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Terremoto in Centro Italia. 5 cose da sapere per capire il sisma

Rubbles and destroyed houses in Camerino, near Macerata, a day after two big earthquakes shook central Italy, 27 October 2016. At least 200 aftershocks followed the first of two big earthquakes to hit central Italy on Wednesday, the National Institute of Geophysics (INGV) said Thursday. The first 5.4 magnitude quake struck at 19:10 Italian time and was followed by an even bigger one, of magnitude 5.9, at 21:18. But there were at least 200 aftershocks too. ANSA/ CRISTIANO CHIODI

1. Cosa sta succedendo?

Con questo sisma non si apre un terzo fronte, la nuova scossa agisce all’incirca nella stessa area delle precedenti. E allora cosa è successo? «Si è attivata una faglia lunga 30 chilo-metri registrando un allargamento della crosta assieme allo sprofondamento di un blocco nella parte che si è ribassata» spiega Alessandro Amato, dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, al Corriere della Sera.

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2. Perché la terra continua a tremare?

C’è stato quello che si definisce “contagio sismico” dopo la rottura delle strutture geologiche delle diverse placche tettoniche che si incontrano nell’area Appennino (vedi immagine sotto).

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3. Quante altre scosse ancora?

Per capire quante saranno le scosse di assestamento entra in gioco una legge di ripristino di equilibrio delle forze della crosta terrestre chiamata legge di Gutenberg-Richter.
In sismologia, la legge di Gutenberg–Richter esprime la relazione fra la magnitudo nella scala Richter e il numero del totale dei terremoti almeno di quella magnitudo in una data regione e periodo di tempo. Ovvero ci dà una misura di quante altre scosse minori servono per ribilanciare una scossa di una determinata magnitudo.

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Il valore della costante b è tipicamente molto prossimo a 1,0 nelle regioni sismicamente attive. Questo significa per una scossa di magnitudo 6,5 dovranno essercene altre 10 di magnitudo 5,5 100 di magnitudo 4,5 ecc.
Oltre a questo è impossibile fare una previsione certa di quello che accadrà. «Potrebbe anche verificarsi l’apertura di un terzo fronte innescato dai precedenti le cui conseguenze sono imprevedibili» spiega Alessandro Amato.

3. Perché scosse così intense?

L’Italia è sottoposta a costante tensione nella sua zona centrale a causa della frizione e della spinta verso nord della placca africana sulla placca euroasiatica. Inoltre la nostra area è frammentata da una serie di micro-placche che interagiscono fra di loro. L’intensità della scossa non è anomala, storicamente abbiamo traccia di manifestazioni molto intense. La peggiore fu quella dell’Irpinia nel 1980 con magnitudo 6,9. La scossa di questi giorni è invece paragonabile per intensità a quella che sconvolse il Friuli nel 1976.

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Una frattura creatasi sulla montagna a seguito del sisma ripresa da SkyTg24, Castagneto sul Nera

La crepa sul monte Vettore causata dall'ultima forte scossa di terremoto, Norcia, 30 ottobre 2016. ANSA/ SOCCORSO ALPINO - UFFICIO STAMPA ++HO - NO SALES EDITORIAL USE ONLY++
La crepa sul monte Vettore causata dall’ultima forte scossa di terremoto, Norcia, 30 ottobre 2016.

4. Perché le scosse durano così tanto?

Anche la persistenza nel tempo delle scosse è un fatto che è storicamente accertato nella storia sismica della nostra Penisola. «Uno dei primi casi noti risale al 1456 – spiega Andrea Tertulliani dell’Ingv al Corriere —. Colpì dall’Abruzzo alla Calabria con una violenza oggi valutata intorno a 7.1 della scala Richter. Fu uno dei più disastrosi della storia della Penisola con oltre trentamila morti. Dopo la scossa principale la terra tremò per mesi».

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5. Come si propagano le onde sismiche?

Le onde di colore blu indicano che il suolo si sta muovendo velocemente verso il basso, quelle di colore rosso indicano che il suolo si sta muovendo verso l’alto. L’intensità del colore è maggiore per spostamenti verticali più veloci.
Ogni secondo dell’animazione rappresenta un secondo in tempo reale. Sono rappresentati i primi 85 secondi a partire dall’origine dell’evento sismico.

