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Sulla Cannabis il Parlamento può ancora dire sì

Cannabis in parlamento
Attivista radicale, con permesso terapeutico, fumauno spinello durante un'iniziativa radicale per la consegna degli scatoloni con le firme per la richiesta della legalizzazione della cannabis, in piazza Montecitorio, Roma, 11 Novembre 2016. ANSA/GIUSEPPE LAMI

«Non è ancora detto», dice a Left Daniele Farina, il deputato di Sinistra italiana promotore dell’emendamento alla legge di Bilancio che ha riportato all’ordine del giorno la legalizzazione della Cannabis (emendamento firmato anche da alcuni deputati dem). Ci spera ancora Farina, o meglio non vede perché non sfidare ancora il Parlamento: «L’emendamento bocciato dalla commissione», ci spiega, «può esser presentato in aula e fatto votare a tutti i deputati». «Si può ancora approvare, volendo», continua Farina, che si dice comunque già soddisfatto di esser riuscito a «riaprire il dibattito su una legge che qualcuno voleva spedire nel dimenticatoio. Non è così, daremo battaglia, non si illudessero».

Entro domenica, infatti, la Camera approverà la legge di Bilancio e discuterà gli emendamenti, quelli approvati dalla Commissione presieduta dal dem Francesco Boccia e anche però quelli bocciati ma ancora in piedi, quelli su cui i proponenti vogliono insistere e di cui non hanno ritirato il testo. Come l’emendamento che propone di destinare all’emergenza sismica e al fondo contro la povertà fino 5 miliardi di euro l’anno ricavati dalla cannabis, appunto. Un emendamento fiscale che, se approvato, con un meccanismo simile alla legge delega, darebbe al governo il compito di concretizzare la copertura economica, organizzando un monopolio statale per la vendita della cannabis, con un modello come quello del tabacco.

Modello che non è peraltro quello proposto invece dalla legge Giachetti, quella arrivata alla Camera prima dell’estate. La legge che il Parlamento aveva rispedito in commissione, infatti, prevedeva anche la coltivazione per uso personale e quella associativa oltre che una riorganizzazione delle normative regionali sull’uso terapeutico. L’emendamento però deve esser più semplice, coerente con una legge di bilancio per passare – come ha fatto quello di Farina e altri – il vaglio degli uffici della Camera.

Se il Pd insieme alla Lega e alle altre forze contrarie alla legalizzazione ha detto un primo no all’idea, dunque, «potrebbe ancora stupirci», provoca Farina. Che però non vuole rincorrere il premier e non parla di “accozzaglia” descrivendo il «fronte trasversale dei contrari alla legge». «Come su altri temi giudicati sensibili, maggioranza e opposizione è normale che si mischino. La cannabis», continua, «già con la formazione dell’intergruppo aveva dimostrato che le sensibilità sono diverse e che anche a destra ci sono molti favorevoli, magari a formule più soft».

Mettiamocelo in testa, ai bambini serve istruzione. La campagna Unhcr

«Nawfal ha solo 8 anni ed è fuggito dalla Siria con la madre e i fratelli. Suo padre è stato ucciso. Come milioni di piccoli rifugiati, Nawfal non va a scuola. Quale futuro potrà avere?». Mettiamocelo in testa. Solo con l’istruzione un bambino rifugiato ricomincia a scrivere la sua vita, questa la campagna lanciata oggi da Unhcr, l’Agenzia per i rifugiati dell’Onu, e alla quale si può aderire fino all’11 dicembre.

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Sono 3 milioni e 700mila bambini che, fuggiti dalle proprie case, non possono tornare a scuola. E chissà per quanto ancora non potranno tornare a una vita normale. Nei campi di accoglienza si pensa naturalmente a garantirgli beni di prima necessità e protezione. In situazioni di guerra, l’istruzione non è certo il primo pensiero. Ma gli strumenti con i quali costruirsi un futuro, quelli chi glieli fornisce?

Come spiega l’Unhcr, «solo il 50 per cento dei bambini rifugiati accede all’istruzione primaria, contro il 90 per cento della media globale. E quando questi bambini crescono, il divario diventa un baratro: solo il 22 per cento degli adolescenti rifugiati frequenta la scuola secondaria e solo l’1% va all’università, a fronte di una media globale rispettivamente dell’84% e del 34%».

