La famosa transizione energetica rischia di essere brutalmente ridimensionata se non di fallire. Trascinando con sé imprese e lavoratori

L’industria dell’auto europea non è messa esattamente bene. Lo testimoniano due annunci arrivati alla fine della scorsa settimana, rispettivamente, da Volkswagen e Volvo Cars.
Cominciamo da quest’ultima. Il 4 settembre il gruppo svedese ha rilasciato un comunicato stampa dal titolo “Volvo Cars modifica le proprie ambizioni di elettrificazione, rimanendo impegnata in un futuro completamente elettrico”. Il testo spiega che «con cinque auto elettriche (EV) già sul mercato e altri cinque modelli in fase di sviluppo, l’elettrificazione completa rimane un pilastro chiave della strategia di prodotto di Volvo Cars.

Il suo obiettivo a lungo termine rimane quello di diventare un’azienda automobilistica completamente elettrica e mira anche a raggiungere emissioni zero di gas serra entro il 2040». Ma: «sebbene Volvo Cars manterrà la sua posizione di leader del settore nell’elettrificazione, ha ora deciso di adeguare le sue ambizioni di elettrificazione a causa delle mutevoli condizioni di mercato e delle esigenze dei clienti».
Spiega poi, Volvo, che una percentuale che potrà raggiungere il 10% dei modelli in vendita potrà essere composta di modelli «mild hybrid», quelli cioè dotati di un motore elettrico e una batteria di dimensioni contenute, sistema nel quale il motore elettrico funge da starter, avviando il motore principale e fornisce assistenza a partenze e accelerazioni.
«Questo – spiega il comunicato – sostituisce la precedente ambizione dell’azienda di avere una gamma completamente elettrica entro il 2030».
Infine, Volvo «entro il 2025, si aspetta che la percentuale di prodotti elettrificati si attesti tra il 50 e il 60%. Ben prima della fine di questo decennio, Volvo Cars avrà a disposizione una gamma completa di auto completamente elettriche. Ciò consentirà a Volvo Cars di passare all’elettrificazione completa quando le condizioni di mercato saranno adatte». Sottolineiamolo: «quando le condizioni di mercato saranno adatte».

Il mercato dell’auto elettrica non è precisamente fiorente. Ciò, nonostante, o in contrasto, con il divieto previsto per il 2035 dall’Unione europea della vendita di auto e furgoni con motori a combustione interna. Infatti, il mercato delle auto elettriche è in una critica fase di rallentamento. C’è, sì, una crescita globale delle vendite. Ma al momento inferiore in modo significativo rispetto agli anni precedenti. I consumatori non aderiscono al processo di elettrificazione nel modo auspicato da istituzioni e produttori. In parole povere, le auto elettriche costano troppo per molti consumatori e restano accessibili a chi ha disponibilità economiche superiori alla media.
Le difficoltà non riguardano solo Volvo. Così il 5 settembre anche Volkswagen ha fatto un annuncio ancor più inusitato di quello della casa svedese: l’ipotesi, in via di valutazione, di chiudere due impianti in Germania. Una cosa mai vista negli ottantasette anni di vita della casa di Wolksburg, oggi parte del Gruppo Porsche Automobil Holding SE.

Siamo in Germania. La “locomotiva d’Europa”. Il Paese dell’economia sociale di mercato. Nel quale i rappresentanti dei lavoratori ricoprono metà dei posti nel Consiglio di Sorveglianza e il Land della Bassa Sassonia detiene il 20 per cento delle azioni. Insomma: un annuncio, l’ipotesi di chiusura di stabilimenti, pesantissimo per quel Paese e gravido di conflitti. Ma VW ha grossi guai per i costi di processo e del lavoro e i suoi margini operativi sono calati pericolosamente nell’ultimo anno.

Nel frattempo, per eludere i dazi imposti dall’Unione, i produttori cinesi, dominatori del mercato dell’elettrico, cominciano ad aprire stabilimenti in Europa.
In Italia, le strategie di Stellantis sono avvolte da una impalpabile nebbia, mentre dal governo non arriva alcun segnale preciso relativo a una qualche forma di politica industriale nel settore. E della Gigafactory di batterie prevista a Termoli non si hanno notizie da un po’.
Insomma, la famosa transizione energetica rischia semplicemente di essere brutalmente ridimensionata se non di fallire. Trascinando con sé imprese e lavoratori. È quanto mai urgente che la politica in Italia come in Europa metta mano a una seria valutazione della realtà, delle scelte e delle misure da adottare per far fronte al rischio di un tracollo dell’auto, cuore del tessuto produttivo industriale.

L’autore:  Sindacalista e già ministro del lavoro Cesare Damiano è presidente di Lavoro & Welfare