Al terremoto abbiamo dedicato la copertina di Left n. 45 in edicola dal 5 novembre

 

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Hello darkness

In ginocchio sulle macerie

The Basilica of San Benedetto destroyed after the strong earthquake in central Italy, Norcia, Umbria Region, 30 October 2016. ANSA/CLAUDIO SEBASTIANI

Che si creda o no l’immagine dei cittadini di Norcia inginocchiati sulle macerie nella piazza cittadina è la moderna versione della Pietà di Buonarroti. È il cadere sulle ginocchia perché si spezzano le gambe sotto il peso degli eventi, la disperanza che diventa cemento nelle vene e la paura di alzare lo sguardo più lontano del luogo calpestato. Il terremoto di ieri non è terremoto misurabile per vittime e danni, non solo: il terremoto di ieri è il colpo di vento che ci abbatte appena rialzati, uno sgambetto che appare mostruosamente chirurgico e cronico oppure più banalmente l’insopportabile perseveranza del dolore quando perdura.

Quando questo Paese si ritrova ad affrontare dolori così grandi riesce sempre a spremere una compostezza commovente e l’aria intorno, appena si posa lo sbriciolio delle macerie, si fa greve ma comunitaria e responsabile.

Mi chiedevo ieri sera guardano le immagini e ascoltando i commenti e le voci se davvero serva sempre un lutto per riuscire a scalare pareti dell’umanità che poi inevitabilmente tornano ad essere disabitate e sbeffeggiate. Mi chiedo, e non ho la risposta, perché ormai la convergenza solidale avvenga solo quando si ha paura di morire o si ha contezza di esserne scampati per poco. Cosa diluisce la responsabilità poi cammin facendo? Domando, esclusi i Salvini e i complottisti, perché non si riescano a innescare questi stessi sensi corrispondenti sulle ingiustizie provocate dall’uomo, dalle persone sulle persone, senza bisogno di falde e smottamenti.

Forse conviene tenersele in tasca, come memorandum, le macerie prima di ricostruire.

Buon lunedì.

Italiani, il trionfo della diversità

Chi siamo, noi Italiani? L’antropologo Giuseppe Sergi non ha dubbi: la razza «più bella morfologicamente che sia apparsa in Europa». Ma lui si crogiola in questa sicurezza alla fine dell’Ottocento. Poi c’è stato il fascismo, che sull’idea di razza italiana pura ha fondato le sciagurate leggi razziste del 1938. E oggi c’è la genetica, che smonta entrambe le assunzioni di Giuseppe Sergi. Intanto perché è stato dimostrato che il concetto di razza umana non ha alcun fondamento scientifico. E poi perché non esiste una popolazione italica sufficientemente omogenea. Ma nella penisola esiste un gradiente di diversità genetica che fa della popolazione italiana la più variegata d’Europa.

È questo il succo di una serie di studi che hanno trovato una sintesi, provvisoria, in un articolo, The Italian genome reflects the history of Europe and the Mediterranean basin, pubblicato lo scorso luglio sull’European Journal of Human Genetics (l’articolo era apparso già sull’edizione on line della rivista nel novembre 2015) a opera di Giovanni Fiorito, antropologo dell’Università di Torino e di un gruppo di suoi collaboratori tra cui Alberto Piazza, un pioniere di questi studi, e in un libro, Italiani. Come il Dna ci aiuta a capire chi siamo, pubblicato a settembre con l’editore Carocci da due antropologi della Sapienza, Università di Roma: Giovanni Destro Bisol e Marco Capocasa.

Continua su Left in edicola dal 29 ottobre

 

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Polveriera Afghanistan. Dove i civili muoiono o fuggono

epa05578262 Afghan security officials during an operation against Taliban militants in 3rd district of Helmand province, Afghanistan, 09 October 2016. Afghan security forces are engaged in an operation against Taliban militants in restive Helmand province to clear the area of Taliban and to destroy their safe havens. EPA/WATAN YAR

