Esco di casa, attraverso la strada ed entro. Non ho bisogno neanche di chiedere l’appuntamento. Il dermatologo è lì. Dall’altra parte della strada. Una strada piccola, di una città piccola. Dove c’è un ristorante, un parrucchiere, un dermatologo. Quelli dove si va e ci si incontra. Perché lì si va. Ho aspettato due giorni. Ma non passa. Lo stordimento non passa. L’ultimo ricordo di Matteo Cagnoni, l’assassino efferato di sua moglie, è di pelle bruciata. Un odore straziante per me. L’ultimo ricordo di Matteo Cagnoni, il mio dermatologo, è di me svenuta nel suo studio per l’odore della pelle di Sofia, mia figlia, bruciata dal suo laser mentre cercava di toglierle una piccola verruca dalla pianta del suo piede. Non era riuscito a farle l’anestesia e per qualche minuto, aveva insistito comunque. Sofia piangeva e io non l’ho sopportato, sono svenuta. Quando sono rinvenuta, l’ho portata via. Mi era rimasta addosso una sensazione veloce, fulminea, di ingiustizia, di indelicatezza. Di insistenza. E quel pianto troppo forte io non lo avevo retto. E non ero più tornata. Matteo Cagnoni era il mio dermatologo, era il dermatologo di tutta la famiglia talvolta, era il dermatologo di molte famiglie a Ravenna. Io attraversavo la strada di casa ed entravo, senza neanche chiedere l’appuntamento. Si fa così a Ravenna. E lui era lì. Tra diplomi, foto di famiglia e foto del papa. Tante. Tutto perfetto. Tutto pulito. Tutto bianco e composto.
Com’era l’assassino? Era un mostro? Non riesco a capacitarmi del racconto della mattanza di una giovane donna di 40 anni che voleva separarsi da lui ed è finita in fondo alle scale di una villa di famiglia, nuda e col cranio fracassato da bastonate. Com’era Matteo Cagnoni? Sempre calmo con me, impassibile, voce bassa, molto serio. L’avrei mai detto? Non l’avrei mai detto. Ma è sempre così. C’è solo quell’attimo. Torna solo quell’attimo in cui ho portato via Sofia. Il suo pianto era troppo e io sono svenuta. E’ possibile immaginare tutto questo? Non per me, mi chiedo però se chi gli fosse più vicino non avrebbe potuto sentire e poi fare. Fermarlo, farlo curare, non lasciarlo sprofondare in quella pazzia che invadeva tutto. Me lo chiedo, sempre. Perché altrimenti la ‘litania della normalità’, quella che si rompe improvvisamente, ogni volta senza segnali, che oggi pervade la piccola Ravenna continuerà uguale… “erano la famiglia del Mulino Bianco”. Biondi, di buona famiglia, sempre sorridenti. Da quel parrucchiere e a mangiare in quel ristorante. Perché lì si va e ci si vede. Perfettamente normali. E invece bisogna fidarsi degli attimi. E delle imperfezioni. Sentire la puzza di bruciato, reagire. Intervenire. Perché non esiste il “male” ma la mente che si rompe e che si può aggiustare, ma non si aggiusta da sola. Perché non è detto che sia. E perché potevano essere salvati tutti: la donna, l’uomo e i loro tre bambini. Oggi è il turno della piccola Ravenna, sconvolta da giorni. E chissà che non colga l’occasione per rompere tutto. Abitudini e perfezioni. Per uscire all’aperto, dove l’aria passa.
Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi durante il suo intervento al teatro Toselli di Cuneo, ad una manifestazione per il Sì al referendum costituzionale, 14 settembre 2016. ANSA / US PALAZZO CHIGI - TIBERIO BARCHIELLI
+++ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING+++
Giornata dedicata alla riforma elettorale, è quella di oggi alla Camera. Ma in realtà dovremmo dire, giornata dedicata al referendum costituzionale, perché ogni singola mossa, di Renzi come dei suoi oppositori, è in realtà fatta in funzione della consultazione sulla Riforma – di cui ancora, ricordiamo sempre, non sappiamo la data – soprattutto adesso che la Corte costituzionale ha ufficializzato il rinvio della sentenza sui profili di incostituzionalità della legge elettorale votata dal parlamento a maggio 2015.
