La sindaca di Roma, Virginia Raggi, durante una pausa a margine della riunione in Campidoglio, Roma, 06 settembre 2016.
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
Prima di seguire gli aggiornamenti sulla sorte della giunta di Virginia Raggi è importante una premessa. Paola Muraro, assessore ai rifiuti che da luglio sa di esser indagata – come lo sa la sindaca – è appunto solo indagata, non ha ancora ricevuto l’avviso di garanzia, delle indagini che si chiudono, e non è ovviamente stata ancora condannata. È una premessa importante questa, e non solo per ristabilire un qualche principio garantista nel dibattito. La premessa ci serve per spiegare come sulla vicenda Muraro il Movimento 5 stelle si stia giocando la sua stessa identità, costruita sull’intransigenza giudiziaria – per usare un eufemismo.
In gioco c’è il mito del Movimento che non fa sconti, del movimento della trasparenza, che mai avrebbe dovuto tenere per sé (anzi, tenere come informazione riservata diffusa solo ad alcuni membri della giunta romana e del direttorio, neanche a tutti) una notizia così. Di questo stiamo parlando, della rottura del patto stretto con buona parte dei propri elettori – educati a suon di post giustizialisti. Stiamo parlando dell’effetto devastante delle immagini di ieri sera, del deputato Vignaroli e soprattutto di Luigi Di Maio che schivano le telecamere per non rispondere con chiarezza a una domanda semplice posta dai cronisti: è vero (come dice Raggi nel caso di Vignaroli, membro del mini direttorio romano) che sapevano dell’inchiesta e non l’hanno detto e hanno anzi sostenuto che non ci fosse nessun dossier in Procura? Non stiamo cioè parlando tanto del merito dell’indagine che coinvolge Muraro, che infatti potrebbe anche restare al suo posto, se fosse convinta di uscirne pulita e se non fosse, però, assessore in una giunta 5 stelle.
Bene. Finita la premessa, gli aggiornamenti: il direttorio del Movimento, dopo un’intera giornata di conclave, con Grillo in collegamento da Olbia e Casaleggio jr da Milano, ha chiesto a Raggi di resettare giunta e segreteria. Via Marra e Romeo, via Muraro e pure De Dominicis, l’assessore al bilancio che avrebbe dovuto sostituire il dimissionario Minenna. Più che chiesto, in realtà, il direttorio lo avrebbe intimato alla sindaca. Che però, chiusa in Campidoglio, vorrebbe aspettare di legger le carte, per Muraro, vorrebbe tenere De Dominicis, e solo demansionare Marra e Romeo. È in corso, dunque, in questa seconda giornata di martirio, un braccio di ferro. Ma è probabile che Raggi dovrà cedere.
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Anche perché a chiederle di abbandonare il “Raggio Magico” cioè la rete di fedelissimi spesso vicini alla destra avvocatizia romana – come dice Michele Santoro: «Tutto quello che sta intorno alla Raggi è di destra», «non a caso spunta che il nuovo assessore al Bilancio l’ha sponsorizzato Sammarco. Vedo che il mio amico Travaglio considera l’ex alemanniano Marra un tecnico indipendente. Non mi pare la definizione più calzante» – non è più solo Roberta Lombardi, che aveva perso la sua battaglia solitaria, dovendo abbandonare il mini direttorio romano di cui anche lei era membra. Paola Taverna, chiede di cambiare, Roberto Fico chiede di cambiare, e poi anche Alessandro Di Battista – che di Raggi è sempre stato sponsor – chiede di cambiare. «Dobbiamo sistemare alcune cose, correggere alcuni errori che inevitabilmente si fanno e ripartire compatti magari con un NO alle olimpiadi da far tremare tutti i palazzi del potere!», dice Di Battista, che ieri aveva annullato la data di Ischia del suo tour sul referendum costituzionale ma che oggi annuncia di riprendere il giro, come se la crisi romana fosse cosa risolta. In realtà, il punto è che tanto adesso scende a Roma Grillo, che deve interrompere le sue vacanze. E che se si espone Di Battista, vuol dire che è sicuro di aver ragione.
Stelle cadenti, titola il manifesto. Ormai il pasticciaccio brutto del Campidoglio chiama in causa il vertice dei 5 Stelle e mette nei guai quello che avrebbe potuto essere il candidato premier del movimento. Repubblica pubblica il testo dei messaggi che sarebbero intercorsi il 4 agosto tra Di Maio e i componenti del mini direttorio romano. Luigi Di Maio: “Quale reato viene contestato a Muraro?”. Fabio Massimo Castaldo (eurodeputato): “Attività di gestione dei rifiuti non autorizzata”. Luigi Di Maio: “Muraro è iscritta nel registro degli indagati?” Paola Taverna: “Posso essere più precisa domani.” Di Maio: “Posso almeno sapere se il 335 è pulito oppure no?” (Il 335 prevede l’iscrizione nel registro indagati senza l’obbligo di inviarne una comunicazione scritta). Paola Taverna: “No, non è pulito”. Il Fatto Quotidiano riproduce la conversazione che Virginia Raggi, il suo portavoce Teodoro Fulgione e Luigi Di Maio (conversazione a tre, Fulgione e Raggi si spartivano un auricolare, avvenuta lunedì scorso). Raggi non vuol mollare la Muraro “Trovatemene un’altra così”, poi a un certo punto avverte Di Maio: “Questa sera Stefano (Vignaroli, parlamentare M5S, vicepresidente della commissione Ecomafie, ndr) ha detto che si ricorda che Paola (Taverna, senatrice del M5S, fidanzata di Vignaroli, ndr) ti ha scritto chiedendo di avvertirti”. Insomma, sei della partita anche tu.
Processo al deputato. Quasi in lacrime ammette di aver saputo dell’indagine La Stampa spiattella i particolarti di una riunione che si sarebbe tenuta ieri con Di Maio nel ruolo scomodo dell’imputato. Il vice presidente della Camera prima prova minimizzare: “Ho letto quella mail, ma ho capito male”. “Ma ti rendi conto che ti stai comportando come la Raggi? – gli dice Carla Ruocco- Anzi no, una Raggi al quadrato.” E Paola Taverna: “Non ti azzardare a dare la colpa a noi, Luigino! Non è più tempo di ragazzini che si sono montati la testa”. Lui chiede scusa, ma aggiunge: “Pensate forse che senza di me cambierebbe qualcosa? Perderebbe solo il Movimento”. È Nicola Morra, scrive il Fatto, a tirare le conseguenze del pasticciaccio brutto: “Cos’è M5S se non partecipazione, condivisione, trasparenza? Per Roma qualcuno se l’è dimenticato (Di Maio è responsabile degli enti locali). Noi glielo ricordiamo”.
