Sono passati trent’anni ma, in Serbia e non solo, c’è ancora chi nega i crimini compiuti nella zona demilitarizzata sotto il controllo delle forze di protezione dell’Onu per la ex Jugoslavia

L'atto finale di un genocidio è la sua negazione. La deformazione strumentale del ricordo degli orrori subiti da parte dei sopravvissuti, dei parenti delle vittime, di chi è stato torturato, seviziato, violentato, come se si trattasse di un’allucinazione perversa della propria immaginazione e non di fatti realmente accaduti. La manipolazione ideologica degli eventi che nega ai vinti la possibilità non tanto di aspirare a una giustizia che non si può ottenere, quanto di rivendicare un rispetto nel dolore che restituisce dignità alla vita. La rimozione dalla coscienza delle persone traumatizzate delle origini del trauma, svuotando il male di ogni suo significato e lasciando le ferite aperte senza un perché. In questi giorni, 30 anni fa, accadeva Srebrenica, uno dei capitoli più tragici della storia europea, ma c’è ancora chi nega che quel genocidio sia mai avvenuto.

Cominciò l’11 luglio del 1995 il massacro dei bosgnacchi e, nel giro di alcuni giorni, oltre 8mila uomini e ragazzi bosniaci musulmani vennero trucidati a Srebrenica e nei dintorni, con l’obiettivo di creare una regione etnicamente omogenea da annettere facilmente alla Serbia. Srebrenica, situata nella parte orientale della Bosnia, era un’enclave musulmana nel territorio della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (Srpska). Molti bosgnacchi si erano rifugiati lì durante la guerra, da cui si difendevano dagli attacchi dei serbi che circondavano l’area. Nell’aprile del 1993 Srebrenica venne però demilitarizzata e dichiarata una “safe zone”, sotto la tutela di Unprofor (United nations protection force), le forze di protezione dell’Onu per la ex Jugoslavia, che aveva inviato lì un contingente olandese per garantire che non vi fossero attacchi armati.

La città era sotto assedio dal 1992, cioè da quando la Bosnia ed Erzegovina aveva proclamato la sua indipendenza dalla ex Jugoslavia e Radovan Karadžić, leader del Partito democratico serbo, aveva istituito, senza alcun fondamento giuridico e contro la costituzione vigente, la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina. Da quel momento cominciarono le famose pulizie etniche, cioè il tentativo di eliminare fisicamente i musulmani dal territorio serbo-bosniaco, in modo da realizzare il progetto di una “Grande Serbia”. I Serbi

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