La Consulta dovrebbe motivare MOOOLTO nel dettaglio la scelta di rinviare la decisione sull’Italicum. Non si fa politica con l’agenda
«Abbiamo detto che siamo disponibili a cambiare», dice Matteo Renzi da New York, aggiornato sul proseguire dei vertici romani tra il capogruppo Ettore Rosato e l’alleato Angelino Alfano. Alla fine saranno dunque almeno tre le mozioni presentate a Montecitorio: quella di Sinistra Italiana che ha permesso la discussione, una del Movimento 5 stelle che ribadisce la loro proposta per un proporzionale molto corretto (beccandosi dal Pd curiose offese sull’esser democristiani), e quella del governo, che Renzi ha messo a punto soprattutto per stanare la minoranza dem.
A questo punto tutti quelli che non hanno votato l’#Italicum dovrebbero avere una medaglia. Ma non era la legge più bella del mondo ?
Che può giustamente vantarsi di non aver votato l’Italicum quando Renzi poneva la fiducia e parlava della «legge più bella del mondo che tutti ci copieranno», ma che è comunque messa alle strette dal premier, che si prepara a convocare anche una direzione di partito e sventola – come possibile modifica – il premio di coalizione, modifica cara a molti esponenti dem. Nulla in realtà si farà prima del referendum – questo è chiaro – ma Renzi spera così di far spostare Bersani dal Nì sul referendum. Che si sposti sul sì o sul no, non importa – si vedrà come organizzarsi – ma palazzo Chigi vuole stanare la minoranza, che ha sempre detto che il voto sul referendum era condizionato dalla modifica dell’Italicum.
Legge elettorale: #m5s propone preferenze e proporzionale senza premio di maggioranza. Prima Repubblica a tutto gas ragazzi!
Il piano di Renzi è dunque questo: sfruttare l’attivismo delle opposizioni sull’Italicum per regolare i conti interni alla maggioranza (con Ncd) e soprattutto al Pd. Tanto – come dicono giustamente i forzisti – di tempo per modificare veramente la legge prima del referendum non ce ne è, e quindi quella di queste ore è tutta tattica. Noiosissima tattica su una legge elettorale che prima era perfetta e immodificabile e adesso, mai usata e approvata poco più di un anno fa, è «nella disponibilità del parlamento», come dice Renzi.
Con rinvio della Consulta si apre un problema per il fronte del nì: l’Italicum non verrà modificato prima del referendum, dunque che fare?
Jens Weidmann, President of the German Federal Bank, walks to the balance sheet press conference in the Federal Bank guest house in Frankfurt am Main, Germany, 24 February 2016. The German Federal Bank, the Bundesbank, announced profits of 3.2 billion euros in 2015, despite low interest rates. EPA/ARNE DEDERT
Il Presidente della Bundesbank Jens Weidmann in questi giorni ha ricordato che il Quantitative easing scade a marzo 2017, senza che sia obbligatorio prolungarlo, e ha rilanciato sulle politiche di austerity. Di passaggio, ha anche espresso parere negativo sulle richieste italiane di flessibilità di bilancio.
Renzi gli ha risposto di pensare alle banche tedesche. Il guaio è che è esattamente ciò che Weidmann sta facendo.
Perché il quantitative easing e la politica sui tassi della Bce fanno molto bene a Stati indebitati come l’Italia, che pagano interessi bassi, ma molto male alle banche, che vedono ridursi i propri margini di guadagno. Ma ora Merkel deve spiegare ai propri elettori in nome di cosa accetti di vedere penalizzati i propri risparmiatori e i propri istituti di credito, e non è facile dire che serve per permettere all’Italia di continuare a indebitarsi senza problemi.
Infatti l’estrema destra nazionalista di Afd cresce esponenzialmente, promettendo di fatto di lasciar affondare i mediterranei nel loro mare. Come si vede, siamo davanti a un conflitto vero fra interessi divergenti per cui rischia di non esserci soluzione nel quadro dell’Euro. L’Italia ha infatti bisogno che la Bce continui a tempo indeterminato a comprare i propri titoli di Stato, come in effetti potrebbe fare qualsiasi Banca Centrale al mondo. La Germania ha interesse che i tassi si alzino i tempi rapidi, dato che le sue aziende possono permettersi un costo del denaro più elevato, mentre i pensionati non sono abituati a incassare poco o nulla sui bund. Quanto alle banche, se in Italia può sembrare intelligente chiudere sportelli e licenziare personale per compensare il calo di redditività, non è detto che ovunque siano della medesima opinione.
