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Nel nome di Anita Garibaldi e delle donne. La nuova opera di Cappelli a Spoleto

Allo Sperimentale Belli di Spoleto fino al 25 agosto è in scena Anita di Gilberto Cappelli su libretto suo e di Roberta Sindoni. E’ un evento importante poiché nella penuria di nuove proposte di teatro musicale quella di Cappelli fa ben sperare.

Il suo lavoro è dedicato ad una immagine femminile simbolo della nostra storia, la compagna di Garibaldi e ci coinvolge in una riflessione sul senso civico dell’impegno e aperto di vivere. Cappelli ha una solida formazione intellettuale e compositiva ed ora la sua ricerca – con questo atto unico in otto scene per soprano, baritono, coro ed ensemble di 18 strumentisti – pone l’interesse sull’interazione fra voce e orchestra. Fra la figura femminile e la massa dei suoni d’orchestra. Cappelli è un compositore civile nel vero senso della parola, uno dei pochi compositori sociali. Dalla sua opera emerge proprio quel suo grande desiderio di dare rappresentazione all’animo umano attraverso la visione pittorica e musicale e provare a ricordare che il senso della vita è probabilmente sta proprio nell’essere disposti di batterci per un ideale.

Cappelli, partiamo dall’aspetto pittorico. E’ come se usasse due segni molto sintonici, quello grafico e quello musicale. Da dove nasce tutto questo?

Qua a Spoleto ho portato miei quadri su Anita e sulla sua vita: sono 6 dipinti che parlano di lei. A me la pittura è sempre piaciuta, nel caso specifico di Anita sono ritratti, non mi interessa tanto l’aspetto esterno quanto quello interiore: l’interiorità del soggetto ritratto. Pertanto la mia è una pittura di profondità dove quello che occorre arriva per semplificare agli occhi di chi guarda quello che vedo io.

Lei tratta la materia pittorica come se avesse di fronte il legno dal quale poi trae l’interiorità attraverso un segno. Una pittura realizzata come se scolpisse il legno attraverso la pittura.

Cerco di far emergere attraverso i volti soprattutto quello che la persona mi ispira. Faccio pittura figurativa, cerco di dare forma alle immagini, il fondo è nero e i colori che metto sopra mi permettono di far emergere l’interiorità attraverso l’insieme dei colori e delle forme. E poi correggo, se non funziona ci ritorno, finché non ho raggiunto quel livello di rappresentazione di quello che c’è dietro. Ho fatto diverse mostre con i ritratti di donne seguendo questa ricerca.

La sua pittura è vicina alla sua musica. Con un segno romantico ma anche espressionista?

Si è vero, a me piaceva molto il romanticismo, poi ho mantenuto questa passione per la scoperta pittorica e ho scelto questo modo espressionista di esprimere le mie idee.

La sua sembra una forma malinconica di romanticismo…

C’è molta malinconia nella mia ricerca sulla pittura, anche nella musica, cerco di scavare, di migliorare finché non sono soddisfatto, alla ricerca di una immagine poetica, finché il suono non rappresenta quello che sento. Per me poi è molto importante come la musica viene eseguita e i musicisti che suonano Anita diretti Angius raggiungono un importante livello espressivo che poetico.

Possiamo dire che lei cerca di comunicare attraverso i piani espressivi del colore, dal pianissimo al fortissimo spesso senza continuità?

E’ questo il senso romantico, una specie di “clangore”. Con l’orchestra e con Angius non abbiamo avuto problemi, alla prima prova tutto era chiaro e i musicisti hanno capito subito quello che avevo in mente.

Si comprende che la sua è una scrittura essenziale, una scrittura di suono. Usa tanto gli accordi, non sono complicati da eseguire, ma da far sentire?

Sono anni che lavoro su questo aspetto, sulle note lunghe, su i crescendo e mi sento in difficoltà a non “farli fare” a tutti gli strumenti come vorrei. Non è facile per me riuscire a far comprendere l’espressività del suono nel proprio colore.

Da dove arriva tutto ciò?

Da un’insegnante bravissimo di armonia, poi da Manzoni, Nono, Clementi, però ho avuto un insegnate di composizione e armonia perfetto. Giordano Noferini che è stato un insegnante fantastico di armonia, e me le ha fatta amare. Per amare l’armonia, bisogna conoscere i corali di Bach e il contrappunto armonico. Ho fatto un lavoro su questi corali per tanti anni, dopo lo studio delle armonie di Wagner, decisive per il passaggio. Bach e Wagner pensavano al suono, è il suono l’essenza che poi non è la struttura che si può chiudere nelle note. Con questo modo di scrivere Bach vicino alla composizione moderna risulta anche lui estremamente moderno. Si basa tutto sul suono. Lo farà anche Wagner ma in un altro modo.

La scrittura occidentale deriva dal gregoriano, la scrittura è suono. C’è un’elevazione. La sua non è più un’opera ma diventa qualcosa di altro, di superiore.

E’ quello che dicevo prima provo a scendere negli abissi dell’anima. Ho lavorato molto sul suono e poi sono intervenute anche le armonie di Schoenberg, Berg e Mahler. E un eccellente armonista che è Richard Strauss quello degli ultimi lieder.

Puccini che li conosceva tutti , ha fatto una somma di tutti questi riferimenti. Così come ha creato la struttura dell’opera, una struttura di vero teatro rivolta al femminile. Che ne pensa?

Infatti in Puccini, che amo tantissimo, il tema della donna è fondamentale, portatrice di tanti valori dal punto di vista musicale.

La figura di Anita è un motivo che le serve per parlare di quella che è la sua idea del femminile, insomma perché Anita?

Perché quando ero piccolo, penso intorno ai tre anni, mio babbo prima di addormentarmi mi raccontava le storie, le storie delle persone che lui amava tantissimo, diverse persone. E mi raccontava anche la storia di Anita. Quindi io porto con me questi ricordi che fin da piccolo mi hanno toccato molto: ho sempre avuto una venerazione per Anita. In Romagna è molto forte il suo ricordo. Ogni anno il 4 di agosto c’è la commemorazione alla fattoria Guiccio, dove lei è morta e fu sepolta. È talmente amata in Romagna che nell’anniversario – nonostante sia trascorso tanto tempo – nella sala delle conferenze della fattoria c’è sempre il pienone.Dove è morta lei hanno rifatto lo stesso letto, comunque la camera dove è morta non è stata più abitata da nessuno, l’hanno tenuta per lei. Una specie di santa laica.

Dalla sua lettura di Anita quello che esce è l’aspetto non di una santa, ma di una donna, molto umana.

Ho cercato di mettere il punto sulla sua malattia, su quello che la ucciderà. Non penso che sia morta di malaria, semmai sarà stato qualcosa che ha mangiato o che ha bevuto. Fin da bambino non mi tornava questa storia, ciò che sappiamo è che arrivò praticamente morente alla fattoria, fu una cosa rapida. In Romagna Anita è molto amata. Io ne ero innamorato e ho cercato di fare uno scavo umano sulla storia e su tutta la sua vicenda come quando ricorda i suoi bambini e capisce che non li vedrà più. Nonostante i momenti più dolorosi è una bellissima storia d’amore fra un uomo e una donna. Io e mia moglie che ha scritto il libretto, siamo andati alla fattoria il 4 agosto ed è stato un momento importante. Certo, ci sono tante donne che hanno fatto tanto, perfino imprigionate, che hanno subito violenze per i loro ideali e di cui ci siamo dimenticati. Ma penso che Anita sia una figura simbolo che ricorda tutte. Quando siamo arrivati alla fattoria, sia io che mia moglie ci siamo entrambi commossi. Siamo entrati nella sua camera, è una cosa che mi ha colpito profondamente. Poi scendendo alla sera c’era questa piccola rappresentazione con un’attrice che recitava delle parti della vita di Anita e mentre ascoltavo lo spettacolo mi è venuta l’idea. Cercavo un soggetto e ho pensato che potesse essere quello più adatto. Anita.

