Canto l’Oronero che è in ognuno di noi
Febbraio 1994, sul palco dell’Ariston, tra le nuove proposte, debutta davanti al grande pubblico una giovanissima Giorgia. E, in barba al corpo esile, la voce potente presenta una delle sue canzoni più popolari: “E poi”. Da quel momento, tra concerti e apparizioni televisive, sono passati più di vent’anni. Nel corso della sua carriera, sono molte le incursioni di grandi della musica, in primis Pino Daniele, che lei ricorda sempre volentieri.
Quando la incontriamo, sorridente, l’impressione è quella di conoscerla da sempre. Indossa una maglia di seta bianca e un paio di pantaloni neri, niente a che vedere con le copertine glamour di questi giorni. Il 28 ottobre ha dato alle stampe il suo decimo album di inediti, Oronero: quindici brani, di cui dieci firmati da lei. Ordiniamo un caffè americano e iniziamo a sfogliare Left, a chiacchierare degli ultimi anni, quelli della preparazione del disco ma anche quelli del terrorismo, degli sbarchi quotidiani sulle nostre coste, della politica sempre più insana.

L’intervista continua su Left in edicola dal 19 novembre
Gherardo Colombo: «Questa riforma non mi sembra affatto sensata»

«Hai ragione, abbiamo un’idea di fondo, direi filosofica, molto diversa dell’essere umano. Tu hai molta minor fiducia e ritieni che nella scelta sia illuminato soltanto dall’interesse economico… praticamente non credi che l’essere umano possa cambiare, mentre sono convinto di avere sperimentato sulla mia persona che succede». Gherardo Colombo saluta così il suo collega di anni Piercamillo Davigo, dopo aver dialogato su giustizia, pena, cultura, libertà e democrazia per quasi 200 pagine, nel libro La tua giustizia non è la mia. Dialogo fra due magistrati in perenne disaccordo. E in effetti il disaccordo è perenne. Perché Colombo pensa che per superare una società e una giustizia che ancora discrimina, il lavoro da fare sia tutto culturale. Mentre Davigo rimane saldamente ancorato a un’idea di società e cultura che deve “rendere conveniente” non delinquere.

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«Non smetteremo di lottare. Solo lo faremo senza armi»

Il processo di pace non si ferma in Colombia, nonostante lo stop decretato dal “plebiscito” del 2 ottobre scorso. All’Avana, nei giorni scorsi, è stato siglato un nuovo accordo che tiene conto delle perplessità espresse attraverso il voto. «È il trattato della fiducia», ha detto a caldo il negoziatore delle Farc, spiegando che il gruppo ex guerrigliero ha fatto ulteriori concessioni ma non da forza sconfitta con le armi. Da forza protagonista, anzi, tant’è che c’era stato, sempre dopo il referendum, chi aveva chiesto che il Nobel per la pace fosse attribuito alle Farc oltre che, come ha fatto l’Accademia di Svezia, al presidente della Colombia Manuel Santos. Quest’utimo dal canto suo, vuole ora che l’accordo passi al vaglio dell’opposizione politica e delle vittime delle Farc.
Dell’accordo e di come applicarlo abbiamo parlato, pochi giorni prima della nuova intesa, con Timoleón Jiménez “Timochenko”, leader della Farc-Ep, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia – Esercito del popolo, secondo il quale l’accordo «contiene tutti gli elementi utili a gettare le basi per la costruzione di una pace stabile e duratura».
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Burocrazia e guerre di potere. Poveri medici di base
Chiusi nei loro ambulatori o in giro per le visite a domicilio, i medici di famiglia sono decisamente una categoria silenziosa. E paziente. Se la devono vedere con le malattie – e a volte anche con i problemi sociali – dei loro assistiti, ma anche con montagne di moduli da riempire, guardati a vista dalle Asl che inflessibili li controllano sul numero di ricette o visite specialistiche che prescrivono. Non ultimo è arrivato il decreto appropriatezza del ministro Lorenzin che li ha fatti infuriare, perché limitando esami specifici, dicono, la prevenzione va a farsi benedire.
I medici di medicina generale, questa la dizione esatta, sono gli eredi del vecchio, ingiusto e insostenibile sistema delle mutue, spazzato via nel 1978 dalla riforma del Sistema sanitario nazionale. Non sono né liberi professionisti né dipendenti, sono convenzionati, e nel corso degli anni, come afferma lapidario Ivan Cavicchi, docente a Tor Vergata e esperto di politiche sanitarie, «hanno perso tutte le loro battaglie». Sono 45mila ma la loro voce non si sente.

