Fase 2. Come ne usciamo? Serve un colpo d’ala. Serve immaginazione, una visione politica. Servono massicci investimenti in ricerca scientifica e nella sanità pubblica. Ma non solo. Quella che inizialmente era una crisi sanitaria sta diventando una questione sociale.
Uno degli effetti più evidenti del coronavirus è l’impoverimento generale della popolazione. E c’è il rischio che il tasso di povertà continui a crescere. Basterà il «poderoso intervento da 400 miliardi» annunciato dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che va ad aggiungersi ai 25 miliardi già stanziati? In quanto tempo saranno erogati gli aiuti di Stato? E quali altri provvedimenti saranno messi in campo per chi più di tutti rischia di rimanere indietro? Pensiamo per esempio a colf e badanti, lavoratori stagionali e intermittenti, ai lavoratori atipici e agli autonomi; pensiamo a chi lavora in nero e ai migranti, braccianti agricoli sfruttati e sospinti dai decreti Salvini ancor più in zone grigie di “irregolarità”. In Portogallo il premier Antonio Costa ha lanciato una moratoria, regolarizzando i lavoratori senza permesso di soggiorno e i richiedenti asilo: proposta da emulare ma che da noi ha avuto solo un timido rilancio, come si racconta in questo numero.
“Nessuno resti indietro” avevamo titolato due numeri fa, quando il lockdown doveva essere necessariamente il più serrato possibile per impedire che tante regioni raggiungessero il picco assieme, facendo crollare il Sistema sanitario nazionale. Nessuno resti indietro, ripetiamo, tanto più ora che si inizia a parlare di ripartenza. Con quali misure di sicurezza per i lavoratori? Con quali garanzie per tutti i cittadini rispetto alla necessità di essere tracciati al fine di poter convivere con il virus finché non ci sarà un vaccino? Come cambierà la nostra idea di libertà? Sono questioni niente affatto secondarie che solleviamo in questo sfoglio.
Non solo. Conte parla di «fase 2», ma manca ancora un piano sufficientemente articolato. Per cominciare bisognerebbe varare un reddito di resistenza come hanno proposto Marco Almagisti e Paolo Graziano su Left. Servono maggiori misure di sostegno al lavoro, massicci interventi pubblici. E – torniamo a proporre -, si potrebbero recuperare risorse anche dal taglio dalle spese per gli armamenti, dal recupero dell’evasione fiscale, dall’Ici non pagata dalla Chiesa. Occorre una patrimoniale dicono perfino politici che non sono mai stati di sinistra come Pierferdinando Casini. Non una sorta di flat tax, pensiamo noi, ma una patrimoniale o una efficace tassazione dei redditi modulata secondo il principio costituzionale della progressività.
Ma soprattutto per poter pensare a una fase 2 di graduale ripartenza con tutte le cautele sanitarie necessarie (aspetto cardine su cui interviene qui Enrico Bucci) c’è bisogno della risposta di un’Europa solidale, che finalmente colga l’occasione irripetibile di inverare i principi di un’unione politica e democratica degna di questo nome, che si emancipi dalle ricette neoliberiste e di austerity come scrivono Ovadia e Ferraris, da misure che sono state scelleratamente applicate anche dopo la crisi del 2008 e hanno solo contribuito a generare ulteriori disuguaglianze.
Sappiamo, purtroppo, che quella a cui andiamo incontro potrebbe essere una crisi ben peggiore. E allora bisogna pensare da subito a possibili argini e soluzioni. Tutte da costruire, ci rendiamo ben conto, ma dobbiamo fare passi in quella direzione. Ricette preconfezionate purtroppo non ce ne sono. Come non ci sono precedenti rispetto alla fase che stiamo vivendo. Se la Cina ci è servita da modello per il lockdown, per la ripresa servono strade democratiche che tutelino i bisogni ma anche le esigenze delle persone e che mettano al centro lo Stato di diritto.
Anche per questo è necessaria maggiore collaborazione sovranazionale, sul piano economico e politico. In queste settimane abbiamo visto all’opera scienziati di differenti discipline unire le forze per cercare cure e vaccini. L’astrofisico Federico Nati ci racconta di uno straordinario progetto frutto di ingegno collettivo: scienziati di tutto il mondo con competenze diverse e che prima non si conoscevano hanno unito le forze per creare respiratori low cost, ora in via di sperimentazione. È anche una lezione di metodo quella che viene in questi giorni dalla ricerca scientifica. Dovrebbe approfittarne la politica europea.