Il compromesso d’altronde si chiamava Fiscal Compact, ovvero l’idea di tenere i tassi bassi per alcuni anni, durante i quali il debito italiano doveva essere abbattuto. Il Fiscal Compact non poteva funzionare fuori da scenari greci e infatti è stato giustamente rigettato, anche se per fare politiche del tutto inefficaci di taglio fiscale che non hanno prodotto crescita né equità sociale ma sono costate molto sul piano finanziario.
Ora siamo tuttavia pericolosamente vicini al redde rationem, senza che si abbia un’idea su come uscirne positivamente. La destra tedesca continua a ripetere “o austerity o morte” e la sinistra di quel Paese non sa esprimere un’ipotesi di Europa alternativa. È lo schema già provato con successo contro il governo di Tsipras nell’estate del 2015: forzare un Paese ad adottare politiche non desiderate minacciandolo di espulsione unilaterale dalla comunità della moneta unica.
In Italia le forze cosiddette responsabili si chiudono nel mantra dell’Euro, mentre Lega e M5S oscillano fra propaganda anti-euro e voglia di governo. La sinistra ha il dovere di ragionare in chiave europea, ma non può in questo quadro evitare di elaborare un piano B praticabile, non fosse altro che per opporlo all’offensiva rigorista. In sua assenza, l’unica soluzione sembra essere la resa parolaia a cui ci ha abituato Renzi.
This image provided by the Syrian anti-government group Aleppo 24 news, shows damaged trucks carrying aid, in Aleppo, Syria, Tuesday, Sept. 20, 2016. A U.N. humanitarian aid convoy in Syria was hit by airstrikes Monday as the Syrian military declared that a U.S.-Russian brokered cease-fire had failed, and U.N. officials reported many dead and seriously wounded. (Aleppo 24 news via AP)
L’Onu ha sospeso tutti i convogli di aiuti in Siria dopo un attacco devastante su un convoglio di aiuti diretti ad Aleppo che ha distrutto 18 camion su 31 e fatto 20 morti civili. L’attacco aereo, russo o siriano, è giunto poche ore dopo l’avvio della tregua mediata da Mosca e Washington e non lontano dall’ammissione americana di aver colpito – per sbaglio – un gruppo di soldati di Assad, mentre si cercava, dice il Pentagono, di colpire un gruppo di miliziani dell’isis (per i quali la tregua non vale). Testimoni hanno parlato di una bomba a grappolo lanciata da un elicottero e di fuoco di mitragliatrici da parte di un aereo.
Russia e Siria hanno entrambi insistito che le loro forze aeree non sono state coinvolte nell’attacco, ma i testimoni dicono il contrario. I russi sostengono l’improbabile teoria che i 18 camion distrutti abbiano preso fuoco misteriosamente in concomitanza con un attacco ad Aleppo. Lo stesso Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha lanciato accuse al governo siriano, ricordando come i morti civili sono soprattutto demerito di Assad e delle sue truppe. Con toni insolitamente duri, Ban (che è in uscita dall’incarico) ha detto «tutti i gruppi uccidono civili, ma nessuno più del regime siriano, che continua a buttare bombe a grappolo su quartieri abitati e a torturare i suoi prigionieri».
John Kerry, al centro, Staffan de Mistura, a destra, e Sergey Lavrov durante la riunione del gruppo di sostegno alla Siria a New York (AP Photo/Kevin Hagen)
Il Segretario di Stato americano John Kerry ha voluto sottolineare che l’accordo per il cessate il fuoco «non è morto», dopo aver parlato con il suo omologo Lavrov al Palazzo di Vetro, dove è in corso l’Assemblea generale Onu.
L’inviato delle Nazioni Unite in Siria, Staffan de Mistura, ha detto che c’era ancora speranza, ma ha sottolineato che la tregua è in pericolo. Nelle poche ore in cui è stata in vigore, diversi gruppi ne hanno denunciato la violazione. L’incidente che ha colpito più di metà del convoglio e ucciso venti civili rischia di essere l’ennesimo passo indietro in una situazione, quella tragica di Aleppo, dalla quale non sembra esserci via di uscita. La verità è che il clima è di nuovo pessimo, nonostante la facciata nei corridoi di New York: lo stesso Obama, nel suo ultimo discorso da presidente all’Assemblea Onu ha attaccato la Russia dicendo: «Cerca di riaffermare il potere perduto attraverso la forza» e ricordato ancora una volta che in Siria non può vincere nessuno e che, per quanto difficile, l’unica soluzione al conflitto è diplomatica.
