Sono passati circa tre mesi da quando è comparso in Cina un nuovo coronavirus, il Sars-CoV-2, che provoca gravi infezioni respiratorie (Covid-19, Coronavirus disease-19). Anche se molti lo avevano inizialmente sottovalutato, il virus si è diffuso rapidamente in tutto il mondo e l’11 marzo è stata dichiarata la pandemia, dimostrando quanto fossimo impreparati ad affrontare un patogeno emergente letale che colpisce le vie respiratorie. Il virus sembra essersi adattato bene agli esseri umani di ogni latitudine e classe sociale e, di fatto, ha il potenziale di rimodellare i dati demografici del mondo.
Dalla data di pubblicazione della sequenza del genoma a Rna di Sars-CoV-2 (12 gennaio), la quantità di informazioni acquisite è sconcertante. Oggi sappiamo che si è evoluto in modo naturale, confutando l’idea che si tratti di un agente biologico prodotto in laboratorio. Sappiamo che il tasso di mortalità non è elevato ma che (purtroppo) i tassi di mortalità variano in base alla località. Sappiamo che questo virus non colpisce solo le popolazioni più anziane ed è particolarmente abile nella sua diffusione perché si trasmette anche da persone asintomatiche rimanendo “vitale” fino a 3 ore negli aerosol e 3 giorni su plastica ed acciaio. Sappiamo, comunque, che un virus aggressivo può essere almeno rallentato, come dimostrato non solo dalla Cina e da Paesi come Hong Kong, Singapore e Taiwan che, facendo virtù dell’esperienza con la Sars del 2003, sono riusciti ad impedire che la trasmissione procedesse verso la crescita esponenziale ma anche da Vo’ Euganeo, Padova. Molte domande cruciali restano ancora senza risposta, anche nel caso delle cure e vaccini contro Covid-19, e allo tsunami di notizie utili e veritiere si associa il contagio informativo alimentato da una comunicazione scorretta che deforma la realtà, genera panico e comportamenti controproducenti, complicando la gestione dell’emergenza, creando falsi problemi e false aspettative. Proviamo a fare il punto della situazione e soprattutto chiarezza.
Con circa il 15% dei pazienti Covid-19 in condizioni gravi e con gli ospedali sopraffatti si cerca in primis di riutilizzare farmaci, o combinazioni di questi, già approvati per altre malattie. Oppure si sperimentano quelle molecole che hanno funzionato bene in studi su animali contro la Sars o la Mers. La Cina ha operato da apripista, generando dati su varie decine di trattamenti diversi. Il resto del mondo ha tratto ispirazione dai risultati che sembravano più promettenti. Le molecole utilizzate, appartengono principalmente alle classi degli anti-virali ad ampio spettro (“piccole molecole”) che inibiscono la proteasi o la replicasi virale oppure sono molecole (organiche o biologiche come gli anticorpi) ad attività anti-infiammatoria.
Tra i molti trattamenti usati in Cina “al di fuori degli schemi” c’è anche un farmaco biotecnologico cubano, l’Interferone Alpha 2B (v. Left del 28 febbraio 2020, ndr). Gli interferoni sono proteine anti-virali (famiglia delle citochine) prodotte da vari tipi di cellule come risposta fisiologica dell’organismo alle infezioni virali. Dal primo utilizzo a Cuba nel 1981 contro un’epidemia di dengue emorragico, per il suo ruolo sulla immunità innata, l’interferone Alpha 2B ricombinante è stato usato…
Rosella Franconi è una ricercatrice senior dell’Enea (Centro ricerche Casaccia Roma) presso il Laboratorio tecnologie biomediche della Divisione tecnologie per la salute del Dipartimento sostenibilità
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