La speranza è aperta, ma il can can a cui abbiamo assistito finora è stato avvilente, con la Gran Bretagna che ha avanzato strategie neo malthusiane e all’insegna di un feroce darwinismo sociale, con l’Olanda che ha fatto da capofila contro gli eurobond, con Paesi industrializzati che hanno innalzato barriere protezionistiche impedendo che presidi sanitari raggiungessero i Paesi che ne hanno più bisogno.
Ma se l’Europa si riduce ad essere una unione di Stati nazionali dettata da interessi particolari e rinuncia ad assumersi direttamente la responsabilità di strumenti finanziari sovranazionali, questo non significa certo che la soluzione stia in scorciatoie sovraniste e nazionaliste, nei fatti del tutto impotenti di fronte a problemi globali come una pandemia.
Nelle ultime settimane abbiamo assistito a una drammatica ecatombe negli Stati Uniti. Il negazionismo di Trump e l’assenza di una sanità nazionale pubblica stanno causando migliaia di morti. In Ungheria, il nazionalista Orbán ha approfittato dell’emergenza sanitaria per imporre una dittatura senza riuscire minimamente a tutelare la popolazione (ne parlano qui in un ampio sfoglio Zappacosta, Trasciatti e Scheiring). Peggio ancora, dal punto di vista sanitario, ha fatto Bolsonaro invitando i brasiliani a uscire e a incontrarsi come se non esistesse alcun rischio. Come ha proposto in Italia il sodale di Orbán e Bolsonaro, Matteo Salvini, chiedendo di riaprire le chiese per Pasqua. Una proposta letteralmente fuori dal mondo, ripresa da Forza Nuova, che ha lanciato una marcia di Pasqua e una processione a San Pietro, chiamando a raccolta tutti i militanti di estrema destra, in totale dispregio delle norme sanitarie e di prevenzione.
Nella domenica delle Palme la polizia è dovuta intervenire a Frascati dove è stata celebrata messa; altri casi simili si sono verificati in Calabria e altre regioni. Del resto papa Bergoglio non aveva certo dato il buon esempio con la sua passeggiata romana (vedi Left del 20 marzo) per andare a pregare, incurante delle ordinanze a tutela della salute pubblica. Ma l’eco mediatica di plauso è stata pressoché unanime. E su eminenti giornali della borghesia illuminata come il Corsera ora si leggono commenti che invocano il ritorno della religione come fatto pubblico; è tutta una gara da Polito a Galli Della Loggia. Quale religione immaginano per la sfera pubblica degli anni Duemila e a che loro dire sarebbe un collante sociale? Quella predicata dall’arcivescovo Carlo Maria Viganò secondo il quale la pandemia sarebbe una punizione di Dio contro i «peccati come aborto, eutanasia e il matrimonio omosessuale»?
A chi volesse farsi un’idea più precisa di quali e quanti danni alla salute pubblica abbiano fatto i leader religiosi durante questa pandemia consiglio di leggere il reportage di Giordano Stabile, uscito il 5 aprile su La Stampa con il titolo Santuari e moschee piene, così il virus dilaga. E ancor più il lungo, e il documentato articolo, Dieu et le virus, di Laurent Joffrin, direttore di Liberation, uscito il 3 aprile. «Confidando nella scienza più che sulle genuflessioni e benedizioni» il direttore del quotidiano francese traccia una mappa che lascia sgomenti: dalla Corea del Sud, dove i militanti della Chiesa Shincheonji di Gesù hanno chiamato i fedeli a raccolta, agli Usa dove continuano i raduni di evangelici supportati da Trump, sono innumerevoli di casi di meeting religiosi seguiti da esplosione di contagi. Qualche esempio? In Israele la metà delle persone ricoverate in ospedale proviene da comunità ultra-ortodosse. In Iran il focolaio della città santa di Qom si è espanso per le cerimonie di massa che sono continuate perché l’Ayatollah si è rifiutato di interrompere i riti, sostenendo che il santuario fosse un luogo di guarigione. A Nuova Delhi, in India, più di tremila persone hanno partecipato a un incontro della Tabligh Jamaat, un’organizzazione di missionari fondamentalisti, per poi diffondere il virus in numerose regioni, tornando a casa. Accade anche nella laicissima Francia.
Scrive ancora Joffrin: «Come ben sappiamo, è stato un incontro evangelico di tre giorni che si è tenuto nella parte orientale della Francia, il “Christian Open Door”, il propagatore più efficace della malattia sul resto del territorio, quando i pellegrini illuminati dalla grazia sono tornati a casa portando, oltre alla buona parola, grandi dosi di coronavirus con cui hanno contagiato i loro parenti e i loro vicini. La “porta cristiana” in questione è stata una porta aperta alla malattia».
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