Rischio, esplosione, boato. «Oggi hanno cominciato alle otto e non hanno ancora smesso». Daniele Giacomini è il “logista” di Emergency e la sua voce arriva a tratti, la comunicazione è interrotta da fragori, schianti di bombardamenti e rimbombo di eliche d’elicotteri: «Oggi ce ne sono molti in aria, i governativi hanno cominciato un’operazione molto grossa, non stiamo ricevendo tanti pazienti negli ultimi giorni, non perché la situazione sia migliorata, ma perché le strade sono evidentemente impercorribili, non pulite. Anzi, la situazione sta peggiorando». Il 9 ottobre scorso un razzo è arrivato nei pressi della struttura di Emergency, «il target è il compound governativo che si trova vicino al nostro ospedale», dice Daniele. Lashkar Gah vuol dire proprio caserme in persiano, è la città delle barraks nella provincia di Helmand, tutta sotto controllo talebano. «Quello che dicono tutti qui è che un assedio così grande non si era mai visto prima, la settimana scorsa la città si è svuotata».
Da inizio ottobre le sale operatorie di Emergency hanno lavorato ininterrottamente, compiendo anche trenta operazioni al giorno: «Praticamente non si sono mai fermate, le sale erano sempre piene», dice Vesna, responsabile medico della struttura che ha incrementato i posti letto da 97 a 108.

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Terremoto 6.5, crolli anche a Norcia. Serve vera prevenzione, non il silenzio-assenso

Un violento terremoto di magnitudo 6.5 è stato avvertito in tutto il Centro Italia. Al momento non si segnalano vittime, ma alcuni feriti. Il sisma è stato percepito in un’ampia zona che va da Pordenone a Napoli. L’epicentro della scossa delle 7.40 del 30 ottobre  è stato localizzato fra Marche e Umbria, fra Macerata Ascoli Piceno e Perugia. Più precisamente, secondo l’Istituto nazionale italiano di geofisica e vulcanologia (Ingv), a 7 km a Castelsantangelo sul Nera e a 5 km e mezzo da Norcia che è fra le cittadine più colpite: qui sono crollate la Basilica di San Benedetto e la cattedrale di Santa Maria argentea, danneggiata la piazza. Secondo Alessandro Amato dell’Ingv, si potrebbe trattare di uno sciame sismico in continuità con quelli del 24 agosto e del 26 ottobre.

Molte le località fortemente colpite in prossimità dell’epicentro, a cominciare da Preci, dove il sindaco Pietro Bellini parla di ingenti danni a edifici storici e chiese. Ad Amatrice, la cittadina quasi completamente distrutta dal sisma dell’estate scorsa, ci sono stati nuovi crolli. Ad Accumuli “è crollato tutto” dice il sindaco a Repubblica. Il sisma ha colpito anche le Marche coinvolgendo Fabriano e numerose altre cittadine.Il paese di Arquata del Tronto è stato raso al suolo. Crollate anche le case che avevano resistito al sisma delle scorse settimane. A rimanere in piedi solo la rocca del Castello di Arquata, simbolo della cittadina marchigiana. Nuovi crolli anche a Visso, in particolare a molti edifici già lesionati dal precedente terremoto, con segnalazioni di un forte odore di gas proveniente dalle tubature rotte. Ancora crolli a L’Aquila, anche in via XX settembre, ma solo a palazzi che erano da demolire perché semi distrutti dal terremoto del 6 aprile 2009.

Ancora una volta ci troviamo  a conteggiare i danni, per fortuna – pare – non le vittime, le verifiche della protezione civile sono in corso. Ma il caso di Norcia, che sembrava aver resistito dopo il sisma di agosto, insegna. Evidentemente non sono bastati neppure gli interventi realizzati dopo il sisma del 2007. La penisola, e in particolare la dorsale appenninica, è sempre stata soggetta a terremoti, ma negli ultimi trent’anni è stato fatto poco o nulla per la messa in sicurezza del territorio. Anzi. Con una feroce deregulation e con la politica dei condoni praticata dai governi Berlusconi si è favorito l’abuso edilizio e si è dato il via libera a costruzioni vicine all’alveo dei fiumi. In questi giorni si ricorda l’alluvione che colpì Firenze il 4 novembre del 1966. Ma in questi cinquant’anni non è stato fatto nulla per cambiare la situazione. E l’Arno è nella stessa condizione di allora.

