Home Blog Pagina 960

È arrivata la sentenza (annunciata) sul referendum contro il Jobs act

Il presidente del consiglio Matteo Renzi (s) con il ministro del lavoro e politiche sociali Giuliano Poletti (d) durante la conferenza stampa a palazzo Chigi al termine del consiglio dei ministri, Roma 18 maggio 2015. ANSA/ANGELO CARCONI

Niente da fare: il quesito referendario proposto dalla Cgil che avrebbe reintrodotto l’art.18 e smontato il Jobs act, è stato giudicato inammissibile dalla Corte Costituzionale. È arrivata così, dopo due ore di camera di consiglio, una sentenza in realtà abbastanza annunciata. Tant’è – notano subito le agenzie – che la stessa Cgil (dove pure Camusso annuncia un possibile ricorso alla Corte europea) aveva già pronti i cartelloni con scritto “Due Sì per l’Italia”, per la prima conferenza stampa post sentenza.

Lo stesso professor Massimo Villone, parlando con noi di Left, aveva riconosciuto le ragioni di un un certo pessimismo e indicato l’appiglio tecnico che difficilmente i giudici, anche pressati dalla maggioranza di governo, si sarebbero lasciati sfuggire. Quello sul Jobs act, diceva Villone come altri, in realtà sarebbe potuto esser valutato come un quesito parzialmente propositivo, almeno nei suoi effetti, ripristinando tutele tolte dall’ultima riforma ma – «attraverso un’operazione di ritaglio» – estendendo, ad esempio, l’art.18 anche alle imprese con più di cinque dipendenti.

La Corte ha invece detto sì al quesito che abolisce i voucher e al terzo, su cui la Cgil ha raccolto le firme, sugli appalti. Procedura vorrebbe che ora il governo fissasse la data, in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno. Non è detto però che neanche questi si faranno, non entrambi, almeno.

Le reazioni alla sentenza sono infatti quelle prevedibili, con la destra e l’area di governo che brinda per lo scampato pericolo: ora bisogna solo evitare anche il quesito sui voucher, per cui dovrebbe arrivare apposito intervento legislativo a cui – come dice anche Beatrice Lorenzin, tra gli altri, commentando la sentenza – Poletti sta già lavorando e che dovrà esser poi valutato dalla Cassazione.

Il motivo per cui da sinistra si parla di una sentenza “politica” – oltre a alcuni precedenti, rievocati, ad esempio, dalla senatrice Loredana De Petris nel post qui sotto – è che molti esponenti della maggioranza brindano proprio per le conseguenze politiche della sentenza, che per Maurizio Sacconi, ad esempio, evita «un conflitto sociale e politico antistorico».

Per Maurizio Lupi, invece, scongiura un referendum che – se perso dal governo, come previsto dai più, «avrebbe riportato indietro la legislazione sul lavoro a un sistema rigido e senza flessibilità, con il risultato di ingessare ulteriormente il mercato del lavoro e lo sviluppo soprattutto delle piccole imprese». «Per fortuna le lancette non tornano indietro», dice poi Nicoletta Favero, senatrice dem e segretaria della commissione Lavoro.

Alde, Efd, Enf. Quanti sanno di che si parla? Cosa sono e a cosa servono i gruppi parlamentari europei

epa05110404 Guy Verhofstadt (R), leader of the ALDE Liberal group at the European Parliament, speaks with Jean-Claude Juncker (L), President of the European Commission, before the plenary session at the European Parliament in Strasbourg, France, 19 January 2016. EPA/PATRICK SEEGER

Alde, Efd, Gue, S&D, Ppe. Sigle che popolano le pagine dei giornali e i nostri canali social. Quando Beppe Grillo chiede di aderire all’Alde, per esempio, e la sua proposta viene rifiutata, in molti lo deridono (un fiume di sfottò ha invaso la rete), teorizzano complotti (“non ci vogliono perché ci temono”) o restano perplessi. Ma quanti, davvero, sanno cosa sono l’Alde o l’Efd?

Dal 17 al 19 gennaio, inoltre, si aprirà la sessione per l’elezione del presidente dell’Europarlamento, a Strasburgo. Dopo che Martin Schulz ha lasciato in anticipo la carica per candidarsi probabilmente alla guida del suo Paese, si rende necessario scegliere il successore. Quest’anno il nuovo neopresidente dovrà fare i conti con i delicati dossier in capo all’Europarlamento, in tema di migrazioni, lotta al terrorismo, battaglie contro l’evasione fiscale e tutela dei diritti dei consumatori.