Nella Serbia malata di nazionalismo il suono di pace della Woodstock dei Balcani

foto di Stefano Bernardi

«Non sapevo che si potesse suonare la tromba in questo modo». Sono le parole di Miles Davis di ritorno da Guča, dopo aver assistito a quello che viene definito il Woodstock dei Balcani. Il Guča Trumpet Festival è un concorso di tromba arrivato quest’anno alla sua 63esima edizione. Nato nel 1961 come un modo per preservare la musica tradizionale, in una Jugoslavia sempre meno rurale e sempre più urbanizzata, ha contribuito a tenere in vita la passione per questo strumento e a far conoscere la musica balcanica.

foto di Stefano Bernardi

Il festival è infatti famoso in tutto il mondo, soprattutto grazie alle partecipazioni di Emir Kusturica e Goran Bregović. La passione serba per gli ottoni risale al 1831 con la creazione della prima orchestra militare per volere del principe Miloš Obrenović, leader della prima e della seconda rivolta serba contro le forze dell’Impero ottomano. Ancora oggi, il suono della tromba accompagna tutti i momenti più importanti della vita dei serbi. Per tre giorni all’anno, Guča, paesino della regione di Dragačevo di circa duemila abitanti nel sud della Serbia, viene inondato da migliaia di persone.

Foto di Stefano Bernardi

Atterriamo a Belgrado, dove quasi tutti i visitatori, provenienti dalle varie parti del mondo, fanno tappa. Prima di abbandonarci al vortice del festival, decidiamo di dedicare mezza giornata a una passeggiata nello splendido centro storico. Sui muri della città ovunque ci sono stencil raffiguranti il generale Ratko Mladić, «il macellaio della Bosnia», condannato nel 2017 all’ergastolo per il genocidio di Srebrenica dell’11 luglio 1995. Furono 8000 i musulmani bosniaci uccisi e gettati nelle fosse comuni dai miliziani serbi, al culmine del piano di pulizia etnica di Slobodan Milošević. Su un palazzo di piazza della Repubblica si legge un murales a caratteri cubitali che recita «l’unico genocidio nei Balcani è stato quello contro i serbi». Le recenti elezioni, segnate da accuse di irregolarità da parte dell’opposizione, hanno visto una netta affermazione del Partito progressista serbo e l’elezione di Aleksandar Vučić come presidente. Lo stesso Vučić si è recentemente opposto alla proposta dell’istituzione di una giornata di commemorazione dei fatti di Srebrenica poi votata dall’Onu, non riconoscendo il genocidio. Nel comunicato stampa ufficiale del festival si legge che Guča, fin dalla sua nascita, è riuscito a mantenere intatto lo spirito della tradizione, senza farsi intaccare da nessuno degli eventi politici che hanno coinvolto la Serbia.

foto di Stefano Bernardi

Partiti dalla stazione di fronte al Museo della Jugoslavia, saliamo su un pullman popolato da tedeschi, francesi, spagnoli, polacchi, americani e italiani. Il più entusiasta di loro è un fedelissimo, alla sua nona edizione del festival. Dopo tre ore di viaggio e infiniti tornanti, si arriva a Guča. Subito si vedono giovani e meno giovani accampati ovunque. In questi tre giorni, il paese diventa un enorme campeggio con tantissime tende fissate nei parcheggi, nei prati, lungo il torrente, nei giardini delle case.

foto di Stefano Bernardi

Leggendo il programma non troviamo né Kusturica né Bregovic, ma se Guča è la Woodstock dei Balcani, scopriamo che il suo Jimi Hendrix è senza ombra di dubbio Boban Markovic. Il leggendario musicista ha smesso di gareggiare nel 2001 dopo aver vinto numerose edizioni e ora, insieme al figlio Marko, si esibisce in tour in tutto il mondo con la sua band. Alcuni sostengono che Marko Markovic sia il miglior trombettista al mondo. Oltre all’incredibile esibizione sul palco dello stadio, riusciamo ad assistere, intorno a un tavolo del ristorante principale, ad un vero e proprio concerto improvvisato per alcune personalità di spicco tra cui l’attore montenegrino Bozidar Zuber. Impossibile non farsi conquistare dai virtuosismi della tromba di Marko e dai ritmi incalzanti scanditi dagli altri musicisti della band, che accumulano decine di banconote infilandole nei tasti degli ottoni, tra fiumi di birra e di rakija, nell’euforia generale.

foto di Stefano Bernardi

Il festival è organizzato in modo simile a una grande festa di paese, con tanto di autoscontro, punching ball e girarrosti. Rispetto ai picchi degli anni passati (con 300mila visitatori nel 2002), tutto sembra un po’ sottotono e la presenza di giovanissimi è scarsa. Chiacchierando con alcune ragazze e ragazzi scopriamo come il festival sia stato abbandonato gradualmente dalle fasce più giovani, che lo considerano una sorta di parata trash del nazionalismo serbo. Passeggiando per le strade di Guča, in effetti, si rimane confusi riguardo al confine tra tradizione e nazionalismo. Si incontrano intere famiglie sorridenti che indossano il berretto cetnico, neonati compresi, e gruppi di ragazzi dallo sguardo truce che salutano con le tre dita, simbolo dell’ortodossia religiosa, e indossano magliette raffiguranti Mladić.

Foto di Stefano Bernardi

Sui palchi principali si sfidano le varie orchestre con un repertorio che spazia dalla musica del periodo austro-ungarico a quello turco-ottomano, fino ad arrivare alla vera e propria hit contro la guerra “Kalashnikov” di Bregovic. Si suona anche, come ogni anno, “Veseli se srpski rode”, controversa canzone che inneggia alla grandezza della Serbia, adottata come inno dai nazionalisti, per poi passare poco dopo a “Bella Ciao” e “Fischia il vento”. C’è anche spazio per ascoltare alcune canzoni contemporanee rivisitate, da “Du Hast” dei Rammstein a “Sarà perché ti amo” dei Ricchi e Poveri. Vincerà il concorso Dejan Petrović, figlio di Mico altro mostro sacro della musica balcanica, dando vita ad un momento particolarmente emozionante tra le lacrime di molti del pubblico. È però lontano dai palchi ufficiali, tra i tavoli, che le orchestre serbe, più legate alla tradizione, e quelle gitane, più sensibili alle influenze sudorientali e turche, danno vita a una sfida giocosa a chi suona più forte. È qui che si vive la vera essenza di partecipazione senza confini nazionali di questo festival. È forse questo l’elemento che da tanti anni fa interessare persone di tutto il mondo a questo evento e a questa musica. I musicisti si avvicinano sempre di più alle orecchie delle persone fino al contatto fisico, creando una bellissima atmosfera di condivisione, senza tempo, lontana dalla guerra e dalla storia così complessa di questa terra.

foto di Stefano Bernardi

Sullo sfondo del festival rimane lo specchio della ricerca di un’identità perennemente in crisi, continuamente tentata dall’estremismo del nazionalismo, ma che qui trova la necessità di rinunciare alle barriere per abbandonarsi ai gesti, alle espressioni, ai suoni e agli odori, per rivelarsi profondamente umana. Ci sarà un tempo per tutto. Prima c’è la festa.

 

testo e foto di Stefano Bernardi

L’autore: Stefano Bernardi è psichiatra

Lo chiamano “controllo dei confini” ma è la concimazione dei dittatori

«Smettetela di dare soldi alla Tunisia. Smettetela di fare affari sui nostri corpi. Noi lottiamo per la giustizia. Per la libertà. Tutti devono vedere quello che accade, la guerra che fanno contro gente innocente e disarmata. Solo sofferenza. Solo sofferenza. Smettetela di dare soldi alla Tunisia. Qui non possiamo fare niente. Non possiamo affittare una casa. Non possiamo lavorare. Non possiamo chiedere asilo. Nessuno ci fa fare niente. Siamo spinti ai margini dove ci sta solo persecuzione. Persecuzione. Che i leader del West Africa aprano gli occhi. Fate qualcosa. La donna italiana (Meloni) sta pagando la nostra persecuzione. Deve finire. basta». 

Questo è uno dei messaggi arrivati il 19 agosto da alcuni cittadini gambiani in Tunisia alla rete LasciateCIEntrare. In Tunisia, nei pressi di Sfax, la guerra contro i migranti si trascina dal 2015 e ha avuto una significativa accelerazione con la legittimazione europea degli accordi firmati tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il presidente tunisino Kaïs Saïed. 

«In molti casi dopo aver distrutto tutto, caricano le persone sugli autobus e le portano nel deserto. Coloro che si salvano dai rastrellamenti vanno in giro in cerca di cibo ed acqua, ma la popolazione ha paura e chiude loro le porte, soprattutto perché sono tante le persone della società civile che, dopo aver fornito aiuto, sono state incarcerate».