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Così, l’agenzia umanitaria si è posta l’obiettivo di far tornare a scuola un milione di bambini rifugiati, provenienti da 12 Paesi diversi, dalla Siria al Kenya, formando insegnanti e costruendo scuole dove non ci sono. Senza l’istruzione, ogni bambino è esposto alla violenza, allo sfruttamento, all’abuso. Non solo, la scuola dà strumenti per affrontare il presente, il trauma e i danni che la guerra creano a livello psicologico e personale. La campagna sostiene il programma Onu “Educate a child”, avviato nel 2012, che ha già riportato frai banchi 570.000 bambini. Come Muba, Bush e Rehabnel campo di Ajuong Thok in sud Sudan o Anas e Zoera, che vivono nel campo rifugiati di Djabal in Ciad

 

Davvero il Financial Times sostiene che se vince il No è la fine dell’Europa? Non proprio

Il secondo titolo del sito più visitato o quasi del Paese è quello che vedete qui sotto. E lascia intendere: se dovesse vincere il NO al referendum costituzionale, sarebbe la fine dell’Europa per come la conosciamo. A dirlo sono i grandi media economici anglosassoni e, lo suggerisce il titolo, si tratta di un virgolettato.

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Apri l’articolo per leggerlo e il tono cambia. Il nuovo titolo interno è più sfumato e ci racconta che in realtà due su tre delle grandi corazzate del giornalismo economico mondiale non sono poi così preoccupati.

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«Gli osservatori economici sono divisi». Poi leggi l’articolo e capisci altre due cose: che JP Morgan non è preoccupata oltre misura, che il New York Times si preoccupa per il credito e che il titolo, quello riferito al Financial Times, non è l’apertura del giornale ma la colonna settimanale di Walter Munchau, figura di grande autorevolezza ma non il Financial Times e neppure necessariamente qualcuno che parla a nome del giornale. Munchau infatti è Associate editor del giornale, che non vuol dire che è parte della macchina, non ne produce la linea, ma ha piuttosto un titolo che ne riconosce il prestigio. Il profilo twitter di Munchau ci dice infatti: Sono direttore di Eurointelligence e un columnist su Financial Times e Corriere della sera.

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Autorevole, bravo, spesso critico con l’euro e il modo in cui l’Unione europea è stata disegnata e concepita. E spesso a ragione. Ma le sue sono opinioni e non la linea del giornale, che, sarà bene ricordarlo, nel mondo anglosassone e non solo, le column, le opinioni, sono quelle di chi le scrive e non quelle del giornale e spesso sono contrastanti tra loro – quelle che dettano la linea del giornale escono a firma del direttore o senza firma. Tra l’altro Munchau scrive che Renzi ha detto che si dimetterà se il referendum perdesse. È una notizia un po’ vecchia, ci pare di aver capito.

Stiamo smentendo l’idea – che è un po’ lo spin fatto passare dal governo Renzi ai media stranieri che poi vengono ripresi da quelli italiani – che se vincesse il No l’Italia avrebbe enormi problemi e l’Europa sarebbe a rischio? No, nessuno è in grado di confermare o smentire previsioni di questo tipo. Quel che fa un po’ impressione è invece il modo di trattare le notizie, piegarle e stiracchiarle per farle girare come meglio preferiamo. È un brutto vizio e alimenta l’idea che i media siano tutti al servizio di qualcosa o qualcuno. E aiuta anche i siti di bufale e notizie false a crescere.

La polizia spara acqua gelata contro i Sioux che difendono la loro terra dall’oleodotto

North Dakota, domenica. 400 persone si ritrovano a manifestare contro i lavori dell’oleodotto cercando di bloccare l’accesso alla strada, ad un ponte in particolare e impedirne la continuazione. È così che, con una temperatura esterna di circa 3 gradi centigradi, la polizia ha decide di sparare loro contro con una pompa di acqua gelata per disperdere i contestatori.