La corsa alla presidenza. Sono tutti italiani i principali candidati alla guida dell’Assemblea di Strasburgo: il socialista Gianni Pittella (Pd), il popolare (ex deputato di Forza Italia) Antonio Tajani ed Eleonora Forenza della Sinistra europea. Da tempo, alla luce della loro peso politico e numerico, l’elezione del presidente è figlia di un accordo tra popolari e socialisti che li porta ad alternarsi alla presidenza. In nome di questo accordo, la carica toccherebbe dunque al popolare Tajani. Ma alla guida dell’esecutivo europeo, la Commissione, c’è già un popolare: Jean-Claude Juncker. Per questo, Gianni Pittella si candida mettendo in discussione il criterio dell’alternanza. Ed ecco un’altra occasione in cui incapperete nelle numerose sigle dei gruppi europarlamentari.

Il Parlamento Ue. I 751 deputati che siedono al Parlamento europeo rappresentano gli oltre 500 milioni di cittadini europei e vengono eletti nei 28 Stati che fanno parte dell’Unione e il loro numero è determinato dalla popolazione di ciascuno Stato membro (minimo 6, massimo 96). Si riuniscono a Strasburgo o a Bruxelles e non sono raggruppati per nazionalità, ma per affinità politica, perciò (tranne i 18 indipendenti che non sono iscritti ad alcun gruppo) si distribuiscono nei 9 gruppi politici europei.

PPE

È il gruppo più numeroso (e lo è dal 1999), con 217 deputati. Europeista e di centrodestra, il gruppo del Partito popolare europeo raccoglie le forze politiche che possiamo chiamare moderate, democristiane e conservatrici. Fondato nel 1976 da partiti cristiano-democratici, ispirati da De Gasperi, Adenauer e Schumann nel secondo dopoguerra, successivamente ha visto l’adesione anche di soggetti appartenenti all’area di centro-destra. Nella loro parte di emiciclo siedono, tra gli altri, la Cdu tedesca di Angela Merkel, Les Républicains (Lr) francesi, movimento fondato da Nicolas Sarkozy, il Pp spagnolo di Mariano Rajoy e Forza Italia.

S&D

Con 189 deputati, segue il gruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e democratici. Europeista e di centrosinistra, nasce nel 2009 su proposta di Dario Franceschini. Da quel momento il tedesco Martin Schulz, presidente del Partito socialista europeo, apre il gruppo, oltre che ai socialisti, ai progressisti e democratici: il cipriota Partito democratico, il lettone Partito dell’armonia nazionale e l’italiano Partito democratico (che, poi, nel 2014, confluito nel Pse).

ECR

Il gruppo dei Conservatori e riformisti europei, raggruppa i 74 deputati di partiti conservatori di destra e di centro-destra che si dichiarano euroscettici e antifederalisti, in quanto si oppongono al federalismo europeo. Creato il 22 giugno 2009, nasce sulla scia dell’associazione Movimento per la Riforma Europea, creata dai Conservatori britannici che non intendevano più restare nel gruppo del Partito popolare europeo. Si propone di difendere la sovranità dei singoli Stati contro il federalismo europeo, si dichiara per il rispetto del principio di sussidiarietà e a favore del libero mercato per una minore tassazione e minori ostacoli burocratici. Infine, si oppone all’immigrazione illegale ed esprime forti critiche all’euro-moneta e alla burocrazia europea. Da luglio 2014 è il terzo gruppo parlamentare, è cresciuto dopo l’ingresso di nuovi partiti greci, bulgari, tedeschi e slovacchi non presenti nel precedente Europarlamento. I partiti più influenti per numero sono il Partito conservatore britannico e l’Afd tedesco. Il 17 maggio 2015 l’eurodeputato di Forza Italia Raffaele Fitto lascia il gruppo Ppe e aderisce al gruppo conservatore.

ALDE

Il Gruppo dell’Alleanza dei liberali e democratici, con 68 deputati, è la somma di due partiti europei: l’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa (Alde) e il Partito democratico europeo (Pde). Liberale e di centro, ne avrete letto in questi giorni per aver rifiutato l’ingresso al M5s italiano. Si fonda su un rigido decalogo, il loro Programma per l’Europa. Eccolo:
1. Promuovere la pace, attraverso un’Unione nella tradizione federalista.
2. Fare dell’Ue un attore globale, superando il divario tra la sua dimensione economica e politica.
3. Aprire e democratizzare l’Unione europea.
4. Garantire i diritti fondamentali di tutti i cittadini europei.
5. Promuovere l’istruzione a tutti i livelli.
6. Rafforzare la governance economica dopo l’introduzione dell’euro.
7. Eliminare le frodi e l’eccessiva burocrazia.
8. Fare dell’Europa il leader mondiale in materia di protezione ambientale.
9. Far sì che la globalizzazione funzioni per tutti.
10. Garantire appieno il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo delle regioni europee.

