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Eterologa e diagnosi pre impianto. Passi avanti per i diritti dei malati

La fecondazione eterologa non può essere a carico dei pazienti. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato in risposta all’appello della Regione Lombardia, che è stato così respinto. La decisione del Consiglio di Stato conferma quella del Tar. Viene in questo modo bloccato il tentativo della Regione Lombardia di stabilire un diverso trattamento fra chi necessita di un intervento medico con la fecondazione omologa e chi deve invece ricorrere a quella eterologa, ovvero con gameti che non appartengono alla coppia di futuri genitori. Tentativo discriminatorio che lede il diritto alla salute (art.32) e viola il principio di eguaglianza sostanziale (art. 3) rileva il Consiglio di Stato. E, aggiungiamo noi, che nasconde un pensiero “razzista”, come se la genitorialità fosse una faccenda di trasmissione del patrimonio genetico e non di affetti. Per lunghi anni le coppie italiane infertili o portatrici di malattie genetiche sono state costrette ad andare all’estero per sottoporsi a tecniche di fecondazione assistita eterologa, che fu vietata in Italia dalla legge 40 del 2004. Un divieto che è stato nel 2014 giudicato incostituzionale dalla Consulta, senza per questo creare un vuoto normativo. E ora pareva fuori da ogni legittimità la crociata della Regione Lombardia, con due delibere una varata il 12 settembre 2014 che ha stabilito che la procreazione medica assistita eterologa fosse a carico degli assistiti e una del 7 novembre 2014 che ha fissato le tariffe a carico degli utenti, comprese tra i 1.500 e i 4mila euro. Tentativo che si scontrava anche con i nuovi Lea varati dal ministero che includono anche l’eterologa.

Dopo la sentenza della Corte costituzionale, Regioni come la Toscana e l’Emilia Romagna si erano già attrezzate per offrire ai pazienti questi servizio pagando solo un ticket, che tuttavia nelle strutture pubbliche italiane non è ancora ovunque accessibile. Lo forniscono strutture private, ma i costi sono elevati. Sono i danni prodotti da dieci anni di legge 40, che ha determinato una forte arretratezza dell’Italia dal punto di vista delle strutture mediche in questo settore. Tanto che solo due giorni fa, a 12 anni dall’entrata in vigore della legge 40, è stata eseguita in un ospedale pubblico italiano una diagnosi genetica pre-impianto di embrioni. È accaduto nell’ospedale di Cortona in provincia di Arezzo. Il futuro padre è affetto da aniridia congenita, una malattia rara che impedisce la formazione completa dell’iride e che colpisce la vista. È stata fatta una biopsia su tre embrioni per verificare la presenza di patologie ereditarie o cromosomiche prima dell’impianto in utero. «Il centro di procreazione medicalmente assistita dell’Ospedale di Cortona è così la prima struttura pubblica in Italia ad adottare ed eseguire la diagnosi genetica pre-impianto, una vera e propria amniocentesi anticipata, non eseguita sul feto, ma ancor prima sull’embrione, senza che produca alcun danno» si legge in una nota della Regione Toscana.

Il commento dell’avvocato Filomena Gallo dell’Associazione Luca Coscioni: « La decisione del Consiglio di Stato sulla Lombardia è certamente di una vittoria per i cittadini, ma è una sconfitta, l’ennesima, della politica che ancora una volta ha rinunciato al proprio ruolo di garante degli interessi di tutti i cittadini, lasciando ai tribunali il compito tutelare i diritti delle persone e affermare lo Stato di diritto. Per questo speriamo che il presidente Maroni impari la lezione e rinunci al ricorso già depositato al consiglio di Stato contro il risarcimento a Beppino Englaro disposto dal Tar.I giudici oggi hanno confermato che il proibizionismo calpesta i diritti e le libertà, in questo senso è importante anche il parere favorevole del Consiglio di Stato al decreto sui registri per le Unioni Civili, e il richiamo al Governo a rispettare le scadenze per i decreti attuativi, rendendo immediatamente operativa la norma».

Alle ragazze piace il porno. Cosa c’è di male?