A protestare contro la costruzione dell’oleodotto sono un gruppo di nativi americani proprietari della riserva indiana Standing Rock Sioux, terreno attraverso il quale dovrebbe passare il condotto della Dakota Access. La contestazione principale fatta dai Sioux di Standing Rock è quella di non essere stati adeguatamente consultati dalle autorità federali prima di dare il via ai lavori visto che la struttura passerebbe attraverso dei luoghi sacri e potrebbe inquinare le fonti d’acqua potabile. Dall’altro lato invece i sostenitori dell’oleodotto sostengono che aiuterebbe l’economia e creerebbe posti di lavoro, le entrate stimate sono circa 156milioni di dollari.
Sono già più di 200 le tribù di nativi americani accorse in supporto di quella di Standing Rock Sioux che nel frattempo in segno di protesta ha addirittura creato un accampamento stabile vicino all’area dell’oleodotto. A sostegno della battaglia contro il Dakota Access anche l’attrice Susan Sarandon e Jill Stein, candidata per il partito dei verdi alle recenti presidenziali. Quello di domenica è solo l’ultimo episodio di violenza contro i manifestanti, da settembre la situazione è critica e non di rado gli scontri con le forze dell’ordine sono stati violenti.

Questo invece è un cortometraggio di Bo Hakala, giovane regista di Minneapolis che è andato a Cannonball, North Dakota, a raccogliere le voci di chi protesta.

 

Quarto governo Merkel: resistenza o incentivo al populismo in Europa?

Ralf Stegner, figura di primo piano del Partito socialdemocratico tedesco (Spd), ha affermato che «Angela Merkel non è più invincibile». Le parole di Stegner sono arrivate poco dopo l’annuncio da parte del Cancelliere di voler correre per un quarto mandato governativo nel 2017.

Secondo molti, la candidatura di Merkel mette però pressione alla Spd che deve ancora scegliere il proprio candidato. I potenziali sfidanti socialdemocratici sono Sigmar Gabriel (Segretario generale del partito, nonché attuale Ministro dell’economia) e Martin Schulz (Presidente del Parlamento europeo). Walter Steinmeier, terzo volto della Spd che era stato chiamato in causa per una potenziale candidatura, è ormai fuori dai giochi: la settimana scorsa, cristiano-democratici (Cdu) e Spd si sono accordati sul suo nome per la posizione di Presidente della Repubblica.

Sebbene la convergenza su Steinmeier sia stata raccontata come una sconfitta di Angela Merkel dalla stampa, le cose non stanno proprio così. Un mese fa, Cicero aveva infatti rivelato che Steinmeier sarebbe stato l’unico candidato socialdemocratico a poter battere il Cancelliere. Secondo un sondaggio citato dalla rivista, se i cittadini tedeschi potessero votare direttamente il nuovo capo del governo, opterebbero per Steinmeier nel 28 per cento dei casi, mentre solo il 23 per cento che si schiererebbe con Merkel.

Nel frattempo, gran parte della stampa mondiale ha glorificato Angela Merkel come paladina dei valori occidentali e come ultimo baluardo contro il populismo dilagante. Il salvataggio dell’Europa viene legato al suo potenziale successo elettorale nel 2017.

Ma anche qui, la stampa, forse, sbaglia prospettiva. Sebbene la destra radicale tedesca abbia guadagnato terreno negli ultimi anni, un governo populista di destra nel 2017 rimane del tutto improbabile. La partita sul populismo non si gioca in Germania, ma in Italia, Francia e Olanda. Lo dimostra un recente sondaggio di YouGov: è in questi Paesi che le istanze delle forze populiste hanno una maggiore presa sull’elettorato.

Insomma, non saranno le forze populiste tedesche a far collassare l’Europa, bensì quelle francesi, olandesi e italiane. Queste si nutrono della stabilità tedesca e degli effetti delle politiche europee che il governo di Angela Merkel ha difeso durante gli ultimi dieci anni. Solo un governo tedesco progressista potrebbe rilanciare l’economia del Continente e, conseguentemente, sfilare il terreno sotto ai piedi dei partiti populisti negli altri Paesi.

Proprio per questo motivo, la quarta candidatura di Merkel e l’assenza di un candidato forte della Spd, al contrario di quanto si legge un po’ ovunque in questi giorni, non rappresentano, una buona notizia per l’Europa.