GUE/NGL

Il Gruppo della Sinistra unitaria europea e della Sinistra verde nordica, conta 52 deputati uniti nella lotta all’austerità, per lo sviluppo economico sostenibile, per contenere la pericolosa ascesa dell’estrema destra e contrastare i negoziati Ue-Usa sul Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip). Con 26 donne e 26 uomini, è l’unico gruppo equilibrato sotto il profilo del genere. E ha una struttura confederale, cioè rispetta la diversità delle identità e delle opinioni dei deputati. È composto da due sottogruppi: il Partito della Sinistra Europea, socialista e comunista e l’Alleanza della Sinistra Verde Nordica, ecosocialisti del Nord Europa. Al suo interno troviamo Syriza, Podemos, Bloco de Esquerda, Front de Gauche, Linke, l’italiana L’Altra Europa con Tsipras e due indipendenti, l’irlandese Luke Ming Flanagan e l’italiana Barbara Spinelli.

Verdi/ALE

Il Gruppo Verde/Alleanza libera Europa, con 50 deputati, dal 1999 raggruppa il Partito Verde Europeo e l’Alleanza Libera Europea. Ambientalista, ecologista e regionalista, si colloca in un’area di centrosinistra e si differenzia dai verdi del Gue per l’ideologia liberal socialista.

EFD

Il Gruppo Europa della libertà e della democrazia diretta, con 44 deputati, ha come base comune la contrarietà al centralismo burocratico dell’Unione europea. Euroscettico e populista di destra, ha subito una fuoriscita importante in termini quantitativi nel 2014 quando, il secondo gruppo più numeroso, la Lega Nord, è passato al nuovo gruppo fondato da Marine Le Pen. La fuoriuscita della Lega dall’Efd, dopo l’accordo con il Front National era inevitabile: il capogruppo Nigel Farage era stato chiaro: è esclusa ogni alleanza con le forze di estrema destra come quella «antisemita» di Le Pen. Dentro l’Efd però, ancora guidato dall’Ukip di Farage (22 membri), resta il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo (17 membri) che ha tentato – invano – il passaggio ai liberali.

ENF. Il gruppo Europa delle nazioni e della libertà, con 39 deputati, è la creatura di Marine Le Pen. Euroscettico e di estrema destra, si compone dei fuoriusciti dall’Efd: il Front National (Fn), l’olandese Partito per la Libertà (Pvv) di Geert Wilders e la Lega Nord di Matteo Salvini. Più – chiamati per raggiungere la soglia di 25 europarlamentari provenienti da almeno 7 differenti nazioni (necessaria per formare un gruppo parlamentare) – il Partito della Libertà Austriaco (Fpö), il polacco Congresso della Nuova Destra (Knp) del belga Interesse Fiammingo (Vb) e di Janice Atkinson fuoriuscita dallo Ukip, con il loro arrivo l’alleanza diventa un gruppo parlamentare, nel 2015. Chiedono l’uscita di ogni Paese dall’euro e la revisione dei trattati sull’immigrazione.

 

Dopo la figuraccia sull’Alde, Grillo perde pezzi in Europa

Beppe Grillo e Nigel Farage (S) alla riunione del gruppo Efdd al Parlamento europeo di Strasburgo, trasmesso in diretta stream 01 luglio 2014. ANSA / WEB +++ EDITORIAL USE ONLY +++ NO SALES +++ NO TV +++

Marco Affronte, eurodeputato, divulgatore scientifico, lascia il Movimento 5 stelle, aderendo da indipendente al gruppo dei Verdi europei. Ne dà la notizia prima il verde Angelo Bonelli, tutto contento, e poi lo stesso Affronte, con una comunicazione molto formale. «A partire da oggi», scrive su facebook, «entro a far parte, come indipendente, del gruppo al Parlamento Europeo “Verdi – Alleanza Libera Europea”». «Resterò membro titolare delle Commissioni Pesca e Ambiente», continua Affronte, e «il Gruppo V-ALE conterà così su 51 parlamentari da 18 Paesi diversi». A seguire Affronte, a ruota, è poi però anche la collega Daniela Aiuto (anzi no, ci ha ripensato, dopo aver incassato il voto favorevole dei Verdi) e poi sull’uscio è anche Marco Zanni, che guarda però guarda più all’Enf di Le Pen e Salvini.

La questione dunque, è così tutto fuorché tecnica. E l’addio di Affronte è la prima conseguenza della più che maldestra gestione del passaggio, poi sfumato, del Movimento 5 stelle dal gruppo di Farage a quello dei liberali dell’Alde (quello che in Italia, per capirci, era rappresentato da Scelta Civica e Fare per fermare il declino del mitico Giannino), ma non solo. Anche se Affronte lascia in polemica su quel voto, tirando le conclusioni di quello che aveva scritto, sempre sui social, nel giorno della votazione online. È evidente che c’è qualcosa di più.