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Da Mosul a Cuba passando per le proteste anti-Trump. Le foto della settimana









Gallery a cura di Monica di Brigida
No Ilvo, non ci fai paura. La posta in gioco è una. La democrazia

«La posta in palio è un’altra. Il destino politico di Renzi. Il futuro – prossimo – della politica in Italia. E non ci sono parole per dire quel che sarà e saremo. Fra poco più di due settimane. Dopo il 4 dicembre. Ci mancano le parole perché non sappiamo. Quel che sarà e saremo». Sembra il sottotitolo di un film americano che racconta dell’invasione degli alieni o di uno scontro mortale tipo Indipendence day, o The final war, ed invece è solo Ilvo Diamanti che oggi su Repubblica interpreta i dati del sondaggio Demos che attestano un aumento della forbice in favore del NO. Allora, terrore!!! È come se volesse mettere una gran paura a quelli che pensano tranquillamente che il 4 dicembre possono scegliere se votare Sì alle modifiche proposte da Renzi/Boschi alla nostra Costituzione oppure se votare No alle modifiche proposte da Renzi/Boschi perché magari pensano che la Carta costituzionale sia bella così com’è e che invece occorra trovare un modo di costruire una seria alternativa al bicameralismo perfetto, senza tirarsi dietro tutta la paccottiglia delle 47 modifiche che questa riforma propone. Sembra dirvi, non avete paura? “Ci mancano le parole perché non sappiamo. Quel che sarà e saremo”. Allora voglio solo dirvi una cosa banale, a noi le parole non ci mancano, ve ne sarete accorti, su ogni numero di Left proviamo a spiegarvi perché questa riforma funziona poco e male. E quali sono le sue reali intenzioni. Forse anche perché nessuna riforma, come nessuna rivolta, per noi di Left può partire da una menzogna di fondo. La sua vera intenzione. Non di migliorare il funzionamento del nostro Parlamento, ma di controllarne il funzionamento in proprio favore. E quel che saremo dopo il 4 dicembre lo sappiamo tutti. Saremo noi e migliaia di cose ancora da fare. E non abbiamo nessuna paura. Perché in realtà Diamanti ci da delle grandi notizie che non fanno che confermare quello che pensavamo quando, per esempio, cercavamo di spiegare a Michele Serra che la riforma riguarda proprio il barista di Trani e la casalinga di Voghera, perché è a loro che cambia la vita. E possiamo con grande soddisfazione dire che il barista di Trani ha deciso, voterà No. Al Sud il NO prevale ce lo dice Diamanti. Mentre non prevale al Nord. E prevale tra i giovani il No, figli di quella casalinga di Voghera che si sarà spaccata la schiena per farli studiare. E vogliamo anche dirvi che ci deve essere un amore diffuso per la democrazia anche in basso, al contrario di quello che pensava e scriveva sempre Serra nella stessa “Amaca” (i molti, a suo avviso, non sono in grado di capire la democrazia…), perché Diamanti ci racconta che il Pdr, il Partito democratico versione Renzi, è al palo. Non cresce, perché alla casalinga e al barista forse piace la collegialità invece, quel sentirsi a casa o in piazza, come durante un concerto o a una manifestazione quando intorno a te c’è un sacco di gente che prova quello che stai provando tu e, per qualche attimo, ti senti immensamente felice. Del partito dell’uomo solo al comando invece non gliene frega proprio niente e forse non lo voterebbero più. Ne hanno visti già troppi.
Firme false, Grillo e il ritorno alla linea dura. Questa volta conviene

Beppe Grillo aveva già ringraziato le Iene, prime a portare il caso all’attenzione del grande pubblico (qui il servizio che spiega la vicenda), mentre i deputati coinvolti e i consiglieri regionali annunciavano invece querela. Ecco perché si dà per certo l’ex comico leader del Movimento come pronto alla linea dura sulla scandalo delle firme false del Movimento 5 stelle, che da Palermo è diventato un caso nazionale.
Si scrive di otto deputati indagati, che consentono a Renzi di fare la battuta facile. «Hanno cambiato una consonante, da onesta a omertà», è l’agenzia del premier – che contiene un errore, perché le consonanti cambiate sono due, ma rende l’idea. L’idea, almeno, di quello che dovrà sopportare il Movimento, nell’ennesimo inciampo, dopo il caso Muraro e quello Marra.
«Siamo parte lesa», aveva scritto Grillo. Che ora si considera così parte lesa, ovvero vittima dei suoi stessi deputati. Di quelli che, nell’aprile 2012, erano a conoscenza – quando non hanno materialmente partecipato – delle modalità con cui sono state raccolte le firme per le comunali palermitane, modalità che ha fatto muovere la procura.
Pronta la sospensione, dunque, e forse anche una temporanea esclusione dai gruppi parlamentari. Perché questa volta i deputati coinvolti sono tanti e ce n’è anche uno noto, abbastanza in vista: Riccardo Nuti, già capogruppo alla Camera. Bisogna limitare i danni. E così si applica la linea dura già sperimentata, sempre a corrente alternata. Duri con Pizzarotti, Defranceschi, morbidi con Muraro e Nogarin. A seconda di come conviene.