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Io un Armageddon del genere, che va da Confindustria allo chef Bottura, non l’avevo mai visto

Comunque se per caso prevalesse il No l’impresa sarà stata eroica. Io un Armageddon del genere che va da Confindustria allo chef Bottura passando per Ferzan Ozpetek non l’avevo mai visto. Il mitico, anzi “mitticoooo” Renzi, accusa il fronte del No di essere una “accozzaglia” e lo ribadisce a Maurizio Landini su Raitre ieri, criticando la trasversalità e anche l’eterogeneità del No, «preferisco definirvi accozzaglia piuttosto che una coalizione coesa di governo», come se di coalizione coesa di governo stessero parlando. E al solito, maglione rosso e sguardo perso di fronte a tanta “scollatezza”, Maurizio Landini non restituisce il sarcasmo. Neanche in modo semplice, neanche a modo suo. Proviamo a farlo noi? La trasversalità del fronte del No=accozzaglia non vale per quello del Sì? Mi spiegate Ferzan Ozpetek con Confindustria cosa ha a che spartire? O con Lorenzin? E Michele Santoro con Denis Verdini o Angelino Alfano cosa c’entra, me lo spiegate? Accozzaglia o coesa coalizione di governo?Ahhhhh…
Tenerezza contro disprezzo. Landini in giacca, quella buona e Renzi in maglioncino, blu come quello di Marchionne. La forza dello storytelling direbbe Baricco. Quello che racconta che Maurizio Landini, segretario della Fiom «difende la casta», difende la casta avete capito bene, il segretario del sindacato dei metalmeccaninci (che esistono ancora) difende la casta dei consiglieri comunali per il nostro premier. E Renzi invece vuole ridurre i costi della politica e abolire il Cnel. Peccato che qualche settimana fa, il Pd abbia votato compatto e contrario in Parlamento contro la riduzione degli stipendi dei parlamentari. E poi la realtà di Landini, mannaggia… troppo digiuno di lezioni “baricchiane”, molto semplice: «Lei spacca il Paese, lei non elimina il bicameralismo, noi vogliamo cambiare ma questa riforma è malfatta». Malfatta a chi? Renzi affonda il colpo: «Landini lei vive nel paese delle meraviglie, lei è Alice». Pensa di averlo steso. Ignorante e Alice nel paese delle meraviglie.

Confesso che stavo per ridere. Lo confesso. Ho immaginato Landini come Alice nel suo paese delle meraviglie, quello dei metalmeccanici sempre… ho tentato di immaginare tutte le meraviglie che può riservare quel mondo fatato dei quasi quattrocentomila iscritti alla Fiom e dei 5 milioni e mezzo di iscritti alla Cgil che andranno da Landini a raccontargli delle meraviglie tutti i giorni!

Ho fatto fatica però a immaginarmele queste tante meraviglie. Ho immaginato più facilmente le meraviglie di Renzi. E pure quelle di Alfano e Verdini. Forse anche quelle dello chef Bottura. Di Landini mi è piuttosto tornata alla mente la parola “Freddo” che disse a una trasmissione su La7 tempo fa. Il freddo era quello della fabbrica la prima volta che ci era entrato. A 14 anni.

Soros, Trump e Clinton in galera: così ci si arricchisce con le notizie false

Provate a cercare sul Web “Soros-proteste-Trump” e troverete centinaia di risultati. Alcui ospitati da siti importanti come Linkiesta e Huffington Post, alcuni molto di parte come beppegrillo.it e poi decine e decine di blog, siti di destra, populisti o di sinistra (Contropiano, che si definisce giornale comunista). Il succo del contenuto che troverete è: il miliardario ungherese-americano ha pagato e sta pagando per fomentare le proteste anti-Trump.

Nei giorni scorsi avevamo smontato il tutto spiegando con una serie di fatti e notizie come quegli articoli dai titoli pensati per acchiappare click degli amanti dei complotti non potessero che essere false e come le insinuazioni contenute negli articoli contenuti nei siti più “credibili” mettessero assieme cose vere in cui non c’era nulla di sospetto a balle e sciocchezze per alimentare voci e cercare click.

In questi giorni sia il New York Times che il Washington Post hanno pubblicato ricostruzioni e racconti sulla nascita delle notizie false e di come queste diventino virali grazie ai social network.