Grillo a Raggi: adesso via tutti, titolo di Repubblica. Beppe, malvolentieri, è dovuto calare a Roma. Oggi dovrebbe mettere la sindaca alle strette, “convincerla” a far fuori non solo Raffaele Marra e Salvatore Romeo, ex amici di Alemanno che la Raggi ha voluto al vertice dell’amministrazione , ma anche Paola Muraro, assessore all’ambiente, e Raffaele De Dominicis, assessore al bilancio appena nominato e neppure ancora insediato. Secondo il Fatto, la sindaca resiste ancora. E il titolo del giornale diretto da Travaglio paragona la gestione a 5 Stelle di Roma a quella dell’odiato sindaco expo-renziano di Milano: “Muraro indagata e bugiarda, resta. Sala indagato e bugiardo, pure”. “Il movimento 5 stelle corre verso il disastro”, scrive Paolo Flores d’Arcais, uno dei primi sostenitori della rivoluzione grillina. Secondo il direttore di Micromega il comune di Roma sarebbe infatti caduto nelle mani di una specie di comitato d’affari, una cosca che egli definisce “raggialemanno magico”.
E Renzi molla l’Italicum. Di ritorno dalla Cina, il premier approfitta del clamore intorno ai 5 stelle, per riaggiustare il suo posizionamento. Da una parte promette di tutto e di più. “Aumenti agli statali, aiuti alle pensioni minime. Impegni per 5 miliardi”, scrive Repubblica. Poi fa la mossa del cavallo, quatto quatto offre a Speranza, Cuperlo e Bersani quello che Speranza Cuperlo e Bersani chiedevano da tempo: la cancellazione dell’Italicum. “Legge elettorale sacrificata sull’altare del referendum”, scrive Massimo Franco per il Corriere. “Noi -parola di Renzi- siamo pronti a cambiare l’Italicum se ci sono i numeri in Parlamento. Sia che la Corte costituzionale dica sì, sia che dica no”. Ma cambiare come? “Io sono affezionato alle preferenze -prosegue Renzi- ma va bene pure il collegio uninominale”. Quindi non soltanto rinuncerebbe al secondo turno (in cui i leader se la giocano) ma sarebbe pronto a sacrificare l’intero impianto dell’Italicum per tornare a un simil-Mattarellum. La legge “perfetta” non è più tale, il capolavoro che “nessuno in Europa ancora ha ma che tutti ci invidieranno”, non va più bene. Ora bisogna salvare il salvabile: evitare la sconfitta a fine novembre o inizio dicembre, quando si voterà per il referendum. E se vincessero i No, Renzi resterebbe lo stesso a Palazzo Chigi, Per spirito di servizio, visto il disastro di FI e M5S.
A settembre gli italiani si scoprono forti lettori, prendendo d’assalto i numerosi festival letterari che punteggiano il nostro Paese da nord a sud. Per conoscere di persona gli autori, cercando il rapporto umano oltre quello silenzioso e solitario con il testo. Ma anche per un desiderio di conoscenza , di partecipazione, di confronto. In un momento di grande vuoto della politica sembra quasi che le rassegne che invitano a riflettere su temi filosofici, di storia e di attualità abbiano preso il posto di quelle che una volta erano le feste dell’Unità e le grandi manifestazioni politiche. Con appassionati dibatti e un esercito di lettori militanti armati di taccuini. Un’esperienza da non perdere in un Paese come il nostro che notoriamente legge poco, rispetto alla media europa. Per saggiarla cco un viaggio fra le proposte più interessanti:
Il Festivaletteratura festeggia vent’anni e arrivano a Mantova 400 scrittori e artisti italiani e internazionali. Attesissimoi gli inglesi Julian Barnes e Jonathan Coe, idue premi Concourt Lydie Salvayre ( Non piangere, L’asino d’oro) e Mathias Énard ( Le bussole, Edizioni e/o), e ancora Amin Maalouf, Jay McInerney,, Cees Nooteboom, Jussi Adler-Olsen, Juan Gabriel Vasquez, Juan Villoro e lo scrittore messicano Paco Ignacio Taibo II con La biciletta di Leonardo (La nuova frontiera). E ancora, per Feltrinelli, Massimo Cirri con la vita mancata di Aldo Togliatti. per Adelphi Benedetta Craveri con Gli ultimi libertini, Roberto Calasso con Il Cacciatore celeste e Antony Beevor/Vasilij Grossman, Uno scrittore in guerra
“Vent’anni si compiono una volta sola” dice il Comitato organizzatore del Festival, che ha deciso di continuare a valorizzarne le scelte che ne hanno decetato il successo: proporre autori molto apprezzati all’estero ma ancora poco noti nel nostro Paese, con una forte attenzione a temi chiave per il nostro tempo come le migrazioni, l’ambiente, interrogando la storia per cercare risposte per oggi. Tanta letteratura di qualità e incursioni in territori non strettamente letterari “per sparigliare le carte e capire come si può raccontare il presente e immaginare quello che sarà”. Qui il programma completo:
Migranti da sempre, fin dalle origini di Homo sapiens. La capacità di immaginare e di ribellersi alle condizioni avverse è stata la fortuna della specie umana, favorendone l’evoluzione. Da questa considerazione antropologica prende le mosse l’edizione 2016 del festival Con- vivere (8-11 settebre) dedicato al tema delle “frontiere” , delle migrazioni, della mobilità intesa anche in senso sociale , che oggi manca in Italia come racconta la sociologa presenta Chiara Saraceno che giovedì 8 apre la rassegna ideata e diretta dal filosofo Remo Boedei, professore di filosofia presso la University of California che si interroga su quali limiti dovremmo oggi ancora superata. A discutere di “migrazioni e nuovi confini sarà Domenico Quirico, inviato de La Stampa ed esperto di Medio Oriente, mentre lo scrittore Marco Rovelli racconta le guerrigliere curde, a partire dal suo romanzo La ragazza dagli occhi verdi che ha portato lo scrittore a fare un lungo viaggio in Kurdistan. E ancora, interventi diPiergiorgio Odifreddi, Luca Mercalli (“Clima bene comune”), Nicola Piovani e dell’anglista ed esperto di letteratura di viaggio Attilio Brilli racconta le biblioteche immaginarie che offrirono la scintilla di scoperta a viaggiatori come Cristoforo Colombo. L’undicesima edizione del festival culturale di Carrara offre quattro intensi giorni di incontri e di dibattito su temi che incontrano la storia, la filosofia, ma anche l’attualità, a cominciare dalle 17 ae fino a mezzanotte. Nel centro storico anche con musica e protagoniste impegnate della scena internazionale come la cantante e ambasciatrice dell’UNHCR, l’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati Rokia Traoré, che a Con-vivere porta “Né So” (“A casa”) il sesto album di questa cantante nata in Mali che racconta le sofferenze dei popoli sradicati.