Eventi come il terremoto o l’alluvione non sono un castigo divino come dice un ministro israeliano, ma cataclismi naturali. Lo Stato ha il dovere di intervenire non solo quando il disastro è ormai avvenuto, ma anche e soprattutto prima, facendo il più possibile prevenzione, lavorando alla messa in sicurezza del territorio, incentivando ristrutturazioni anti sismiche, controllando palmo a palmo il territorio come è scritto nella Costituzione. Ma le scelte di governo dagli anni Novanta ad oggi sono andate in tutt’altra direzione.

Lo stesso premier Matteo Renzi ha più volte stigmatizzato come anti- moderno il lavoro delle soprintendenze («soprintendente è la parola più brutta del vocabolario della burocrazia», ha scritto nel suo libro Stil novo). Procedendo al loro smantellamento.  Con la riforma varata dal ministro dei Beni culturali e del Turismo, Dario Franceschini, e con la riforma Madia dell’amministrazione pubblica, come è noto, sono state poste sotto il controllo delle prefetture. Rallentando così il lavoro delle soprintendenze, su cui ora pende la spada di Damocle del silenzio assenso. Una clausola che le obbliga a rispondere entro 90 giorni a progetti di intervento paesaggistico e architettonico. Se le soprintendenze, oberate di lavoro e sotto organico, non riescono a fare la valutazione in tempo, scatta automaticamente il via libera ai lavori per cui era stato richiesto il permesso,qualsiasi sia il progetto.  

Fa riflettere la lettera a Repubblica scritta da Alessandro Delpriori, sindaco di Matelia : «C’è una ferita che fa male. Sono anche uno storico dell’arte che da anni si occupa dell’arte tra Umbria e Marche. Dopo le prime scosse di Amatrice e Arquata ci siamo subito accorti che la situazione per il patrimonio storico artistico era molto difficile, nella zona tra Fabriano e Ascoli Piceno erano centinaia le chiese inagibili, migliaia le opere d’arte in pericolo. Di fronte a tutto questo le soprintendenze erano in stallo totale, non per cattiva volontà dei funzionari sul territorio che invece sono sensibili e molto attivi, ma nella sostanza non si è fatto nulla».

Citando Giovanni Urbani e il suo lungimirante  Piano pilota per la conservazione programmata dei beni culturali in Umbria, anche il  presidente del Consiglio Superiore per i Beni culturali e paesaggistici del Mibact,  Giuliano Volpe, in un passaggio del suo commento scrive: “In Italia manca ancora una vera cultura della prevenzione anche nel campo del patrimonio culturale. Si preferiscono ancora i grandi restauri (che sono legati anche a grandi appalti e grandi finanziamenti), ma stenta ad affermarsi un approccio sistemico, fondato prevalentemente sulla manutenzione programmata, sulla riduzione del rischio sismico, sulla corretta gestione del territorio, in una visione contestuale, nella quale monumenti e paesaggi siano studiati e curati come elementi in un sistema complesso, inestricabilmente legati gli uni agli altri”.  la cultura della prevenzione, non manca , come dimostra anche l’esempio di Urbani e la sua  idea di archeologia preventiva, ciò che manca- ci sembra di poter dire – dagli anni Novanta a oggi è la volontà politica di attuarla.

Parliamo del terremoto anche su Left in edicola dal 5 novembre

 

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L’Italia delle ecoenergie è pulita e guarda al futuro

Impianto fotovoltaico nel Comune di Alfonsine (RA). ANSA / US LEGAMBIENTE ++NO SALES EDITORIAL USE ONLY++

Sono anni che giro l’Italia, anni in cui vado alla ricerca di esperienze di cambiamento positivo nella società. Prendo, parto, intervisto, riprendo, monto, scrivo al mio pc, pubblico sul nostro giornale web. Tutte attività che richiedono una grande energia fisica e anche una grande energia… meccanica. Per fare il mio lavoro, infatti, mi muovo in camper, treno, auto (che consumano energia). Uso telecamere, computer, tablet, telefoni (che richiedono energia).
Quando vivi in camper – io l’ho fatto quasi un anno mentre indagavo sull’Italia che Cambia – ti rendi conto che quasi nulla di ciò che avevi in casa ti manca davvero. Quasi. Una cosa ti manca però: l’energia. In camper devi sempre stare attento a non consumarne troppa, altrimenti resti senza batterie di servizio e quindi senza acqua per cucinare, frigo per raffrescare ed energia per caricare i tuoi strumenti tecnologici indispensabili. Può sembrare che mi stia dilungando su un concetto banale, eppure – come spesso accade – sono proprio le cose più banali quelle che sfuggono al nostro controllo. Senza energia questo mondo si ferma. Ma continuando a consumare energia come facciamo oggi questo mondo muore (e non starò qui ad elencare gli effetti quasi irreversibili del cambiamento climatico, dell’inquinamento e delle guerre dovute alla ricerca di petrolio e altre fonti fossili).

