Il centro del dibattito pubblico, tra molti temi sensibili che emergono in questo momento storico oggettivamente straordinario, il disegno di legge Zan riporta l’attenzione sulla questione delle disuguaglianze ancora esistenti nell’effettivo esercizio di alcuni diritti civili fondamentali. La commissione Giustizia del Senato si è espressa giorni fa respingendo la richiesta di una lettura congiunta ad una versione alternativa, da molti definita meramente ostruzionistica, avanzata da Forza Italia e Lega ed il testo del ddl, approvato dalla Camera nel novembre scorso, procede quindi nel suo percorso verso l’esame del Senato.
Con il ddl Zan si intende introdurre una specifica tutela delle vittime di atti discriminatori e violenti per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità. Tale tutela si persegue, oltre che con l’istituzione di una giornata nazionale dedicata ad iniziative pubbliche dirette alla prevenzione delle discriminazioni, attraverso la promozione di una cultura del reciproco rispetto, principalmente con l’ampliamento del perimetro applicativo degli attuali articoli 604 bis e 604 ter del c.p., collocati, in virtù del d.lgs. n. 21/2018, nella sezione dedicata ai delitti contro l’eguaglianza.
Nelle condotte discriminatorie considerate rilevanti rientra, ad oggi, ogni azione volta alla esclusione, restrizione o preferenza basata su razza, colore, religione, nazionalità o origine etnica, che abbia lo scopo di ledere il riconoscimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in campo politico, economico, sociale e culturale, o in ogni altro settore della vita pubblica.
Alle suddette condotte si andrebbero ad aggiungere le previsioni contenute nel ddl Zan e che rientrano a pieno titolo negli atti incompatibili con i principi di uguaglianza formale e sostanziale, nonché di pari dignità sociale, sanciti dalla Costituzione.
Il ddl in argomento non regolamenta la transizione di genere, non autorizza la gestazione per conto d’altri, non mira a cancellare le questioni ancora aperte in tema di tutela delle donne e dell’infanzia, né contiene norme tese ad introdurre nella società una cosiddetta “ideologia gender”, prevedendo invece interventi contro azioni discriminatorie e violente, essenzialmente attraverso la promozione di una laica cultura del rispetto e dell’inclusione, in attuazione di quanto già espresso dall’art. 3 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
In alcun modo la differenza tra gli esseri umani, su qualsiasi elemento tale differenza sia basata, può autorizzare atti che danneggiano, o comunque mettano in pericolo altri esseri umani, anche attraverso l’incitamento all’odio; così come va considerato che il rispetto della pari dignità umana non implica affatto una sorta d’obbligo di adeguamento uniforme del pensiero.
Nel testo del ddl Zan il pluralismo delle idee e la libertà d’espressione vengono anch’essi tutelati, peraltro rappresentando già valori costituzionali fondamentali, in un impianto normativo complessivo che mira però ad ottenere che, nel bilanciamento tra pretese giuridiche apparentemente contrastanti, la libertà d’espressione non possa arrivare ad essere utilizzata come legittima giustificazione per atti offensivi dell’identità personale o più manifestamente violenti.
Il proliferare di commenti sui vari canali mediatici, a favore o contro l’approvazione del ddl Zan, non fa che confermare la necessità di un continuo confronto sui temi dei diritti civili, spesso ritenuti non immediatamente “utili” alla società, soprattutto in periodi storici di grande emergenza e crisi come quello che stiamo vivendo. Tuttavia è dietro l’angolo il rischio dello scontro improduttivo, soprattutto se ci si limita solo alle questioni definitorie sui concetti coinvolti nel testo normativo, perdendo così di vista l’obiettivo del migliore e più efficace perseguimento possibile della identità personale e dei diritti fondamentali che la includono.
L’impresa è complessa e non solo di natura giuridica; la cultura non si cambia per legge, ma tutti potremmo giovarci della promozione di un’umanità permeata di rispetto, di solidarietà e di capacità d’inclusione, anche perché contrastare discriminazioni e violenze di qualsiasi forma, certamente non solo quelle basate sull’orientamento sessuale in senso lato, comporta un maggiore avvicinamento alla meta ideale dell’eguaglianza costituzionale.
Non abbiamo l’obbligo di indossare tutti la stessa giacchetta, né tanto meno l’imposizione di scelte uniformi nella sfera della vita privata, ma sentiamo invece l’esigenza che venga rispettata l’uguale e pari dignità giuridica di ogni essere umano all’interno della collettività, quale base necessaria per la piena realizzazione del singolo individuo, che non ammette alcuna forma di violenza motivata dalla diversità.
* L’autrice: Gabriella Milea è avvocata, esperta di diritto costituzionale
Migrants from Eritrea, Egypt, Syria and Sudan, wait to be assisted by aid workers of the Spanish NGO Open Arms, after fleeing Libya on board a precarious wooden boat in the Mediterranean sea, about 110 miles north of Libya, on Saturday, Jan. 2, 2021. (AP Photo/Joan Mateu)
Ci è arrivato perfino Draghi. L’uomo dei numeri, quello dei bilanci che si devono chiudere con il segno più, è riuscito nella coraggiosissima impresa di cogliere l’ovvio, il minimo indispensabile, senza dare troppo adito a interpretazioni: «Nessuno deve essere lasciato solo nelle acque territoriali italiane. Riteniamo il rispetto dei diritti umani una componente fondamentale di qualsiasi politica sull’immigrazione». Una frase da niente, scriviamolo pure, ma anche su un punto così basico, perfino misero, c’è qualcuno che si concede il lusso ferocissimo di non essere d’accordo. Poi, volendo vedere, si potrebbe aspirare anche a un leader che abbia il coraggio di dire che «nessuno deve essere lasciato solo», al di là delle questioni territoriali, poiché a qualche miglio c’è l’inferno e i suoi custodi, la Guardia costiera libica.
Ma poiché la discussione sull’immigrazione (l’avevamo scritto in tempi non sospetti) è tornata alla ribalta con tutta la becera propaganda di certo salvinismo, almeno conviene chiarire alcuni punti, smontare qualche bugia, per una questione di igiene del dibattito, almeno per quello.
Come fa notare il giornalista Giansandro Merli siamo in quel periodo dell’anno del tormentone “migranti pronti a partire dalla Libia”, in cui i giornali proiettano l’idea di un cumulo di gente ammassata alla fermata di Tripoli in procinto di invadere il Paese. Merli prova a fare un po’ di memoria: «2014 annunciati 800mila, arrivati 170mila; 2015 annunciati tra 500mila e 1 milione, arrivati 150mila; 2018 annunciati un milione, arrivati 23mila; ieri annunciati 70mila».
Sempre a proposito di numeri conviene leggere bene anche quelli che ha messo in fila Matteo Villa, studioso dell’Ispi. Il ruolo delle Ong, ad esempio, visto che si torna a parlare di blocco navale: con Salvini ministro dell’interno solo il 12% dei migranti arrivavano con navi di Ong, mentre tutti gli altri arrivavano autonomamente o con altre imbarcazioni e con la ministra Lamorgese siamo sugli stessi livelli (14%). Quindi potremmo anche mettere da parte questo falso mito, per favore. Ci farebbe bene.
