Nei giorni scorsi circa sessanta docenti del liceo Machiavelli hanno firmato e pubblicato un appello contro la guerra, mossi dalla necessità profonda di non continuare a rimanere in silenzio di fronte alle atrocità che vediamo accadere ogni giorno, di dire no a una situazione a cui ormai tutti, volenti o nolenti, ci stiamo abituando.
Questa presa di posizione appare significativa su più livelli, primo tra tutti quello della coscienza individuale. Ognuno dei docenti che ha sottoscritto tale lettera ha deciso di rompere un silenzio, di spezzare questo clima di indifferenza generale che sembra averci fatti calare come in una nebbia.
Oggi ci troviamo a reagire con indifferenza alle immagini di morte che vediamo scorrere ogni giorno sui nostri schermi, un po’ come Meursault, protagonista dell’opera “Lo straniero” di Albert Camus che commenta la morte della madre dicendo senza emozione «Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so». Tuttavia, mentre in Camus l’indifferenza di Meursault rappresentava una sfida scioccante e un tradimento verso il codice morale condiviso, oggi questa stessa indifferenza sembra essere diventata la reazione predefinita di fronte alla valanga di notizie di morte e sofferenza che ci investono quotidianamente. Il paradosso è evidente: ciò che un tempo era un’anomalia inquietante è ora quasi la norma, una sorta di anestesia collettiva che ci rende impermeabili all’orrore. In quest’ottica prendere una decisione, schierarsi, esprimere le proprie idee diventa fondamentale, nella consapevolezza che ogni coscienza che si muove, ogni libertà che si implica in una scelta è il primo motore del cambiamento.
In secondo luogo questa lettera esprime un preciso modo di intendere la scuola e il ruolo del docente: la scuola può essere il luogo dove passato e presente si incontrano, dove la ragione fiorisce, dove il senso critico si forma. Essa può essere un luogo in cui docenti e studenti dialogano scambiandosi idee, dove i docenti mettono a disposizione le loro conoscenze e competenze e nel contempo si lasciano muovere dal fuoco dei giovani che hanno davanti. Questo NO alla guerra ha dentro il desiderio che le nostre classi siano fucine di cultura, che la scuola costituisca, come si dice nel documento, “una zona di resistenza, refrattaria e impermeabile, ai vari tentativi di allineamento, normalizzazione, oscuramento”. D’altra parte troppo spesso i docenti si accontentano di ricoprire un ruolo culturalmente marginale, di non incidere, di non esporsi. È necessario che i docenti stessi siano consapevoli della portata del loro ruolo, che decidano volontariamente di fare cultura nelle aule delle nostre scuole. Se essi per primi abdicano al loro compito, sarà difficile pensare che la scuola possa diventare davvero un luogo di formazione per cittadini liberi e pensanti.
Infine, dire NO significa anche condividere una posizione che sia in grado di stimolare le coscienze altrui a un simile passo di consapevolezza. Il NO alla guerra dei docenti del Machiavelli, nato dalle esigenze dei singoli, è diventato in questi giorni un possibile catalizzatore per un più ampio movimento di collaborazione tra scuole. Il desiderio espresso da docenti di altri istituti di unirsi a questa voce, redigendo documenti analoghi, è la prova che dare un giudizio chiaro sul presente che ci circonda può ancora avere un effetto significativo. Se ogni docente decidesse di uscire da questa nebbia di indifferenza, se le scuole decidessero di fare sistema e di agire congiuntamente, rafforzando la loro missione educativa al di là delle mura della singola aula, si creerebbe una zona di resistenza ancora più forte. Vale la pena allora impegnarsi nella costruire una collaborazione concreta tra docenti di scuole diverse, perché questa unione di intenti e di consapevolezza possa davvero fare la differenza.
Che si tratti di battersi per la pace, per i diritti civili, o per la rivalutazione della figura professionale del docente, la condivisione trasforma l’azione isolata in un coro potente, capace di fare una differenza reale. Per questa ragione invitiamo chi vuole aderire a scrivere numero di adesioni e nome della scuola al seguente indirizzo email: [email protected]
Ecco il testo integrale dell’appello, firmato da più di sessanta docenti del liceo Machiavelli e di altre scuole di Firenze
Un appello contro la guerra: diciamo NO
Siamo docenti del Liceo Machiavelli di Firenze, educatori ed educatrici: non possiamo più tacere, pena contraddire la nostra identità e il nostro ruolo, di fronte all’immane massacro che si compie ogni giorno nella striscia di Gaza e all’escalation bellica che sembra paventare una terza guerra atomica mondiale. Tutto ciò tocca profondamente le nostre coscienze umane, civili e professionali.