Da venerdì 16 a domenica 18 settembre a Modena, Carpi e Sassuolo la sedicesima edizione di Festivalfilosofia proone una riflessione sul conflitto e l’agonismo con quasi 200 appuntamenti ( tutti gratuiti) in 40 luoghi diversi delle tre città. Il tema verrà indagato nella vita collettiva, ma anche le forme di vita dei singoli. Tra i protagonisti del Festivalfilosofia quest’anno ci sono Stefano Rodotà, Emanuele Severino, Jean-Luc Nancy, Marc Augé, Zygmunt Bauman, Carlo Sini, Peter Sloterdijk, Eva Cantarella e Remo Bodei, presidente del Comitato scientifico del Consorzio. Il programma filosofico del festival propone anche la sezione “la lezione dei classici” con esperti che commentano i testi che, nella storia del pensiero, hanno costituito modelli o svolte concettuali rilevanti per il tema dell’agonismo: dalla concordia civica nella Politica di Aristotele all’elogio dei tumulti di Machiavelli, alla lotta di classe teorizzata da Marx, al combattuto Così parlò Zarathustra di Nietzsche. L’idea che la politica sia rapporto tra amico e nemico verrà rintracciata nella teoria di Schmitt, mentre Se questo è un uomo di Primo Levi indaga le causedella violenza.
Ma anche quest’anno ci sarà spazio per reading e spettacoli con Ernesto Assante e Gino Castaldo, Marina Massironi, Beatrice Visibelli e molti altri. Infine bene trenta mostre proposte in occasione del festival, tra cui una sulla passione per gli album di figurine Panini. Ma da non perdere anche le cene filosofiche ideate da Tullio Gregory per i quasi ottanta ristoranti ed enoteche delle tre città, nella notte di sabato 19 settembre è previsto il “Tiratardi”, con iniziative e aperture di gallerie e musei fino alle ore piccole.
A Taormina il Taobuk festival presenta oltre cento ospiti, fra i quali l’etnologo Marc Augé, e il filosofo Michel Onfray, lo scrittore Massimo Carlotto, e più di cinquanta appuntamenti, da sabato 10 a sabato 17 settembre 2016 torna Taobuk – Taormina International Book Festival, la manifestazione che pone al centro la letteratura, in dialogo con le altre espressioni della cultura, dal cinema alla musica, dal teatro alle arti visive, sollecitando riflessioni su un tema sociale di stretta attualità. La VI edizione, dedicata a Gli Altri, chiama al confronto scrittori, giornalisti, filosofi, artisti, esponenti della società civile e politica, sia italiani sia internazionali, ospitati in tutta la città di Taormina, a partire dai luoghi turistici più amati, come il Teatro Antico, l’Archivio Storico e Piazza IX aprile, affacciata sulla baia di Naxos e a ridosso dell’Etna. Le diverse Arti si ritrovano unite sin dalla serata inaugurale del 10 settembre al Teatro Antico (ingresso libero), con lo scrittore americano Premio Pulitzer Michael Cunningham, lo scrittore, drammaturgo e saggista Claudio Magris. A loro si affiancano nomi rappresentativi del teatro, del cinema e della televisione: l’attrice e cantante Lina Sastri, la stella della world music italiana Mario Incudine. Conducono Antonella Ferrara, ideatrice e presidente di Taobuk, e Franco Di Mare, direttore artistico del festival.
Podenonelegge
Letteratura e impegno fanno forte Pordenonelegge dal 14 al 18 settembre. Con decine di incontri da non perdere, a cominciare da quello con lo scrittore e attivista per i diritti umani Burhan Sonmez che a Pordenone presenta il suo nuovo Istanbul Istanbul edito Nottetempo, ambientato nei sotterranei del carcere dove sono rinchiusi quattro dissidenti. A Pordenonelegge anche I segreti di Istanbul il nuovo libro di Corrado Augias in uscita per Einaudi.