Salvini parla di un “effetto annuncio” che invoglierebbe i migranti a partire vista la “mollezza” di questo governo: gli dispiacerà sapere che con Lamorgese ministra (sia con il Conte II sia con Draghi presidente) si è raddoppiato il numero di navi bloccate in porto (con una schifosa e vigliacca propensione alla burocrazia). Nella parte dei “cattivi” quindi (purtroppo per noi) Lamorgese sta facendo meglio di lui.
Poi ci sarebbe da smontare anche questa retorica di Lampedusa “invasa” (ne parla anche il sindaco dell’isola, che tra l’altro lamenta di essere lasciato solo anche dal Pd e chissà perché questa notizia non ci stupisce): rispetto ai quasi 200mila migranti che stavano nel sistema di accoglienza nell’ottobre del 2017 oggi siamo a 75mila.
Infine: potremmo anche smetterla con questa bugia immonda dell’invasione. Come scrive Matteo Villa: »Se anche sbarcassero in un anno 100.000 #migranti, si tratterebbe dello 0,2% della popolazione italiana e del 2% della popolazione straniera in Italia. In Italia la popolazione straniera NON cresce da anni e, anzi, sta diminuendo. Aumenta di poco l’incidenza degli stranieri sulla popolazione totale perché la popolazione italiana è in calo demografico da anni». Perché il nostro problema sono i giovani che se ne vanno, è l’emigrazione, mica l’immigrazione.
Ora scannatevi pure sull’immigrazione ma abbiate la decenza di attenervi ai numeri, almeno a quelli, visto che sui diritti proprio non ci riuscite.
Ci sono storie di uomini e donne che meritano di essere raccontate. Nell’interesse collettivo. È quello che si prefigge il programma di Rai Radio 3 Vite che non sono la tua, raccontando personaggi più o meno famosi che, con le proprie battaglie personali, hanno inciso nella storia, nell’arte, nella politica, nella cultura. II programma va in onda il sabato e la domenica dalle 14.30 alle 15 e naturalmente online si possono riascoltare le puntate e scaricare i podcast.
“Spiriti liberi. Quattro fedeli dalla vita spericolata” di Marzia Coronati con le bellissime illustrazioni di Vittorio Giacopini che raffigurano i protagonisti, è il ciclo in onda fino al 16 maggio che si concluderà con il ritratto di una donna particolare: Lidia Pöet, la prima studentessa donna a varcare la soglia di un’università italiana di giurisprudenza, mettendo poi a disposizione anche dei più deboli le proprie competenze legali e occupandosi molto della vita carceraria. Marzia Coronati è autrice anche del libro omonimo nato dalla collaborazione tra Confronti e Radio Rai Tre, con la prefazione di Goffredo Fofi.
Ma vediamo come la stessa Marzia Coronati presenta l’ingresso di questa giovane ragazza valdese all’università.
«1880. Università di Torino. Una studentessa affronta il professore di medicina legale, chiede di essere esonerata dal seguire le lezioni, studierà sui libri. Per lei è diventato troppo penoso e faticoso affrontare ogni giorno nugoli di studenti che la squadrano da testa a piedi, la deridono, la disturbano con frivoli bigliettini. Il professore rifiuterà seccamente la richiesta: se ha deciso di intraprendere questo percorso, lo dovrà portare avanti fino in fondo, a testa alta. La studentessa si chiama Lidia Pöet, il professore Cesare Lombroso».
«Sicuramente, anche senza la benedizione di Lombroso, – continua Coronati – Pöet sarebbe andata avanti sino alla fine senza farsi intimidire da niente e da nessuno, faceva parte del suo temperamento, della sua indole docile ma indomabile, del suo carisma deciso che l’aveva portata tre anni prima, nel 1878, a iscriversi alla facoltà di giurisprudenza: la prima donna in Italia a varcare quella porta».
Lidia Pöet era nata nel 1855 in un villaggio di montagna, nella Val Germanica, a una settantina di chilometri da Torino. Proveniente da una famiglia valdese di proprietari rurali, lei e i suoi sette fratelli avevano potuto vivere e studiare in un ambiente sereno. Lidia studia con passione. Ecco Coe lo racconta: “Ero nata per studiare e non ho mai fatto altro, in un secolo nel quale le ragazze si occupavano esclusivamente di trine dell’ago e di budini di riso. Fu un male o un bene? Non so. Ma sento che se rinascessi tornerei daccapo”.
Una volta a Torino alla facoltà di Giurisprudenza, si laurea dopo soli tre anni, il 17 giugno 1881. È la seconda donna laureata in Italia, la prima in giurisprudenza. Scrive Marzia Coronati: «I giornali riporteranno la notizia pubblicando un suo ritratto e commentando che, stranamente, quella laureata in gonnella non era una legnosa zitella, ma una graziosa giovane donna, rimasta tale pur diventando erudita».
La sua tesi di laurea, prosegue l’autrice del ciclo “Spiriti liberi”, non poteva non riguardare la condizione delle donne. «È un bel saggio sul femminismo, che parte dalle sue radici storiche e affronta in particolare le problematiche legate al diritto di voto delle donne, un tema molto dibattuto in quegli anni, soprattutto in seguito alla violenta contestazione delle suffraggette inglesi. Perché si continua a sostenere che la partecipazione diretta della donna alla vita politica è una questione moderna, scrive Pöet proprio all’inizio della sua tesi, se tanti in passato sono stati gli esempi dell’esatto contrario?».
Una volta laureata, Lidia vuole esercitare la professione di avvocato. E qui però, comincia una lunghissima battaglia per l’iscrizione all’albo degli avvocati di Torino.
Nella puntata del 16 maggio sarà possibile ascoltare le tappe di questa vicenda, in un momento storico in cui le rivendicazioni delle donne di diritti simili agli uomini stavano attraversando tanti Paesi europei e anche gli Stati Uniti, a partire dal diritto al voto.
Passengers in a train station wear masks to curb the spread of coronavirus, in Malmo, Sweden, Thursday, Jan. 7, 2021. The Public Health Agency of Sweden advises passengers on public transport to wear a mask during rush hours, starting Thursday. Sweden has stood out among European nations for its comparatively hands-off response to the pandemic. The Scandinavian country hasn't gone into lockdowns or closed businesses, relying instead on citizens’ sense of civic duty to control infections. (Johan Nilsson/TT News Agency via AP)
Formare un’opinione pubblica che sia puramente europea, senza influenze provenienti dai media mainstream troppo spesso influenzati dal neoliberismo imperante. È questo lo scopo di Media Alliance, il progetto di transform! Italia che ambisce a creare una rete tra testate di sinistra all’interno dell’Unione Europea. Durante il primo incontro pubblico del progetto, Media Alliance: building a leftist European public opinion for the future of Europe erano presenti giornalisti e direttori di giornali e riviste di Austria, Francia, Grecia, Italia, Spagna e Polonia.