Dal 2011 a oggi il governo tunisino ha ricevuto dall’Ue più di 500 milioni di euro. Denaro utilizzato per fortificare la deriva sicuritaria di un governo che ha sciolto il consiglio della magistratura e che ha stravolto la Costituzione. Lo chiamano “controllo dei confini” ma è la concimazione dei dittatori. 

Buon venerdì. 

Nella foto: frame del video pubblicato da LasciateCIEntrare

Gli stupri dei detenuti palestinesi nella Guantanamo israeliana. Sondaggio choc: non è un crimine da punire

Continuiamo a mantenere alta l’attenzione sul dramma dei palestinesi, come abbiamo fatto in questi mesi fin dal 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco terroristico di Hamas al festival nel territorio israeliano e come abbiamo fatto a lungo in precedenza documentando la violazione dei diritti umani, l’occupazione illegale dei Territori palestinesi (come di recente ha dichiarato la Corte internazionale di giustizia), il sistema di apartheid messo in atto dal governo di Tel Aviv denunciato da Amnesty International.

Il silenzio, la complicità e l’impunità non nascono dal nulla. Sono la conseguenza di un sistema che giustifica l’orrore e lo trasforma in normalità. Un sondaggio condotto dall’Institute for National Security Studies (INSS) dell’Università di Tel Aviv ha rivelato le opinioni degli israeliani riguardo a un tema che dovrebbe turbare le coscienze: è giusto perseguire penalmente soldati israeliani che hanno violentato detenuti palestinesi? La risposta, brutale nella sua onestà, svela una realtà inquietante: il 65% degli israeliani crede che quei soldati debbano essere disciplinati solo a livello di comando, come se un atto di tale barbarie potesse essere risolto con una pacca sulla spalla e un rimprovero. Solo il 21% ritiene che dovrebbero essere perseguiti, mentre il restante 14% preferisce non prendere posizione.

Questo sondaggio è figlio di una vergognosa vicenda accaduta circa un mese fa. Dieci soldati israeliani sono stati arrestati e sottoposti a interrogatorio per aver abusato sessualmente di un detenuto palestinese della Striscia di Gaza nella prigione di Sde Teiman, nel deserto del Negev. Non è un’accusa leggera, non è una voce di corridoio. Un video (qui un servizio Cnn ndr), diffuso dai media israeliani, mostra chiaramente alcuni di questi soldati passeggiare tra una trentina di prigionieri palestinesi, tutti con la pancia in giù, vestiti solo di biancheria intima, con le mani legate. È una scena di caccia, non di guerra. Dopo pochi minuti scelgono la loro preda, un giovane. Lo alzano, lo strattonano, lo trascinano via. Lo portano fuori dalla portata della prima telecamera, ma un’altra riprende tutto. Il giovane viene messo all’angolo, circondato dal resto dei militari. Uno dei soldati aizza un cane contro di lui, come se il terrore del giovane non fosse già sufficiente. Poi inizia l’orrore vero e proprio: lo violentano per ore, tanto che le lesioni interne sono così gravi da impedirgli di camminare. E mentre la violenza si consuma, gli altri detenuti, immobili, ascoltano le urla, inermi, chiedendosi quando e se arriverà il loro turno.

Questo è il contesto in cui, dopo l’arresto dei soldati, il 29 luglio, la destra israeliana, politici inclusi, ha fatto irruzione in due basi militari per protestare contro la loro detenzione. Tra i sostenitori, non potevano mancare figure di primo piano del governo: il ministro della Sicurezza nazionale di estrema destra, Itamar Ben-Gvir, e il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich. Il 4 agosto, i procuratori militari hanno rilasciato tre dei soldati arrestati, mentre altri due erano già stati liberati in seguito a un’udienza presso il tribunale militare di Kfar Yona il 30 luglio. Infine, il tribunale militare ha ordinato il rilascio degli altri cinque soldati, accusati di abusi sessuali, ponendoli agli arresti domiciliari fino al 22 agosto, in attesa delle indagini.

Eppure, il sondaggio ci mostra un volto ancora più spaventoso, scavando più a fondo nel baratro. È stata posta un’altra domanda: “Israele dovrebbe o non dovrebbe obbedire al diritto internazionale e mantenere i valori morali in guerra?” Il 47% degli israeliani ha affermato che l’esercito non deve obbedire al diritto internazionale, mentre solo il 42,5% ritiene che dovrebbe farlo. Un ulteriore 10,5% si limitano a fare spallucce, preferendo non esprimersi.

Tutto ciò rappresenta la normalizzazione dell’orrore. Quando il ministro Bezalel Smotrich definisce questi soldati «eroici guerrieri», chiedendo il loro immediato rilascio, e quando Itamar Ben-Gvir li saluta come «i nostri migliori eroi», la disumanizzazione ha raggiunto il suo apice. Alla domanda di Ahmad Tibi, uno dei parlamentari arabi della Knesset, se fosse legittimo «inserire un bastone nel retto di una persona», Hanoch Milwidsky, membro del partito al governo Likud, ha risposto: «Se è un Nukhba [militante di Hamas], tutto è legittimo da fare! Tutto!».

Chi può fermare questa deriva? Chi potrà mai spegnere l’incendio dell’odio che divora questa terra? Chi può chiedere il rispetto dei diritti umani più basilari, quando i crimini di guerra vengono giustificati, applauditi e trasformati in atti di eroismo dalle più alte istituzioni locali?

Ma fino a che punto si può giustificare l’indicibile in nome di uno Stato che, giorno dopo giorno, abdica sempre di più alla propria umanità? La risposta dell’Occidente, purtroppo, ci costringe a essere spettatori passivi di questo orrore, complici silenti di un genocidio a fuoco lento.

L’autore: Andrea Umbrello è direttore editoriale & Founder di Ultimavoce

Nella foto: la prigione di Sde Teiman, Wikipedia (by Cnn)

Incartati a destra

Il governo Meloni è in una situazione di stallo sulla questione dello ius scholae, rivelando le profonde divisioni all’interno della coalizione di centrodestra.

La proposta di Antonio Tajani di includere lo ius scholae nel programma di governo ha scatenato una reazione furiosa da parte della premier Meloni. La proposta, apparentemente in linea con le posizioni espresse dalla stessa Meloni nel 2022, ha messo in luce l’incoerenza della sua attuale posizione.

Meloni si trova ora in una situazione paradossale: opporsi a un’idea che ha precedentemente sostenuto. La sua giustificazione, basata sul fatto che lo ius scholae non sia nel programma di governo, appare debole e opportunistica.

Matteo Salvini, nel frattempo, rimane ancorato alla sua opposizione, temendo probabilmente la concorrenza elettorale del generale Vannacci. Ad aprire è invece il suo ministro dell’Interno Piantedosi, creando ulteriori tensioni all’interno del governo.

Forza Italia, cercando di posizionarsi “tra Meloni e Schlein”, rischia di alienarsi sia gli alleati di governo che l’opposizione. 

Il risultato è che il governo appare più preoccupato di gestire i conflitti interni che di affrontare le sfide concrete del Paese.

Mentre la coalizione di centrodestra si dibatte in queste contraddizioni le opposizioni osservano, pronte a sfruttare queste divisioni. Il rischio per il governo è di apparire paralizzato, incapace di agire su una questione cruciale per il futuro dell’Italia.

La vicenda dello ius scholae però mette in luce le debolezze strutturali di questa maggioranza: l’incapacità di conciliare le diverse anime della coalizione, la tendenza a privilegiare il calcolo elettorale sulla coerenza politica e la difficoltà nel mantenere una linea comune su temi fondamentali.

Locarno film festival. Il dramma della guerra civile in Libano, negli occhi di una bambina

Green line di Sylvie Bayllot (Francia, Libano, Quatar- 2024) è stato premiato con il Mubi Award Debut feature al Festival di Locarno 77, da poco concluso. Ma il pubblico del Festival gli ha tributato un’accoglienza speciale, più che al film che ha vinto il Pardo d’oro attribuito quest’anno al film lituano Akiplėša  per Toxic. Forse perché, in un momento storico in cui la guerra è tornata a straziare Europa e Medio Oriente, suggerisce riflessioni su come si dovrebbero impostare trattative di pace.