Da non perdere l’incontro con il diplomatico inglese Gerard Russell autore di Regni dimenticati, un libro sulle culture mediorientali in via di scomparsa.Inoltre segnaliamo l’incontro e il premio allo scrittore spagnolo Javier Cercas autore di romanzi che sono anche racconti reali con lo sguardo rivolto all’indagine del presente e delle sue chiavi. «Javier Cercas – recitano le motivazioni del Premio – ha raccontato con maestria assoluta alcuni momenti cruciali della storia spagnola: dalla guerra civile, al tentativo di colpo di stato del 1981, per toccare anche la memoria degli orrori del lager. A volte mischiando verità e finzione, altre ricercando una narrazione totalmente vera, e consapevole che la storia può essere coerente e simmetrica, non casuale e imprevedibile, e che contiene tutta la forza drammatica e il potenziale simbolico che esigiamo dalla letteratura». E’ immerso nell’attualità più viva del nostro tempo il nuovo romanzo dell’autore iraniano (naturalizzato olandese) Kader Abdolah Il pappagallo volò sull’Ijssel, in uscita per Iperborea: racchiude la storia degli ultimi venticinque anni di immigrazione mediorientale in Olanda, raccontata attraverso le vicende personali di un gruppo di rifugiati dalla curiosità alla diffidenza, all’ostilità. E poi Serhij Žadan, il “Rimbaud ucraino”: con La strada del Donbass pubblicato da Voland ci accompagnerà attraverso gli sterminati campi di granturco del suo paese, in una cavalcata folle e fantastica alla “Easy rider”, e riguardo alla scienza e alla medicina, da non perdere di vista l’incontro con l’eminente scienziato Alberto Mantovani che ha scritto Non aver paura di sognare decalogo per aspiranti scienziati edito da La nave di Teseo. Qui il denso programma completo: www.pordenonelegge.it
Il castello sul mare di Trani ospita la XV edizione de I Dialoghi di Trani uno dei festival del Mezzogiorno più conosciuti ed apprezzati in Italia dalla critica e dai lettori di ogni età ai principali protagonisti della scena culturale, politica ed economica internazionale, ai Dialoghi ci si interrogherà sulla questione legata all’equilibrio tra istanze individuali e risposte condivise. E ci si domandarà se “le attuali crisi di sistema: economiche, occupazionali, sociali, ambientali rischiano di innescare un’escalation individualista”. In cinque giorni a dialogare con il pubblico di Trani sui temi del presente, saranno, tra molti altri, Ramin Bahrami, Massimo Bray, Piercamillo Davigo, Nino Di Matteo, Salvatore Borsellino, Padre Andrej Boytsov e poi i grecisti Luciano Canfora e Eva Cantarella, i giornalisti Piero Dorfles, Paolo Flores d’Arcais, Armando Massarenti, Benedetta Tobagi ( che presenta il suo nuovo libro La scuola salvata dai bambini Rizzoli) e Giovanna Zucconi. E ancora, gli scrittori Michela Murgia, Petros Markaris e il premio Strega 2016, Edoardo Albinati. Lo storico dell’arte Tomaso Montanari e molti altri. Numerosi anche gli spettacol con il pianista Ramin Bahrami, il 25 settembre nella splendida Cattedrale di Trani, e presentazioni di libri, caffè con gli autori, la cucina live del dj Donpasta la rassegna cinematografica curata dal “Circolo del Cinema Dino Risi”, e una sezione della rassegna dedicata interamente ai piccoli lettori. I Dialoghi saranno trasmessi in live streaming sui canali Rai Cultura e Rai Scuola.
Dice Renzi che la riforma costituzionale per cui si voterà al prossimo referendum (se ci faranno il piacere di comunicarci la data) in effetti avrebbe potuto essere scritta meglio. Non solo: assicura che la riforma originale voluta dal governo in realtà era meno confusa e più leggibile e solo per colpa del Parlamento si è rovinata cammin facendo.
Forse non si è accorto, Matteo, di essere riuscito a condensare in una sola frase molti dei problemi di questa riforma che comincia a non piacere anche ai servi più fedeli oltre che agli stessi estensori: una legge scritta male (ancor di più che si tratti di Costituzione) è il viatico perfetto per una libera interpretazione pro domo sua da parte del potente (e soprattutto del prepotente) di turno. Non ci si può permettere del lassismo lessicale nel comporre le linee guida costituzionali semplicemente perché ciò significa demandarne l’interpretazione e il controllo agli organi giuridici che, di questi tempi ovvero in questi ultimi vent’anni, hanno subito una costante opera di delegittimazione.
Chi scrive male pensa male. Vive male. E amministra ancora peggio. Un legislatore confuso e impreciso lascia (più o meno consapevolmente) un largo spazio di applicazione ad una legge. In sostanza le complicazioni in politica (e la storia ce lo insegna) non sono altro che il condono preventivo per ogni tentativo di legittimazione delle cazzate future.
Renzi sostanzialmente ammette di non essere stato chiaro nella riscrittura del documento cardine della nostra democrazia, dell’insostituibile argine a governanti egoisti o malfattori e delle fondamenta della nostra legislazione. È qualcosa da poco? Decidete voi.
Il Parlamento, poi, vissuto come fastidioso passaggio burocratico, che avrebbe “rovinato” il testo primordiale esprime l’insofferenza del governo verso gli organi di controllo. Nella testa del premier ci si dovrebbe limitare all’estensione delle leggi da parte del governo e al massimo a qualche referendum plebiscitario. La democrazia, per questi, è un fastidioso intralcio alla governabilità. Questa riforma è figlia di questo pensiero.
Sam Millar ha una gentilezza discreta e un’empatia sincera quando esprime le sue condoglianze per il sisma che ha colpito il centro Italia. «Noi tutti in Irlanda siamo rimasti scioccati nel sentire questa terribile notizia. Il nostro pensiero e le nostre preghiere sono per questi uomini e queste donne vittime del terremoto». Ci tiene a dirlo subito, lo scrittore irlandese. Subito prima di iniziare l’intervista questo scrittore dal passato rocambolesco la cui vita, come spesso si dice esagerando, sarebbe perfetta per la sceneggiatura di un film.
Attivista dell’Ira finito in carcere nel 1970, emigrato negli Stati Uniti una volta uscito e parte del sottobosco criminale locale, è anche la mente del colpo del secolo alla Brinks di Rochester, Stato di New York. Millar era in Italia ospite al Festival di letterature applicate Marina Café Noir di Cagliari per parlare del suo libro “On the Brinks, “caso letterario” (i suoi libri sono bestseller in Irlanda, Francia, Germania e Stati Uniti) in cui racconta in prima persona le sue tante vite. Un’infanzia difficile nei quartieri cattolici di Belfast, le lotte nel carcere di Long Kesh al fianco di Bobby Sands al tempo della Blanket Protest irlandese, ladro astuto, tutto nella penna di uno scrittore che grazie al suo precorso esistenziale così tempestoso, racconta il mondo criminale e la strada, senza compromessi. Percorriamo con lui ragazzino le strade di una Belfast fumosa e lercia, gli otto anni di carcere, una situazione personale sempre sull’orlo del baratro con una madre con manie suicide e un padre assente. E la passione per i fumetti della DC Comics. “che mi hanno mostrato come fuggire, e i fumetti Marvel, per avermi mostrato come fuggire ancora meglio”.
Lei è nato e cresciuto a Belfast negli anni caldi, precisamente in Lancaster Street, una strada famosa per i suoi scontri settari. Gli orangisti scortati dalla polizia, la attaccavano frequentemente lasciando per terra morti e feriti. Che ricordi ha?