Siccome Affronte per primo aveva scritto che «un gruppo vale l’altro se si mantiene autonomia di voto», è probabile che la sua scelta sia dettata soprattutto dai forti attriti dentro il gruppo del Movimento 5 stelle che, secondo l’europarlamentare, sarebbe stato tenuto all’oscuro da tutta l’operazione Alde. Ma Affronte, per dire, sa benissimo che pezzi del gruppo hanno invece preparato il voto sul blog, come l’eurodeputato David Borrelli.

Ad Affronte, poi, potremmo far notare che non è certo la prima volta che il blog, convocando un voto lampo, realizza un disegno già scritto, il piano di Grillo o Casaleggio. Dobbiamo veramente elencare le espulsioni, il caso Pizzarotti, il codice sugli avvisi di garanzia? Ma Affronte queste cose le sa benissimo, lui che è riminese e da sempre considerato vicino al sindaco di Parma. Quella del cambio di gruppo, dunque, sembra più l’occasione buona che lui – da sempre attento ai temi ambientali – e gli altri che lo seguiranno, hanno preso al volo per andare nei Verdi, gruppo che aveva respinto al mittente qualsiasi ipotesi di ingresso in massa dei grillini, o altrove.

Con la mutazione del Movimento alcuni miti stanno crollando, questo è (e non sempre è un male, come nel caso degli avvisi di garanzia). Alcuni ne prendono atto con adii scommettiamo dolorosi (anche perché immancabile parte l’assedio sul web). Lo streaming, ad esempio: Raggi non si fa fare domande durante le conferenze stampa, figurarsi se trasmette online le riunioni con gli assessori – scelti peraltro senza alcuna pubblicità. Anche il cambio di Affronte&co, insomma, ci ricorda che in molti casi, dall’inizio, il Movimento aveva quanto meno abbondato in retorica. Compreso quando ha posto sulla testa dei suoi eletti una penale da 250mila euro in caso di cambio gruppo. Il vincolo di mandato non esiste.

Il Regno Unito, l’immigrazione Ue e i dolori di Jeremy Corbyn

Jeremy Corbyn è di nuovo al centro delle polemiche. Ieri, 10 gennaio 207, il leader del partito laburista ha tenuto un discorso presso la città di Peterborough. L’intervento avrebbe dovuto segnare un chiaro cambio di passo nelle strategie del partito rispetto al tema della libera circolazione di cittadini Ue nel Regno Unito. Ma Corbyn, a quanto riporta The Independent, avrebbe “deluso” le aspettative di molti suoi colleghi. Perché?

Corbyn ha prima affermato che «il Labour non considera la libertà di circolazione dei cittadini europei come un principio inamovibile». Il leader originario di Chippenham ha poi però avvisato i media di non interpretare «in maniera scorretta le sue parole», considerando che «[la libera circolazione] non può, allo stesso tempo, essere del tutto esclusa» dagli scenari di negoziazione con l’Ue. Insomma, ancora una volta, secondo gran parte dell’opinione pubblica e dei media, Corbyn avrebbe dimostrato di non essere “né carne, né pesce”.

Secondo gli analisti politici invece, le ultime parole di Corbyn, implicherebbero in realtà che il leader del Labour voglia favorire l’accesso al Mercato unico europeo rispetto a una limitazione dei flussi migratori.

Con la sua posizione ambivalente, Corbyn avrebbe in ogni caso deluso l’area del partito che spinge per una posizione conservatrice sul tema migratorio. Nei giorni scorsi, più di un deputato laburista aveva infatti suggerito al leader di defilarsi dallo “status quo” e di assumere una posizione più intransigente rispetto ai flussi migratori.

Secondo i sondaggi, il Labour è indietro rispetto al partito Conservatore nelle intenzioni di voto degli elettori britannici. A riguardo, Len McCluske, il leader uscente del principale sindacato britannico, Unite, ha affermato che «Corbyn rinuncerebbe al proprio posto nel momento in cui dovesse rendersi conto dell’impossibilità di ottenere un successo» alle elezioni generali del 2020.

EuropaThe Irish Times Standard & Poors prevede un 2017 estremamente complicato e instabile a causa delle numerose elezioni che si svolgerano nel Continente

GermaniaHandelsblatt Il governo della Baviera, in Germania, ha invitato Grecia e Italia a migliorare il proprio comportamento lungo in confini esterni dell’Ue.

