Chi inneggia a un regime può contare sull’indifferenza istituzionale. Chi distribuisce volantini sul referendum deve mostrare i documenti

I fascisti marciano in centro a Milano in formazione paramilitare. In duemila, con saluti romani e simbologie vietate. Nessuno li ferma. Nessuno li identifica. Nessuno li denuncia.

Pochi giorni dopo, a Roma, la polizia si presenta invece davanti a un banchetto della Cgil che distribuisce volantini sui referendum contro il Jobs Act. Gli attivisti vengono identificati uno a uno. A Udine, l’università nega un’aula per un incontro con Landini: evento “troppo politico”. Parlare di lavoro, oggi, è un’attività da sorvegliare.

L’Anpi lo scrive chiaramente: non si tratta più di provocazioni, ma di una “gravissima condotta apologetica”, in violazione delle leggi Scelba e Mancino. E quindi della Costituzione, che nella sua XII disposizione vieta la ricostituzione, anche indiretta, del partito fascista.

Ma più della violazione colpisce l’impunità. Più dell’impunità, colpisce la protezione. Perché qui non c’è vuoto normativo. C’è una scelta politica.

Un antifascismo sotto osservazione, un fascismo sotto tutela. Chi difende la Repubblica viene fermato, chi la insulta viene accompagnato.

C’è una linea netta che divide chi può manifestare e chi deve giustificarsi. Chi inneggia a un regime può contare sull’indifferenza istituzionale. Chi distribuisce volantini deve mostrare i documenti.

Non è solo un doppio standard. È un test di resistenza della democrazia. E lo stiamo fallendo, giorno dopo giorno, corteo dopo corteo, silenzio dopo silenzio.

Buon lunedì. 

 

Foto AS