Il film racconta i traumi di chi ha vissuto l’inferno della guerra e più in particolare della guerra civile che ha spaccato, attraverso una simbolica “linea verde”, il Libano in due fra il 1975 e il 1990. Nel film la linea verde separa le strade di un quartiere di Beirut dove Fida Bizri, la protagonista del film, viveva da bambina e dove vide accadere, da un giorno all’altro, cose ai suoi giovani occhi “inspiegabili”. Uomini e donne sdraiati a terra nelle strade dove passa a piedi tutti i giorni. Una novità che non sa interpretare: è gente che dorme per strada o sono morti? Saprà, crescendo, che è scoppiata una guerra civile che ha insanguinato le strade per lunghi anni.l

Questo film trae ispirazione dall’aiuto che la francese Sylvie da all’amica e collaboratrice libanese Fida a superare il dramma che si porta dietro. La Bizri, oltre che protagonista e voce narrante, è co-screenwriter di questo documentario.

Sylvie le consiglia di tornare, dopo che sono passati più di 40 anni, nelle strade del suo quartiere e, con l’aiuto di statuine e di mappe delle strade, ricostruire i suoi ricordi, raccogliere testimonianze di quello che è successo, per elaborare un lutto che da piccola non le poteva riuscire. Fida inizia a parlare con chi trova per strada per sapere cosa hanno visto e ricordano. Alcuni forniscono dettagli, altri si rifiutano, dicendo che hanno voluto dimenticare. Prosegue con domande dirette come sciabolate a chi ha ammazzato persone fino a poco prima vicini di casa. Riesce a ottenere risposte perché il ricordo degli scontri è mediato dalla ricostruzione del teatro di guerra con statuine e plastici che rendono altro da lei e dagli interlocutori la drammatica storia recente che in quelle strade si era svolta.
L’idea di questa trasposizione della realtà è venuta alla Bayllot durante dei colloqui con Fida, che cercava di elaborare, dopo più di quarant’anni, quello che aveva vissuto nell’infanzia. La prima statuina realizzata è stata di lei bambina, un vestito rosso sovrastato da una massa di capelli neri.
Nel film appare per prima proprio la statuina, mentre la splendida voce narrante di Fida, sicura ma insieme senza pregiudizi, guida lei e noi alla ricostruzione del passato. E quando appare inquadrata lei in carne ed ossa, ripresa di spalle, la riconosciamo, emozionati dalla somiglianza: l’abito della protagonista, che cammina per le strade del quartiere, è rosso. I capelli sono una massa nera. Un colpo di Cinema che, senza parole, narra di una donna che si porta la bambina che era, di cui conserva il candore, per le strade di Beirut alla ricerca, se non altro, della pace interiore. Per sé e per i protagonisti che riconoscono di avere sbagliato. Un’opera che ci fa ripensare al discorso di chiusura del 77mo Locarno Film Festival da parte del direttore artistico Giona A. Nazzaro, che ha detto, fra l’altro: «Il cinema è un motore trainante e Locarno ne è un fiore all’occhiello per la capacità del Locarno Film Festival di individuare i talenti più innovativi del settore. E ne sono anche la prova, insieme al Premio Speciale della Giuria a Mond di Kurdwin Ayub, al Premio MUBI Opera Prima a Green Line di Sylvie Ballyot o addirittura al Premio per la Miglior Regista Emergente del Concorso Cineasti del Presente alla ticinese Denise Fernandes (Hanami) , della grande attenzione che le nostre giurie hanno riservato alle autrici più audaci. Locarno77 ha affermato con ancora più forza la centralità delle voci delle donne nel cinema contemporaneo».

 

l’autrice: Lucia Evangelisti è giornalista freelance

Salvataggi da ricchi e salvataggi da poveri

Per un giornalista de Il Foglio il naufragio dello yacht a Porticello e i naufragi dei migranti sarebbero «fattispecie totalmente diverse». La differenziazione ovviamente non stupisce: i primi sono poveri naufragi, i secondi sono semplicemente dei migranti. I primi vengono identificati con la tragedia subita i secondi invece con la provenienza.

Dice il collega che i primi sono naufraghi “veri”, quindi hanno ogni diritto a essere soccorsi immediatamente e condotti nel porto più vicino, ai sensi delle convenzioni internazionali. I secondi invece no, perché non sempre stanno per affondare, quindi non sarebbero naufraghi, e comunque le disposizioni normative sono diverse.

Il giornalista di Radio radicale Sergio Scandura ricorda che «qualsiasi imbarcazione stracarica, che lascia la costa di partenza, viene automaticamente classificata in Distress, viene considerata automaticamente in Pericolo anche quando non è “in avaria”. Lo dice il regolamento Europeo Frontex 656/2014, lo dicono le linee guida IMO (authority marittima ONU), quelle di EUnavForMed e via andare: tutte fonti peraltro contemplate nel decreto del Piano SAR nazionale per assorbimento da fonti superiori».

La giurista Vitalba Azzollini ricorda che le norme, cioè le convenzioni internazionali sono esattamente le stesse. Quelle norme – come ricorda Azzollini – dicono anche che la regola del porto più vicino, sempre prevista da regole internazionali, vale per tutti (altro che porto di Ravenna o Livorno o Genova).

Il nostro giornalista ospite di una nota rassegna stampa del servizio pubblico ha ripetuto quindi una bestialità. Non esistono naufragi da ricchi e naufragi da poveri. Esistono, purtroppo, salvataggi per i ricchi e salvataggi per i poveri. 

Buon mercoledì. 

Immagine dal sito dei Vigili del fuoco: le operazioni a Porticello (Pa)

La favola della “generosità italiana” sulla cittadinanza

Meloni e Salvini ci raccontano una bella favola: l’Italia sarebbe il Paese più generoso d’Europa nel concedere la cittadinanza. Una narrazione che fa comodo alla destra per opporsi a qualsiasi riforma. Peccato che sia una bugia bella e buona.

Certo, i numeri assoluti sembrano dar loro ragione: nel 2022 abbiamo concesso 214mila cittadinanze, più di tutti in Europa. Ma fermarsi qui sarebbe come dire che siamo il Paese più ricco perché abbiamo più soldi in circolazione, ignorando quanti siamo.

Se rapportiamo le cittadinanze concesse alla popolazione, l’Italia precipita al quinto posto. E questo è solo l’inizio dello smascheramento.

La vera generosità di un Paese si misura dalle sue leggi, non dai numeri. E qui casca l’asino della propaganda meloniana. La nostra legge sulla cittadinanza è del 1992, un’era geologica fa. Siamo ancorati allo ius sanguinis, mentre il resto d’Europa si è evoluto.

In Francia un bambino nato da genitori stranieri può ottenere la cittadinanza a 13 anni. In Germania bastano 5 anni di residenza dei genitori. In Spagna addirittura un solo anno. Da noi? 18 anni di attesa, sempre che tu sia nato qui e non abbia mai messo piede fuori.

Il Migrant integration policy index ci piazza al 14° posto su 27 Paesi Ue per politiche di cittadinanza favorevoli all’integrazione. Tradotto: 13 Paesi europei sono più “generosi” di noi.

A questo punto all’allegra coppia non resta che una via d’uscita: dichiarare apertamente che una nuova legge sulla cittadinanza semplicemente non possono permettersela. Rimestare la xenofobia per prendere voti del resto comporta dei costi politici. 

Buon martedì. 

Nella foto: immagine dalla pagina fb di Italiani senza cittadinanza

La famiglia Meloni quando serve non parlare di politica

Vale la pena riprendere i fili del fumo che le premiate sorelle Meloni hanno deciso di alzare in pieno agosto per coprire i buchi di una maggioranza che non riesce a mettersi d’accordo nemmeno all’ombra degli ulivi secolari.

Nel buen retiro della Valle d’Itria il clan (politico) delle Meloni ha avuto l’impellente bisogno di forgiare una prima pagina per accendere l’ennesimo dibattito sul niente. Nelle materie che contano del resto Meloni, Salvini e Tajani non sono mai stati così distanti come negli ultimi giorni, impelagati nei differenti desideri per la Rai, per i balneari e sulla guerra in Ucraina. 