«Yes we did». L’ultima lezione di democrazia di Obama, presidente-professore in chief

epa05710184 US President Barack Obama delivers his farewell address to the American people at McCormick Place in Chicago, Illinois, USA, 10 January 2017. Obama's eight year term as president of the USA ends on 20 January when President-elect Donald Trump takes the oath of office. EPA/KAMIL KRZACZYNSKI

Nel suo discorso di addio, da Chicago, la città che ama e che gli ha dato la carriera politica (e che lo ama di ricambio, a giudicare dalla folla), Barack Hussein Obama ha difeso ed è tornato a spiegare la sua idea di democrazia «un concetto radicale», la voglia di organizzarsi e agire, il bisogno di ascoltare gli altri. «Se siete stufi di litigare con gli sconosciuti su internet provate a parlarci di persona…se c’è qualcosa da aggiustare, allacciatevi le scarpe e organizzatevi, se non vi piacciono i vostri eletti, correte per le loro cariche».

In un momento in cui il funzionamento della democrazia liberale appare messo a rischio, l’ordine delle cose uscito dalla Seconda guerra mondiale non funzionare più, il 44esimo presidente degli Stati Uniti tiene la sua ultima discussione con i cittadini e fa una lezione di democrazia. «Quando diciamo che l’America è eccezionale, non sosteniamo che siamo privi di difetti, ma che abbiamo la capacità di cambiare. Il lavoro della democrazia è complicato e per ogni passo avanti, potremmo farne uno indietro». La colonna sonora è quella degli U2 che ne accompagnava l’ingresso di otto anni fa e la difesa del suo record, sonora: «Abbiamo fatto passi avanti, siamo usciti dalla recessione, abbiamo fatto pace con Cuba e reso costituzionale il matrimonio gay, fatto in modo che il programma nucleare iraniano senza sparare un colpo e garantito l’assicurazione sanitaria a 20 milioni di persone». E questa America migliore è grazie a voi. Retorica obamiana, certo, ma quella di un politico che vede messe a rischio le conquiste della sua presidenza, ma anche l’idea stessa della convivenza civile di un popolo diverso. Obama non smette di difendere il meccanismo democratico, nonostante stia per passare il testimone a un personaggio potenzialmente pericoloso. E mette in guardia: non è un autobomba a mettere a rischio la convivenza, ma è l’abbandono dei valori democratici. «Per questo ho abolito la tortura e respingo la discriminazione nei confronti dei musulmani» (inquadratura sulle famiglie Obama e Biden che si alzano in piedi a battere le mani e boato della sala).

«L’Isis ucciderà altre persone, ma non può vincere a meno che noi non tradiamo la costituzione e rivali come la Cina e la Russia non possono raggiungere la nostra influenza, a meno che noi non diventiamo un altro dei Paesi che maltrattano i loro vicini». Per questo tutti e ciascuno devono lavorare al rafforzamento delle istituzioni democratiche, «se la fiducia nelle istituzioni è bassa, dobbiamo incentivare l’etica». Le idee che Obama elenca (diritto di voto, partecipazione) sono tutte critiche indirette al partito repubblicano. Le uniche, assieme al tono, tutto, del discorso: c’è un pericolo e l’esercizio della cittadinanza è quello che rafforza le istituzioni perché il successo del «viaggio verso la libertà, non è garantito».

Il discorso di Obama dal canale della Casa Bianca (da 5.41)

«Abbiamo il futuro davanti, ma quel futuro lo costruiamo se rafforzeremo la democrazia…dobbiamo tutti ricordare che la democrazia ha come presupposto un fondamento di solidarietà». L’inizio del secolo, secondo il presidente uscente, ha messo alla prova la democrazia: «terrorismo e recessione, cambiamento demografico sono sfide che hanno messo a rischio il nostro stare assieme». Abbiamo fatto molto – e se c’è qualcuno che propone un piano sanitario che costi meno e copra la stessa gente del mio, sono pronto ad accettarlo, Obama sfida i repubblicani – ma abbiamo grandi sfide davanti. Il presidente ricorda che le diseguaglianze e l’automazione sono la prossima onda che distruggerà posti di lavoro. E per tutelare la democrazia di fronte a queste sfide quello che serve è «un nuovo contratto sociale, una nuova rete di protezione e un nuovo sistema fiscale che faccia pagare chi guadagna da questo nuovo sistema economico».

