione molto difficile: le cose erano altamente insostenibili prima, anche senza considerare il fatto che il mondo è cambiato a causa del riscaldamento globale e del Covid-19. È necessario cambiare la situazione per aiutare le persone. Le piattaforme social e i cellulari possono servire a questo. Questo significa che posso indirizzarmi a tutti come ho sempre voluto. Intendo essere diretta. Non sto usando nessun intermediario. Quindi vorrei creare una sorta di cultura che chiamo Barefoot culture of giving. Questo serve per ridefinire l’idea del donare (per scopi umanitari). Dare in modo diverso. Consentire alle persone di lavorare insieme in modo autonomo piuttosto che inviare molti soldi, aiuti che finiscono in un buco nero. Ovviamente, in determinate circostanze le cose possono essere risolte utilizzando il denaro degli aiuti, e se le persone vogliono inviare denaro con tutti i mezzi, dovrebbero poter farlo. Non posso fare obiezioni in merito, ma il problema è così grande che anche enormi risorse potrebbero non essere sufficienti, invece vorrei che il denaro fosse utilizzato nel modo più efficiente possibile.

Qual è il problema più urgente?
Ovunque possiamo, non ci sono molti posti in cui si possa fare questo procedimento, si tratta di far assorbire l’acqua dal terreno. Oggi c’è acqua dappertutto, la situazione è tragica. È come un mare. Ci sono alcune aree in cui quest’acqua ha circondato lembi di terra rimasti emersi, allora noi lì possiamo intervenire in qualche modo. Voglio applicare questa tecnica dei pozzi acquiferi e delle trincee in modo che molta acqua possa essere assorbita nel terreno, e questo può essere un sistema da applicare a lungo termine nella maggior parte dei villaggi anche per il futuro. Questa è la strategia che voglio seguire, ma ci sono molti altri compiti che devono essere svolti e che hanno a che fare con la prevenzione rispetto alle catastrofi ambientali, in modo da essere in qualche modo pronti ad agire la prossima volta che si verificherà un disastro climatico.

E per quanto riguarda le costruzioni di emergenza, cosa ci può dire?
Recentemente ho progettato una struttura di base che potrebbe stare su un terreno pavimentato, che si basa sul bambù zero carbon LOG (Lari OctaGreen). Si tratta di un prototipo funzionante nel Rahguzar di Karachi ed è stato utilizzato per la formazione virtuale degli studenti in Bangladesh. La struttura è stata progettata per essere sicura e stabile anche senza fondamenta. Il LOG smontabile è stato eretto, a maggio, a Granary Square a Londra, con un gruppo di giovani studenti di architettura provenienti da Pakistan, Bangladesh e Regno Unito che avevano imparato la tecnica di costruzione. Dopo una settimana è stato smantellato rimuovendo le corde che legavano insieme gli elementi prefabbricati e abbiamo trasportato il tutto nel giardino di Carlo d’Inghilterra. Ha funzionato perfettamente per l’emergenza: infatti avendo il materiale e una forza lavoro addestrata, si realizza molto rapidamente coprendolo con stuoie di paglia fatte a mano sul tetto.

Ha progettato il modulo di base con una forma ottagonale che ricorda in qualche modo tutta l’architettura orientale pre-islamica, per citare l’antica radice culturale eclettica delle vie della Seta di questa architettura di emergenza rivelatrice dei passaggi della storia meno noti e non riconosciuti, ma torniamo alle strutture di bambù e al loro impiego nell’immediato.
La forma stessa è molto stabile e sappiamo che funziona perché è stata usata per così tanti mesi senza fondazioni, ed il modulo di emergenza è interamente aggregato e montato con i pannelli prefabbricati. Abbiamo realizzato dei video tutorials sul sito della Heritage foundation of Pakistan. Per quanto riguarda il riutilizzo della struttura in spazi abitativi permanenti, la mia intenzione è sempre stata quella di non sprecare nulla e di utilizzare materiale di produzione a zero emissioni di carbonio al fine di non danneggiare in alcun modo il pianeta. Non stiamo contribuendo attivamente nel contrastare il pericolo del cambiamento climatico, perché quando si creano abitazioni o altre strutture architettoniche su larga scala che utilizzano materiali ad alto contenuto di carbonio, si sta rispondendo, certo, ad un problema in quel momento, ma si stanno anche creando potenziali future difficoltà quando si tratta di cambiamenti climatici e ambiente. Ma la struttura prefabbricata in bambù a zero emissioni di carbonio, nello specifico, non produce sprechi e non richiede acqua nel suo assemblaggio o produzione. È facilmente trasportabile ed è a zero produzione di carbonio, appunto. Questo metodo suscita interesse, anche se ho dovuto organizzarne autonomamente la produzione e distribuzione.