Continua su Left in edicola dal 29 ottobre

 

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Il lavoro nell’era delle riforme strutturali

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (d) con il ministro dell'economia Pier Carlo Padoan, durante le comunicazioni in aula al Senato in vista del Consiglio Ue del 17 e 18 marzo. Roma 16 marzo 2016. ANSA/ANGELO CARCONI

Individualizzato, frammentato, dequalificato. Tre aggettivi che ben rappresentano il mercato del lavoro italiano nell’epoca delle “riforme strutturali”. L’abbattimento delle tutele – prima tra tutte l’abolizione dell’articolo 18 operata con il Jobs act – ha esposto una crescente moltitudine di lavoratori a una condizione che non offre garanzie che vadano più in là del qui ed ora. A questo si sommano la liberalizzazione delle forme contrattuali precarie – la riduzione dei vincoli per l’uso dei contratti temporanei e dei voucher, altri due lasciti del Jobs act – e la crescita del lavoro on-demand (vedi i casi Uber, Deliveroo o Foodora di cui si è già parlato su Left) che subordinano modi e tempi di vita all’istantaneità delle esigenze produttive d’impresa.
Cresce il peso relativo dei settori dove non si fanno investimenti, non si fa innovazione e la competitività è perseguita per la via bassa: pagare di meno e sfruttare di più la forza lavoro. Continuano a languire o si contraggono i settori ad alto tasso di investimenti e ricerca contribuendo alla dequalificazione, all’impoverimento della base occupazionale italiana: negli ultimi due anni l’emigrazione di laureati e lavoratori ad alta qualifica è risultata superiore alle 100mila unità (dati Istat Aire).
Le riforme strutturali, la cui sacralità è persistentemente celebrata in virtù di considerazioni che appaiono più di carattere religioso che aderenti alla razionalità economica, consegnano ai lavoratori italiani un agone in cui sono sempre più soli di fronte a controparti sempre più libere di esercitare il loro potere. Potere di licenziare (grazie all’eliminazione della tutela reale), di sorvegliare (per l’eliminazione dei vincoli al controllo a distanza introdotti dal governo Renzi), di disporre senza alcun limite dei tempi di vita delle persone (grazie all’ormai dilagante ricorso ai voucher), di proporre condizioni salariali e contributive sempre meno decenti.

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Dal dramma di Mosul ai picchi del Tempio di Shaolin. La settimana in foto

Qayyarah, a sud di Mosul, Iraq. (AP Photo/ Marko Drobnjakovic)

23 Ottobre, 2016. Qayyarah, a sud di Mosul, Iraq. Sfollati nei pressi di un posto di blocco, sullo sfondo nuvole di fumi tossici sprigionate dall’incendio appiccato dai militanti dello Stato Islamico all’impianto di zolfo e ai pozzi di petrolio. (AP Photo/ Marko Drobnjakovic)
23 Ottobre, 2016. Qayyarah, a sud di Mosul, Iraq. Sfollati nei pressi di un posto di blocco, sullo sfondo nuvole di fumi tossici sprigionate dall’incendio appiccato dai militanti dello Stato Islamico all’impianto di zolfo e ai pozzi di petrolio. (AP Photo/ Marko Drobnjakovic)

Praticanti professionisti di Kung fu sulle scogliere vicino il famoso Tempio di Shaolin in Dengfeng, Cina centrale. (ANSA EPA / FEATURECHINA)
Praticanti professionisti di Kung fu sulle scogliere vicino il famoso Tempio di Shaolin in Dengfeng, Cina centrale. (ANSA EPA / FEATURECHINA)