La seconda sfida è quella dell’eguaglianza tra le persone. «Alla mia elezione si è parlato dell’America post-razziale. Era un’idea irrealistica, la razza resta una forza divisiva». Si possono cambiare le leggi, i rapporti hanno fatto passi avanti, «ma a cambiare devono essere i cuori». I neri devono riconoscere ed essere empatici non solo con i rifugiati, i poveri, ma anche con il bianco di mezza età il cui mondo sta sparendo, e il bianco deve capire che le proteste nere chiedono solo un trattamento egualitario. E se parliamo di immigrati, dobbiamo ricordarci che «quel che si dice oggi lo abbiamo detto degli italiani, degli irlandesi, dei polacchi… che avrebbero distrutto l’America com’era… e invece siamo più forti e migliori». Capire queste cose non è facile: «Troppi di noi si sono chiusi nelle loro bolle, circondati da persone che la pensano come noi e non mettono in discussione, i media con un canale per ogni gusto, ci rendono così sicuri nelle nostre bolle che accettiamo ogni informazione che corrisponda alla nostra visione». Questa selezione sulla base di ciò che preferiamo – anche in politica – è un pericolo. Ma se scegliamo le cose solo sulla base di ciò che ci piace, non non andiamo da nessuna parte: prendiamo il cambiamento climatico. «Possiamo ragionare sulla maniera migliore di affrontarlo, ma negare il problema significa impedire alle future generazioni di discuterne e nega lo spirito di progresso che ha reso l’America forte».

Obama non è stato un presidente perfetto, ma ancora una volta, parlando con gli americani ha dato un esempio di dialogo con il Paese, di umanità e di assenza di rabbia. Quella che avrebbe potuto mostrare, qui e là, quando è stato insultato o quando le sue iniziative sono state bloccate dal partito avversario. Per Obama il funzionamento democratico è venuto prima e, dice, continuerà a lavorare per quello da cittadino (le speculazioni sul futuro sono di ogni ordine e tipo). Ora fate un bel respiro e pensate al signore che sta per prendere il suo posto, che da presidente insulta e risponde a ogni critica con battute. Il primo è stato – con tutti i difetti enormi, con Chelsea Manning ancora in carcere, Guantanamo che resta dov’è e con i droni usati sullo Yemen – un campione della partecipazione nonostante i suoi enormi limiti. Il secondo è un bulletto da bar. Good night and good luck.

Cyberspionaggio all’italiana. Tra hacker e logge massoniche

Cyberspionaggio, due fratelli hacker e logge massoniche. Non poteva offrire spunti migliori l’operazione Eye Pyramid che ha portato all’arresto di Giulio Occhionero, ingegnere nucleare di 45 anni con la passione per l’hackeraggio, e sua sorella Francesca Maria Occhionero (49). I due che facevano base a Londra, al momento sono rinchiusi nel carcere romano di Regina Coeli e saranno interrogati oggi (mercoledì) per rendere conto della rete di cyberspinaggio che avevano allestito. Uomini di spicco della politica italiana e europea gli obiettivi dei fratelli Occhionero, tra le vittime del cyberspionaggio spiccano i nomi del presidente della Bce Mario Draghi, degli ex premier Matteo Renzi e Mario Monti, ma anche dell’ex governatore della Banca d’Italia Fabrizio Saccomani e dell’ex sindaco di Torino Piero Fassino.

L’accusa delle autorità italiane è quella di aver istituito «un centro di cyberspinonaggio per monitorare le istituzioni, il governo, esponenti di spicco della società e imprenditori» e di aver catalogato illegalmente per 5 anni «informazioni riguardanti lo stato di sicurezza» per creare dossier su politici, manager e banchieri, grazie a delle mail di phishing e ad un malware che permetteva a Occhionero di «ricevere regolarmente sul proprio personal computer tutti i dati carpiti dai computer delle vittime, inviandoli poi a un server». Secondo gli investigatori, Giulio Occhionero deteneva un grado elevato all’interno della loggia massonica del “Grande oriente” e stava lavorando all’istituzione di una nuova loggia.

Gli echi ricordano P2 e Licio Gelli e molte delle mail alle quali l’ingegnere inviava i dati rubati sono le stesse emerse nel 2011 all’interno del procedimento penale avviato a Napoli contro le P4. Nonostante questo le autorità sono convinte che il reale scopo dell’operazione di hackeraggio realizzata dai due fratelli Occhionero avesse lo scopo di raccogliere informazioni per venderle poi ad altre figure di spicco dell’establishment italiano interessate a conoscere quanto più possibile sui soggetti vittime del cyberattacco dei due hacker italiani.

Io smentisco la smentita del brodino di Pisapia

Dice Giuliano Pisapia che i giornali che raccontano la sua incessante attività di rastrellamento tra i deputati di Sinistra Italiana e sindaci e eletti nei consigli regionali dicono il falso. Dice Pisapia che non sarà la stampella di nessuno e smentisce di volere candidare la Boldrini alle possibili primarie (che chiameranno del centrosinistra ma saranno solo del PD più Pisapia) che Renzi ha in mente per calcare la mano sul fingersi di sinistra applicando politiche di destra.