«È necessario costruire un’interazione che sia politica. Può esistere una democrazia europea senza un servizio massmediatico europeo? È la sinistra a doversi far carico di questo gap democratico molto serio di fronte al quale ci troviamo» ha fatto notare in apertura Roberto Musacchio, che rappresentava transform! Italia. «La pandemia è un esempio concreto che ci aiuta a capire cosa dobbiamo fare e di cosa abbiamo bisogno. Noi di transform! Italia abbiamo cercato di rendere evidente come il Covid-19 sia andato a colpire un tessuto sociale già ferito. Poter apprendere dai media come gli altri Paesi europei abbiano affrontato un momento così difficile sarebbe stato molto utile per l’opinione pubblica, ma questa cosa non è successa. Soprattutto, non è stato possibile avere appieno un punto di vista di sinistra su come si affronta la pandemia», ha concluso.
Un punto di vista ripreso anche da Gäel De Santis, giornalista del francese L’Humanité: «È necessario guardare agli altri Paesi per capire cosa c’è a livello di opinione pubblica, quali sono le dinamiche che esistono nei vari Stati europei e nei movimenti, come si muovono e come siamo arrivati a certe percentuali della destra, cercando di capire come fa quest’ultima a vincere la battaglia ideologica con la sinistra, vanificando i suoi sforzi», ha detto. «In Francia, ad esempio, c’è un canale televisivo di proprietà di un miliardario che spiega, secondo i paradigmi della destra, tutti i temi al centro del dibattito pubblico. È necessario che la sinistra trovi il modo di intervenire nel dibattito pubblico, anche alleandosi a livello internazionale. È importante dimostrare che non si è soli nella battaglia, ma che lo stesso tema coinvolge le persone anche in Italia e in altri Paesi d’Europa», ha dichiarato.
Un’alleanza che parte anche dai temi comuni è stato il punto centrale dell’intervento di Leonardo Filippi, giornalista dell’italiano Left: «La nostra redazione crede molto in questo progetto. Left è stato fondato nel 2006 ed è un settimanale di sinistra che non è associato a nessun partito e non riceve finanziamenti pubblici. Ci occupiamo di dare voce a tutte le frange della sinistra italiana e di riunirle per cercare di costruire un fronte della sinistra unita. Tra i temi che sono alla base del nostro lavoro ci sono la laicità, i diritti dei migranti e delle donne, oltre ovviamente alla situazione dei lavoratori», ha spiegato. «Se in Italia lo stato della sinistra dal punto di vista delle percentuali elettorali non è particolarmente roseo, c’è da dire che le ragioni della sinistra sono più vive che mai. Una sinistra che è europea non solo è più vivace, ma è anche più forte e un progetto come quello di oggi senza dubbio contribuisce a realizzare questa cosa», ha concluso Filippi.
Anche Małgorzata Kulbaczewska-Figat, giornalista del polacco Strjke.eu, concorda sulla centralità delle tematiche da affrontare insieme, tenendo conto della dimensione europea che riguarda tutti noi: «Dobbiamo discutere dei temi che ci riguardano tenendo conto che siamo cittadini di tanti Paesi, ma anche cittadini di un’unica comunità, quella europea. Il recupero dopo la pandemia sarà al centro del dibattito dei prossimi tempi, ma non possiamo dimenticarci di un’altra lotta fondamentale, quella contro le disuguaglianze», ha detto. «Dobbiamo anche chiederci come combattere le forze di estrema destra che avanzano in Europa, come riuscire ad affrancare Paesi come Polonia e Ungheria dai populismi di destra che stanno distruggendo tutto quello che è stato costruito grazie all’integrazione europea. Nonostante gli slogan diffusi a inizio pandemia, le nostre vite non stanno necessariamente cambiando in meglio, dobbiamo sempre tenerlo presente», ha chiuso Kulbaczewska.
Un punto di vista interessante e molto condivisibile è stato quello proposto dalla Grecia da parte di Haris Golemis, giornalista di Epochí: «Sono state le classi lavoratrici a pagare il prezzo più alto del salvataggio della nazione, anche in occasione della pandemia. Lo smart working dovrebbe essere un punto cruciale del dibattito della sinistra, in tutta Europa. Non ci si può aspettare una drastica riduzione del lavoro da casa, visto che i datori di lavoro ne sono entusiasti», ha sottolineato. «Ci troviamo di fronte a un cambiamento strutturale del sistema capitalistico, accelerato e aggravato dalla pandemia, che deve essere preso seriamente in considerazione dai sindacati e dai partiti della sinistra radicale di tutta Europa. Un sistema di lavoro simile ha avuto pesanti effetti, anche psicologici, sui lavoratori. Possiamo aspettarci che, a fine pandemia, il mercato del lavoro europeo si troverà in una situazione peggiore di quella in cui era due anni fa. Dobbiamo cooperare per trovare risposte a queste domande molto complesse», ha concluso Golemis.
Centrale anche la questione sollevata da Milena Gegios, rappresentante di transform! Europa e dei media austriaci: «Sarebbe interessante affrontare anche quali difficoltà riguardano i media alternativi al mainstream, cosa significa per una testata non essere un mass media. A sinistra, in Austria il partito verde non è riuscito ad ottenere abbastanza all’interno del governo di coalizione di centro destra. Di recente abbiamo assistito anche al ritiro del ministro della salute, rappresentante dei Verdi. C’è molta delusione tra gli elettori in merito ai recenti sviluppi», ha spiegato. Una delusione che colpisce anche gli elettori spagnoli della comunità autonoma di Madrid, dove ha trionfato nuovamente la destra del Partido Popular.
Ne ha paralto Gema Delgado, giornalista madrilena di Mundo Obrero: «Ci sono tante questioni in ballo, per i media di sinistra, e molto spesso non riusciamo a coprirle tutte da soli. Bisogna rendere concrete le idee della sinistra, che purtroppo a volte tendono a restare, appunto, solo delle idee. A volte è necessario parlare con le persone in un linguaggio che sia per loro comprensibile, quello che utilizzano quando si trovano al bar con gli amici. Troppo spesso la destra se n’è avvantaggiata, basti pensare che il programma elettorale per le elezioni di Madrid del PP si componeva solo di una parola: “libertà”. Hanno usato idee basilari per conquistare le persone. Per questo è importante lavorare insieme a sinistra, per riuscire a superare questo modo di operare della destra, senza dimenticarci dei problemi del lavoro e della vita quotidiana delle persone», ha raccontato.
«Creare un’opinione pubblica europea, un’opinione pubblica di sinistra europea, non è un’operazione che ha un’utilità solo politica, ma anche e soprattutto sociale. Se non lo facciamo noi dal nostro settore, non so chi lo potrebbe fare» ha affermato Argiris Panagopoulos, del giornale greco Avgi. «È necessario iniziare a collaborare a sinistra senza retorica, sfruttando molto le edizioni online dei media. C’è un patrimonio alle nostre spalle che può aiutarci in questo. Se riusciremo nell’impresa, gli effetti saranno molteplici, molto più grande del piccolo sforzo a livello nazionale», ha concluso.