Non passa giorno che la famiglia Trump non faccia parlare di sé. L’argomento del contendere, stavolta, sono i confetti di cioccolato. Ma anche i rifugiati. C’è un tweet di Donald Trump Jr. il più grande dei figli del candidato repubblicano alla presidenza, che recita: Quest’immagine dice tutto. Basta con la correttezza politica che non mette davanti gli interessi americani. L’immagine in questione è una scodella di Skittles, una marca di confettini colorati come ce ne sono altre e il testo recita: «Se avesti una scodella di Skittles e ti dicessi che più di tre ti uccidono, ne mangeresti una manciata?» Questo è il problema che abbiamo con i rifugiati siriani.
Basta buonismi e basta rifugiati, dunque. Mentre all’Onu si dibatte – e si fa poco – per i rifugiati, mentre in Siria la tregua vacilla grazie agli aerei americani, che hanno colpito truppe di Assad e a quelli siriani o russi, che hanno distrutto un convoglio di aiuti umanitari diretti ad Aleppo, il problema della destra americana sono le poche migliaia di rifugiati siriani che il Paese ha promesso di accogliere (facendo loro prima uno screening accuratissimo). Il giorno dopo dell’attentato a New York da parte di Ahmad Khan Rahami, americano afghano tornato cambiato (come dicono parenti e amici) da un viaggio nel suo Paese, il clan Trump soffia sulle paure, facendo indignare molti.
La stessa ditta produttrice di Skittles ha risposto con un comunicato molto chiaro, rispondendo a una richiesta di un giornalista di Hollywood reporter: I nostri prodotti sono dolciumi, i rifugiati persone, ci pare una analogia inappropriata. Ma non faremo altri commenti perché non vogliamo vengano interpretati come tentativi di farsi pubblicità.
La scelta di Trump non è casuale né involontaria. L’idea di prendersela con la correttezza politica, il buonismo, paga, almeno tra coloro a cui Trump piace. La speranza repubblicana è che nelle immediate vicinanze di un attentato si possa accrescere quella base di persone che alle regole preferiscono la legge e l’ordine. Il tweet ha scatenato l’inferno in rete. Un buon commento è quello che ricorda che il tweet di Trump Jr. è partito da un telefono inventato dal figlio di un rifugiato siriano. Oppure ci si spiega che c’è una possibilità che, per essere uccisi da rifugiati terroristi servirebbero, stando ala metafora di Trump, 10,8 miliardi di confettini.
Based on actual odds of getting killed by terrorist refugee, you'd need 10.8 billion skittles to find 3 killers https://t.co/Ba5HNFhvM1
Per non farsi mancare nulla, il fronte repubblicano manda in onda uno spot pro armi pagato dalla NRA, la National Rifle Association, nel quale si mostra una donna indifesa alle prese con un effrazione notturna. «Aveva una pistola, ma Hillary e i suoi nominati alla Corte Suprema le hanno tolto questo diritto, non lasciare che Hillary ti lasci solo un telefono per proteggerti» dice lo spot, che va in onda in zone rurali, dove le armi sono popolari e dove Trump vince. Obbiettivo della NRA è dare una mano in zone marginali. E impedire nuove regole per l’acquisto di armi. Che potrebbero essere utili per sparare sui rifugiati siriani, se per caso Obama decidesse di farne entrare altri.
«Era l’alba del 20 settembre del 1870, quando l’artiglieria dell’esercito italiano entrava in azione per aprire un varco nella cinta muraria vaticana. Dopo cinque ore di cannoneggiamenti il muro cedeva nel tratto tra Porta Pia e Porta Salaria. Alle 9.45 i bersaglieri della XII e XIV divisione entravano in Roma. Era la fine della teocrazia vaticana. Roma era restituita all’Italia, e l’Italia all’Europa», scrive Maria Mantello, presidente dell’associazione nazionale del libero pensiero Giordano Bruno. Anche se poi, come purtroppo sappiamo, la storia italiana per responsabilità di politici “in ginocchio” ha preso tutt’altro corso: e fino ad oggi il Vaticano non ha mai smesso di interferire nella vita politica italiana, non ha mai smesso di consigliare i governi, di proporre, intervenire, chiedere e ottenere. Mussolinisiglò i Patti lateranensi nel 29 e in questo modo “divenne” «l’uomo della Provvidenza». Il Concordato fu recepito dalla Costituzione nel ’48 e modificato e rilanciato nel 1984 da Craxi.