L’articolo necessario l’ha servito in tavola il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti ripercorrendo teoremi di berlusconiana memoria: i “poteri forti” della magistratura in combutta con la “sinistra” (ah, vederla) vorrebbero colpire Arianna Meloni per affondare Giorgia. 

La collazione dei retroscena svela il sotto vuoto spinto. Al Corriere Sallusti dice di non avere parlato della sua prima pagina con la premier, su La Stampa si racconta che i vertici di Fratelli d’Italia conoscevano il contenuto del pezzo con largo anticipo. 

“Vogliono indagare Arianna”, strilla Il Giornale, e il teorema diventa l’assist perfetto per il gnegneismo del 19 agosto. La presidente del Consiglio non accetta che “si metta in mezzo la famiglia” ma usa la famiglia con molta disinvoltura quando deve evitare di mettere in mezzo la politica. Il resto è tutto piagnisteo. 

Anche oggi passerà parlando di niente. 

Buon lunedì. 

Elezioni Usa. La tenaglia Harris-Walz: lui piace alla sinistra, lei punta al centro

Harris e Waltz

Il 6 agosto scorso la candidata presidenziale del Partito democratico Kamala Harris ha annunciato la sua scelta di Tim Walz come vicepresidente. Governatore del Minnesota, ex membro del Congresso e veterano dell’esercito, Walz ha portato esperienza e un curriculum liberal al ticket democratico. Sa parlare la lingua dei luoghi in cui i democratici perdono voti da decenni, l’America rurale, delle piccole città e del Midwest. In quanto non della sinistra ma amato dalla sinistra (il meglio che poteva plausibilmente sperare), Walz è l’ideale per espandere l’attrattiva di Harris attraverso lo spettro ideologico e tenere insieme il partito, mentre lei lavora per conquistare i decisivi elettori moderati ed indecisi, spostandosi al centro. E le donazioni finanziarie come i sondaggi stanno cominciando a premiare il ticket democratico.

Tim Walz potrebbe non essere stato il nome più noto nella politica degli Stati Uniti. Ma da martedì 6 agosto in poi, il governatore del Minnesota (uno Stato che non ha votato per un candidato repubblicano alla presidenza da oltre mezzo secolo) è diventato una figura di spicco nella campagna presidenziale come compagno di corsa della vicepresidente Kamala Harris, una decisione che ha entusiasmato i democratici di ogni parte del partito. La scelta di Walz ha ricevuto elogi da tutto il Partito democratico: sia la deputata progressista Alexandria Ocasio-Cortez di New York sia Nancy Pelosi che il senatore centrista della Virginia Occidentale Joe Manchin lo hanno applaudito. Manchin ha definito mister Walz “Il vero affare” e ha detto che “riporterà la normalità nell’ambiente politico più caotico che la maggior parte di noi abbia mai visto”. Queste reazioni positive sono importanti dato che ciò che la scelta del vicepresidente può fare è entusiasmare il partito e contribuire a creare un senso di unità e direzione.

Harris, che si è assicurata la nomination del suo partito per le elezioni del 5 novembre, ha scelto Walz come vicepresidente, dicendo di essere “orgogliosa” della sua scelta. “Una delle cose che mi ha colpito di Tim è quanto siano profonde le sue convinzioni sulla lotta per le famiglie della classe media. È personale. Come governatore, allenatore, insegnante e veterano, ha dato il massimo per le famiglie lavoratrici come la sua. È fantastico averlo nella squadra”, ha affermato in una dichiarazione che annunciava la scelta. Dal canto suo, Walz ha detto che è stato “l’onore di una vita” essere la scelta di Harris come vicepresidente. “Ci sto fino in fondo. Mi ricorda un po’ il primo giorno di scuola. Quindi, facciamolo, gente!” ha scritto su X.

Secondo il New York Times, “Walz sarà un’arma potente che Kamala Harris potrà prontamente schierare a suo favore”. Sebbene i doveri ufficiali dei vicepresidenti siano limitati, sono potenziali eredi e partner nel governo della Casa Bianca. Come compagni di corsa, sono i principali surrogati della campagna che tendono a essere importanti soprattutto per il modo in cui riflettono sul loro capo e bilanciano il ticket.

JD Vance avrebbe dovuto portare una ventata di energia giovanile quando Trump si candidava contro Biden. Con Harris divenuta candidata democratica si sono moltiplicate  riflessioni distopiche del vice di Trump, abbiamo assistito a sue prese di posizione estreme contro l’aborto per non dire delle sue osservazioni misogine (Kamala Harris è stata definita da Vance “Inutile gattara senza figli”) ed è stato solo questo ad attirare l’attenzione. Come può essere credibile?

La gente deve credere che, in caso di crisi, il vicepresidente sia in grado di gestire la situazione: circa uno su cinque vicepresidenti degli Stati Uniti ha assunto la carica in tali circostanze. Quindi cerchiamo di vedere come stanno le cose anche dall’altro lato e di capire chi è Walz e qual è la sua posizione sui temi su cui si stanno giocando le elezioni negli Stati Uniti.

Chi è Tim Walz?

Walz, 60 anni, è un uomo ed è bianco, ha esperienze sia esecutive che legislative: è un professionista della politica, non un dilettante allo sbaraglio. È stato eletto governatore del Minnesota per la prima volta nel 2018, battendo il repubblicano Jeff Johnson con più di 11 punti di vantaggio, e ha vinto un secondo mandato quattro anni dopo. Nonostante lo Stato non sia una roccaforte democratica tradizionale, Walz ha vinto entrambe le gare con facilità.

Prima del suo mandato da governatore, Walz ha prestato servizio nella Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti per 12 anni, rappresentando un distretto prevalentemente rurale di ispirazione repubblicana pervaso da una mentalità conservatrice nel Minnesota meridionale a partire dal 2006. Il suo distretto è sede sia della Mayo Clinic sia dell’azienda di confezionamento della carne Hormel, aveva votato due volte per George W. Bush ed è passato al Partito Repubblicano subito dopo il suo ritiro.

È stato un membro del Congresso relativamente centrista durante il suo mandato alla Camera. Ha sostenuto l’oleodotto Keystone XL, ha lavorato in modo trasversale per far passare una legge bipartisan per la prevenzione del suicidio dei veterani nel 2015 ed è stato il beniamino della National Rifle Association all’inizio della sua carriera. È un appassionato cacciatore e possiede armi. Ma si è spostato per sostenere più restrizioni, come il divieto di armi d’assalto, dopo la sparatoria di massa al liceo di Parkland in Florida nel 2018, firmando leggi per ampliare i controlli dei precedenti e rendere più facile sequestrare le armi alle persone considerate una minaccia.

Walz è anche un veterano dell’esercito statunitense, avendo prestato servizio nella Guardia Nazionale per 24 anni dopo essere entrato a farne parte all’età di 17 anni. Nel 2005, aveva il grado di comandante sergente maggiore di artiglieria, il che lo ha reso il soldato arruolato di grado più alto ad aver mai prestato servizio al Congresso. È stato criticato per aver lasciato mentre il suo battaglione si preparava ad andare in Iraq.

Prima di candidarsi, aveva lavorato come insegnante della scuola secondaria superiore pubblica. Porta con sé il carattere semplice e schietto di un ex insegnante del Midwest, che potrebbe aiutarlo a conquistare gli elettori scettici nei confronti di una progressista di San Francisco come la signora Harris. La biografia e le competenze di Walz lo rendono una risorsa che garantisce l’equilibrio regionale senza alienare nessuno dei principali gruppi di interesse o ali ideologiche del partito in Wisconsin, Michigan e Pennsylvania, tre stati “blue wall” cruciali per vincere le elezioni presidenziali. Il primo distretto del Minnesota è demograficamente simile a gran parte del Wisconsin, del Michigan o della Pennsylvania, in quanto ha una grande popolazione di bianchi senza laurea e ha votato con forza per l’ex presidente Donald Trump. E Walz ha ottenuto numeri impressionanti in questo distretto; quando era un seggio indeciso, lo ha vinto con un margine schiacciante e nel 2016 è stato rieletto di misura nonostante Trump avesse vinto il distretto con 15 punti. Molti osservatori notano che non c’è nessuno più attrezzato di Walz, che è un comunicatore efficace, per parlare di quei valori dell’America rurale (si veda il nostro articolo su Left qui), con la sensibilità del Midwest e una sorta di folclore e umorismo che trasmette “l’America di mezzo della carne e delle patate”.