Alle ragazze piace il porno. O sarebbe meglio dire: a tutti piace il porno. Anche alle ragazze. A tutte piace guardarlo, per le più giovani – come per molti adolescenti – è anche uno strumento per esplorare la propria sessualità. L’educazione sessuale nelle scuole, troppo spesso sacrificata o macchinosa, non è adeguata alle esigenze dei più giovani che dunque ricorrono a strumenti altri per comprendere il sesso. Una ricerca legittima, ma non priva di rischi, soprattutto per le ragazze. Se il porno diventa l’unica forma di educazione all’erotismo, l’immagine della donna oggetto corroborata dalla pornografia segna l’identità sessuale delle adolescenti.

L’industria culturale e il corpo delle donne

Le donne, nel 2015, hanno rappresentato il 24% dei visitatori di PornHub a livello mondiale; il 20% in Italia. La maggior parte di loro ha tra i 18 e i 34 anni. A leggere i dati raccolti sul sito ufficiale della piattaforma si scopre infatti che i millenials in generale visitano PornHub più degli utenti di ogni altra fascia di età, sono infatti ben il 60% del totale. Le ragazze, poi, ci passano di media 10 minuti (2 in più della media nazionale e dei colleghi uomini) e hanno gusti profondamente indentitari. Le categorie più popolari fra le donne che frequentano il famigerato sito hard sono quelle dedicate alle fantasie omosessuali, mentre fra le parole più cercate dagli uomini, invece, ci sarebbero “teen” e “mother” – la mamma e le/gli adolescenti. Emergono quindi due immaginari erotici molto differenti.

Se l’industria del porno è in espansione, lo è ancor di più quella del porno dedicato a un pubblico femminile. Il dato sicuramente colpisce e, soprattutto, sembra in controtendenza rispetto alle credenze più diffuse per cui donna ed erotismo sarebbero segregati in due universi lontani tra i quali solo l’uomo può attivare un legame. In tutto questo la tecnologia ha giocato un ruolo importante. Gli smartphone, i tablet ed ovviamente internet consentono infatti l’accesso al materiale pornografico senza distinzione di sesso ed età, ma soprattutto senza alcun controllo. L’attenzione allo sviluppo tecnologico, ha aumentato i profitti dell’industria pornografica, ne ha diversificato la messa in scena e il flusso e – cosa ancor più “rivoluzionaria” – ne ha normalizzato l’accesso e la fruizione sfidando così alcuni dei suoi luoghi comuni. Non si tratta di un’ossessione per il sesso in inarrestabile crescita quindi, ma di una “forma d’intrattenimento” che si fa brand: il porno è diventato oggetto e parte integrante della cultura pop. Molto più che in passato, infatti, l’uso d’immagini esplicite è entrato oggi in maniera dirompente nell’immaginario culturale, soprattutto in quello pubblicitario.

Una pubblicità di Diesel, divenuta qualche anno fa virale sul web, unisce in un unico video
il porno d’antan ai cartoni animati, simbolo per eccellenza del pop
 

Tra oscuramenti e successo di critica

Non senza conflitti e frizioni, però. Il corpo fa ancora scandalo. Che sia stato frutto dell’operazione censoria operata in automatico da un algoritmo o meno è ancora da capire, ma l’oscuramento della pagina Facebook del film storico Porno e Libertà, ha fatto sì che sulle pagine dei giornali italiani si tornasse a parlare di pornografia e censura. Ed il legame fra i concetti di porno e libertà è il fulcro del lavoro del regista Carmine Amoroso che racconta la società degli anni ’70 e la battaglia contro la censura, la chiesa e la morale dei protagonisti di allora (Riccardo Schicchi, Ilona Staller e co.). Il tutto a trent’anni esatti da Parco Lambro, il festival proletario che, nel 1976 a Milano, mise letteralmente a nudo la liberalizzazione sessuale evocata dal movimento giovanile che dì lì a qualche mese sarebbe rimasto impigliato negli anni di piombo. Censurato sul popolare social network, il film di Amoroso è stato invece accolto favorevolmente dal Biografilm di Bologna. L’attenzione della rassegna bolognese fa eco a un interesse sempre maggiore dell’industria cinematografica, e più genericamente culturale, per quei prodotti che esplorano e decodificano con linguaggi e modalità nuove il tema della sessualità e le sue tante espressioni.