Se la situazione dal punto di vista dei singoli governi nazionali attualmente al potere nei Paesi UE è diversa, simili sono le condizioni di difficoltà e di assenza di un reale pluralismo nel mondo dell’informazione. La risoluzione al parlamento europeo per “Garantire la sicurezza dei giornalisti, il pluralismo e la libertà dei media”, approvata a larghissima maggioranza il 3 maggio 2018 e presentata dalla allora europarlamentare Barbara Spinelli, non ha prodotto un reale cambiamento. La Media Alliance che è stata proposta con l’incontro organizzato da Transform Italia, si è rivolta a chi dirige alcune delle testate della sinistra che sono edite negli Stati Membri, ponendo due questioni di fondo: lo stato dell’informazione nel singolo Paese e l’elaborazione di proposte concrete per migliorare le condizioni presenti.
Da Francia, Italia e Grecia, rispettivamente con i direttori de L’Humanité, (Patrick Le Hyaric), Left (Simona Maggiorelli), transform! Italia, (Roberto Morea), e con il rappresentante del collettivo di Epochí (Haris Golemis), partendo già da un comune sentire, sono giunti interessanti suggerimenti e proposte. Nei tre paesi in cui escono le testate prevalgono, come in gran parte d’Europa, enormi difficoltà a garantire una informazione libera e plurale. Tutti hanno osservato come i media mainstream siano sotto il controllo di grandi gruppi economici e finanziari che dominano nella costruzione dell’immaginario della società. In Italia, hanno convenuto Maggiorelli e Morea, il quadro politico è tale che non esiste neanche una sufficiente opposizione parlamentare di sinistra (l’estrema destra della Lega governa col Partito Democratico), i circuiti televisivi sono o lottizzati dai partiti “forti” o privati e in mano a gruppi come Mediaset e La Sette, i cui proprietari controllano anche giornali. In tal senso Left, ha rivendicato la direttrice, rappresenta un’anomalia perché non riceve alcun finanziamento ed è di proprietà di un “editore puro”.
Le Hyaric ha fatto notare come il controllo quasi totale dei mezzi di informazione abbia pesato nella gestione della pandemia. In Francia solo l’Humanité critica apertamente le leggi sui brevetti per i vaccini e pochi sono coloro che denunciano come in questa fase non solo si è criminalizzato il dissenso ma non si mostrano neanche le problematiche sociali rappresentate dalle classi popolari e dei lavoratori. Golemis, nel raccontare il quadro in cui la Grecia si trova, ha subito posto il problema di come, partendo dall’incontro di Media Alliance, si possa cominciare a reagire. A suo avviso se sarà difficile, per ragioni soprattutto economiche, modificare i rapporti di forza nell’informazione televisiva e nella carta stampata, qualcosa si è fatto e si può ancora migliorare attraverso i canali telematici. Allargare ad altre testate vicine e simili, il campo dei soggetti con cui stabilire relazioni paritarie, iniziare a praticare regolarmente uno scambio di articoli che permettano di far circolare notizie nei diversi Paesi, dando vita ad un vero network e, da ultima, la proposta di svolgere altri webinar fino a pensare ad un incontro pubblico, magari alla festa del L’Humanitè. Epochí dedica il 60% dei propri spazi a questioni internazionali.
E Le Hyaric, raccogliendo l’invito, ha rilanciato con l’idea di dar vita ad uno “spazio internazionale” per ognuna delle testate disponibili ad entrare nel network. Ma, raccogliendo anche le osservazioni delle testate italiane, ha insistito sulla necessità di rivolgersi alle istituzioni europee, dal parlamento, al Consiglio, alla Commissione alla Commissaria alle comunicazioni, perché il tema del pluralismo, della lotta alle fake news e alla disinformazione, riguarda l’intero continente.
Morea ha, alla fine, proposto di dar vita in tempi brevi ad un inserto mensile in grado di raccogliere i suggerimenti provenienti da articoli ritenuti importanti, pensando, in prospettiva e con il sostegno europeo, di dar vita ad un portale o sito che possa fungere da cassa di risonanza per un’altra opinione in Europa, per dare voce alle voci inascoltate. Un progetto per cui occorrono risorse economiche. Un portale che non sia “vetrina” ha ripreso Maggiorelli, ma vettore di costruzione di una sinistra ampia e critica rispetto alle politiche neoliberiste. Ci sono delle date, nell’immediato, dal Global health summit, alle elezioni che si sono svolte a Madrid, che hanno ricaduta in tutto il continente e in quanto tali vanno analizzate.
Significativa la proposta di una petizione per garantire il pluralismo che potrebbe essere firmata da figure intellettuali, sinceri democratici, che riprendano le proposte della Media Alliance. Quello che si va creando è un progetto collettivo che ha l’ambizioso obiettivo di creare lo spazio per una opinione pubblica europea e di sinistra.
09 May 2021, France, Stra'burg: Ursula von der Leyen (CDU, EPP Group), President of the European Commission, speaks during the opening ceremony of the Conference on the Future of Europe in the European Parliament building. After months of preparation, the Conference on the Future of Europe officially launches today. The conference, which is scheduled to run until spring 2022, also relies on citizen dialogues, including via an online platform. Photo by: Philipp von Ditfurth/picture-alliance/dpa/AP Images
To form a public opinion that is purely European, without influences from the mainstream media too often influenced by the prevailing neoliberalism. This is the purpose of Media Alliance, the transform! Italy projects that aims to create a network between left-wing newspapers within the European Union. During the first public meeting of the project, Media Alliance: building a leftist European public opinion for the future of Europe, were present journalists and editors of newspapers and magazines from Austria, France, Greece, Italy, Spain, and Poland.
«It is necessary to build a political interaction. Can there be a European democracy without a European mass media service? It is the left that must take charge of this very serious democratic gap in front of which we find ourselves» noted in the opening Roberto Musacchio, who represented transform! Italy. «The pandemic is a concrete example that helps us to understand what we have to do and what we need. As transform! Italy we have tried to make it clear that the Covid-19 has gone to strike a social tissue already wounded. Learning from the media how other European countries faced such a difficult time would have been very useful for public opinion, but this did not happen. Above all, it was not possible to have a full left-wing view on how to deal with the pandemic», he concluded.
A point of view also taken by Gäel De Santis, journalist of the French L’Humanité: «It is necessary to look at other countries to understand what is at the level of public opinion, what are the dynamics that exist in the various European states and movements, how they move and how we have arrived at certain percentages of the right, trying to understand how the latter can win the ideological battle with the left, nullifying its efforts», he said. «In France, for example, there is a television channel owned by a billionaire who explains, according to the paradigms of the right, all the issues at the center of public debate. The left must find a way to intervene in the public debate, even by forming an international alliance. It is important to show that you are not alone in the battle, but that the same theme also involves people in Italy and other European countries», he said.
An alliance that also starts from common themes was the central point of the speech by Leonardo Filippi, journalist of the Italian magazine Left: «Our editorial staff believes in this project. Left was founded in 2006 and is a leftist weekly that is not associated with any party and does not receive public funding. We take care to give voice to all the fringes of the Italian left and to gather them to try to build a united front of the left. Among the themes that underlie our work are secularism, the rights of migrants and women, as well as the situation of workers of course», he explained. «If in Italy the state of the left from the point of view of the electoral percentages is not particularly rosy, it must be said that the reasons of the left are more alive than ever. A left that is European is not only more lively but is also stronger and a project like the one we are participating today undoubtedly helps to achieve this thing», concluded Filippi.