Tutti coloro che hanno vissuto a Lancaster Street hanno avuto un gran ben da fare per dimostrare di esserne all’altezza. Noi eravamo un obiettivo frequente dei fascisti orangisti lealisti protetti dalla loro forza di polizia paramilitare, la Royal Ulster Constabulary, trasformata oggi nel Police Service of Northem Ireland. La Ruc con la complicità dell’esercito inglese attaccò in modo settario e uccise, oltre a membri dell’ Ira, soprattutto semplici cittadini solo perché cattolici o repubblicani. La strada era un bersaglio perché era l’unica strada abitata daI cattolici nazionalisti, tutt’intorno lealisti. Le nostre giornate erano abbastanza movimentate.
Come aderì all’Ira?
Quando scoppiò la guerra coi britannici (The Troubles), mio padre e i miei fratelli andarono al fronte a combattere contro di loro. Io invece a quel tempo ero soltanto interessato alle ragazze, alla discoteca e naturalmente ai libri di fumetti americani. Non ero un pensatore politico a quel tempo e non avevo alcun interesse a unirmi all’Ira. Tutto cambiò con due terribili eventi nella mia vita: essere a Derry in quello che divento noto come il Bloody Sunday quando la British Army assassinò e freddò 14 civili disarmati mentre manifestavano e l’assassinio del mio migliore amico il 16enne Jim Kerr. Non potevo più aspettare, stare fermo e guardare la mia gente che veniva annientata, così decisi di combattere i britannici unendomi al movimento repubblicano.
Un’adolescenza difficile, come è nata la passione per la scrittura?
La mia passione per la scrittura nasce da due eventi. Il primo: mia madre ci lasciò quando ero molto giovane e non ritornò mai più. Lei aveva dei problemi di salute mentale e non poteva più badare alla famiglia. Fortunatamente per me, la libreria locale era in fondo alla strada così io potevo passare molte ore là, evadendo dal mio ambiente familiare, leggendo libri di avventure. Ho sempre avuto il desiderio di diventare uno scrittore, ma non ho mai creduto che potesse accadere davvero. Provenivo da una famiglia della working class. Mio padre era un socialista repubblicano e anche un marinaio. Nessun sogno di rivalsa. Dai suoi tanti viaggi a New York mi portava a casa una valigia di fumetti americani che tutt’ora colleziono. Da quelli ho imparato molto di più su ciò che riguarda il mondo attorno a me di quanto mi abbia insegnato la scuola.
La prima parte è veramente crudissima, il periodo della prigionia con tutto quello che ha subìto è agghiacciante. Nel libro l’ironia sembra una chiave di salvezza. Cosa invece, l’ha salvata durante la sua rocambolesca vita?
Ci sono state delle volte quando stavo nella prigione politica di Long Kesh, i famigerati H-Blocks in cui ho pensato che stavo per diventare pazzo. Essere nudi in una cella vuota, essere picchiati e abusati sessualmente ogni giorno dalle guardie può portare anche la mente più forte alla follia. Sono molti i miei compagni diventati pazzi o che si sono uccisi quando finalmente sono stati rilasciati. Misono chiesto spesso come ho fatto a sopravvivere, mentre altri non ce l’hanno fatta. Ecco penso di aver imparato a vivere giorno dopo giorno. Mi teneva in vita la voglia di rivedere la mia famiglia, non avevo intenzione di permettere agli inglesi di impedirmi di ritornare dalla mia famiglia un giorno. In più eravamo dalla parte giusta. e in me era sempre forte la motivazione che mi aveva fatto abbracciare la lotta: questo è il nostro Paese non è dei britannici. Noi siamo irlandesi non britannici e io ho sempre creduto che alla fine li avremmo sconfitti.
Militante dell’IRA e rapinatore. Dalla politica “combattente” alla criminalità. Diciamolo l’Ira, in fatto d’efferatezze, non era seconda a nessuno, poi il colpo del secolo. Cosa l’ha spinta a una vita violenta?
Che sia ben chiaro che combattere per il proprio Paese e per la libertà del proprio popolo non è un crimine. Il crimine è occupare un Paese con carri armati come hanno fatto gli inglesi col mio Paese per secoli. Io ho lottato per la mia gente, è stata una scelta naturale. C’era una guerra e io ne ho preso parte. Rapinare i Brinks è un crimine, un crimine fatto per soldi. E’ qualcosa che non avrei mai dovuto fare e chiedo scusa al popolo americano per averlo fatto. Ho sbagliato, ho pagato per questo errore. E’ semplice: tutti noi sbagliamo e io non faccio eccezione. E la rapina alla Brinks è stato il più grosso errore della mia vita. L’unica cosa buona che è venuta fuori da questa storia è che i soldi erano assicurati dai Lloyd’s di Londra. Ironicamente alla fine sono stati gli inglesi a pagare per il denaro rubato, cosa che mi ha fatto sentire fottutamente meglio.
Il terrore dell’Isis, il nomadismo contemporaneo, le sempre più forti le disuguaglianze sociali. Il mondo si trasforma. Le colpe?
L’ingiustizia sociale è un’effetto della violenza dei poteri economici. Sono i denari a determinare la politica estera, sempre più sanguinaria e tirannica. Finché ci sarà ingiustizia, ci sarà morte. Come può una persona che abbia un cuore non piangere per ciò che stanno vivendo i rifugiati che arrivano dal Medio Oriente? E come si può non avere disprezzo per l’Isis? Entrambe queste cose però sono state create dall’azione di due criminali di guerra: Tony Blair e George Bush. Entrambi hanno “violentato” un terzo del mondo per il petrolio e sono stati ricompensati finanziariamente diventando multimilionari. Al contrario questa settimana il processo al jihaidista Ahmad al-Faqi al-Mahdi, che si è dichiarato colpevole di aver distrutto i monumenti religiosi dell’antica città di Timbuktù in Mali. Sarà processato come un criminale di guerra.
Numeri contro luoghi comuni:due studi pubblicati di recente confermano e smontano percezioni diffuse riguardanti donne e lavoro: “le donne guadagnano meno perché non chiedono aumenti” (falso) e “nei Paesi del Nord la condivisione del lavoro domestico è più equa” (vero). Entrambi i lavori segnalano il permanere di alcuni freni, ostacoli, lacci&laccioli culturali e sociali che impediscono una parità sul terreno del lavoro. Per fortuna i dati raccolti segnalano che la direzione è quella del miglioramento.