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Femminile e femminista

In maniera assolutamente inedita e coraggiosa, il cinema Farnese di Roma e la Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro hanno infatti ospitato quest’anno il primo cortometraggio pornografico d’autore. E anche qui ritroviamo la mano femminile. Queer Kong è infatti l’opera prima, autofinanziata e autoprodotta de Le Ragazze del porno. Il collettivo di registe raccoglie professioniste tra i 25 e i 75 anni e si propone di decostruire il linguaggio pornografico odierno, proponendo narrazioni diverse.
Come negli anni ’70 era stato per il personale, oggi è il porno a farsi politico. O forse lo è sempre stato. Pensare una pornografia al femminile e riflettere sul ruolo attivo – sia culturale che di mercato – che le donne hanno nell’industria del porno significa guardare con uno sguardo altro, rispetto a quello consueto, alla sessualità femminile e alle modalità con la quale viene discussa all’interno della società. È per questo che buona parte del femminismo, soprattutto quello di origine anglosassone, raccoglie oggi la sfida, mai completamente risolta, di una pornografia femminile e femminista che renda protagonista la soggettività femminile e rivoluzioni in senso egualitario un linguaggio culturale che oggi mette ancora troppo spesso al centro il maschio e fa la morale alle donne che ne fanno uso.

Aiuta il ragazzo autistico (ed è nero): la polizia di Miami lo ferisce

Ci risiamo: mentre alla convention repubblicana una parte degli oratori insulta Black Lives Matter ed elogia il lavoro dei poliziotti, senza fare quello che dovrebbe fare la politica, ossia cercare delle soluzioni a un problema reale, c’è un nuovo episodio di eccessivo uso della forza. Stavolta per fortuna non è morto nessuno, c’è solo un ferito. Miami, un ragazzo affetto da autismo scappa dalla residenza assistita dove è ospitato, il terapista che lavora nella struttura lo trova e sta cercando di convincerlo a tornare a casa. Poi arriva una volante e la situazione cambia. L’episodio risale a lunedì ma ieri notte è stato diffuso un video che descrive i fatti in maniera inequivoca.

Charles Kinsey, il terapista afroamericano che lavora nella residenza parlava con il ragazzo quando la pattuglia è arrivata in risposta a una chiamata che riferiva come ci fosse un uomo armato che minacciava il suicidio.

Nel video sentiamo Kinsey gridare «Tutto quello che ha in mano è un camion giocattolo….Un camion giocattolo. Io sono un terapeuta comportamentale in una casa famiglia». L’uomo grida anche di non sparare, spiega, tiene le mani alzate e invita il ragazzo a stare fermo, a sdraiarsi. Ma il poliziotto, che è li per fermare un suicida (anche se in verità non si tratta di questo), spara al nero giunto in suo soccorso.

In un’intervista Kinsey ha raccontato di aver chiesto: «Perché mi hai sparato?». La risposta è stata «Non so». E poi aggiunge: «Mi dicevo, ho le mani alzate, forse è il ragazzo che rischia. Non spareranno a me…wow, se mi sbagliavo».

 

 

Primo sgombero dell’era Raggi

Giovedì 21 luglio, ore 7,30. Al quartiere Pigneto di Roma la polizia fa irruzione al Point break, lo studentato occupato dal 2009 dal movimento studentesco romano. Erano i giorni del movimento dell’Onda e, in quei giorni, lo stabile vuoto e in stato di abbandono fin dagli anni Ottanta, è stato occupato da studenti e precari.

Point break è la prima esperienza di studentato occupato di Roma, una città «dove una parte rilevante di studenti e precari è di fatto privata della possibilità di avere un alloggio». In questi sette anni, rivendicano dallo studentato, «abbiamo riqualificato uno spazio rendendolo uno spazio abitabile e attraversabile dal quartiere». E, ancora, «ci siamo opposti al degrado sociale che in maniera sempre più intensa ha trasfigurato il quartiere, da un lato mercificandolo all’estremo e dall’altro lasciando spazio al narcotraffico».