24 ottobre 2016. Rio de Janeiro, Brasile. Migliaia di persone partecipano alla protesta contro il progetto di riforma della PEC241 Constitucion e contro il governo del presidente Michel Temer. Il progetto propone il congelamento del bilancio sociale del Paese per un massimo a 20 anni. (ANSA EPA / ANTONIO LACERDA)
24 ottobre 2016. Rio de Janeiro, Brasile. Migliaia di persone partecipano alla protesta contro il progetto di riforma della PEC241 Constitucion e contro il governo del presidente Michel Temer. Il progetto propone il congelamento del bilancio sociale del Paese per un massimo a 20 anni. (ANSA EPA / ANTONIO LACERDA)

25 ottobre 2016. Quezon City, Filippine. Il trasporto di una persona uccisa nel corso di un'operazione di polizia contro le droghe illegali. Secondo i rapporti della polizia, circa 2.300 persone sono state uccise nella guerra del presidente filippino Rodrigo Duterte contro le droghe illegali. (ANSA EPA / Mark R. CRISTINO)
25 ottobre 2016. Quezon City, Filippine. Il trasporto di una persona uccisa nel corso di un’operazione di polizia contro le droghe illegali. Secondo i rapporti della polizia, circa 2.300 persone sono state uccise nella guerra del presidente filippino Rodrigo Duterte contro le droghe illegali. (ANSA EPA / Mark R. CRISTINO)

25 Ottobre, 2016. Mosul, Iraq. Civili lasciano le loro case, mentre le forze antiterrorismo d'elite irachene combattono contro i militanti dello stato islamico, nel villaggio di Tob Zawa. (AP Photo / Khalid Mohammed)
Mosul, Iraq. Civili lasciano le loro case, mentre le forze antiterrorismo d’elite irachene combattono contro i militanti dello stato islamico, nel villaggio di Tob Zawa. (AP Photo / Khalid Mohammed)

25 ottobre 2016. Assam, India. Donne indiane si preparano a tornare a casa dopo una giornata di lavoro nelle pozze d'acqua della risaia alla periferia della città di Guwahati. (ANSA EPA / STR)
Assam, India. Donne indiane si preparano a tornare a casa dopo una giornata di lavoro nelle pozze d’acqua della risaia alla periferia della città di Guwahati. (ANSA EPA / STR)

26 Ottobre, 2016. Calais, nord della Francia. Le macerie di quel che resta di un negozio bruciato nel campo migranti conosciuto come “la giungla”. (AP Photo/ Emilio Morenatti)
26 Ottobre, 2016. Calais, nord della Francia. Le macerie di quel che resta di un negozio bruciato nel campo migranti conosciuto come “la giungla”. (AP Photo/ Emilio Morenatti)

26 Ottobre, 2016. Mosul, Iraq. Soldati dell'esercito iracheno nei pressi di un posto di blocco a Qayara. I militanti dello stato islamico hanno obbligato gli abitanti delle comunità agricole a sud di Mosul, a seguirli a nord della città per usarli come scudi umani. (AP Photo/ Marko Drobnjakovic)
Mosul, Iraq. Soldati dell’esercito iracheno nei pressi di un posto di blocco a Qayara. I militanti dello stato islamico hanno obbligato gli abitanti delle comunità agricole a sud di Mosul, a seguirli a nord della città per usarli come scudi umani. (AP Photo/ Marko Drobnjakovic)

26 ottobre 2016. Città del Capo, Sud Africa. Poliziotti sparano proiettili di gomma durante una manifestazione di studenti. (AP Photo/ Schalk van Zuydam)
Città del Capo, Sud Africa. Poliziotti sparano proiettili di gomma durante una manifestazione di studenti. (AP Photo/ Schalk van Zuydam)

26 Ottobre, 2016. Pamplona, Spagna. Sagome riflesse sugli specchi di un edificio del corso. (AP Photo / Alvaro Barrientos)
Pamplona, Spagna. Sagome riflesse sugli specchi di un edificio del corso. (AP Photo / Alvaro Barrientos)