Completed Emergency LOG Shelter (photo by courtesy of Heritage foundation of Pakistan)

Lei ha lanciato da tempo l’allarme sul problema già con il suo progetto del Sindh Floods Rehabilitation del 2011. I nuovi imprenditori sostenibili, tra cui donne e persone con disabilità, grazie alla sua guida e capacità di inclusione, sono diventati attivi soccorritori in una situazione in cui anche le autorità locali e governative hanno dimostrato una gravissima disorganizzazione. Ci può raccontare come queste persone sono riuscite a formarsi dal punto di vista tecnico?
Intanto va detto che per noi questa rappresenta una grande opportunità per dare una formazione tecnica a molte persone, nonostante gli impedimenti a causa delle inondazioni, utilizzando le sessioni di zoom. Si possono addestrare almeno 5 abitanti di ogni villaggio coinvolgendo molte donne, in modo che anche loro imparino la tecnica. Le donne svolgono un ruolo assolutamente fenomenale in questo processo. Creiamo dei gruppi base e loro imparano come creare i pannelli, che è la cosa più importante. Poi monitoriamo il lavoro fatto e se queste persone hanno insegnato ad altri abitanti della stessa area. Non siamo in grado di comunicare con troppi villaggi per ora. Ma si spera che gradualmente sempre più villaggi diventino accessibili per poter realizzare almeno 100 unità di emergenza giornalmente.

Lei con l’arte di costruire fornisce strumenti reali e concreti per uscire da un contesto difficile. Ha dato a quelle donne questa opportunità e ora sono delle figure di riferimento: infatti sono loro che hanno gestito la distribuzione dei rifugi.
Per la prima volta la Bank of Punjab ha concesso un prestito di 50mila rupie a 100 donne, in tal modo ognuna di loro diventa effettivamente proprietaria. Altrimenti, tutto va agli uomini. Non si tratta di carità. Le donne infatti sanno quello che stanno facendo e si impegneranno poi a restituire il denaro avuto. Quindi emerge una grande dignità in tutto questo processo. È questo che ho sempre voluto: trovare dei modi per dare dignità e rispetto alle donne. Abbiamo iniziato un programma a giugno. I finanziamenti sono arrivati a luglio. Ci sono 25 donne in ogni comitato. Sono loro che hanno dato i soldi al venditore e all’artigiano. Sono loro che se ne occupano. Questo processo l’abbiamo monitorato solo da remoto, non eravamo lì direttamente. Puoi immaginare quanto siano riconosciute e apprezzate queste donne ora? Stanno gestendo tutto. Le donne hanno sempre contribuito tanto all’edilizia, all’agricoltura, all’allevamento, ma nessuno dava loro un riconoscimento, perché non guadagnavano. Quindi una volta che il denaro è stato affidato alle loro mani, tutti hanno dovuto rispettarle. Questo è quello che dobbiamo fare in quel contesto, affidare nelle mani delle donne in qualche modo la gestione del denaro.

Questa sua attività umanitaria e solidale, legata all’antica arte del costruire di origini mesopotamiche, è umanamente innovativa. Si tratta di un aspetto della giustizia sociale applicato alla sostenibilità.
Precisamente. Devo trovare il modo di farlo e vorrei farlo attraverso l’architettura in modo che ogni volta che si sta costruendo qualcosa, posso organizzarmi per poter favorire il loro operato. Perché nessuno dà loro un riconoscimento per tutto quello di cui sono capaci di realizzare. Così abbiamo avviato un programma di formazione in varie parti del Pakistan. A gennaio 2022 abbiamo addestrato tre uomini e tre donne. E abbiamo avuto successo insegnando loro come usare il trapano o fare i fori o tagliare il bambù. È andata bene, tutti loro hanno imparato le tecniche. E abbiamo chiesto alla Banca del Punjab di fornire prestiti ai comitati femminili nel villaggio di Pono. Questa è la storia dei primi prestiti diretti per la casa a donne che vivono in condizioni di estrema povertà.