Ma stamane è arrivato quello che dal Point break definiscono uno «sgombero a orologeria», che «avviene all’indomani della grandissima assemblea del percorso Decide Roma che si è svolta a piazza dei Sanniti con la partecipazione dell’assessore all’Urbanistica e Infrastrutture Paolo Berdini, delegato per l’occasione dalla Giunta Raggi appena insediata». L’assemblea straordinaria, a cui fanno riferimento, si inserisce nel percorso di opposizione alla svendita del patrimonio pubblico e allo sgombero violento delle centinaia di realtà sociale e associative di Roma. «L’assemblea che si è svolta ieri, è stata un grande esercizio di democrazia dal basso e partecipazione cittadina», proseguono gli studenti e precari di Point Break, «nel quale si è avviato un confronto con la nuova Amministrazione verso il riconoscimento dei Beni Comuni Urbani».

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Mentre in città si discute della possibilità per una nuova negoziazione sociale, insomma, «i corpi di Polizia forzano per riportare il piano del confronto politico della città di Roma nello spazio angusto del rispetto della legalità formale e della difesa della rendita immobiliare», denunciano gli studenti e i precari.

Lo stabile occupato da Point break è un edificio di proprietà privata, «ed è parte di quell’immenso patrimonio immobiliare lasciato in disuso nella città», precisano, «uno dei tanti simboli di quel processo di gentrificazione e speculazione dei quartieri popolari. Da anni i proprietari preferiscono tenere gli stabili vuoti e gli affitti alle stelle espellendo di fatto dai quartieri gli studenti e i precari».

Mentre scriviamo, ci dicono dallo studentato, «è in corso l’occupazione del V Municipio per chiedere alle istituzioni, Giunta comunale, Regione e Municipio, una presa di posizione netta, di farsi carico immediatamente del problema abitativo degli studenti e precari sgomberati e di chiarire in che modo modo intendano affrontare l’emergenza abitativa e la garanzia del diritto allo studio. Il presidente del V Municipio ha assicurato di non essere stato messo a conoscenza dello sgombero di questa mattina: dato preoccupante che esplicita ancor di più la gravità dell’accaduto».

Renzi nel lettone di Berlusconi

Sarebbe bello potersi stupire del fatto che questo Senato di servili servitori abbia deciso di salvare Silvio Berlusconi negando l’autorizzazione alla Procura di Milano per l’utilizzo di alcune intercettazioni. Sarebbe facile perché significherebbe essere riusciti a bersi la storia che il patto del Nazareno sia solo un’invenzione giornalistica mentre il Pdl (o Forza Italia o come volete chiamare i berluschini) si è dissolta perché non ha nemmeno bisogno di esistere per garantire a Silvio le indispensabili garanzie.

Questo Senato ieri ha salvato Berlusconi perché semplicemente è berlusconiana (per storia, per convergenza, per affezione o per semplice predisposizione alla prostituzione) la maggioranza trasversale di questo Governo che vorrebbe apparire nuovo e invece si tiene in pancia tutti i germi degli ultimi vent’anni.

Il Senato salva Berlusconi perché questa è la sua matrice politica: centrodestrista e dedito all’autopresarvazione. E la scenetta del dopo voto è ancora peggio: bambini dell’asilo Mariuccia che si rimbalzano la colpa. La politica che diventa poltiglia da cortile mentre tutto intorno avanzano stragi, si sbriciolano i diritti, muoiono battaglieri della morte degna e L’Europa affoga.

Il Senato. Il Senato che vogliono rifondare. Il Senato che mette mano alla Costituzione.

E mentre Renzi si infila nel letto di Berlusconi mi viene la curiosità di sapere che Paese sarebbe questo se si fosse applicata la Costituzione, prima di volerla rottamare.

E mi verrebbe da chiedere che senatori sarebbero questi, se non avessero il voto segreto.

Buon giovedì.

La storia delle Olimpiadi raccontata attraverso i suoi poster più belli

La storia delle Olimpiadi è fatta di imprese grandiose, record battuti, medaglie conquistate, ma può essere raccontata anche tramite i manifesti ufficiali che sono stati creati ad ogni edizione da artisti e creativi di tutto il mondo. In attesa di veder iniziare i giochi di Rio 2016 abbiamo selezionato una galleria dei poster più belli, molti dei quali sono dei veri e propri gioielli illustrati che permettono di ripercorrere tendenze e stili che hanno fatto la storia del graphic design.

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Mosca 1980, siamo in piena guerra fredda e gli Stati Uniti non partecipano a questa edizione dei giochi, gli italiani in compenso fanno il pieno di medaglie. Nel 1984 con le Olimpiadi di Los Angeles saranno invece i russi a disertare le competizioni per evitare di mettere piede sul suolo americano.