Il giornale di New York ad esempio rilancia la vicenda di un tweet di una persona di Austin Texas che mostrava dei pullman che passavano in strada e che lui, dopo aver verificato se in città ci fossero convention o fiere di qualche tipo, aveva stabilito essere autobus di manifestanti anti Trump pagati. Erick Tucker twittava a foto che veniva rilanciata 16mila volte. Il tweet cominciava a girare sui siti della destra e su quei siti che promettono “verità che i mass media non vi raccontano”. Boom. La non notizia viene condivisa 3mila volte dalla pagina Facebook di Right Wing News. Ed è solo un esempio. Ora, per dare un’idea, quando una cosa su una pagina viene condivisa circa 500 volte le persone che la vedono sono circa 200mila. Moltiplicate per sei e poi pensate che quello di Right Wing News è solo un esempio su centinaia.
Dopo qualche giorno Tucker cancella il tweet (si è scoperto che gli autobus erano quelli di una compagnia tecnologica che organizzava un raduno dei dipendenti) e ne posta uno nuovo con la foto e la scritta: Falso. Sedici retweet invece di sedicimila.

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Questo è un modo in cui nascono le notizie false. L’altro è quello scientifico: il Washington Post racconta di questi due ragazzi che da camerieri di ristorante hanno cominciato con un sito pieno di titoli falsi, con titoli roboanti sulla politica americana: “Clinton sta per finire in carcere”, “Le proteste pagate da Soros” o anche riprendere vecchi titoli su Soros o su Clinton e Obama, impastarli di nuovo e scrivere sotto al post di Facebook (condividi se ami Donald Trump). I due, grazie a questo metodo, stanno facendo centinaia di migliaia di dollari grazie alla pubblicità sul sito. E non importa se nelle cose che scrivono ci sia nulla di vero: ormai ci piace più consumare false news che confortino le nostre convinzioni che non capire cosa succede. C’è chi usa lo strumento per generare consenso politico – ogni riferimento alla politica italiana è corretto – chi ci crede come nel caso del tweet degli autobus e chi decide di produrre notizie false come strumento per guadagnare in maniera scientifica. Buzzfeed news ha individuato una cittadina della Macedonia dove sono nati 140 siti di notizie di politica americana con pagine Facebook da centinaia di migliaia di followers. False. Un esempio è la solita fine di Hillary in prigione: 140mila condivisioni. Molti soldi in Macedonia grazie ad AdSense di Google e l’equivalente meccanismo di Facebook.
Questo è quanto. Si tratta di un fenomeno pericoloso, inquietante e di un pericolo per la democrazia. È un tema enorme: i media sono uno dei cani da guardia del funzionamento dei sistemi democratici e se vicono di click generati da bugie, allora abbiamo un problema. Ne abbiamo anche molti altri, certo, ma questo è serio. Tanto più che quegli articoli dai contenuti falsi pubblicati su media più autorevoli sono rimasti dove erano. E naturalmente hanno generato decine di migliaia di click, like e condivisioni. Molte più di quanto questo articolo potrà mai generare.

Bye bye Siria. Ultime notizie dall’inferno-Aleppo

This image released by Thiqa News Agency shows damaged buildings after airstrikes hit the Al-Shaar neighborhood of Aleppo, Syria, Friday, Nov. 18, 2016. Intensive bombings pummeled Syria's rebel-held eastern neighborhoods of the city of Aleppo on Friday, residents and rescuers said, hitting an area housing several hospitals and sending the chief of a pediatrics clinic in a frantic search for a place to move his young patients. (Thiqa News via AP)

Continuano i tragici bollettini dalla Siria. Gli ospedali rimanenti nella zona di Aleppo in mano ai ribelli sono estremamente danneggiati a causa dei costanti bombardamenti che stanno in questi giorni colpendo la città.Le bombe sganciate dal governo siriano negli scorsi tre giorni avrebbero infatti danneggiato seriamente due degli ospedali principali e colpito l’unico ospedale per bambini della città.