Donne che fanno stuoie di paglia (photo by courtesy of Heritage foundation of Pakistan)

E gli interventi dopo le alluvioni per ampliare la rete solidale?
Quando sono arrivati i prestiti, erano iniziate le piogge e nonostante ciò, erano state costruite 70 unità e tutti erano al sicuro lì, ma per 30 di quelle strutture primarie, non è andata bene perché all’improvviso è arrivata la pioggia persistente. Così la gente del luogo ha perso tutto. Tutte le mie strutture di bambù che sono state costruite nel villaggio di Sindh e in altri villaggi sono invece ancora in piedi, alcune sono a due piani nonostante l’acqua abbia raggiunto l’altezza del primo piano.

Lei si sta occupando anche dell’emergenza alimentare. Cosa sta facendo?
Abbiamo creato un meccanismo per cui stiamo ottenendo cibo a buon mercato e migliorando il ruolo delle madri. Invece di ricevere la carità, le donne sono infatti considerate come i capifamiglia che forniscono cibo ai loro parenti. I fondi vengono trasferiti nella banca di una persona di fiducia. La persona fornisce a rotazione tutte le razioni di cibo secco alle madri, che ora cucinano e distribuiscono cibo a tutti nel villaggio. In questo modo non stai umiliando le persone donando loro l’elemosina, ma dando rilevanza alle donne che devono sfamare la famiglia. Voglio dire, dobbiamo trovare modi intelligenti per utilizzare lo stesso denaro, il più a lungo possibile, per quanto possibile, riducendo al minimo i costi, utilizzando questo meccanismo per elevare la condizione delle donne all’interno della società in modo che siano viste come quelle che attivamente stanno dando un contributo. Dobbiamo evitare che ci sia qualcuno da fuori che viene a dare loro un pacco di viveri.

C’è una grande differenza tra il fare la carità e potenziare le conoscenze delle persone per permettere loro una vita migliore. Ora la sfida è evitare che il disastro dilaghi, ma quando questo momento immediato di emergenza sarà finito, ci sarà un’altra emergenza, ci saranno problemi di ordine sanitario e sociale. Cosa ne pensa? Certo, l’architettura non può cambiare la situazione, ma forse può aiutare in maniera parziale?
L’architettura può svolgere un ruolo, ma solo limitato da ciò che costruisci. Ma io ora non sto pensando a lungo termine, perché non possiamo presumere che questa sia l’ultima inondazione in Pakistan. Con il cambiamento climatico, potrebbe accadere anche di peggio. Io sto facendo una lista di priorità. Intanto abbiamo stabilito varie collaborazioni con professionisti della sanità. L’acqua è un grosso problema perché tutte le malattie epidemiche sono legate agli allagamenti. Ora mi accade di riflettere sul fatto che tante persone mi abbiano aiutato lungo la strada. Non posso nemmeno dirti quante. Perché non sono i soldi, ma la guida e i consigli giusti ad essere importanti: tutto ciò che le persone dimenticano sempre perché si dà troppa importanza al denaro. La cosa importante invece è condividere la conoscenza con le persone che non sono così fortunate.

Sono anni che lei si adopera per migliorare la vita delle popolazioni del Pakistan e ha sempre detto quanto la situazione fosse grave. Ora non si può più ignorare.
Questa gente ha bisogno del sapere. È miserabile la vita che le persone conducono in queste zone periferiche. Il Pakistan dopo il Covid aveva il 50% della popolazione al di sotto della soglia di povertà. Sono tra più poveri del mondo. E adesso tutto è perso. Non so, forse adesso il 70 o l’80% della popolazione sarà al di sotto della soglia di povertà. Il problema adesso è impedire il fatto che tutti i soldi che arriveranno vadano a intermediari, a organizzazioni che promettono che li spenderanno. No, dobbiamo fermare questo modo di intervenire sull’emergenza. La mia richiesta, come primo punto, oggi è qualcosa di diverso. Vorrei chiedere alle persone che fanno parte della diaspora pakistana di inviare il denaro a coloro con cui hanno ancora mantenuto relazioni nei villaggi di origine. L’ideale sarebbe formare dei comitati femminili, permettere loro di aprire conti bancari. Possono esistere due opzioni: o fornire direttamente il materiale acquistato con i propri soldi o dare il denaro alla gente del villaggio per poterlo spendere. Per esempio, si possono realizzare rifugi di emergenza, wc ecologici. Posso insegnare loro come prendersi cura dell’approvvigionamento idrico, pompe a mano, ecc.. In questo modo i soldi vengono spesi in maniera indipendente, arrivano direttamente alle persone. Migliaia di villaggi ne beneficeranno. Penso che tutto questo sia possibile. Questa è la mia cultura del dare a piedi nudi, la cultura del dare. Ecco come si devono strutturare gli aiuti al Pakistan. Senza fare la carità.