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Olimpiadi di Tokio del 1964

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Manifesto delle Olimpiadi di Monaco del 1972, tristemente famose per il massacro compiuto dall’organizzazione terroristica palestinese Settembre Nero contro gli atleti della squadra israeliana, prima presi in ostaggio e poi uccisi, a quanto pare da recenti rivelazioni anche a seguito di sevizie e torture. Morirono 11 atleti israeliani, 5 terroristi e 1 poliziotto tedesco.

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Nel 1988 le olimpiadi si tengono in Corea del Sud. Partecipano 159 Stati, esclusi Cuba, Etiopia e Corea del Nord. Il tennis ritorna ad essere una disciplina olimpica. L’evento è stato segnato da casi di doping. Il 24 settembre, il canadese Ben Johnson vince il titolo nei 100 metri piani davanti a Carl Lewis con il tempo record di 9″79: tre giorni dopo, risultando positivo ai test antidoping, viene squalificato dal Comitato Olimpico Internazionale con l’annullamento della vittoria e del primato.

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È il 1996 i giochi tornano a svolgersi negli Usa, ad Atlanta.

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Atene 2004

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Un altro poster di Mosca 1980

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È la volta del Canada. I Giochi della XXI Olimpiade a Montreal furono la prima delle tre edizioni dei Giochi Olimpici consecutive in cui un nutrito gruppo di stati, sempre diverso in tutte e tre le edizioni, per ragioni principalmente politiche, boicotterà la manifestazione sportiva in segno di protesta. Le Olimpiadi di Montréal 1976 furono boicottate da 27 paesi africani, uno asiatico (l’Iraq) e uno americano (la Guyana). Il motivo di tale gesto fu giustificato come un segno di protesta nei confronti della Nuova Zelanda e in particolare della sua squadra di rugby, che secondo alcune fonti si era recentemente recata in tour nel Sudafrica dell’apartheid nonostante il boicottaggio sportivo in atto, dove aveva giocato con altre squadre composte esclusivamente da bianchi.

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Uno dei poster ufficiali di Rio 2016. I giochi inizieranno il 5 agosto, tra le squadre in gara anche una squadra composta interamente da rifugiati provenienti da varie parti del mondo e rimasti senza una squadra nazionale con la quale poter gareggiare.

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Un altro degli splendidi manifesti di Monaco 1972

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Un’edizione giapponese del manifesto delle Olimpiadi di Roma del 1960. Il poster è stato realizzato da Armando Testa uno dei pubblicitari più famosi e noti della storia del Belpaese.

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Olimpiadi di Berlino, è il 1936 al potere è salito da tre anni Adolf Hitler e sono state promulgate le leggi razziali. Il comitato olimpico tedesco, in conformità alle direttive naziste, impedì ai tedeschi di origine ebrea o rom di partecipare ai Giochi olimpici; l’unica ebrea tedesca a prendervi parte fu la fiorettista Helene Mayer. È leggenda assai diffusa, ma si tratta di narrazione priva di fondamento, come dichiarato dallo stesso Jesse Owens, il rifiuto di Hitler di riconoscerne le vittorie. Egli infatti non celebrò alcuna vittoria, ma anzi mentre l’atleta statunitense passava sotto la tribuna d’onore venne salutato da Hitler con un gesto della mano al quale egli rispose.[5] Al contrario fu Franklin D. Roosevelt, in quel periodo impegnato in un’elezione e preoccupato della reazione degli Stati del Sud, a cancellare un appuntamento con il pluriolimpionico alla Casa Bianca.

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Un altro splendido manifesto dell’edizione delle Olimpiadi di Monaco del 72

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Giochi olimpici di Helsinki del 1952

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Messico 1968. Il 2 ottobre, dieci giorni prima dell’apertura dei Giochi, nella Piazza delle Tre Culture a Città del Messico un gruppo di studenti manifestò pacificamente per protestare la grossa spesa sostenuta dal presidente Gustavo Diaz Ordaz per costruire gli impianti sportivi. I soldati, non si sa se per ordine diretto del presidente, iniziarono a sparare ad altezza d’uomo. Fu una strage, ancora non è noto il numero dei morti. Messico 68 è anche ricordate per la premiazione dei 200 metri piani, durante la quale lo statunitense afroamericano Tommie Smith, vincitore a tempo di record del mondo, e il suo connazionale John Carlos, terzo classificato, alzarono il pugno chiuso guantato in nero in segno di protesta contro il razzismo negli Usa e in risalto delle lotte delle Black Panthers. Con loro sul podio c’era anche Peter Norman, australiano, che sfoggiò una spilla in favore dei diritti umani.