RAID SENZA FINE SU ALEPPO EST, DISTRUTTI TUTTI GLI OSPEDALI

A riportare i fatti sono dottori, infermieri e residenti nelle zone. Come spiega l’ Organizzazione Mondiale per la Sanità i danni sono talmente ingenti da impedire alle strutture ospedaliere di fornire le cure necessarie aggravando ulteriormente la crisi umanitaria. Secondo le stime dell’Oms più di 250.000 persone nella zona est di Aleppo ora sarebbero prive di cure. Domenica l’organizzazione ha dichiarato che: «Alcuni servizi sanitari sono accessibili in delle piccole cliniche, ma i residenti non hanno più accesso ai reparti di traumatologia, chirurgia generale e altri tipi di visite necessarie a intervenire in caso di situazioni critiche». Secondo molte agenzie umanitarie, a quanto riporta il New York Times, gli attacchi contro gli ospedali da parte del governo sono deliberati.

RAID SENZA FINE SU ALEPPO EST, DISTRUTTI TUTTI GLI OSPEDALI

La zona di Aleppo in mano ai ribelli è praticamente assediata. Circondati dall’esercito siriano, costantemente bombardati, privi quasi del tutto ormai di cibo, medicine, carburante e pochissima disponibilità di acqua. «Sembra di vivere in un inferno» ha dichiarato Omar, l’ultimo neurochirurgo rimasto nella zona orientale di Aleppo (che preferisce per ragioni di sicurezza non fornire il suo nome per esteso) «I nostri quartieri sono in fiamme, le bombe piovono costantemente dal cielo. Abbiamo urgente bisogno di aiuto da parte della comunità internazionale». Ma la comunità internazionale sembra non dare risposte. Il regime di Assad sta tentando di tagliare fuori la città e conquistarla per sfinimento, chi resta nell’area nelle mani dei ribelli è praticamente condannato a morte.

SIRIA: CONTINUA LA MATTANZA A ALEPPO, DECINE DI MORTI

Se infatti la città di Aleppo è divisa dalla guerra civile fin dal 2012, a partire dall’estate la situazione è divenuta più tragica, nelle ultime settimane un cessate il fuoco aveva permesso alla popolazione civile di rifiatare, ma con la ripresa dei bombardamenti tutto è tornato come prima. Entrambi gli schieramenti infatti stanno spingendo agli estremi la battaglia senza curarsi del costo umano di questa guerra. Gli Stati Uniti con Obama non hanno fatto nulla per risolvere il conflitto e il nuovo presidente Trump si dichiara vicino alla Russia, alleata del governo siriano.

Staffan de Mistura inviato speciale dell'Onu in Siria
Staffan de Mistura inviato speciale dell’Onu in Siria

Staffan de Mistura, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per la Siria, si è recato sul posto e sta facendo pressioni affinché si sospendano da entrambi i lati i bombardamenti e si realizzino corridoi umanitari per fornire aiuti con medicine e beni di prima necessità. Cinque gruppi ribelli domenica hanno dichiarato il loro supporto alla proposta di de Mistura. Non è dello stesso parere però Walid al-Moallem, il ministro degli esteri siriano che incontrato dallo stesso rappresentante Onu. Restii anche i combattenti indipendenti che non hanno nessuna intenzione di cedere a compromessi.
E Intanto la Siria, dilaniata dalla guerra civile, si prepara a non esistere più.«Bye, bye Syria, bye bye one Syria; Syria is no more» scrive in un messaggio WhatsApp un combattente ribelle interpellato dal New York Times.

Addio Sarkozy, Fillon primo a sorpresa nelle primarie del centrodestra francese

I candidati alle primarie del centrodestra francese: Juppé, Sarkozy, Fillon
epa04914654 Alain Juppe (L-R), Mayor of Bordeaux, Nicolas Sarkozy, President of Les Republicains and Francois Fillon, Deputy of Paris, attend the Summer University of Les Republicains (The Republicans) party in La Baule, France, 05 September 2015. The Summer Universities, held by various parties, bring together leaders and members of a party for an informal meeting on the future strategies. EPA/EDDY LEMAISTRE