La scuola ha come compito primario la formazione dei giovani come cittadini liberi e pensanti. A tal fine ogni giorno li abituiamo a mettere in relazione il passato con il presente, a creare connessioni, a ragionare sulle trame complesse, i progressi e i regressi che l’umanità ha compiuto; sembra un esercizio innocuo e neutro, ma invece è lo strumento più potente che abbiamo e che possiamo trasmettere: mettere insieme i fatti, secondo un nesso di causa ed effetto, rendere e renderci più consapevoli di fronte ai processi storici, restituisce concretezza alla realtà e ci consente di vivere il presente non come destino ineluttabile, ma come insieme di eventi su cui è possibile incidere, tentando sempre di modificare, nel proprio piccolo, e non solo, ciò che non va. Creando un dialogo fra passato-presente-futuro si può trasmettere l’idea che le cose possono cambiare, che un mondo diverso è possibile. Forse è proprio questo il senso rivoluzionario della scuola: insegnare ai giovani il valore della memoria raccontando loro da dove proveniamo. In questo senso essa costituisce una zona di resistenza, refrattaria e impermeabile ai vari tentativi di allineamento, normalizzazione, oscuramento. Essa resta oggi quasi sola a richiamare l’art.11 della nostra Costituzione, ripudiando la guerra in un mondo che, invece, sembra assuefarvisi.
Nella tensione tra passato e futuro – “la scuola siede tra passato e futuro”, scriveva don Lorenzo Milani – si gioca l’equilibrio della didattica e la lotta quotidiana ai tentativi di appiattirci a un presente che non lascia margini di speranza di incidere su di esso e sul futuro. Restituire invece l’idea che sempre è possibile cambiare sé stessi e il mondo facendo tesoro delle esperienze e degli errori del passato rappresenta uno degli obiettivi principali della costruzione conoscitiva e culturale degli esseri umani.
Oggi, di fronte a ciò che sta accadendo a Gaza e in Medio Oriente, sembra di assistere a un punto di non ritorno.
Tanto è l’oltraggio dell’umano che ci chiediamo se ancora una volta dovremo individuare un “unicum” per intensità e sistematicità delle violenze inflitte. Al tempo stesso però, proprio perché immersi nella storia, nelle storie, nelle scienze, nelle arti e in tutto ciò che di “spirituale” sono capaci di produrre uomini e donne, ci rifiutiamo di accettare un simile orrore come “Il Male inspiegabile”, ma ci sforziamo, come siamo soliti fare ogni giorno nelle nostre classi, di riflettere sulle cause più lontane e più vicine.
Verrà un giorno in cui i nostri manuali si chiederanno dove era l’umanità quando succedeva tutto questo e come abbiamo potuto accettare che accadesse. Ci sono dei momenti in cui indignazione, rifiuto e disobbedienza diventano fondamentali, soprattutto quando politica, cultura e informazione restano a guardare in un ossequioso silenzio o in un rumore che confonde e distorce.
Dire di NO alla violenza, dire di NO alla guerra, affinché esse cessino di entrare nei libri di storia.
Hannah Arendt ci aveva già ammonito: a Norimberga e a Gerusalemme si denunciava un crimine nuovo del Novecento: la volontà di far sparire un intero popolo dalla faccia della terra. Camus, in piena guerra fredda, nel 1957, richiamava il valore dell’intellettuale nel combattere, con la propria arte, l’ostinazione dell’istinto di morte sempre pronto a rinascere nella storia.
Noi tutti, oggi, nel 2025, dobbiamo insorgere contro guerre e devastazioni che non ascoltano più nemmeno la voce dei Tribunali Internazionali e osano mettere in atto potenze nucleari molto più devastanti di quelle ideate negli anni Cinquanta e Sessanta. Come insegnanti, mettiamo mano a tutto il nostro sapere per dire NO all’orrore cui ormai assistiamo quotidianamente nel silenzio assordante di tutte le potenze mondiali. Ci appelliamo ai valori di convivenza, pluralismo e dialogo che insegniamo per non fare del nostro mondo un “mondo di carta” che ignora il mondo in “carne, ossa e sangue” che sta là fuori.
L’autrice: Ester Volpetti è una docente