L’inizio della costruzione (photo by courtesy of Heritage foundation of Pakistan)

Partecipazione e sensibilità nei confronti delle esigenze delle comunità coinvolte nel disastro climatico. Se volessimo definirla, è una speranza umanitaria nel settore della sostenibilità.
Ho ricevuto tanto aiuto da persone che sono ben informate sulle cose e mi hanno detto cosa fare. Ho imparato tanto grazie alle persone. Quindi quello che vorrei, è creare una banca della conoscenza. Ci sono molte persone che vogliono aiutare, ma forse non hanno abbastanza soldi da inviare. Ma perché tutti dovrebbero voler inviare denaro? Perché non possono condividere le loro conoscenze, la loro esperienza? Si potrebbe creare un intero portale basato proprio su questo tipo di deposito di informazioni. A lungo termine, abbiamo bisogno della collaborazione di tanti esperti. Abbiamo bisogno della loro saggezza, abbiamo bisogno dell’esperienza, abbiamo bisogno perché ci sono persone dalle conoscenze avanzate, sono competenti e le potrebbero condividere con altri. Per ottenere un Barefoot Knowledge Repository come secondo punto. Il terzo punto è il Climate Smart Training. In qualche modo, se riesci a convincere le persone a iniziare ad avere familiarità con la tecnologia, questo processo può essere realizzato su larga scala. La conoscenza può fare molta strada. Non voglio, insomma, che quei soldi vengano sprecati. Questa è la situazione attuale in Pakistan. C’è tanta corruzione nel Paese. Si deve stare molto attenti a dove depositare i soldi e a come farlo. Sarebbe meglio andare lì e aiutare le persone. Sarà meraviglioso per loro avere qualcuno che fa tutto il possibile per aiutarli. Questo processo porterà le persone a essere indipendenti. Ci sono molti problemi, molti traumi. Ma ci sono tutti gli strumenti per coinvolgere le persone in qualsiasi tipo di lavoro e dire: siamo con te. Sì, dobbiamo comunicare: Siamo con te, non sei solo.

Dalle foto delle strutture di emergenza si vede che la porta è costituita da un tessuto pieno di colori, disegni e geometrie, che ci parlano della storia dell’umanità. Come se emergesse un messaggio: questa è la nostra storia nonostante tutto, abbiamo perso ogni cosa materiale e per ora questi disegni parlano di noi e ci distinguiamo dal fango, siamo qui, questa è anche la nostra memoria. Come darà ulteriore sviluppo a questo intervento?
Questo è il messaggio. Mi affido ai pakistani all’estero che in seguito alla tragedia stanno inviando nel Paese così tanti soldi e nessuno sa dove tali aiuti vadano a finire.
Suggerisco che si organizzino indipendentemente. Abbiamo bisogno di loro. La loro partecipazione deve essere sincera. Dobbiamo uscire dal nostro modello conformista. Dobbiamo avere un modello diverso da quello che definisco modello di beneficenza coloniale occidentale.

Nella foto d’apertura Yasmeen Lari in una intervista del 2020 alla BBC News (da Wikipedia)