Sarà con ogni probabilità Francois Fillon, ex premier, il candidato dei Repubblicani, la destra francese non lepenista, alla presidenza. Il primo turno delle primarie lo vede infatti avanti a sorpresa con il 40% dei voti, lasciando dietro il favorito Alain Juppé (30%) e l’ex presidente Sarkozy (20%). È una specie di rivolta anche questa: Fillon tre mesi fa era dato al 10%, con gli altri due contendenti che si inseguivano attorno al 30%.
La prima notizia è però, per chi è meno attento alla politica francese, la fine politica di Nicholas Sarkozy, l’uomo che doveva rivoluzionare la destra moderata francese portandolo più a destra e frenare l’avanzata del Front National, ha fallito nel suo compito quando presidente e poi, quando ha tentato di rientrare nei giochi, ha perso malamente.
L’effetto “chiunque ma non Sarko” sembrava aver avvantaggiato Juppé, più rassicurante, pieno di alleati, conosciuto. Ma la sua moderazione nei programmi e il duello avvelenato con Sarkozy non hanno pagato. Fillon ha lavorato alle alleanze con gli ambienti cattolici conservatori (quelli delle manifestazioni alla Family day), che in Francia sono forti. E nei dibattiti è apparso più presidenziale degli altri: mentre i due contendenti litigavano, lui parlava delle cose da fare, insistendo sulla necessità di ridimensionare l’intervento pubblico. Con queste parole d’ordine ha vinto i dibattiti televisivi, primo momento nel quale ha avuto davvero visibilità e primo momento nel quale i francesi di centrodestra hanno davvero cominciato a prestare atenzione alle primarie.
Sarkozy ha detto che lo sosterrà e a questo punto l’impresa di Juppé appare disperata. Tra i tre concorrenti, ha vinto l’outsider. Sebbene, nel caso di Fillon il termine sia molto relativo: l’ex premier ed ex ministro ed ex capogruppo dell’UMP all’assemblea nazionale non è un novellino.

Ed è piuttosto di destra su tutto: ha idee piuttsoto securitarie per quel che riguarda immigrazione e lotta al terrorismo (tutti contro l’Isis anche Assad) e sui temi etico-sociali. Forse è il candidato miglore per contrastare l’emorragia di voti verso il Front National. Di certo gli elettori di centrodestra alle primarie hanno deciso che né il moderato Juppé, né il controverso – ma più destrorso – Sarkozy erano la figura poltica adatta. A sinistra, intanto, non è affatto chiaro chi e come sarà il candidato. Per ora oltre a Le Pen, di certo c’è solo Macron, che con Marine potrebbe essere la carta che spariglia il quadro politico francese.

Intanto là sotto in Italia toccano un bambino su cinque

BAMBINO SI NASCONDE DA UOMO ADULTO FOTO DI © CARLO LANNUTTI/AG.SINTESI

Ho dei problemi sentimentali… posso parlarne con te?” Così si confida Nadia, 15 anni, alla linea 1.96.96 di Telefono Azzurro. Chiama più volte e pian piano si instaura un rapporto di confidenza e di fiducia con l’operatrice che le risponde.

Finalmente un giorno Nadia decide di aprirsi completamente e di rivelare il vero motivo che l’ha spinta a chiamare: “Tre mesi fa mio padre mi ha violentata… la mamma era al lavoro… io, lui e i fratelli eravamo in casa… mio padre ha detto ai fratelli di uscire e di andare al parco… io sono rimasta con lui… con una scusa mi ha fatto andare da lui”.

L’operatrice le chiede se si è trattato di un episodio isolato, Nadia esita, non vorrebbe parlare, si vergogna… alla fine ammette che gli abusi vanno avanti da 9 anni, cioè da quando lei ne aveva appena 6. E ora non riesce più a tacere, anche perché teme che sua sorella possa subire la stessa sorte.

La storia la racconta Telefono Azzurro nel suo blog. In occasione della Giornata Mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza l’associazione ha dato un po’ di numeri: in Europa 18 milioni di bambini sono vittime di abusi, 44 milioni hanno subito violenze fisiche e 55 milioni hanno subito violenze psicologiche. Un minore su cinque in Italia è vittima di violenza o di abusi nel corso della propria infanzia.

Sventoliamo dappertutto il feticcio del futuro e intanto lo molestiamo. E poi, mi chiedevo, se un popolo che stupra il suo futuro non sia un popolo già morto. O no?

Buon lunedì.