Proprio per questo, sottolinea la professoressa Mantello, è importante ricordare la ricorrenza del 146° anniversario del XX Settembre e della breccia di Porta Pia non è un appuntamento rituale ma come «l’occasione per difendere il principio della laicità» , che una sentenza della Consulta ha riconosciuto nel 1989 come cardine della nostra Costituzione.
Così oltre ad un incontro a Porta Pia il 20 settembre l’associazione Giordano Bruno organizza per mercoledì 21 settembre un importante convegno su “Vaticano e fascismo” in Palazzo Falletti, in via Panisperna 207 a Roma, a cui partecipano, tra molti altri, studiosi come Alessandro Portelli ( autore de L’ordine è già stato eseguito) con un intervento sul Papa e le fosse Ardeatine e il politologo Giovanni Sartori che affronta il tema dell’invasione di campo della Chiesa nella democrazia italiana. Il convegno che si tiene dal 15 alle 20, ha un taglio internazionale e invita Peter Gorenflos a ripercorrere le tappe dell’ascesa del fascismo in Italia e in Germania e il ruolo della Chiesa cattolica e lo slovacco Yeshayahu Jelinek a trattare un tema che purtroppo tornato di attualità con Ungheria di Orban, ovvero “i fascismi in Europa orientale”. Mentre la parte storica che riguarda la shoah in Ungheria sarà invece svolta dal belga Dirk Verhofstadt. E ancora: lo svizzero Simone Mosch farà un intervento sul tema dell’alienazione religiosa e l’editore Roberto Massari terrà un conferenza dal titolo Pio XII sapeva in occasione dell’uscita della nuova edizione del libro Con Dio e con i fascisti. Il Vaticano con Mussolini, Franco, Hitler e Pavelic di Karlheinz Deschner,l’autore della Storia criminale della Chiesa di cui Massari editore ha meritoriamente pubblicato tutti e dieci volumi. (Il primo uscì nel 1986 in Germania). Ma anche Con Dio e con i fascisti merita una attenta lettura. A cinquant’anni dalla sua pubblicazione Mit Gott und den Faschisten è un’opera ancora molto attuale, perché smaschera l’agiografia vaticana riguardo a Pio XII e documenta la collaborazione della Chiesa con Hitler, ma anche con Mussolini, con Franco e con Pavelic, il leader degli ustascia croati responsabile, insieme al cardinale Stepinac, del campo di concentramento e sterminio di Jasenovac.
Il libro di Deschner riporta in primo piano i tentativi della Chiesa di sottrarsi alle proprie responsabilità di collaborazione e sostegno del nazi fascismo. Come dichiarò il cardinale Faulhaber, Pio XII fu «l’amico migliore, anzi dapprima persino l’unico amico del Reich». E questo, scrive Karlheinz Deschner proprio nella fase più delicata per il nazionalsocialismo, quella iniziale, quando ancora la Storia avrebbe potuto prendere una direzione completamente diversa».
Per chi volesse continuare ad approfondire il tema dei rapporti fra Eugenio Maria Giuseppe Pacelli -ovvero Pio XII – e Hitler in Italia è uscito quest’anno nella collana di storia di Newton Compton, anche l’interessante libro del giornalista Guido Caldiron Quarto Reich. Qui la recensione di Left.
Diciamo che questo è un invito.
Un invito a venire a vedere con i vostri occhi quello che sta accadendo in una delle zone montane più belle d’Italia, un invito a rendersi conto di quello che è definito uno dei più grandi scempi ambientali in atto ad oggi in Europa.
Le Apuane, quelle per la cui difesa hanno firmato pochi giorni fa un accorato appello di intellettuali come Salvatore Settis, Moni Ovadia, Paolo Maddalena, Tomaso Montanari e molti altri, insieme ad importanti associazioni.
Siamo in alta Toscana infatti, sulle Alpi Apuane.
Vette uniche, rivolte verso il mare.