Nel congresso del Pd irrompe il candidato Guizzetti e vale la pena raccontarlo

Il bergamasco Antonio Guizzetti, un passato alla Banca mondiale, si fa avanti per la segreteria del Pd con la sfida di raccogliere a tal fine 4mila firme. Lo annuncia lui stesso in un’intervista su repubblica.it. «Mi considero un underdog, uno sfavorito. Non appartengo a nessuna corrente interna né a gruppi di potere, ma credo che la mia trentennale esperienza internazionale possa dare un contributo importante al Pd». «Avverto nel percorso congressuale una certa improvvisazione, mancanza di competenze e progettualità», continua. «Bonaccini è sicuramente un ottimo amministratore. Per le idee mi sento più vicino a Schlein, ma ho anche una grande stima per Gianni Cuperlo. Credo che il Pd abbia bisogno di un rinnovamento totale della classe dirigente, di abbattere le correnti. Il segretario non lo decidono Bettini e Franceschini». Negli anni Novanta, quando ha iniziato a lavorare alla Banca Mondiale, riferisce di essere stato «a stretto contatto con Draghi – racconta -. Credo che abbia interpretato molto bene il suo ruolo: è riuscito a dare una boccata di ossigeno alla Banca mondiale». Come capo del governo, a suo avviso, Draghi invece «non è stato capace di interpretare quel ruolo di mediazione e compromessi che un politico italiano deve fare per poter gestire la cosa pubblica. Non ha potuto dare quel contributo che un uomo del suo valore avrebbe potuto dare ad un Paese come l’Italia».

Tutti si chiedono: ma chi è Guzzetti? Cercare tra il suo passato è un viaggio che provoca vertigini. Dal Messaggero Veneto scopriamo che a gennaio del 2011 «si è autoinvitato con una semplice mail, direttamente dall’America» alla cerimonia per il Premio Nonino e spiegare che «l’Italia si salverà attraverso le capacità imprenditoriali di famiglie come i Nonino». In un’intervista a BergamoNews dice di sé: «Bergamo mi è sempre stata un po’ stretta. Sono un po’ sessantottino, nel senso che appartenevo al movimento studentesco. Dopo il Liceo decisi di frequentare la Bocconi perchè già allora ero molto interessato alle problematiche dei Paesi in via di sviluppo. Io non volli mai entrare nel business di mio padre perchè anche se era buono, generoso e cattolico, per me era un capitalista, quindi stava dall’altra parte della barricata. Andai a fare un dottorato alla London School of Economics, perchè pensai che la carriera universitaria mi potesse offrire un buon compromesso per quello che volevo fare: aiutare la società e guadagnarmi da vivere. Poi feci un altro dottorato a Parigi, Doctorate d’Etat, e quando tornai in Italia, il rettore della Bocconi mi contattò dicendomi che c’era una richiesta da parte della Banca Mondiale di mandare dei giovani economisti a Washington…».

Molto si evince dalla sua pagina Facebook. E qui si rischia di avere le vertigini. Di certo non amava molto il presidente della Repubblica Mattarella se è vero che il 30 gennaio del 2015 scriveva «Incantatore di Serpenti: Come ha fatto “Renzie” a sdoganare – rendendolo “credibile” e quindi “presidenziabile”, come la “embedded” stampa italiana oggi applaude all’unisono – un personaggio come Sergio Mattarella (quelli che – secondo “Renzi I” – dovevano essere tutti rottamati per favorire un ricambio della “classe politica italiana”) definito “Umille Servitore dello Stato” (ahahaha!) e farlo – forse (D’Alema pensaci tu!) – diventare Presidente della Repubblica Italiana? Massoneria, Logge, Tri – Lateral, Grande Vecchio, Please help me!». Per ribadire il concetto scriveva «JE NE SUIS PAS SERGIO MATTARELLA !». Ma nel suo profilo parla di tutto. Chiedeva di “annullare Expo”, inneggiava alla “rivoluzione proletaria” («In talia non ci sono i soldi per la cultura, la scuola, la sanità, le pensioni, eccetera ma le infrastrutture costano mediamente 30% in più del loro costo “reale” di mercato con personaggi che hanno case, ville, conti all’estero, non pagano le tasee, hanno vitalizie da decine di migliaia di Euro, eccetera e impuniti rapinano le casse pubbliche»), se la prendeva con le cooperative («Le cooperative sono un sistema di malaffare che paga tangenti per ottenere lavori, commesse,eccetera, per di più legate a partiti di sinistra. VERGOGNA»).

Opinioni sulla geopolitica? Nel 2015, commentando la dichiarazione di Obama dopo l’uccisione di Giovanni Lo Porto, Guizzetti scriveva: «Stessa Storia di Sempre: Obama si scusa e promette un risarcimento in dollari (gli USA comperano tutto con i dollari, anche il dolore delle persone) alla famiglia di una morte avvenuta 4 mesi fa (ne aveva parlato a Renzi in occasione della recente visita del nostro PM alla Casa Bianca? Se No: colpevole Obama, Se Si: colpevole Renzi). Poi, quale diritto hanno gli USA di invadere, uccidere, bombardare in qualsiasi angolo del mondo per combattere il terrorismo (quale?). Mondo Cane». Una candidatura “frizzant”, non c’è che dire.