Pisapia smentisce e io smentisco la sua smentita. Per un motivo semplice: so, come sanno molti giornalisti e molti iscritti a Sel, che il “campo progressista” sta pensando a un nome e a un simbolo, che aspetta di sapere quale sarà la prossima legge elettorale per poi trovare la narrazione migliore e agire da stampella a Renzi fingendo di sfidarlo e so che coltiva il sogno recondito di riuscire a prendersi tutta Sinistra Italiana in un boccone solo sapendo che non ci riuscirà.

Pisapia smentisce di pensare a un partito e poi dice “il campo progressista lavorerà per avere primarie di centrosinistra contendibili e con un programma condiviso.” Pisapia smentisce di avere lanciato la Boldrini ma poi dichiara “ma come si può pensare che io possa lanciare in ipotetiche primarie del centrosinistra la terza carica dello Stato? Sarà lei a fare le sue scelte.” E quando dice “non intendo in nessun modo interferire sul congresso del Pd piuttosto che su quello di Sinistra Italiana” sa benissimo che il fatto di essere in campo ha già cambiato gli equilibri. È la politica, bellezza.

Che poi Pisapia diventi improvvisamente il maestro cerimoniere del realismo secondo cui (parole sue) “se non riusciamo a stare insieme vince Trump e trionfano i populisti” e quindi finirà ad essere la stampella di Renzi (se la prenda pure, ce ne faremo una ragione) è semplice tattica. Tattica politica che non ha nulla a che vedere con il senso di responsabilità che vorrebbe insegnarci: c’è chi ritiene potabile la visione renziana del Paese e chi no. E l’affannosa opera di camuffamento dei mille giorni di Renzi  (che intanto il segretario del PD sta cominciando anche all’interno del partito) sarà la più moderna messinscena politica degli ultimi anni.

Meglio così. Chi ritiene potabile questo Pd alzi la mano e faccia la sua scelta. In fretta. E la sinistra poi la smetta con questa sindrome piddina e si metta a lavorare. C’è un Paese da ricostruire su uguaglianza, diritti e lavoro. “Temi che non si possono affrontare in modo ideologico” ci insegna Pisapia. E chissà cosa ne pensano gli stremati dal realismo del centrosinistra che è riuscito dove nemmeno la destra aveva osato.

Buon mercoledì.

Nello sguardo dei bambini. Tra Oriente e Occidente

© Jean-Claude Chincheré

Bambini presi di mira dalla pubblicità, bambini ostaggio dell’arrivismo di genitori che li usano come prolungamento di sé, come protesi, per non vedere i propri fallimenti e frustazioni. L’impressionante show biz che negli Usa ruota intorno ai più piccoli viaggia sui 25mila concorsi di bellezza ogni anno. Sfilano bambini incartati come caramelle luccicanti, truccati da grandi, agghindati in modo kitsch.

La fotografa Barbara Baiocchi documenta questo circo mediatico mettendosi dalla parte dei bambini,  riuscendo a raccontare la loro curiosità, interesse per l’altro, la voglia di giocare nonostante tutto. Sguardi intensi e vivi di bambini spiccano ancor più negli scatti del fotografo Jean-Claude Chincheré. Un lampo di luce accende i volti di questi piccoli profughi, nonostante la paura, nonostante siano costretti a vivere in condizioni di estrema povertà in campi libanesi. Il giovane fotografo francese li racconta in drammatici scorci in bianco e nero, in mezzo a tende, copertoni e sassi, scovando  inaspettati angoli di umanità e di poesia proprio grazie a questi bimbi siriani obbligati a crescere in zone recintate in cui manca tutto.

Da un lato, Oltreoceano, scaffali pieni di giocattoli, con bambine bionde e rotonde ridotte a posare come statuine. O peggio ancora costrette per compiacere i grandi ad assumere pose civettuole e atteggiamenti ammiccanti. Dall’altro, in Medio Oriente, la distruttività  della guerra che si ripercuote su bambini innocenti. Sono gli Opposti non complementari che si confrontano negli spazi espositivi della Civica Galleria d’Arte Contemporanea “Filippo Scroppo” di Torre Pellice, in provincia di Torino. Fino al 7 febbraio, la mostra curata da Andrea Balzola invita a riflettere sull’infanzia negata, denunciando la violenza fisica e psichica che questi bambini subiscono, seppur in situazioni differenti e lontane. www.galleriascroppo.org