Vette di marmo conosciuto in tutto il mondo ma vette anche con un ecosistema unico, dove vive, per esempio, il 30% di tutte le specie della flora italiana con 25 proprie solo di questi monti.
Difficile raccontare in maniera semplice cosa sta accadendo, così che possa essere chiaro anche a chi non ne sa ancora niente.
Diciamo che fino a un certo punto della Storia il marmo di Carrara è stato estratto con tempi e modi che premiavano il lavoro impari dell’uomo, il suo coraggio e anche la sua forza rispettando in un certo modo anche la montagna.
Alpi Apuane, le cave negli anni 60/Ansa
Immagini storiche dell’estrazione del marmo nelle cave di Carrara/Ansa
Da qualche tempo, invece, quello che viene tolto ai monti “grazie” a macchinari sempre più efficaci è decuplicato in maniera impressionante e viene tagliato e scavato in pochi giorni quanto prima richiedeva settimane per farlo!
Vette cambiano orografia ogni giorno diventando mostruose scalinate, innaturali come vecchi bianchi frigoriferi accatastati uno sull’altro.
Passi montani spariscono, cime spariscono, montagne vengono tagliate come scatole di cartone.
In più sparisce l’acqua. Sì, l’acqua che inumidiva come una spugna questi monti, acqua che gli dava vita scorrendo nelle sue vene naturali.
Acqua prosciugata anche da quei macchinari che tagliano marmo a più non posso.
Insomma… noi che qui ci viviamo, e alziamo gli occhi ogni giorno su questi monti a guardia del nostro mare, vediamo sempre più mutare il paesaggio, vediamo gli scarti sempre più invasivi dei lavori delle cave, vediamo l’acqua dei nostri rubinetti e torrenti inquinarsi, vediamo un territorio violentato come sicurezza idrogeologica perché, se piove, dal monte così frantumato può venire giù di tutto.
Insomma., è stato calcolato che, ormai, ogni anno è tolto dai nostri, e vostri, monti quasi uno stadio di San Siro intero all’anno di marmo. E i monti non ricrescono.
Non ricrescono!
Allora, cosa accade, dunque, a breve?
Accade che da questa settimana la Corte Costituzionale discuterà sulla questione della “proprietà” o meno di una serie di cave di marmo sulle Apuane in base a dei ricorsi fatti da imprenditori del marmo che ne reclamano la proprietà “privata”.
Si dovrà, insomma, in Corte Costituzionale decidere se i nostri monti (patrimonio e paesaggio tutelati dall’articolo 9 della nostra bella Costituzione) siano bene privato di qualcuno che può farne quello che vuole o bene comune, di tutti noi.
Si deciderà anche su una Natura stravolta, su un contesto che ora attua la “privatizzazione dei benefici di pochi e la socializzazione della perdite” per investimenti fatti o decisioni amministrative che nulla, oltretutto, hanno portato e portano a una comunità locale impoverita economicamente, culturalmente e socialmente.
Una comunità colpevolmente tenuta nel ricatto del lavoro intorno al marmo gestito come unica falsa opportunità di vita, né più e né meno come all’Ilva di Taranto, come lo stesso Settis ha detto neanche due mesi fa.
Intorno al mondo del marmo, oltretutto, girano tanti, troppi soldi.
Interessi enormi, “nero” alle cave, logiche di profitto solo personali e favoritismi spesso da chiarire anche a livello amministrativo, inquinamento, distruzione dell’ambiente…
E il marmo? Il marmo che accarezziamo con mano emozionata quando in una scultura, anche grazie alla sua bellezza, ci scalda il cuore?
Scordatevelo.
Pochi lo lavorano qui a Carrara ormai, parte su navi per il mondo e, sempre più spesso, finisce per lo più sbriciolato, polverizzato.
Polverizzato perché diventa prezioso carbonato di calcio, nuova ricchezza che proprio dal marmo arriva. Sì, il marmo sbriciolato diventa carbonato di calcio e finisce nei nostri dentrifici, finanche nella pasta che mangiamo.
“Scaglie”, si chiamano, detriti. Ci sono cave che tagliano e distruggono montagne solo per polverizzarle, producendo carbonato di calcio. Polvere.
Non è semplice – ve l’avevo scritto all’inizio – descrivere il mondo del marmo e quello che sta accadendo sulle Apuane.