Walz è un prodotto delle cosiddette Pivot Counties, un insieme di circa 200 contee in tutto il paese che hanno votato due volte per Barack Obama prima di passare a Donald Trump nel 2016. Più di 80 di queste località sono raggruppate in soli quattro stati: Illinois, Iowa, Minnesota e Wisconsin. Tendono a essere più bianche, meno abbienti, meno istruite e con una popolazione inferiore alla media degli Stati Uniti. Le contee tendono a essere orientate verso zone rurali o piccole città, esattamente il tipo di località in cui i democratici hanno perso voti negli ultimi decenni. Il valore di Walz sarà nel ridurre i margini repubblicani rurali negli Stati in bilico, proiettando un’immagine in contrasto con il modo in cui molti percepiscono il Partito democratico nazionale e il messaggio sulle politiche progressiste. La sua capacità di parlare agli elettori che altrimenti si sono discostati dal partito potrebbe renderlo particolarmente efficace nell’attacco contro Trump. Se Walz avrà anche solo un moderato successo nel contrastare il ticket repubblicano nelle aree rurali e non metropolitane, renderà un grande servizio a Harris.

In termini di politica interna, il governatore è stato elogiato da alcuni progressisti per essere stato in grado di promuovere le priorità di sinistra in uno Stato indeciso. Ha il sostegno di importanti membri progressisti del suo Stato come la deputata della “Squad” Ilhan Omar e il procuratore generale Keith Ellison. Ma mentre Walz è il candidato scelto dalla sinistra (in alternativa a Josh Shapiro), non è un candidato della sinistra. È un democratico mainstream – Pelosi lo ha elogiato come un “democratico del cuore dell’America” – con un curriculum che contiene elementi che possono piacere sia ai progressisti che ai moderati. Negli ultimi sei anni, Walz ha approvato programmi che coprono le tasse universitarie per studenti a basso reddito (provenienti da famiglie che guadagnano meno di $ 80.000 all’anno), implementato colazioni e pranzi gratuiti per gli studenti nelle scuole pubbliche, sostenuto i diritti alla salute delle persone transgender; legalizzato la marijuana ricreativa per adulti e ampliato le tutele per i lavoratori.

Walz è anche visto come un forte difensore del diritto all’aborto (ha detto che il governo dovrebbe seguire una regola d’oro del Midwest: “Fatti gli affari tuoi”) e nel gennaio 2023 ha firmato una legge che sancisce il diritto dei cittadini del Minnesota all’aborto e ad altre opzioni di assistenza sanitaria riproduttiva, tra cui alcune procedure di affermazione di genere, un accesso ampliato al controllo delle nascite e il supporto alla pianificazione familiare. Walz e sua moglie hanno due figli, Hope, 23 anni, e Gus, 17 anni, nati con l’aiuto della fecondazione in vitro, un trattamento minacciato dai repubblicani e dai cristiani di destra che cercano ulteriori vittorie dopo la revoca del diritto federale all’aborto.

Inoltre, ha sostenuto molte iniziative sul clima, tra cui una legge da 2 miliardi di dollari che aiuta le scuole a pagare i pannelli solari e prevede sconti per l’acquisto di scuolabus elettrici, e una legge per la transizione del Minnesota all’elettricità senza emissioni di carbonio entro il 2040 che costringe le aziende di servizi pubblici a usare solo energia verde.

Mentre i repubblicani sostengono che il curriculum di Walz è troppo liberal, il governatore non si è tirato indietro dal sostenere le sue politiche. Interrogato sul fatto di essere etichettato come “grande liberal del governo”, Walz ha detto alla CNN il mese scorso: “Che mostro! I bambini mangiano e hanno la pancia piena così possono andare a studiare, e le donne prendono le proprie decisioni in materia di assistenza sanitaria, e siamo uno dei primi cinque Stati per economia, e siamo anche tra i primi tre per felicità”. “Se è così che vogliono etichettarmi, sono più che felice di accettare l’etichetta”, ha aggiunto.

Walz è un politico del Midwest che è cresciuto in una fattoria in una cittadina, West Point (3.500 abitanti) del Nebraska (uno Stato che nel 2020 ha consegnato uno dei suoi voti elettorali a Biden) e si è trasferito a Mankato, nel Minnesota meridionale, per insegnare geografia al liceo e allenare la squadra di football negli anni Novanta. Le sue squadre hanno vinto due campionati statali. Come JD Vance è un uomo di una piccola città del Midwest, ma ha costruito una carriera politica nell’ala progressista del Democratic-Farmer-Labor Party del Minnesota. È un governatore popolare del Midwest che porta in dote un legame autentico con gli elettori bianchi rurali. Kamala Harris lo ha scelto per le sue caratteristiche positive che secondo lei potrebbero rendere la lista più allettante per gli elettori indecisi. Dopo un decennio di evidente preoccupazione per la capacità del partito di entrare in contatto con i membri della classe lavoratrice bianca del cuore rurale e industriale degli Stati Uniti, i democratici ora possono indicare un leader che conosce qualcosa delle lotte quotidiane di quella comunità e ha trasformato quella conoscenza in un sorprendente successo politico.

Walz è il responsabile della definizione del ticket repubblicano Trump-Vance come “strano/bizzarro come l’inferno” (weird as hell), piuttosto che identificarlo come una minaccia mortale per la democrazia. “Questi tipi sono semplicemente strani”, ha detto Walz. “Si candidano per il club degli odiatori di donne o qualcosa del genere”. Walz stava riprendendo le ormai famigerate osservazioni di Vance sulle “gattare senza figli”. Stava anche giocando sui timori delle donne circa la relazione di Trump con la destra nazionalista cristiana, una tribù a cui Vance appartiene. L’etichetta è diventata un mantra virale democratico nel giro di pochi giorni. Mescolare un umorismo affabile con le frecciatine – e parlare apertamente della “gioia” che vede nella politica democratica – potrebbe rivelarsi un modo più efficace per convincere gli elettori indecisi che semplicemente non sono stati convinti dalla cupa retorica della “minaccia alla democrazia” utilizzata dalla campagna di Biden. D’altra parte, i Democratici vogliono che queste elezioni vertano su Donald Trump, JD Vance, il Progetto 2025, i diritti e le libertà in materia di aborto e i loro piani per aiutare le persone della classe media e operaia.

Pro-labor e pro-welfare

Walz ha ricevuto applausi per il suo curriculum progressista come governatore, soprattutto da quando i democratici hanno ottenuto il pieno controllo del governo dello Stato del Minnesota nel 2022, per le sue idee pro diritti dei lavoratori e di sostegno dei sindacati (lui stesso è iscritto al sindacato degli insegnanti). Il Minnesota viene considerato “il miglior Stato per i lavoratori” e tuttavia rimane uno degli Stati più favorevoli alle imprese negli Stati Uniti. Nel 2023, la legislatura del Minnesota ha approvato una serie di leggi a favore dei lavoratori, tra cui: il divieto di clausole di non concorrenza e di riunioni obbligatorie anti-sindacali con pubblico vincolato, il rafforzamento delle tutele per i lavoratori dei magazzini e degli stabilimenti di confezionamento della carne, la possibilità per gli insegnanti di contrattare sulle dimensioni delle classi, l’accesso dei lavoratori a congedi familiari e medici retribuiti, l’obbligo di giorni di malattia retribuiti, la repressione del furto di salari, l’aumento del salario minimo e molto altro.

Queste mosse hanno fatto parte di una più ampia revisione in senso progressista della politica in Minnesota, con le riforme soprannominate del “Miracolo del Minnesota”, che Walz ha supervisionato anche con una maggioranza risicata nella legislatura statale. Sono così state approvate misure come l’ampliamento dell’assistenza all’infanzia, un aumento di 2,2 miliardi di dollari nell’istruzione K-12, un aumento degli aiuti finanziari per le famiglie a basso reddito e un ordine esecutivo per proteggere l’assistenza che afferma il genere. Ha approvato anche una legge radicale per ampliare l’accesso al voto per circa 55mila ex detenuti.