Paracatu, Brasile. La linea marrone sui tronchi che costeggiano le rive del fiume Doce segnano il livello raggiunto dall’onda di fango provocata un anno fa dal crollo delle due dighe contenenti vari milioni di rifiuti tossici da operazioni minerarie, generando il peggior disastro ambientale della storia del Brasile. (AP Photo/ Leo Correa)
Paracatu, Brasile. La linea marrone sui tronchi che costeggiano le rive del fiume Doce segnano il livello raggiunto dall’onda di fango provocata un anno fa dal crollo delle due dighe contenenti vari milioni di rifiuti tossici da operazioni minerarie, generando il peggior disastro ambientale della storia del Brasile. (AP Photo/ Leo Correa)

27 ottobre 2016. Calais, nord Francia. Agenti di polizia francesi indirizzano un migrante nei resti del campo profughi conosciuto come "la giungla”. (AP Photo/ Emilio Morenatti)
27 ottobre 2016. Calais, nord Francia. Agenti di polizia francesi indirizzano un migrante nei resti del campo profughi conosciuto come “la giungla”. (AP Photo/ Emilio Morenatti)

27 ottobre 2016. Belgrado, Serbia. Più di 200 migranti hanno trasformato un vecchio magazzino nel centro di Belgrado nella loro casa temporanea. Diverse migliaia di migranti sono bloccati in Serbia in attesa di trovare il modo per entrare in Europa utilizzando le rotte clandestine e l'aiuto di passatori. (AP Photo/ Darko Vojinovic)
Belgrado, Serbia. Più di 200 migranti hanno trasformato un vecchio magazzino nel centro di Belgrado nella loro casa temporanea. Diverse migliaia di migranti sono bloccati in Serbia in attesa di trovare il modo per entrare in Europa utilizzando le rotte clandestine e l’aiuto di passatori. (AP Photo/ Darko Vojinovic)

28 ottobre 2016. Kashmir, India. Un soldato indiano di guardia davanti alla moschea Jamia durante il coprifuoco, nel centro della città di Srinagar, capitale estiva del Jammu. (ANSA EPA / FAROOQ KHAN)
28 ottobre 2016. Kashmir, India. Un soldato indiano di guardia davanti alla moschea Jamia durante il coprifuoco, nel centro della città di Srinagar, capitale estiva del Jammu. (ANSA EPA / FAROOQ KHAN)

28 ottobre 2016. Bangkok, Thailand. Migliaia di studenti thailandesi hanno partecipato alla creazione di nove immagini create con carte, in onore a Re Bhumibol, monarca regnante più longevo del mondo, morto all'età di 88. (ANSA EPA / Narong SANGNAK)
28 ottobre 2016. Bangkok, Thailand. Migliaia di studenti thailandesi hanno partecipato alla creazione di nove immagini create con carte, in onore a Re Bhumibol, monarca regnante più longevo del mondo, morto all’età di 88. (ANSA EPA / Narong SANGNAK)

28 ottobre 2016. Budapest, Ungheria. Detenuti ungheresi usati per costruire una sezione sperimentale della seconda linea di recinzione al confine ungherese-serbo vicino al villaggio di Gara. La recinzione lunga 10,3 km, costruita tra Gara e Bácsszentgyörgy, serve a rafforzare la recinzione principale che impedisce ai migranti illegali che utilizzano la rotta dei Balcani di entrare in Ungheria. (ANSA EPA / SANDOR Újvári)
Budapest, Ungheria. Detenuti ungheresi usati per costruire una sezione sperimentale della seconda linea di recinzione al confine ungherese-serbo vicino al villaggio di Gara.
La recinzione lunga 10,3 km, costruita tra Gara e Bácsszentgyörgy, serve a rafforzare la recinzione principale che impedisce ai migranti illegali che utilizzano la rotta dei Balcani di entrare in Ungheria. (ANSA EPA / SANDOR Újvári)

