«Siamo convinti che il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi sia un interlocutore appassionato nella ricerca della verità». E poi: «Confidiamo che le parole di al Sisi spingano ancora di più l’apparato egiziano nella ricerca della verità». E infine: «Stiamo seguendo anche il canale della collaborazione con l’università di Cambridge, e quello diplomatico, avendo parlato io stesso di recente con il mio omologo britannico Boris Johnson». Il vero dramma della famiglia Regeni, dopo la perdita del loro figlio Giulio, è quello di essere cittadini in un Italia in cui il servilismo al potente è condizione necessaria per garantirsi un posto al sole. Un Paese in cui gli eventuali cointeressi economici sono il discrimine principale per decidere chi è buono e chi è cattivo. Un Paese in cui la verità è una parola da pronunciare con tono stentoreo nei discorsi ufficiali per poi ripiegarla e metterla nel cassetto delle bomboniere da propaganda. Un Paese che si ostina a trattare l'Egitto come se le prepotenze e i soprusi, oltre alla congenita perdita progressiva di democrazia, siano qualcosa che non è affar nostro, da lasciare agli egiziani. Un Paese che permette a un capo di governo a forma di sultano di irriderci nel panorama internazionale con favolette da scuola elementare. E noi, continuamente, servi. Proni. Sdraiati di fronte all'evidenza come se fosse solo un fastidio passeggero. E così succede che anche un Alfano qualsiasi possa impunemente rilasciare dichiarazioni del genere. O meglio, a pensarci bene: così succede che anche questo Alfano qui possa permettersi di fare il ministro. Buon venerdì.

«Siamo convinti che il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi sia un interlocutore appassionato nella ricerca della verità».

E poi: «Confidiamo che le parole di al Sisi spingano ancora di più l’apparato egiziano nella ricerca della verità».

E infine: «Stiamo seguendo anche il canale della collaborazione con l’università di Cambridge, e quello diplomatico, avendo parlato io stesso di recente con il mio omologo britannico Boris Johnson».

Il vero dramma della famiglia Regeni, dopo la perdita del loro figlio Giulio, è quello di essere cittadini in un Italia in cui il servilismo al potente è condizione necessaria per garantirsi un posto al sole. Un Paese in cui gli eventuali cointeressi economici sono il discrimine principale per decidere chi è buono e chi è cattivo. Un Paese in cui la verità è una parola da pronunciare con tono stentoreo nei discorsi ufficiali per poi ripiegarla e metterla nel cassetto delle bomboniere da propaganda. Un Paese che si ostina a trattare l’Egitto come se le prepotenze e i soprusi, oltre alla congenita perdita progressiva di democrazia, siano qualcosa che non è affar nostro, da lasciare agli egiziani. Un Paese che permette a un capo di governo a forma di sultano di irriderci nel panorama internazionale con favolette da scuola elementare.

E noi, continuamente, servi. Proni. Sdraiati di fronte all’evidenza come se fosse solo un fastidio passeggero. E così succede che anche un Alfano qualsiasi possa impunemente rilasciare dichiarazioni del genere. O meglio, a pensarci bene: così succede che anche questo Alfano qui possa permettersi di fare il ministro.

Buon venerdì.