Walz sta anche pianificando di firmare una nuova legge che regolerà la retribuzione dei conducenti di ride sharing, assicurando che guadagnino almeno $ 1,28 al miglio e $ 0,31 al minuto per il tempo trascorso alla guida di un passeggero, il che garantirebbe un aumento stimato del 20% della retribuzione per i conducenti. Questa legislazione non influisce sulla classificazione dei conducenti come appaltatori indipendenti, ma dimostra che Walz è disposto a difendere i lavoratori, compresi quelli di Uber.

I sindacati sono chiaramente entusiasti della scelta di Harris di Walz, e alcuni leader sindacali hanno parlato pubblicamente dei loro preferiti anche prima che la campagna facesse il suo annuncio. Shawn Fain, presidente della UAW, aveva nominato Walz e il governatore del Kentucky Andy Beshear come le migliori opzioni per i membri del suo sindacato. Fain aveva detto: “Quelli sarebbero i nostri due preferiti se dovessimo sceglierne uno… Ecco chi crediamo sarebbe il migliore per i lavoratori e per la classe operaia”. Ora che la notizia è ufficiale, Fain ha detto “È uno di noi. È un ragazzo della classe operaia. Conosce i valori della classe operaia. La cosa migliore è che è un orgoglioso membro del sindacato”.

I leader sindacali di tutto il Paese hanno condiviso il loro entusiasmo. La presidentessa dell’AFL-CIO Liz Shuler ha definito Walz un “fratello sindacale” e un “combattente di principio e campione del lavoro”. Il Service Employees International Union (SEIU) del Minnesota, che rappresenta 60mila lavoratori, ha rilasciato una dichiarazione in cui si afferma: “Il governatore Walz ha dimostrato durante il suo mandato al Congresso e in particolar modo negli ultimi sei anni da governatore di essere un paladino dei sindacati e dei lavoratori, spingendo per politiche di buon senso che garantiscano a tutte le famiglie, indipendentemente dal lavoro, dal codice postale, dalla razza o dal genere, di avere ciò di cui hanno bisogno per prosperare… Il nostro sindacato lavorerà duramente per consegnare il Minnesota alla candidatura Harris/Walz e siamo entusiasti di vedere il fantastico lavoro che abbiamo svolto qui in Minnesota essere portato alla Casa Bianca”.

La scelta di Walz e il suo curriculum progressista segnalano agli elettori la volontà di Harris di continuare la svolta post-neoliberista del partito, iniziata sul serio nel 2016 con la candidatura di Sanders e continuata nella presidenza di Biden con progetti di legge pro-infrastruttura e pro-lavoro. Walz ha dimostrato di essere abile nel difendere il suo curriculum di legislazione progressista in un modo che gli elettori moderati e indipendenti possano comprendere. Come ha notato Branko Marcetic su Jacobin, la cosa più significativa del fatto che Tim Walz sia diventato il compagno di corsa di Kamala Harris non è il suo curriculum progressista. È che tale curriculum è ora considerato un vantaggio dai principali leader democratici.

Walz sostiene la riforma dell’immigrazione che offre un percorso verso la cittadinanza a determinati immigrati clandestini, tra cui “lavoratori essenziali, Dreamers, titolari di Temporary Protected Status (TPS) e le loro famiglie“, ha scritto in una lettera al Congresso del 2021. A marzo 2023, ha firmato una legge che rende gli immigrati di qualsiasi status idonei a richiedere la patente di guida. Come membro del Congresso, nel 2018, Walz si è opposto alla decisione del presidente Donald Trump di costruire una barriera lungo il confine tra Stati Uniti e Messico, definendola “ridicola“.

Alcuni osservatori hanno anche notato il record anti-guerra di Walz mentre era membro del Congresso, sottolineando la sua opposizione all’aumento delle truppe in Iraq del 2007 voluto dall’ex presidente George W. Bush, la sua opposizione alla guerra in Siria nel 2013 e il suo sostegno all’abrogazione dell’autorizzazione del 2001 per l’uso della forza militare, che ha dato alla Casa Bianca ampi poteri per aggirare il Congresso per condurre attacchi e operazioni militari in altri paesi. “Nel 16° anniversario dell’approvazione del 2001 [Autorizzazione all’uso della forza militare], ci viene ricordato che è dovere del Congresso #VoteOnWar”, ha twittato Walz nel 2017. “#EndlessWar non è sostenibile. È tempo di discutere e votare”.

Ha lavorato in modo trasversale con i repubblicani che controllavano la legislatura nel suo primo mandato da governatore per assicurarsi più finanziamenti per combattere la dipendenza da oppioidi e tagliare le tasse alla classe media. E sulla scia dell’omicidio di George Floyd, soffocato da un poliziotto a Minneapolis a maggio 2020, ha contribuito a negoziare una legge bipartisan che imponeva nuove restrizioni all’uso della forza da parte della polizia nello Stato. Le proteste e le rivolte scoppiate a Minneapolis dopo la morte di Floyd sono tuttavia una vulnerabilità per lui: Walz ha ammesso che la risposta iniziale dello Stato è stata un “fallimento assoluto” per la sua decisione di ritardare l’impiego della Guardia Nazionale. Durante i primi giorni di quelle rivolte, Minneapolis e Saint Paul subirono danni per centinaia di milioni di dollari e centinaia di edifici furono gravemente danneggiati. Poi, Walz fece fronte alle violente proteste schierando la Guardia Nazionale e cercando il dialogo coi manifestanti. Ma Walz è stato applaudito da alcuni dei principali sostenitori dei diritti civili, che hanno affermato di credere che la decisione di Walz di far guidare l’accusa nel caso Floyd dal procuratore generale dello Stato del Minnesota abbia contribuito alla condanna dell’ex agente di polizia Derek Chauvin, che è stato dichiarato colpevole di omicidio e condannato a più di 20 anni di prigione.

Walz deve anche affrontare critiche per la sua gestione della pandemia di CoVid-19. Un’organizzazione no-profit locale ha sottratto un quarto di miliardo di dollari di fondi federali destinati a sfamare i bambini durante la pandemia, il più grande caso di frode pandemica negli Stati Uniti; una giuria ha dichiarato cinque persone colpevoli a giugno di frode, corruzione e riciclaggio di denaro, e decine di altre devono affrontare accuse. Una recente verifica legislativa ha scoperto che il Dipartimento dell’Istruzione della sua amministrazione non è riuscito a condurre una supervisione adeguata per prevenire la frode.

I Repubblicani stanno attaccando Walz su queste questioni. “Tim Walz ha lasciato che i rivoltosi del BLM bruciassero gli edifici fino alle fondamenta. Allo stesso tempo, ha creato delle ‘linee telefoniche spia’ per denunciare alla polizia i cittadini del Minnesota che andavano al supermercato o facevano un barbecue durante il CoVid. Proprio come Kamala Harris, è un pericoloso radicale”, ha scritto su X il senatore repubblicano Tom Cotton dell’Arkansas.

La campagna di Trump ha cercato immediatamente di dipingere Walz come un politico di estrema sinistra. “Dalla proposta della sua agenda carbon free, al suggerimento di standard di emissione più severi per le auto a benzina, all’adozione di politiche per consentire ai criminali condannati di votare, Walz è ossessionato dal diffondere l’agenda pericolosamente liberal della California in lungo e in largo”, ha affermato in una dichiarazione la portavoce della campagna di Trump, Karoline Leavitt. JD Vance ha affermato che la scelta di Walz dimostra che la signora Harris è disposta a “inginocchiarsi di fronte agli elementi più radicali del suo partito”.

Walz ha reagito a Trump e Vance mercoledì nel Wisconsin. “Queste elezioni riguardano tutte la domanda: in quale direzione andrà questo Paese? Donald Trump sa la direzione che vuole prendere. Vuole riportarci indietro”.

Israele, Palestina e la guerra a Gaza

Oltre alla politica interna, l’approccio degli Stati Uniti alla guerra a Gaza e alle crescenti tensioni in Medio Oriente si sta rivelando un problema di primo piano in questo ciclo elettorale. Sebbene i governatori non dettino la politica estera, Walz ha espresso sostegno a Israele e ha ordinato di tenere le bandiere a mezz’asta in solidarietà con l’alleato degli Stati Uniti dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre.

Mentre prestava servizio al Congresso, Walz aveva anche assunto posizioni pro-Israele. “Israele è il nostro alleato più vero e più vicino nella regione, con un impegno verso i valori delle libertà personali e delle libertà, circondato da un vicinato piuttosto duro”, aveva affermato nel 2010. Durante il suo mandato al Congresso dal 2007 al 2019, Walz ha votato per condannare una risoluzione delle Nazioni Unite secondo cui gli insediamenti israeliani in Cisgiordania erano illegali.