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Londra 1948, sono le prime Olimpiadi dopo la seconda guerra mondiale dopo la mancata disputa della XII e della XIII Olimpiade, nell’agosto del 1945, a pochi giorni dalla fine delle ostilità. Gli organizzatori dovettero affrontare non poche difficoltà per nutrire gli atleti e per alloggiarli, oltre a dover sopportare le bizzarrie del cattivo tempo. Furono approntate soluzioni economiche: le gare di nuoto si svolsero nel Tamigi, le gare di ciclismo trovarono posto nell’ampio parco di Windsor. Fu ricostruita la pista di atletica nello stadio di Wembley, dove si erano svolti i precedenti Giochi del 1908. Non fu edificato nessun villaggio olimpico: gli atleti alloggiavano in collegi e capannoni militari. I più fortunati furono gli americani, che vennero riforniti di generi alimentari direttamente dal loro paese, tramite un ponte aereo.

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Monaco 1972.

 

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Parigi 1924

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Londra 2012, l’ultima edizione dei giochi prima di Rio 2016.

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Tokyo 1964. Per la prima volta, in tutto l’emisfero settentrionale le immagini delle gare vennero diffuse grazie al satellite statunitense Syncom III.

Ucciso a Kiev Pavel Sheremet, giornalista russo “scomodo”

epa05433395 Flowers and a portrait of killed journalist Pavel Sheremet are placed at the area where Sheremet was killed in Kiev, Ukraine, 20 July 2016. According to Ukrainian media, Belarus-born Russian journalist Pavel Sheremet was killed early Wednesday in a car explosion in the center of Ukraine's capital city of Kiev. The exploded car belonged to Olena Prytula, an owner of online newspaper Ukrainska Pravda. However, Prytula was not in the vehicle at the moment the blast occurred, at 07:45 Kiev time. The car is reported to have been set off as Sheremet was driving. Pavel Sheremet has lived in Kiev for the past five years, working for Ukrainska Pravda and hosting a radio show on Radio Vesti. EPA/ROMAN PILIPEY

Pavel Sheremet, 44 anni, giornalista russo di tendenze liberali, è morto in mattinata in seguito all’esplosione dell’auto su cui stava viaggiando, in pieno centro a Kiev. Dopo essere uscito di casa, Sheremet è salito sulla macchina, di proprietà della sua collega Yelena Pritule, direttrice del quotidiano Ukrainska Pravda, per il quale il giornalista lavorava. La donna era comunque assente al momento dell’esplosione. Sotto il sedile, le autorità hanno rinvenuto del tritolo: molto probabilmente si è trattato di «un ordigno a controllo remoto o ad azione ritardata» riferisce il portavoce del ministero dell’Interno. La polizia ha reso noto un comunicato in cui qualifica l’accaduto come «omicidio premeditato».

Sheremet è nato a Minsk. Per molti anni ha lavorato per la Tv di Stato russa, e da circa cinque anni viveva nella capitale ucraina. Il reporter era un ferreo oppositore del presidente bielorusso Alexandr Lukaschenko, cosa che gli costò due anni di carcere: fu arrestato nel 1997 al confine tra Lituania e Biellorussia mentre stava indagando sui traffici tra i servizi segreti dei due Paesi, con l’accusa di essere un agente al soldo di servizi segreti stranieri e per «attività giornalistica illegale». Passati due anni, fu poi liberato su pressioni russe.

«L’omicidio di un cittadino russo e giornalista in Ucraina è motivo di seria preoccupazione da parte del Cremlino» ha sostenuto il portavoce del Presidente Vladimir Putin, Dmitri Peskov, aggiungendo di augurarsi l’avvio di una «indagine imparziale e rapida per portare a giudizio gli autori dell’omicidio».