Gallery a cura di Monica Di Brigida

La società della prestazione che ci ruba il futuro

«Oltre che essere un processo di scomposizione del mercato del lavoro, la precarietà è anche, e soprattutto, un’antropologia, un meccanismo che costringe le persone ad adattarsi, una condizione esistenziale. Viviamo in una “società della prestazione”», dice a Left, Anna Simone, ricercatrice di sociologia del diritto a Roma3, anticipando il titolo del suo prossimo libro.
Che sia Eli o Vale, le due protagoniste di Sole, cuore, amore, il nuovo film di Vicari, una barista, l’altra danzatrice; che lo si faccia per il voucher come una bracciante o per il dividendo milionario come un top manager, la prestazione connota la condizione esistenziale di settori sempre più ampi della società, ci sono dei tratti comuni tra chi vive una condizione di non-lavoro o, al contrario di eccesso di lavoro. E si determinano processi di individualizzazione, infantilizzazione, patologie, suicidi e, in generale, una sottrazione generalizzata del futuro. «Pensa all’ondata di suicidi alla Telecom France: tra il 2008 e il 2010, 58 dipendenti della società di telefonia (oggi Orange) si sono tolti la vita. Tutto ciò non avveniva in una condizione di non lavoro ma di suo eccesso. E la precarietà è stata usata per mettere in concorrenza tra loro i lavoratori producendo una casistica suicidiaria inquietante. Il suicidio è trasversale. Anche la precarietà nella sfera del management determina un aumento di quei tassi», dice ancora la sociologa autrice, tra l’altro di Suicidi (Mimesis, 2014) con cui ha indagato la condizione umana nella crisi. «Una condizione che genera quel senso di “no future” e lo stato di apatia dentro cui vivono i cosiddetti Neet (Not in education, employment or training), persone che hanno rinunciato a studiare e a cercare lavoro, generazioni che vivono sui risparmi dei nonni o dei padri, che non riescono ad andare via di casa, che percepiscono come impossibile il rischio di avventurarsi».

C’è anche uno specifico femminile in questa condizione?
«Le donne sono le più precarizzate grazie al gap salariale e anche al ricatto della maternità e vivono nel rischio permanente di uscire dai giochi definitivamente magari perché devono prendersi cura dei loro padri, o dei figli».
«La rottura del legame sociale determinata dalla precarietà – prosegue Anna Simone – genera individualizzazione e, complice la crisi del sistema dei partiti, aumenta sempre di più la distanza con la politica. La precarietà non dà tempo per la politica perché il tempo che resta serve a cercare un altro lavoro. Così la società scomposta fa fatica a ricomporsi sul piano politico. La reazione a questo si traduce nella riproposizione di comunità identitarie che ci fanno sentire più protetti».
«Tuttavia c’è un doppio regime: i precari possono essere poveri o ricchi. I primi, quelli dei mini-jobs, dei vouchers, dei contratti a progetto, tendono ad essere soggetti alla depressione, perdono l’idea della vita come progetto. E’ da qui che hanno origine il crollo della natalità o comportamenti di autosabotaggio. La depressione è la resa, il rifiuto della competizione. Ma ai livelli alti del mondo del lavoro, l’eccesso di competitività dà luogo a reazioni diverse come l’uso della cocaina come droga performativa per essere all’altezza con la sfida. A volte si verificano casi di dimissioni spontanee, come l’auto licenziamento di Erin Callan, direttore finanziario di Lehman Brothers che è fuggita a vivere in campagna, da “povera”, con un compagno pompiere».

Ma è proprio invalicabile questa condizione paurosa della flessibilità?
«La scomposizione del lavoro – risponde – è anche la scomposizione della società, la condanna alla solitudine, l’assenza di legami che spinge alla ricerca di soluzioni “populiste”. Servirebbe uno strumento di supporto, un dispositivo di welfare come il reddito minimo garantito per ridare forza alle persone e ricreare la possibilità di desiderare. Desiderare il lavoro per cui ci si è formati o, comunque, un futuro. Quello che esiste ora in Italia, è un welfare per pochissimi, che esclude dall’accesso le categorie più bisognose, il popolo dei vouchers, i lavoratori autonomi, quelli con contratto a progetto. E poi c’è il fenomeno dello stagismo, del lavoro gratuito utilizzato anche dalla pubblica amministrazione e accettato col miraggio di costruirsi un curriculum. È una trasformazione radicale, anche i programmi di formazione della pubblica amministrazione non utilizzano più i moduli mansione ma il modulo performante, insegnano, cioè, a essere produttivi e flessibili. È la capitalizzazione continua del proprio saper fare».

Ne parliamo nello sfoglio di copertina su Left in edicola dal 29 ottobre

 

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