Ma a marzo, dopo che quasi il 19% degli elettori democratici del Minnesota ha espresso voti “non impegnati” alle primarie per protestare contro il sostegno incondizionato del presidente Joe Biden a Israele, Walz ha suggerito di comprendere la crescente frustrazione per l’approccio degli Stati Uniti. Ha affermato che le persone che hanno votato “non impegnati” hanno “tutto il diritto” di essere ascoltate. “Queste persone chiedono un cambio di rotta. Chiedono che venga esercitata più pressione su Israele”, ha detto Walz a MPR News in quel momento. “Le persone sono frustrate, ma è di buon auspicio per me che siano attivamente impegnate ad andare a esprimere il loro voto e chiedere un cambiamento”, ha affermato. “Si possono sostenere cose contrastanti: che Israele ha il diritto di difendersi e che le atrocità del 7 ottobre sono inaccettabili, ma che i civili palestinesi siano rimasti intrappolati in questo… deve finire”.

Da questo punto di vista, la scelta di Walz è stata interpretata come un cambiamento rispetto alla posizione del presidente Joe Biden sulla guerra di Israele a Gaza. La più probabile alternativa a Walz era il governatore della Pennsylvania (forse lo Stato indeciso più importante del paese, dove Biden vinse per circa 80mila voti nel 2020), Josh Shapiro, che è stato criticato dall’ala progressista del Partito Democratico per le sue risposte aggressive ai manifestanti universitari che chiedevano alle università di disinvestire da Israele, paragonandone alcuni al Ku Klux Klan. Walz ha mostrato un approccio più morbido nei confronti dei manifestanti critici della guerra di Israele (ha detto che rispettava l’empatia che hanno dimostrato per la sofferenza delle persone a Gaza) che si allinea maggiormente con la posizione di Harris (che riconosce la sofferenza dei palestinesi, così come il loro diritto all’autodeterminazione, qualcosa che persino i democratici più tradizionali, tra cui Biden, hanno a lungo esitato a dire). Un sondaggio di marzo del Pew Research Center ha mostrato che quasi la metà degli adulti sotto i 30 anni si opponeva a fornire aiuti militari a Israele. E metà di tutti gli americani era a favore dell’invio di aiuti umanitari ai palestinesi. In un discorso a marzo, Harris ha fatto pressione sul governo israeliano per non aver fatto abbastanza per porre fine alla perdita di vite civili e per non aver consegnato aiuti umanitari ai palestinesi a Gaza. Poi, ci sono state le sue osservazioni critiche dopo l’incontro “franco e costruttivo” di luglio con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Matt Duss, vicepresidente esecutivo del Center for International Policy ed ex consigliere di politica estera del senatore Bernie Sanders, ha affermato che la questione della Palestina e di Israele continua a dividere i democratici, il che, a suo dire, è rispecchiato dal dibattito tra elettorati pro-lavoratori e pro-business nel partito. La scelta di Harris di Walz esprime la sua posizione su queste questioni divisive. C’è una crescente base elettorale nel Partito Democratico che prende la questione dei diritti dei palestinesi molto più seriamente rispetto agli anni precedenti e le sue opinioni devono essere prese in considerazione, nonostante che sia evidente l’opposizione della lobby pro-Israele, esemplificata dal ruolo giocato dall’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC ) contro i deputati pro-palestinesi della “Squad”, Jamaal Bowman di New York e Cori Bush del Missouri, entrambi battuti alle primarie da due candidati fortemente sostenuti finanziariamente da AIPAC.

Russia-Ucraina

Questa settimana Walz è stato descritto come un aperto sostenitore dell’Ucraina da The Kyiv Independent. È stato profondamente coinvolto nel conflitto fin dall’inizio, condannando gli “attacchi non provocati e illegali” della Russia il giorno dopo la sua invasione su vasta scala dell’Ucraina il 24 febbraio 2022. L’anno successivo, ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy in un collegamento virtuale organizzato dalla National Governors Association. “È stato un onore ascoltare di persona il presidente Zelenskyy e offrirgli il nostro incrollabile sostegno”, ha detto in seguito.

A febbraio di quest’anno, Walz ha firmato un accordo agricolo tra il Minnesota e la regione ucraina settentrionale di Chernihiv con l’ambasciatore di Kiev negli Stati Uniti. “È una dimostrazione di amicizia davvero importante e una dimostrazione di legami davvero importante”, ha affermato.

Ha anche sostenuto la legislazione statale che pone fine agli investimenti in Russia e impedisce alle aziende di fare affari con aziende russe e bielorusse. Il Minnesota ospita produttori di armi che forniscono armi all’Ucraina. Con Walz come vicepresidente degli Stati Uniti, l’Ucraina può aspettarsi lo stesso livello di sostegno incrollabile fornito dall’amministrazione dell’attuale presidente degli Stati Uniti Biden.

Pro-Cina?

I Repubblicani hanno anche accusato Walz di essere filo-cinese. “La Cina comunista è molto felice”, ha detto su X l’ex ambasciatore di Donald Trump in Germania, Richard Grenell. “Nessuno è più pro-Cina del marxista Walz”. Tom Cotton, senatore repubblicano, ha detto che il signor Walz doveva una spiegazione “sulla sua insolita relazione di 35 anni con la Cina comunista”.

Il rapporto personale di Walz con la Cina risale effettivamente a decenni fa. Iniziò nel 1989 (l’anno del massacro di piazza Tienanmen a Pechino) quando, appena terminato il corso di formazione per insegnanti al Chadron State College del Nebraska, Walz partecipò per un anno ad un programma di volontariato (World Teach) dell’Università di Harvard insegnando storia americana e inglese alla Foshan No 1 High School nella Cina meridionale (nella provincia del Guangdong). In seguito aprì un’attività con la moglie Gwen organizzando viaggi educativi estivi annuali in Cina. L’iniziativa durò più di un decennio e, secondo le sue stime, Walz tornò nel paese circa 30 volte.

Ma se non altro, Walz è stato piuttosto aggressivo nei confronti del governo cinese, in particolare sui diritti umani. Come membro del Congresso, ha incontrato il Dalai Lama e, prima di essere incarcerato, l’attivista democratico di alto profilo di Hong Kong, Joshua Wong. Entrambi gli uomini sono in cima alla lista dei nemici pubblici del governo cinese. In termini di curriculum congressuale, non c’è molto che possa piacere alla Cina. Ha trascorso oltre un decennio nella Commissione esecutiva del Congresso sulla Cina, un organismo incentrato sull’esame delle violazioni dei diritti umani da parte del governo cinese. Nel 2016, lo stesso anno in cui ha incontrato il Dalai Lama, ha anche invitato l’allora leader del governo tibetano in esilio, Lobsang Sangay, nel suo ufficio congressuale per incontrare un gruppo di studenti delle scuole superiori del Minnesota. Ha dato il suo forte sostegno all’Hong Kong Human Rights and Democracy Act, che ha imposto sanzioni ai funzionari cinesi e di Hong Kong per le violazioni dei diritti umani durante le proteste democratiche della città.

Per oltre due decenni dopo Tiananmen, la politica estera americana si è fondata su un profondo accordo bipartisan secondo cui il commercio e l’impegno con la Cina erano in generale una buona cosa. Non sorprende che si possano trovare prove che Walz esprima opinioni in linea con quel consenso. Lungi dall’essere pro-Cina, il curriculum di Walz lo contraddistingue come qualcuno che ha assunto una visione più sfumata. Ha parlato della necessità di dialogo e cooperazione su questioni come il commercio e il cambiamento climatico, ma rimane fortemente critico quando si tratta di diritti umani. Questa posizione è stata evidente fin dall’inizio della relazione. In qualità di governatore, ha invitato Trump a porre fine alla guerra commerciale con Pechino.

L’autore: Alessandro Scassellati Sforzolini è ricercatore sociale e attivista, collabora con Transform! Italia. Fra i suoi libri Suprematismo bianco (Derive e Approdi). Sulle elezioni americane v. anche dello stesso autore Cosa c’è dietro l’America bianca e arrabbiata che guarda a Trump