Quanto lavorano in casa gli uomini in Occidente?
Partiamo dalla seconda che il dato è più immediato e semplice e i numeri riguardano anche l’Italia, confermando molti giudizi sulla relativa arretratezza della nostra società in materia di parità. Illavoro pubblicato su Demographic researchprende in considerazione 66 studi sull’impiego del tempo da parte di uomini e donne in 16 Paesi nell’arco di un cinquantennio (1961-2011). Se si parla di lavoro domestico, definito dagli autori, Evrim Altintas e Oriel Sullivan. ricercatori a Oxford, come tempo dedicato a “cucinare, pulire e occuparsi dei vestiti”, le donne italiane sono quelle che passano più tempo a farlo (220 minuti al giorno), mentre danesi, britanniche, statunitensi e finlandesi dedicano a queste attività tra i 120 e i 140 minuti.
Ora, potrebbero obbiettare i difensori della virtù italica, il problema è che le donne e gli uomini americani, britannici (e forse anche danesi), puliscono male e cucinano poco. Il tema, letto così, non sarebbe tanto la differenza di genere, ma il divario abissale tra le case e le cucine degli anglosassoni e nordici e quelle italiane (o spagnole). Moquette appiccicose contro cotto incerato, cene al microonde contro pasta fatta a mano. Sciocchezze: il numero importante è infatti quello che mette a confronto il tempo dedicato al lavoro domestico delle donne con quello dedicato dagli uomini. In Italia questa differenza si aggira intorno alle tre ore al giorno, seguono ex Yugoslavia, Spagna, Polonia e poi Germania. Il divario minore riguarda invece, nell’ordine, Danimarca, Canada, Stati Uniti, Finlandia. Il che, volendo essere un po’ maligni e pieni di pregiudizi, dimostra che le case britanniche sono più sporche e ci si mangia peggio: la somma del tempo dedicato alla cura di casa da maschi e femmine nel Paese del Brexit è infatti la più bassa di tutti.
Il dato positivo che riguarda anche l’Italia è che il divario si è andato riducendo ovunque negli anni. Certo, a guardare la figura il dato italiano fa un po’ vergognare – in questo caso possiamo vantarci di avere le case più linde, che la somma del tempo dedicato al lavoro di cura è la più alta.
Ma le donne chiedono aumenti? E li ottengono?
Il discorso relativo agli aumenti di salario è molto diverso. La ricerca dell’Università di Warwick ha usato i dati australiani, unico Paese al mondo dove la richiesta di aumento viene registrata dalla statistica. Il campione è dunque piuttosto grande (4600 persone) ed è diviso tra lavoratori a tempo pieno e part-time – che si dice siano meno inclini a chiedere un aumento della paga.
Comparando gruppi maschi e femmine di lavoratori simili, i ricercatori hanno verificato tra aspetti interessanti: le donne sono meno spesso impiegate in posti di lavoro dove è possibile chiedere un aumento salariale, negoziare la paga in qualche forma; quando gli uomini chiedono un aumento lo ottengono più spesso delle donne (il 25% dei casi in più); il mancato ottenimento dell’aumento è più diffuso tra le donne sopra i 40 anni, mentre le donne giovani giovani chiedono e ottengono aumenti con la stessa frequenza dei loro colleghi maschi.
Questo ultimo dato rende ancora più grave la discriminazione nei confronti delle over 40, che quindi sono discriminate in più del 25% dei casi. Sia il primo lavoro che il secondo ci indicano comunque che le cose, tutto sommato, migliorano in meglio. Con buona pace dei family e fertility day.
Indifendibile. “Le regole del M5S sono semplici. L’assessore mi ha garantito che non le è arrivato neanche un avviso di garanzia. Prima di giudicare vogliamo vedere le carte”: Virginia Raggi sul Corriere di ieri ,5 settembre. Si apprende invece che “l’assessore” sapeva di essere indagata dal 18 luglio, data in cui aveva chiesto al Pm delucidazioni in merito. E che qualche giornio dopo aveva informato la Raggi. La sindaca ha, dunque, mentito al Corriere? Tecnicamente forse no: può infatti sostenere che effettivamente l’avviso non era “arrivato” ma era stato solo “comunicato” alla Muraro su sua richiesta. Sono trucchi da azzeccagarbugl. Forse buoni e in tribunale per schivare un’accusa di falsa testimonianza, ma che in politica testimoniano di una condotta opaca, poco trasparente, loffia. Ha perfettamente ragione Repubblica quando titola: “Dalla trasparenza alla grande bugia”. Virginia Raggi è venuta meno al primo dovere di un sindaco: informare correttamente i cittadini elettori. Acqua in bocca, titola il manifesto. E sotto pubblica una foto di Virginia che sussurra qualcosa alla Muraro in consiglio coprendosi la bocca perché non si colga il labiale. Acqua in bocca anche nei confronti di direttorio e mini direttorio, di Grillo e Di Maio, del Movimento che fino a ieri vantava la più assoluta trasparenza? “I 5 Stelle sapevano”, titola il Corriere, virgolettando la frase e attribuendola all’assessore all’ambiente. Il Corriere pubblica inveve un botta e risposta che riguarda il sindaco e si è svolto ieri pomeriggio in commissione ecomafie: “Ha informato i vertici del Movimento?», è stata la domanda della deputata pd Miriam Cominelli. «Sì, certo», ha risposto la sindaca. E invece, Carlo Sibilia, Luigi Di Maio, Roberto Fico, Carla Ruocco dicono che nessuno aveva detto loro nulla”. Mente la Raggi o mente Di Maio? Più tardi pare che la sindaca abbia corretto la sua versione, dicendo di aver informato non tutti i componenti del direttorio ma solo Paola Taverna. I giornali scrivono però di una cena, il 2 agosto, tra la neo sindaca e il Direttorio. Una cena che doveva discutere proprio del caso Muraro. La Raggi, che ormai certamente sapeva, disse dell’avviso di garanzia oppure tacque? Ingannò i commensali, schivando le domande sul quel punto, oppure l’una e gli altri si misero d’accordo per sostenere all’esterno una posizione di comodo? Comunque la pensiate, il mito della trasparenza a 5 Stelle è a pezzi. Le “regole” hanno fatto acqua appena la barca ha preso il mare. Emerge, invece, un contrapporsi di gruppi e cordate. Tutti a “consigliare” la sindaca di Roma. Ma da una parte chi voleva Minenna e Raineri,indipendenti di rito milanese, e dall’altra gli amici di Marra e Romeo, il primo già collaboratore di Alemanno e di Mauro Masi (Rai), il secondo, già dipendente del Campidoglio posto in aspettativa e nominato capo della segreteria con lo stipendio che da 38mila euro passa a 120mila. In mezzo Virginia Raggi, la Curaro indagata e troppe mezze verità. Se vince il No, addio al partito della nazione. Ieri al cinema Farnese Massimo D’Alema ha dato la “carica al fronte del No”: così scrive il Corriere. Lo ha fatto promettendo di voler mantenere la tessera del Pd e promettendo di non voler tornare a far politica in posizione preminente. Ha denunciato i pasticci di Renzi, D’Alema. Dalla data del voto referendario ancora incerta -potrebbe slittare a dicembre-, all’Italicum che resta in campo anche se quasi tutti affermano che si dovrebbe cambiare. Quando? Dopo! Dopo che Renzi avrà usato l’argomento della “stabilità”, dell’Europa che sarebbero cavoli amari se non ci fosse più lui, della ripresa che è ancora deludente ma che ci vuole tempo perché le riforme funzionino. Prima cercherà di insaccare la finanziaria con bonus e sgravi elettorali. Poca cosa, purtroppo, perché come l’Istat avverte: “La crescita si è interrotta. E la manovra finanziaria pe il 2017 si complica”. Tutolo del Corriere. Ma tutto fa brodo, pur di scongiurare una sconfitta. Come molti di noi, anche D’Alema denuncia questi stato dei fatti: “il mostriciattolo” che è la riforma Boschi, l’introduzione di un “presidenzialismo di fatto”, la stura a un “bipolarismo confuso”, l’Italicum che altro non è se non una “manutenzione del Porcellum”. Ma in più D’Alema prova adire che con la vittoria del No finirebbe il partito della nazione e forse il Pd potrebbe ritrovare un ruolo nel centro-sinistra. Spiega che un ampio accordo parlamentare – se ne vedono le premesse- la costituzione potrebbe essere cambiata presto e bene. Che le forze politiche tornerebbero a dialogare rendendo il paese, per paradosso, più stabile. Nei prossimi mesi toccherà a Civati, toccherà a D’Attorre, a Tocci e anche a me, rispondere alla sfida lanciata ieri da D’Alema. Provare a trasformare i No in una proposta politica, convincere gli Italiani che con la sconfitta di Renzi non verrà il diluvio, ma forse un nuovo inizio. Per una sinistra non più casta subalterna ai dogmi del neo liberismo.
Massimo D'Alema presenta il comitato per il No al Referendum costituzionale presentato dal governo di Matteo Renzi 5 settembre 2016 a Roma
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
L’unica cosa che è andata storta nel ritorno di Massimo D’Alema, se vogliamo, è il precipitare della crisi di Virginia Raggi, con la procura che risponde a una precisa domanda della commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti e comunica che Paola Muraro è effettivamente sotto inchiesta da aprile – cioè da prima di esser nominata assessore. La procura, poi, dice che l’assessora, però, lo sa benissimo, perché lei stessa ha chiesto di saperlo a luglio, dal 18. Apriti cielo: da luglio – vuol dire – Muraro e Raggi sanno dell’inchiesta, mentre pubblicamente dicono di non saperne niente. La giornata di Massimo D’Alema diventa così, in un lampo, la giornata delle bugie a 5 stelle – mediaticamente, si intende. Con le dimissioni di Muraro che non sono più un tabù, e il direttorio del Movimento deciso, questa volta, a riprendere il controllo sulla sindaca, che finora ha deciso tutto in autonomia, appoggiandosi semmai alla rete del suo studio professionale.
Ah: altra cosa che è andata storta, poi, è stato il caldo, un afa pazzesca che ha costretto i presenti – tanti, troppi per il Cinema Farnese – a una prova di forza, a una sauna. Anche quella non era stata prevista. Ma, tutta sudata, la platea non ha comunque mai smesso di applaudire e di ridere al puntuto intervento di D’Alema. Rideva di gusto, ad esempio, il consigliere della Rai Carlo Freccero – di gusto anche se con la camicia completamente madida. Per il resto, insomma, l’adunata suonata da Massimo D’Alema per organizzare il fronte del No al referendum costituzionale è andata bene. Le stoccate sono andate tutte a segno, il messaggio è arrivato, e in platea c’erano effettivamente rappresentanze di tutta Italia, anche se prevalentemente del Sud, feudo di sempre. Si è visto così un embrione di un comitato nazionale di «impegno civile», come dice a un certo punto il leader, coordinato dal giurista Guido Calvi. «Un fine giurista», lo introduce D’Alema, «che ha il pregio di non avere la tessera del Pd, tra le altre cose. Così non potrà esser accusato di voler fondare una nuova corrente». Risate.
Nasce dunque un comitato nazionale che coordinerà la campagna referendaria, che già altri comitati, a sinistra, hanno intrapreso da mesi (a sinistra e a destra, in realtà, come puntualmente fanno notare dal governo: «D’Alema sta con Brunetta, che brutta fine», dicono). D’Alema parla di un comitato «le cui ragioni hanno le radici radici nella storia e nella cultura del centrosinistra italiano». «Non potevamo rimanere insensibili al sentimento diffuso, alla richiesta di dare una forma organizzativa alle ragioni di chi ormai non vota neanche più Pd, speso», prosegue D’Alema, impegnato però a chiarire anche che lui, adesso, non sta certo fondando un partito. D’Alema è concentrato sulla riforma, e lì punta il suo intervento, salvo qualche stoccata alla stampa («che prende ispirazioni e spesso ordini da palazzo Chigi») e al «presidente del consiglio» – chiamato sempre così, con distacco. «Io sono un ammiratore del presidente del Consiglio», dice ad esempio D’Alema, «perché adesso che la legge elettorale rischia di esser un impiccio – perché io ho qualche dubbio che la Corte si beva questa legge – dice che è materia del parlamento. Lo ha detto come se non avesse messo lui la fiducia per imporla, al parlamento, e come se non fosse lui il segretario del primo partito, in parlamento».