Buon martedì.

Nella foto Antonio Guizzetti (dal suo profilo facebook)

Il discorso politico di Meloni per il 2023 traccia una linea pericolosa

Tanti per consuetudine sono stati attenti ad ascoltare il 31 dicembre il tradizionale discorso del presidente della Repubblica, ma in realtà il vero discorso politico è stato quello della premier Meloni e del governo di destra. Il presidente Mattarella con il suo proverbiale equilibrio ha tenuto un discorso corretto, a tratti condivisibile e a tratti meno, istituzionale, senza passioni, ma di un uomo nel quale gli italiani in qualche modo si riconoscono, se non altro per aggrapparsi a qualcosa di istituzionale sostenibile.
Tuttavia il vero discorso politico, che traccia la linea per il 2023, è quello del governo Meloni. Un governo politico, seppur con una maggioranza frutto di una legge elettorale incostituzionale, e speriamo davvero di lasciarci per sempre alle spalle governi tecnici senza legittimazione democratica e politica.
Dobbiamo, quindi, analizzare atti e parole del governo di destra.
Cominciamo dalla manovra economica. Senza coraggio e senza visione. In continuità con il governo Draghi, ossequiosa con i poteri forti, a cominciare dalla Commissione europea alla quale si è inchinata Giorgia; una manovra classista perché colpisce ceti poveri e medi. Cancella il reddito di cittadinanza, non adegua salari e pensioni all’inflazione, non colpisce adeguatamente gli extra profitti degli speculatori della guerra. Toglie ai poveri per dare ai ricchi. Non c’è nulla nella manovra della destra sociale e popolare.
A fine anno, poi, tra manovra e Calderoli – ministro contro il sud e l’unità nazionale – si è dato il via libera all’autonomia differenziata che è un progetto eversivo che segnerà la fine dell’unità e della solidarietà nazionale e rafforzerà il consolidamento delle discriminazioni territoriali.
Ecco, poi, due atti che segnano il recupero delle politiche ideologiche della tradizione della destra più estrema e anticostituzionale. Il provvedimento contro le Ong che salvano vite umane nel Mediterraneo. Da punire e sanzionare se salvano troppe vite umane, solo un unico carico in stiva concede l’ordine costituito, non c’è posto per un secondo “carico residuale”. Passa la linea della disumanità, della violazione del diritto internazionale e della Costituzione. Le Ong vanno colpite in modo che nessuno possa testimoniare i crimini contro l’umanità nel cuore del mediterraneo. Non ci devono essere testimoni. Nessuno deve sapere degli effetti dell’accordo criminogeno tra governo italiano e governo libico. Razzismo, disumanità e ottusità sono gli ingredienti di questo provvedimento che andrebbe cancellato dall’ordinamento giuridico. Le morti di cui non sapremo nulla come le chiamerà il governo? Merci scadenti che quindi possono essere depositate in fondo al mare? Come parimenti andrebbe cancellato dall’ordinamento giuridico la legge anti dissenso, che il governo chiama anti-rave che è stato solo un pretesto mediatico-politico per inserire una norma penale che punisce chi si riunisce in luoghi pubblici o privati che a discrezione dell’autorità possono rappresentare un pericolo per l’incolumità pubblica o la sanità pubblica. Si prevede arresto, custodia cautelare, intercettazioni, una chiara repressione violenta sul piano istituzionale. Obiettivo evitare dissenso e criminalizzarlo quando emerge.
Poi ecco il discorso politico di Giorgia per l’anno che verrà. Riforma della giustizia, in primo luogo, che realizzeranno, perché è il loro obiettivo di sempre, hanno i numeri, il sostegno di un pezzo rilevante della presunta opposizione, il livello più basso di consenso popolare verso la magistratura da trent’anni a questa parte, e una scarsa sensibilità sul tema giustizia come priorità di buona parte della popolazione.
È il governo delle allergie politiche ed istituzionali ai controlli: dai Tar alle soprintendenze, dai magistrati ai dirigenti della pubblica amministrazione. Vogliono mani libere. C’è tanto denaro da spendere. Sul processo penale meno intercettazioni e meno norme per contrastare corruzione e mafie. Sull’ordinamento giudiziario consolidare una magistratura sempre più conformista e burocratizzata, più vicina e gradita al potere politico. sulla magistratura poi metteranno mano anche alla Costituzione: discrezionalità dell’azione penale, Consiglio superiore della magistratura ancora più politicizzato, separazione del Pm dalla magistratura giudicante, controllo politico dell’azione inquirente. E così danno la botta finale allo stato di diritto e alla tenuta democratica del nostro Paese. Poi la ciliegina sulla torta la Repubblica presidenziale tanto cara a Licio Gelli nel suo programma eversivo della P2. Un assetto piramidale e verticistico dello Stato legittimato da un voto popolare con legge elettorale incostituzionale ed antidemocratica, il Parlamento ridotto a simulacro dell’attuale centralità costituzionale, magistratura e stampa addomesticate, stato di eccezione reso permanente con poteri speciali e criminalizzazione del dissenso sociale e popolare.
A me non interessa tanto discutere se sono fascisti, so però che stanno lavorando ad un progetto di destra estrema, piduista, peronista, eversivo, contro il popolo, antimeridionale, che consoliderà mafie e corruzione. Non è poco per decidere presto che fare. Per chi non vuole essere indifferente o complice. Affidare la resistenza costituzionale solo ad una debole e poco credibile opposizione parlamentare, oppure fare del 2023 l’anno della costruzione dell’opposizione sociale, dell’opposizione politica extraparlamentare, della mobilitazione popolare e della lotta per i diritti e per l’attuazione della Costituzione. Se questo non accadrà si perderà su tutta la linea. Ci sarà qualche strepito parlamentare, un Pd preso con la nuova segreteria ad evitare la corsa verso il baratro, con Conte che cercherà di massimizzare il consenso trasformandosi per l’occasione da moderato uomo di centro a politico con una postura di sinistra moderata.
Insomma la Meloni ha tracciato la linea, per ora spara un po’con la scacciacani ed un po’a salve, ma va dritta per la sua strada, al presidente Mattarella competerà un ruolo di effettivo garante della Costituzione antifascista. Non si può sempre promulgare tutto. La partita politica ed istituzionale è aperta. Manca il popolo per ora. Se tutto rimane schiacciato in dinamiche di palazzo e mediatiche allora avremo un forte indebolimento della democrazia costituzionale, se invece si coglierà questo momento apicale di una crisi endemica della politica allora si potranno creare opportunità per una nuova stagione di lotte e di costruzione di convergenze sociali e politiche per fermare, con le armi della democrazia, il disegno eversivo in atto.