Małgorzata Kulbaczewska-Figat, a journalist for the Polish publication Strjke.eu, also agrees on the central importance of the issues to be tackled together, taking into account the European dimension that concerns us all: «We must discuss the issues that concern us, taking into account that we are citizens of many countries, but also citizens of a single community, the European one. Recovery after the pandemic will be at the center of the debate in the coming times, but we cannot forget another fundamental fight, that against inequalities», she said. «We must also ask ourselves how to combat the far-right forces that are advancing in Europe, how to succeed in freeing countries like Poland and Hungary from the right-wing populisms that are destroying everything that has been built thanks to European integration. Despite the slogans widespread at the beginning of the pandemic, our lives are not necessarily changing for the better, we must always keep it in mind», closed Kulbaczewska.
An interesting and very agreeable point of view was that proposed by Greece by Haris Golemis, journalist of Epohí: «It was the working classes who paid the highest price for the rescue of the nation, even at the time of the pandemic. Smart working should be a crucial point in left-wing debate across Europe. You cannot expect a drastic reduction in work from home, as employers are enthusiastic», he stressed. «We are facing a structural change in the capitalist system, accelerated and aggravated by the pandemic, which must be taken seriously by the trade unions and parties of the radical left throughout Europe. A similar system of work has had serious effects, including psychological ones, on workers. We can expect that, at the end of the pandemic, the European labour market will be in a worse situation than it was two years ago. We must cooperate to find answers to these very complex questions», concluded Golemis.
Central also the question raised by Milena Gegios, representative of transform! Europe and the Austrian media: «It would also be interesting to address the difficulties facing alternative media to the mainstream, what it means for a magazine not to be a mass media. On the left, in Austria, the Green Party failed to get enough within the center-right coalition government. We also recently witnessed the withdrawal of the Minister for Health, the representative of the Greens. There is much disappointment among voters about recent developments», she explained. A disappointment that also affects the Spanish voters of the autonomous community of Madrid, where the right of the Popular Party has triumphed again.
Gema Delgado, Mundo Obrero’s journalist from the Spanish capital, spoke of it: «There are many issues at stake, for the left-wing media, and very often we cannot cover them all by ourselves. We must make concrete the ideas of the left, which unfortunately sometimes tend to remain just ideas. Sometimes you need to talk to people in a language that is understandable to them, the one they use when they are at the bar with friends. Too often the right has taken advantage of it, just think that the electoral program for the Madrid elections of the PP consisted of only one word: “freedom”. They used basic ideas to win people over. That is why it is important to work together on the left, to overcome this way of working on the right, without forgetting the problems of work and people’s daily lives», she said. «Creating a European public opinion, a European left-wing public opinion, is not only a political operation, but also, and above all, a social one. If we do not do it from our sector, I do not know who could do it» said Argiris Panagopoulos, of the Greek newspaper Avgi. «It is necessary to begin to collaborate on the left without the rhetoric, taking great advantage of online media editions. There’s a fortune behind us that can help us with that. If we succeed in the enterprise, the effects will be multiple, much greater than the small effort at a national level», he concluded.
If the situation from the point of view of the individual national governments currently in power in EU countries is different, similar are the conditions of difficulty and lack of real pluralism in the world of information. The resolution in the European Parliament to “Ensure the safety of journalists, pluralism and freedom of the media”, adopted by a very large majority on 3 May 2018 and presented by the then MEP Barbara Spinelli, did not produce a real change. The Media Alliance that was proposed with the meeting organized by transform! Italy, addressed those who direct some of the left-wing newspapers that are published in the Member States, posing two basic questions: the state of information in the individual country and the elaboration of concrete proposals to improve the present conditions.
From France, Italy, and Greece, respectively with the directors of L’Humanité, (Patrick Le Hyaric), Left (Simona Maggiorelli), transform! Italy, (Roberto Morea), and with the representative of the collective of Epohí (Haris Golemis), starting from a common feeling, came interesting suggestions and proposals. In the three countries in which the newspapers are published, as in most of Europe, there are enormous difficulties in guaranteeing free and plural information. Everyone has observed that mainstream media are under the control of large economic and financial groups that dominate in the construction of society’s imagination. In Italy, agreed to Maggiorelli and Morea, the political framework is such that there is not even enough left-wing parliamentary opposition (the extreme right of the League rules with the Democratic Party), the television circuits are or lotted by “strong” parties or private and in the hands of groups such as Mediaset and La7, whose owners also control newspapers.
In this sense, Left, the director claimed, is an anomaly because it does not receive any funding and is owned by a “pure publisher”. Le Hyaric pointed out that almost total media control weighed on the management of the pandemic. In France, only L’Humanité openly criticizes the laws on patents for vaccines and few are those who denounce how in this phase not only has been criminalized dissent but they do not even show the social problems represented by the popular classes and workers. Golemis, in telling the picture in which Greece is, immediately posed the problem of how, starting from the meeting of the Media Alliance, we can begin to react. In his view, if it is difficult, for economic reasons, in particular, to change the balance of power in television information and in the press, something has been done and can still be improved through telematic channels.
Widen to other newspapers close and similar, the field of subjects with which to establish equal relations, start to regularly practice the exchange of articles that allow circulating news in different countries, creating a real network and, finally, the proposal to play other webinars until you think of a public meeting, perhaps at the party of L’Humanite. Epochí devotes 60% of its space to international issues. And Le Hyaric, accepting the invitation, relaunched with the idea of creating an “international space” for each of the newspapers available to enter the network. But, taking up the comments of the Italian newspapers, he insisted on the need to address the European institutions, from the Parliament, the Council, the Commission, and the Commissioner for Communications, because the issue of pluralism, of the fight against fake news and disinformation, concerns the entire continent. Morea finally proposed that a monthly insert should be created as soon as possible to collect suggestions from articles considered important, with European support and perspective in mind, to create a portal or site that can act as a sounding board for another opinion in Europe, to give voice to unheard of voices. A project that requires financial resources.
A portal that is not a “showcase” has taken up Maggiorelli, but a vehicle for building a broad and critical left regarding neoliberal policies. There are immediate dates from the Global Health Summit to the elections that took place in Madrid, which have spilled over across the continent and as such should be analyzed. Significant is the proposal for a petition to guarantee pluralism that could be signed by intellectual figures, sincere democrats, who take up the proposals of the Media Alliance. What is being created is a collective project that has the ambitious objective of creating space for a European and left-wing public opinion.
Fate uno sforzo di memoria e tornate ai primi giorni di questo governo Draghi, quando (giustamente) tutti i partiti e tutti i commentatori sottolineavano l’importanza di un dibattito ampio, complesso, approfondito e visionario sul Paese che ci si ritrova a costruire dopo la pandemia e con una disponibilità economica inimmaginabile. Perfino la crisi di governo, al di là della sensibilità politica di ognuno, sembrava poca cosa rispetto alle decisioni da prendere. Dicevano tutti, più o meno strumentalmente, che non avremmo dovuto concederci di “volare bassi” e che avremmo avuto la responsabilità di immaginare un futuro lontano dal mondo di prima.