Per il resto però è tutto un dar forma alle ragioni del no, riprendendo (spesso parola per parola) quanto ha detto a noi di Left, nella lunga intervista a cui abbiamo dedicato l’ultima copertina. Bisogna rileggere quella, per avere un buon sunto di quanto successo al Cinema Farnese, mentre Virginia Raggi viveva le sue ore più difficili. D’Alema ha strigliato pure Bersani, così come fatto con noi, e ha detto alla minoranza dem (che in platea è assente, e c’è il solo Di Traglia, ex portavoce di Bersani) che dovrà prendere atto che l’Italicum non cambierà, e che bisognerebbe però votare no comunque, senza cincischiare. Bisognerebbe anzi organizzarsi: «non perdersi di vista», come chiude l’intervento un D’Alema diventato un po’ Moretti.
Quanto poi sarà forte questo comitato del No, bisognerà vederlo. In platea c’era molto mondo ex Ds, c’erano vecchi militanti del Pci romano, sì, e c’era per dire Cesare Salvi o Pietro Folena. C’era Vincenzo Vita, che non manca mai quando c’è da manifestare, e i senatori Mucchetti e Corsini, che sono tra i firmatari di un appello per il No. Ma non sono leader carismatici, però, ecco. C’era un po’ di sinistra – Alfredo D’Attorre, Arturo Scotto, Marco Furfaro – un po’ per cortesia, un po’ per speranza – perché un impegno di D’Alema sì che darebbe una scossa al progetto di riunire la sinistra. Tenendo sempre presente, però, quello che ci dice una compagna, militante storica Pci-Pds-Ds e poi sinistra varia ed eventuale: «Ho fatto un’ora di fila sotto il sole per sentire D’Alema. Come siamo messi, eh?». Occhio alle illusioni.
L'ass. Paola Muraro il Sindaco di Roma Virginia Raggi
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
Cercando di tenere il punto: l’assessora Muraro della giunta Raggi è stata iscritta nel registro degli indagati il 21 aprile di quest’anno nell’ambito di un’inchiesta sui rifiuti romani e ne sarebbe venuta a conoscenza il 18 luglio; il giorno successivo avrebbe avvisato la sindaca Virginia Raggi.
Di per sé, scritta così, è la storia di accertamenti giuridici su personaggi politici come accade ogni giorno in ogni parte d’Italia. Chi fa sbaglia, dicevano i nonni. Ma non è questo che ci interessa, ora. La Muraro da settimane continua a negare di essere indagata. Anzi, ieri, audita in commissione Ecomafie, ha dichiarato di avere risposto alla domanda dei giornalisti che le chiedevano se avesse ricevuto un avviso di garanzia ha rilasciando una dichiarazione da pelle d’oca:
«I giornalisti mi chiedono: hai avuto un avviso di garanzia? questo è quello che mi chiedono. A una domanda così cosa posso rispondere? No, non ho ricevuto un avviso di garanzia. Essere indagato o ricevere un avviso di garanzia sono due cose molto diverse».
“Ci pisciano in testa ma dicono che piove”, scriveva Travaglio qualche anno fa. Ecco, la metafora funziona perfettamente. Solo che qui non siamo di fronte a consumati attori della politica che navigano in acque agitate dai tempi della prima repubblica: qui siamo al cospetto di chi s’è dichiarato “il nuovo” e ha ripetuto mille volte che l’onestà è il prerequisito essenziale per amministrare.
È disonesta la Muraro quando si arrampica su un gioco retorico per tentare di giustificare una bugia? Forse formalmente no ma riesce comunque a fare di peggio: è sleale. Consapevolmente artificiosa nel parlare e nell’agire per modificare la proiezione dei fatti a proprio vantaggio.
Anche la sindaca Raggi dichiara di avere “prontamente informato i superiori” (frase che tra l’altro suona piuttosto sinistra per un amministratore che dovrebbe rispondere ai cittadini): i suoi superiori però la smentiscono dicendo di non averne saputo nulla. La Raggi mente? Non conta: di certo la sindaca aggira la domanda. Slealmente. Ancora un volta.
E l’inciampo duraturo sfocia nell’agonia.
Buon martedì.
(Ah, a Milano il segretario generale del comune Antonella Petrocelli, nominata pomposamente dal sindaco Beppe Sala, s’è dimessa dopo soli cinque giorni per essere stata rinviata a giudizio per turbativa d’asta. Se non l’avete letto, tranquilli, non siete stati distratti voi: è lo stato di salute dell’intossicazione giornalistica)
A 120-metre long sculpture of the 17th-century London skyline is set alight in a retelling of the story of the Great Fire of London in 1666, in London, Sunday, Sept. 4, 2016. The event was part of a collaboration between American 'burn' artist David Best and Artichoke, commemorating the Great Fire of London in 1666. (AP Photo/Frank Augstein)
Londra è una città piuttosto moderna. Non parliamo di digitale, del grattacielo Lloyds o del London Eye, la grande ruota dalla quale si vede la città. Ma di modernità, di enorme conglomerato urbano che, per la larghissima parte e con poche eccezioni è tutto figlio degli ultimi secoli di storia. Un po’ la colpa è della industrilizzazione sfrenata dell’800, un po’ della Luftwaffe che durante la Seconda Guerra ha martoriato la Gran Bretagna, unico nemico a resistere all’invasione tedesca fino al giugno 1941, quando la Germania denunciò il patto Molotov-Ribbentrop e invase l’Unione Sovietica. La colpa originaria però è forse del grande incendio del 2 settembre 1666.
L’incendio, cominciato presso il panificio di Thomas Farriner in Pudding Lane distrusse gran parte della città, risparmiando il quartiere aristocratico di Westminster e il Palazzo di Whitehall di Carlo II, ma bruciando 13.200 case (più o meno gli 8 decimi del totale), 87 chiese, la Cattedrale di St. Paul (che infatti è stata ricostruita e finita nel 1697).
Per commemorare il 350esimo anniversario, sabato scorso a Londra hanno dato fuoco a una gigantesca (120 metri) riproduzione in legno della città di allora. Le foto sono suggestive.
L’istallazione che brucia e la meraviglia del pubblico