Il sangue iraniano e noi che arriviamo tardi

Un giovane poco più che trentenne è morto in Iran dopo venti giorni di coma a seguito di torture. Era stato arrestato, pestato a sangue e poi rilasciato. L’hanno fatto tornare a casa perché avevano paura che morisse in cella. E infatti è morto a casa.

Si chiamava Mehdi Zare Ashkzari, era un ex studente di farmacia all’Università di Bologna e due anni fa era tornato in patria. Ed è Amnesty International Italia a diffondere le prime informazioni sul caso. Poi il messaggio di Patrick Zaki che, con la scomparsa del trentenne iraniano, sottolinea come l’Università di Bologna abbia «ora una nuova vittima della libertà di espressione». Zaki, che di anni di carcere se n’è già fatti due in Egitto per un “reato d’opinione”, lo dice benissimo: «Purtroppo, questa volta, era troppo tardi per salvarlo».

Mehdi Zare Ashkzari «era uno di noi», dice all’Ansa Sanam Naderi, iraniana che vive a Bologna. «Era conosciutissimo, molti studenti sono stati da lui, hanno mangiato la pizza dove lavorava. Era sempre sorridente». Mehdi si era iscritto all’università nel 2015 e per un periodo aveva lavorato come fattorino, per mantenersi agli studi, poi come aiuto-cuoco in una pizzeria.

Secondo l’ultimo aggiornamento di Hrana, l’agenzia di stampa iraniana per i diritti umani, ammonterebbero a 508 le persone uccise durante le proteste divampate nel Paese, inclusi 69 bambini. Un dato impressionante, che si è aggiunto al numero di arrestati (oltre 18mila). Il report, peraltro, ha segnalato che al momento sono andate in scena più di 1.200 manifestazioni di contestazione in 161 città. I dati forniti dall’agenzia, per la cronaca, fanno riferimento al periodo dal 26 settembre al 7 dicembre.

Buon anno nuovo.