Fatto? Bene, ora tornate qui. Di Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Pnrr, si parla poco, pochissimo, l’argomento è diventato tutt’altro che popolare e rimane relegato ai volenterosi specialisti che alacremente lo studiano, senza rientrare nei palinsesti televisivi e senza nemmeno sfiorare le bocche dei leader politici. E di cosa parla in questi giorni?
Salvini sta ritirando fuori i migranti. Quasi esaurita la polemica sul coprifuoco (ora succederà inevitabilmente che grazie ai vaccini i contagi scenderanno e il leader leghista rivenderà come vittoria personale una naturale evoluzione delle cose) adesso il senatore del Carroccio si butta di nuovo sugli immigrati con le solite parole, la solita retorica, la solita propaganda. Sempre la stessa storia, insomma.
Giorgia Meloni è tutta concentrata sulla sua “operazione simpatia”. Il suo libro è solo uno dei tanti ingredienti di qualcosa che abbiamo già vissuto ciclicamente (vi ricordate esattamente 5 anni fa il libro di Salvini con le solite polemiche identiche a quelle di questi giorni?) e il fatto che anche certa stampa presunta progressista l’abbia sdoganata è piuttosto indicativo. Di futuro, poco e niente, tutto marketing.
Il M5s ha il piccolissimo problema di non avere un capo politico legittimato (a meno che non basti l’unzione di Grillo), di non avere l’elenco dei suoi iscritti e di essere nel pieno di una battaglia legale con chi gestiva la sua piattaforma.
Il Pd è tutto concentrato a gestire un’alleanza con il M5s di cui non si capisce il senso. A meno che i democratici non ritengano ancora Conte “il punto di riferimento dei progressisti”, vista la dubbia convergenza sui temi che contano pare che per ora l’alleanza si esplichi soprattutto sul peso dei veti di uno sull’altro. Non un gran sviluppo, per ora, se è vero che Appendino a Torino ha detto di non avere intenzione di appoggiare il Pd, a Roma il M5s sta andando dritto per conto suo (bloccando nel frattempo Zingaretti) e a Milano sarà tutto da vedere. Futuro? Pochino.
Ma concretamente, pensateci, di cosa si sta parlando? Si sta parlando del ponte sullo Stretto. Ancora, nel 2021. Cadono le braccia solo a scriverlo. Siamo ancora qui. Anzi, siamo ancora lì, a immaginare un futuro che è lo stesso futuro da decenni. Si potrebbero ripescare gli stessi editoriali di 10 anni fa e funzionerebbero ancora. Eccoci qui nel pieno splendore del dibattito sul futuro.
Palestinians run away from tear gas during clashes with Israeli security forces at the Al Aqsa Mosque compound in Jerusalem's Old City Monday, May 10, 2021. Israeli police clashed with Palestinian protesters at a flashpoint Jerusalem holy site on Monday, the latest in a series of confrontations that is pushing the contested city to the brink of eruption. Palestinian medics said at least 180 Palestinians were hurt in the violence at the Al-Aqsa Mosque compound, including 80 who were hospitalized. (AP Photo/Mahmoud Illean)
Quello che accade a Gerusalemme, come al solito, sembra interessare poco qui da noi, perfino a quelli che non disdegnano ogni anno di pubblicare una foto di Vittorio Arrigoni tanto per mostrarsi aperti e attenti.
Accade che l’Onu, per bocca del suo segretario generale Antonio Guterres, esprima «la sua profonda preoccupazione per le continue violenze nella Gerusalemme est occupata, nonché per i possibili sgomberi di famiglie palestinesi dalle loro case nei quartieri di Sheikh Jarrah e Silwan». In una nota del portavoce ha «esortato Israele a cessare le demolizioni e gli sfratti, in linea con i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario. Le autorità israeliane devono esercitare la massima moderazione e rispettare il diritto alla libertà di riunione pacifica».
Cosa accade? Gli israeliani stanno confiscando alcune abitazioni a famiglie palestinesi nel quartiere Sheik Jarrah: la spoliazione per legge (con Israele che ripete «abbiamo un nostro sistema legale e la Corte internazionale di giustizia non deve intervenire») andrà avanti e altri palestinesi saranno da annoverarsi fra le vittime dirette dell’occupazione. La questione per ora riguarda solo una manciata di case ma rientra nel più ampio tema del cosiddetto “diritto al ritorno”: la legge israeliana impedisce che i profughi palestinesi possano tornare a vivere nei territori che oggi fanno parte dello Stato di Israele ma evidentemente per lo Stato di Israele quel diritto può essere concordato agli ebrei. sostanzialmente un diritto su base etnica. E non è una novità. Ancora una volta. Le famiglie palestinesi, ricche o povere, cominciano a perdere le case in cui hanno vissuto per decenni a Sheik Jarrah, Silwan e altri quartieri.
La protesta si è spostata sulla Spianata delle Moschee e i numeri parlano chiaro: dei 305 feriti, riferiscono i responsabili della Mezzaluna Rossa, 7 sono in condizioni gravi, mentre oltre 220 sono stati ricoverati in un ospedale di Gerusalemme Est o in un ospedale da campo allestito vicino al luogo delle proteste. Il governo israeliano da parte sua risponde parlando di agenti feriti. Il premier uscente, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato che la battaglia in corso «per lo spirito di Gerusalemme» è «la lotta secolare tra tolleranza e intolleranza, fra violenza selvaggia e mantenimento di ordine e legge».
Certo fa un certo effetto sapere dall’Unicef che «negli ultimi due giorni, 29 bambini palestinesi sono stati feriti a Gerusalemme Est, anche nella Città vecchia e nel quartiere di Sheikh Jarrah. Otto minorenni palestinesi sono stati nel frattempo arrestati. Tra i feriti, anche un bambino di un anno. Alcuni bambini, che sono stati portati in ospedale per essere curati, avevano ferite alla testa e alla spina dorsale. L’Unicef ha ricevuto rapporti secondo cui alle ambulanze è stato impedito di arrivare sul posto per assistere ed evacuare i feriti e che una clinica in loco è stata colpita e perquisita».
Ieri mattina la polizia è entrata nella Spianata per disperdere i palestinesi facendo irruzione nella moschea di al Aqsa dove erano in corso le preghiere dei fedeli musulmani. I poliziotti hanno lanciato granate per disperdere i presenti che hanno risposto lanciando pietre e oggetti. Secondo diversi testimoni la polizia avrebbe sparato anche lacrimogeni e proiettili di gomma ma Netanyahu parla addirittura di “immagini contraffatte”. Dalla striscia di Gaza continua il lancio di razzi nel territorio israeliano.
L’ennesima puntata di una pulizia etnica e questo tragico, vigliacco silenzio tutto intorno. «Restiamo umani», scriveva Vik, perché che fossimo vigili lo dava per scontato, no?