Diciamo che, intanto, sarà importantissimo che da oggi in Corte Costituzionale si inizi a decidere sul fatto che, come recita l’appello firmato giorni fa, “le Alpi Apuane sono una parte importante dell’ecosistema del nostro Paese ed è dovere dei cittadini difenderle”.
Si inizi a discutere del fatto che in base ai principi inderogabili della Costituzione sono Bene Comune e che “in quanto proprietà collettiva, non sono sacrificabili all’interesse di singole imprese che asportano intere parti della montagna, con il solo fine di realizzare enorme profitto per sé, distruggendola in modo irreversibile”.
Tutto questo respingendo “con forza ogni tentativo di privatizzazione delle cave delle Apuane”.
Ecco. Questo ci auguriamo decida la Corte Costituzionale.
Bene, se siete arrivati fin qui a leggere vi rinnovo l’invito fatto all’inizio.
L’invito a venire sulle Apuane, a vedere cosa sta accadendo ma anche a scoprire queste straordinarie vette da cui, nelle giornate limpide, si vede il sole che affonda nel mare mentre tutto diventa talmente rosa che le Dolomiti impallidiscono al confronto.
Nota finale… Anch’io ho firmato questo appello. L’ho firmato con orgoglio come esponente della Fondazione “Antonino Caponnetto”. Siamo tutti convinti in Fondazione che “Nonno Nino” sarebbe stato lì, col suo bastone, in prima linea a difendere un valore così alto, in prima fila nella difesa del Bene Comune.
In prima fila nel difendere sempre tutto quello che abbiamo il dovere di lasciare vivo, rispettato e onestamente amato a chi verrà dopo di noi.
#SalviamoleAlpiApuane
Alpi Apuane. Lavori di estrazione negli anni 60. I marmi più pregiati e famosi si trovano in tre canali principali: Canali di Torano, di Miseglia, di Colonnata./Ansa
Le Apuane negli anni 60/Ansa
Immagini storiche dell’estrazione del marmo nelle cave di Carrara/Ansa
Immagini storiche dell’estrazione del marmo nelle cave di Carrara/Ansa
Immagini storiche dell’estrazione del marmo nelle cave di Carrara/Ansa
Immagini storiche dell’estrazione del marmo nelle cave di Carrara/Ansa
Immagini storiche dellestrazione del marmo nelle cave di Carrara/Ansa
Immagini storiche dell’estrazione del marmo nelle cave di Carrara/Ansa
È successo una decina di giorni fa: a San Giorgio Liri, paese frusinate tra i monti Aurunci, stavamo tenendo la piazza per un incontro sul prossimo referendum costituzionale. Una della tante serate di politica che si ripetono in questi giorni negli spiazzi ancora temperati d’estate: un tavolo, microfoni, qualche bottiglietta d’acqua naturale, la bandiera di un partito o di un comitato intovagliata cadendo di fronte al pubblico e un angolo che diventa palco lì dove c’è più luce. Bene o male questo referendum ha moltiplicato le riunioni all’aperto che coltivano il fare comunità: bene o male questo referendum ha sbriciolato il rarefatto talk show nel più nobile “parlarne insieme”.
Una serata che si svolgeva come spesso succede tra lo snocciolare i nodi critici, i dubbi e le proposte. A vederla fino a qui sarebbe sembrato tutto normale. Fin qui.
Poi all’improvviso un anziano signore con passo lento benché sicuro si è avvicinato con una scatola in mano e il viso gentile. Portava caramelle all’anice e uno a uno ha preso a offrirle a tutti. Tutti: scivolando tra le file come il cestino delle offerte in chiesa ha guardato tutti diritti negli occhi. «Caramella?». Solo questo diceva. Si è avvicinato anche al tavolo dei relatori: cosa volete che gliene freghi dei palchi e dei confini immaginari a chi s’è preso la briga di scendere così tardi da casa per sapere se qualcuno volesse una caramella.
La gente, intorno, è rimasta incantata. Alcuni addirittura apparivano intimiditi di fronte a una gentilezza tanto disinteressata. Un brivido sulla schiena della platea s’è fatto rivolo e poi freddo: quanto siamo disabituati alle persone gentili. Quanto rimaniamo folgorati da chi ci mostra con delicatezza attenzione per i bisogni anche più elementari. Deve avere pensato, l’offritore di caramelle, che chissà quando gli ricapita di avere una piazza così partecipata e una così alta concentrazione di persone da poter servire.