© Jean-Claude Chincheré

© Barbara Baiocchi

© Jean-Claude Chincheré

© Barbara Baiocchi

© Jean-Claude Chincheré

© Barbara Baiocchi

© Jean-Claude Chincheré

© Jean-Claude Chincheré

© Barbara Baiocchi

© Jean-Claude Chincheré

© Barbara Baiocchi

© Jean-Claude Chincheré

testo di Simona Maggiorelli e gallery a cura di Monica Di Brigida

«Dio, liberaci dagli uomini». Un videoclip contro l’oppressione maschile scompiglia l’Arabia Saudita

epa03365263 Saudi women walk after celebrating Eid al-Fitr prayers, in the courtyard of a mosque Prince Turki bin Abdul Aziz in Riyadh, Saudi Arabia, 19 August 2012. Eid-al Fitr marks the end of the fasting month of Ramadan. EPA/STR

«Dio, liberaci dagli uomini». È il ritornello di “Hwages” (Ossessioni), una canzone di Majed Al-Esa. L’inno alla ribellione delle donne sottomesse è scritto da un uomo, che si scaglia contro il suo genere, e cantato da un coro di donne. Il tutto in una delle nazioni più repressive verso le donne: l’Arabia Saudita. Velate di nero, come vuole la tradizione e impone la legge. Le donne guidano, giocano a basket, danzano sulle panchine del parco. Al Luna Park giocano a bowling e lanciano birilli con sopra le immagini di diversi uomini. C’è anche un doppio “cammeo” per Donald Trump, sovrapposto agli attori che interpretano il ruolo dei conservatori e mostrano un cappio come avvertimento. Ironico, dissacrante, irriverente. Il videoclip è uno schiaffone agli integralisti. E, pubblicato il 23 dicembre scorso, ha già abbondantemente superato le 4 milioni di visite.

Le polemiche sono già iniziate e sono feroci. «È un video blasfemo» denunciano gli integralisti, che sui social hanno inviato a Majed Al-Esa duri messaggi. Ma arrivano anche messaggi di apprezzamento: «Majed sta supportando la lotta di tutte le donne del mondo», scrive un utente arabo sul profilo twitter di Majed. «Ha rotto tutti gli stereotipi sulle donne col suo videoclip. Che vi piaccia o no, è da guardare» sottolinea invece un altro. E proprio questo pare essere l’intento di Majed: attirare l’attenzione sulla sua canzone per far capire che l’Islam non è repressione della donna.

L’Arabia Saudita è anche il Paese con il maggior numero di utenti twitter del mondo in proporzione alla popolazione. Non a caso, sul finire dell’estate 2016, è esplosa una campagna sui social media delle donne saudite: #StopEnslavingSaudiWomen (mettete fine alla schiavitù delle donne saudite). Si chiede la fine del sistema di guardianship, il sistema di tutela maschile previsto dalla legge saudita.

È lunga la lista dei divieti alle donne saudite. Senza il consenso di un uomo non possono guidare (pena 10 frustate) né viaggiare senza il permesso di un uomo (fino all’età di 45 anni), non possono sposarsi, lavorare, fare sport, accedere all’assistenza sanitaria, aprire un conto in banca, iniziare una causa in tribunale. In Arabia Saudita la donna è sottoposta – a vita – alla tutela dell’uomo: il guardiano può limitare le sue libertà e impedirle di emanciparsi ma non è tenuto a provvedere alle sue necessità.

Il sistema di tutela maschile è «il più grande impedimento al rispetto dei diritti delle donne saudite», denuncia Human Rights Watch nel rapporto Boxed In: Women and Saudi Arabia’s Male Guardianship System. Mariti, figli, padri e fratelli autorizzati dalla legge a controllare ogni singolo istante della vita di mogli, sorelle e figlie. La custodia permanente è spesso affidata al marito, ma può succedere che sia il figlio a “tutelare” la madre. «Mio figlio è il mio tutore, che ci crediate o no, ed è davvero umiliante. Colui che ho messo al mondo e cresciuto, è il mio guardiano», dice una donna di 62 anni a Human Rights.

L’ultimo caso di repressione, meno di due mesi fa, quando una giovane ventenne è stata arrestata dalla mutawwīn, la polizia religiosa saudita, per aver postato sul suo account twitter una foto che la ritraeva per strada a capo e caviglie scoperte e senza l’abaya, il tradizionale abito nero.

La monarchia assoluta islamica retta da re Salmān bin ʿAbd al-ʿAzīz Āl Saʿūd, nei primi mesi del 2016 una timida riforma l’ha avviata. Adesso è stata promulgata una legge che condanna la violenza domestica, anche se non prevede il reato di stupro nel caso in cui uomo e donna siano sposati. Anzi, incita alla riconciliazione familiare, facendo desistere la donna dal denunciare il marito, suo guardiano.