Supporters of pro-Kurdish People's Democratic Party (HDP), wearing protective masks against the spread of coronavirus, wave flags during a rally in Istanbul, Thursday, June 18, 2020. Members of the party are traveling to the capital Ankara from the southeastern and northwestern corners of the country to protest an on-going government crackdown on the political movement that officials accuse of links to Kurdish militants. (AP Photo/Emrah Gurel)
La portavoce dell’Hdp, il Partito democratico dei popoli, sembra avere le idee molto chiare rispetto alla situazione attuale nel suo Paese: «Si tratta di scegliere fra due strade. Da una parte quella della democrazia, della lotta per una società più giusta e per la pace. Dall’altra, quella della corruzione e della distruzione del nostro territorio, attraverso guerre ed espropriazioni indebite». In questo momento, lei e gli altri membri del suo partito si trovano sotto attacco. A marzo Devlet Bahçeli, presidente del Partito del movimento nazionale (Mhp) che è alleato di governo del partito di Recep Tayyip Erdoğan, ha presentato numerosi appelli alla Corte Suprema per mettere al bando l’Hdp, una formazione progressista e filocurda. Parallelamente, oltre cento persone legate al partito sono ora sotto accusa nel cosiddetto “processo Kobane”, che vede la giustizia turca prendere di mira quanti e quante hanno partecipato alle proteste nel sud-est del Paese del 2014, quando la città curda del Rojava veniva assaltata dagli jihiadisti dell’Isis. Ebru Günay è giurista ed è stata eletta parlamentare nel 2018, attualmente portavoce dell’Hdp.
Il governo turco sembra fermamente intenzionato a mettere fuori legge l’Hdp. Cosa sta succedendo?
I tentativi di chiudere il Partito democratico dei popoli (Hdp) non si fermano. Il governo a guida Akp-Mhp continua a sostenere un impianto accusatorio costruito su menzogne: nel procedimento giudiziario che ci vede coinvolti uno dei punti cardine dell’accusa è costituito dal “processo Kobane”. Vogliono legittimare la chiusura del partito anche attraverso questo caso. Parallelamente, lo Stato impedisce in tutti i modi alle persone di accedere alla verità. Vengono messe in campo manipolazioni di qualsiasi tipo: tramite il proprio apparato propagandistico e di informazione, tutti i media controllati dal governo diffondono notizie false in continuazione, sia rispetto al tentativo di chiusura dell’Hdp sia riguardo al “processo Kobane”. All’interno dei dibattiti televisivi, poi, assistiamo a ogni tipo di calunnia e insulto verso i membri del nostro partito, cui non viene mai dato diritto di parola. Da un punto di vista legale, c’è stata un’importate decisione della Corte costituzionale che ha respinto, al momento, il tentativo di chiusura del partito. Nel merito, la Corte ha affermato che le accuse mosse e gli eventi imputati non potevano essere messi in relazione con l’Hdp e la sua chiusura. Ma, ovviamente, il potere non si arrende e quindi si sta già muovendo per perseguirci e formulare una nuova accusa e…
Nicola Lagioia ha pubblicato nell’ottobre 2020 con Einaudi un romanzo, La città dei vivi, in cui ricostruisce, con ampia documentazione, una tragedia contemporanea. Nella notte tra il 4 e 5 marzo del 2016 in un quartiere della periferia romana un ragazzo di ventitré anni, Luca Varani, muore assassinato da due giovani di buona famiglia. L’omicidio non sembra avere un movente. La cornice dei fatti è quella di una città con il Comune commissariato a causa di una indagine giudiziaria nota come Mondo di mezzo. Roma invasa da topi e gabbiani, ma pure da fiumi di coca che, dopo essere stata negli anni 70 la droga dei ricchi, adesso fa da collante di un contesto sociale con meno morti, ma più violento. In effetti, se ne paventa negli atti un uso sconsiderato: «Pare si siano sparati 28 grammi di cocaina in tre giorni». Questi i toni sui giornali e nel web: «Manuel Foffo, ombroso fuoricorso figlio di un ristoratore dai modi spicci, stringeva amicizia con Marco Prato, disinibito figlio di un manager culturale, e insieme si divertivano a torturare un ventenne adottato da due ambulanti della Storta. Tre ceti sociali, tre fasce di reddito, tre diverse zone della città». Ma poi si aggiunsero elementi tali per cui Luca divenne vittima etero di due gay frustrati. Dunque, «l’omicidio di classe si contaminò con il tema dell’orientamento sessuale». La vicenda più pasoliniana degli ultimi decenni.
Il volume cattura il lettore con la suspense che, se da una parte si ripropone come nell’antica tragedia di Euripide, dall’altra coinvolge con vene più moderne.
Risuonano ad un tratto note di altro spessore. La password per accedere all’ascolto è quella del conflitto generazionale: boomers versus millennials. Emergono profili di adulti con una «colpa anagrafica, oggettiva»: frastornati da incontrollabili mutamenti del mondo circostante, essi difendono la loro compiutezza familiare e sociale arroccandosi in posizioni poco negoziabili. Alcune giovani menti in divenire possono reagire a questa scarsa empatia con vite parallele tessute a mo’ di arazzo che occulta un malessere profondo. Sta di fatto che, nonostante qualche strappo della tela, nessuno dei genitori coinvolti si era accorto di nulla: i figli erano ragazzi a modo ed era inaccettabile che una certa stampa minacciasse di calpestare la loro reputazione. Per meglio intendere, dopo aver letto sul blog le riflessioni del padre, Lagioia scriverà: «All’improvviso Marco Prato mi sembrò la persona più sola del mondo». Altro indizio di ascolto è la conversazione con il colonnello a cui era stato assegnato il caso. L’ingegnere investigatore dice di Marco e Manuel: «Si sono incontrati e questo è il problema». Ora, da che mondo è mondo i ragazzi si incontrano, e certe volte pure per fare danni. Ma qui, una persona informata dei fatti, evidentemente sa che si tratta di due soggetti che non godevano già da prima di un buono stato di salute mentale. Gli strappi di quella tela di forzata normalità, se pure in maniera differente l’uno dall’altro, c’erano stati; forse non erano stati considerati nella loro gravità. Così, alla festa di capodanno si realizza quanto non si sarebbe dovuto: le due giovani menti psicotiche «si riconoscono» e cadono in «quella cosa che non riescono a fermare»: una dinamica psichica pulsionale gravissima di introiezioni, identificazioni e proiezioni che si illuminano infine nel delirio condiviso di un deus ex machina da portare sul palco: la vittima.
Partono una ventina di whatsapp per assegnare la parte. Dopo qualche declinazione di invito e provino mancato da chi poi si sentirà uno scampato, Luca Varani, sventurato, rispose.
Al suo comparire, i due si guardano e sentono «con precisione» di avere di fronte chi li porterà al trionfo. Manuel dirà di avere avuto lì la sensazione che la loro scintilla «era ancora viva».
Imbottiti di un mix incredibile di alcool e coca, i due scellerati vanno in scena.
Il colonnello, saggiato l’interlocutore, gli confida alcune sensazioni nate in lui per lo scempio che gli si parò davanti, e avvalorate da un esorcista che morirà di lì a poco. Partigiano, giurista e collaboratore di diversi psichiatri, padre Amorth aveva dichiarato: «Dietro questo delitto non può che celarsi l’impronta di Satana». L’agnostico narratore oppone a questa una visione più terrena: il male come possessione di menti umane fragili che si incastrano in una lotta disperata di sopraffazione per la sopravvivenza.
La sua scommessa di scrittura è nel riuscire a rappresentare l’impalpabile tensione collettiva suscitata da una scena del crimine di quella portata non come elemento metafisico, ma come sensibilità profonda delle persone. Seminate considerazioni su libero arbitrio e conseguente assunzione di responsabilità, lo scrittore sente alla fine di dover lasciare andare vittima e carnefici. Uno dei quali si suicida in carcere dopo tre mesi. L’altro è condannato a trent’anni. I parenti di Luca, devastati da un senso di inconsolabile ingiustizia. A ripensarci, qualche storia maledetta si era già sentita e la memoria riporta quadri in cui cambiano solo i nomi e le città di sfondo. Un ritorno dell’uguale con a volte un uso dissennato di alcool e sostanze stupefacenti, per un vuoto interno senza fondo. Quando tutto accade nel complice silenzio di tanti, non resta che la valutazione postuma di ciò che consegue a quel crescendo di attività psichica annullante che genera la distruttività dell’umano.
Sia negli interrogatori che nelle cartelle cliniche o relazioni peritali, gli inquisiti risponderanno senza resistenza, come a ristabilire una normalità. Un comportamento adeguato in drammatico contrasto con l’incapacità di riconoscere violenze compiute in totale gratuità. La mancanza di un movente razionale, criminale. Rimandiamo ad altra occasione il tema della capacità di intendere e volere, e qui osiamo invece una comprensione del rompicapo inscenato dai folli rei soffermandoci sulla pulsione di annullamento, così nominata dal suo scopritore Massimo Fagioli. Chiamata in causa da uno stimolo avvertito come insostenibile, essa agisce dissecando l’unità di pensiero e, nel mantenere integre le funzioni cognitivo comportamentali, provoca invece lesioni delle immagini interne e sensibilità profonde. Senza quella integrità affettiva di vedere-sentire, ne risulta gravemente compromessa la capacità di scelta umana nelle dinamiche di relazione.
Si dovrebbe fare prevenzione su questo tipo di possessione, rifiutare una cultura che si attarda ottusamente su una concezione della malattia mentale come peccato da scontare in silenzio tra le mura domestiche. Appassionarsi in tanti e con coraggio a questa dialettica necessaria per recitare una volta per tutte l’eterno riposo del libera nos a malo.
*-*
L’autrice: Maria Rosaria Bianchiè psichiatra e psicoterapeuta
Foto Fabio Ferrari/LaPresse
26 Maggio 2020 Ivrea, Italia
News
Emergenza COVID-19 (Coronavirus) - Fase 2 - Ivrea riapre le scuole: via libera all'attività all'aperto.
Scuola all’aperto a Ivrea per aiutare le famiglie nel post lockdown. L’idea dell’amministrazione comunale che sperimenta il servizio per i bambini residenti in città tra i 3 e i 6 anni.
Il progetto si svolge nei giardini delle scuole, Don Milani e Sant'Antonio. È prevista un’area triage dove effettuare il controllo della temperatura per consentire l’accesso in sicurezza dei bimbi, seguiti dalle insegnanti degli asili nido comunali a gruppi di cinque.
Photo Fabio Ferrari/LaPresse
May 26, 2020 Ivrea, Italy
News
COVID-19 emergency (Coronavirus) - Phase 2 - Ivrea reopens schools: green light for outdoor activities.
Outdoor school in Ivrea to help families in the post lockdown. The idea of the municipal administration that tests the service for children living in the city between 3 and 6 years old.
The project takes place in the school gardens, Don Milani and Sant'Antonio. A triage area is provided for temperature control to allow safe access for children, followed by the teachers of the municipal nursery schools in groups of five.
In questo tempo in cui tutti i giorni i politici non possono permettersi di dimenticare di onorare le feste ieri si è assistito a un profluvio di auguri dei leader (e pure di quelli meno leader) alle loro mamme e a tutte le mamme d’Italia (i patriottici) e a tutte le mamme del mondo (i globalisti). Ci siamo abituati, senza nemmeno farci più troppo caso, ad aspettarci dai politici gli stessi input di un influencer, mettiamo il mi piace alla sua foto con la mamma e ci scaldiamo per un augurio pescato su qualche sito di aforismi.
Le mamme, dunque. Su 249mila donne che nel corso del 2020 hanno perso il lavoro, ben 96 mila sono mamme con figli minori. Tra di loro, 4 su 5 hanno figli con meno di cinque anni: sono quelle mamme che a causa della necessità di seguire i bambini più piccoli hanno dovuto rinunciare al lavoro o ne sono state espulse. D’altronde la quasi totalità – 90mila su 96mila – erano già occupate part-time prima della pandemia. È questo il quadro che emerge dal 6° Rapporto Le Equilibriste: la maternità in Italia 2021, diffuso in occasione della Festa della mamma da Save the Children. Uno studio sulle mamme in Italia che, oltre a sottolineare le difficoltà affrontate fa emergere ancora una volta il gap tra Nord e Sud del Paese.
Già prima della pandemia la scelta della genitorialità, soprattutto per le donne, è spesso interconnessa alla carriera lavorativa. Stando ai dati, nel solo 2019 le dimissioni o risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro di lavoratori padri e lavoratrici madri hanno riguardato 51.558 persone, ma oltre 7 provvedimenti su 10 (37.611, il 72,9%) riguardavano lavoratrici madri e nella maggior parte dei casi la motivazione alla base di questa scelta era la difficoltà di conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze della prole.
Lo «shock organizzativo familiare» causato dal lockdown, secondo le stime, avrebbe travolto un totale di circa 2,9 milioni di nuclei con figli minori di 15 anni in cui entrambi i genitori (2 milioni 460 mila) o l’unico presente (440 mila) erano occupati. Lo «stress da conciliazione», in particolare, è stato massimo tra i genitori che non hanno potuto lavorare da casa, né fruire dei servizi (formali o informali) per la cura dei figli: si tratta di 853mila nuclei con figli 0-14enni, nello specifico 583mila coppie e 270mila monogenitori, questi ultimi in gran parte (l’84,8%) donne.
Il problema è urgente: nonostante gli asili nido, dal 2017, siano entrati a pieno titolo nel sistema di istruzione, ancora oggi questa rete educativa è molto fragile e, in alcune regioni, quasi inesistente. Una misura necessaria a dare ai bambini maggiori opportunità educative sin dalla primissima infanzia, che contribuirebbe a colmare i rischi di povertà educativa per le famiglie più fragili, ma anche a riportare le donne e in particolare le madri nel mondo del lavoro. La Commissione europea ha indicato come obiettivo minimo entro il 2030 per ciascun Paese membro di almeno dimezzare il divario di genere a livello occupazionale rispetto al 2019 ma per l’Italia, numeri alla mano, la missione sembra praticamente impossibile.
In un Paese normale nel giorno della Festa della mamma i politici non festeggiano la mamma ma illustrano le proposte. La politica funziona così: c’è un tema e si propongono soluzioni. Il dibattito politico ieri era polarizzato sui disperati che sono sbarcati (vedrete, ora si ricomincia) e su una libraia (una!) che ha liberamente scelto di non vendere il libro di Giorgia Meloni (censura! censura! gridano tutti).
E intanto un altro giorno da reality show è passato.