«I colpevoli di questo crimine devono essere puniti». Così, in un post su facebook, anche il presidente ucraino, Petro Poroschenko, ha condannato tragico avvenimento, esortando le forze dell’ordine a «indagare immediatamente su questo crimine». Anche l’Fbi prenderà parte alle indagini. Lo ha dichiarato il capo della polizia ucraina, Khatia Dekaniodze, in un comunicato: «Spero che domani o dopodomani i nostri colleghi stranieri arriveranno per aiutarci nelle investigazioni» ha aggiunto la numero uno della polizia.

«L’Ucraina – sistema e non Paese – è una tomba per il giornalismo e per i giornalisti» così ha commentato quanto avvenuto la portavoce del ministro degli Esteri russo, Maria Zakharova. «Sheremet era un giornalista che non aveva paura di parlare del potere, di dire ciò che pensava. Per questo era rispettato».

Nelle ultime settimane in Ucraina si è registrata una recrudescenza del conflitto, con 7 soldati governativi morti e altri 14 rimasti feriti nelle ultime 24 ore. In particolare, la tensione è alta nella regione di Lugansk, una delle due principali roccaforti dei separatisti filo-russofoni.

Stefano Ricucci, l’uomo della scalata a Rcs, arrestato per fatture false

Stefano Ricucci, arrestato per false fatture, viene portato all'interno della caserma Cadorna della Guardia di Finanza a Roma, 20 luglio 2016. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

L’esperienza a volte non insegna nulla. Di nuovo il carcere per Stefano Ricucci, l’immobiliarista romano salito all’onore delle cronache nel 2006 per la fallita scalata a Rcs e finito a Regina Coeli per tre mesi. Il costruttore che aveva iniziato la sua attività lavorativa come odontotecnico – esercitava a Zagarolo – famoso per il matrimonio con Anna Falchi e per quella frase sui “furbetti del quartierino”, che divenne una sorta di categoria dell’imprenditoria “allegra” italiana, è stato arrestato questa mattina dagli uomini della Guardia di Finanza di Roma su ordinanza del Gip di Roma. Il motivo: fatture false. Insieme a lui, arrestato Mirko Coppola. L’accusa per entrambi è quella di emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Stefano Ricucci avrebbe prodotto fatture false per circa un milione di euro per poter avere una liquidità finanziaria. L’inchiesta della Polizia Tributaria – si legge nelle note d’agenzia – riguarda una decina di persone e fra gli indagati c’è anche Nicola Russo, un magistrato del Consiglio di Stato, nonché componente della Commissione tributaria regionale. Secondo l’indagine della Procura di Roma, a quanto riferisce l’Ansa,  è “altamente probabile” che il magistrato sia «stato indebitamente retribuito da Ricucci» in cambio di notizie relative a decisioni della Commissione che riguardavano una società del Gruppo Magiste, dietro la quale c’è appunto l’immobiliarista romano. Ed è proprio dal fallimento di questa società che è scaturita l’indagine che ha portato questa mattina a 40 perquisizioni tra Lazio, Lombardia e Campania, con impegnati 170 finanzieri.

Addio a Max Fanelli, che ha lottato con coraggio per una legge sul fine vita

Max Fanelli

Se ne è andato Max Fanelli, coraggioso leader di tante battaglie con l’Associazione Luca Coscioni, per una legge sul fine vita. Per ricordarlo pubblichiamo il pezzo intervista uscito su Left il 25 ottobre 2015, con un intervento di Marco Cappato

Una sfida culturale. Contro un’idea, di matrice religiosa cattolica, che pensa alla malattia come Male e alla sofferenza come una punizione da espiare. E una sfida politica, per rivendicare il diritto costituzionale alla cura, contro le istituzioni sorde e indifferenti al dato di fatto che per un malato terminale l’interruzione di terapie inutili è cura, e che la scelta di una persona di sottrarsi a un accanimento terapeutico è un diritto. «Legalizzare l’eutanasia» è quello che chiede Massimo Fanelli, malato di Sclerosi laterale amiotrofica, dal letto in cui è costretto dal progressivo degenerare della patologia che gli è stata diagnosticata nel settembre del 2013. Per dare forza alla sua istanza nei giorni scorsi ha pubblicato una lettera rivolgendosi «allo Stato» e annunciando l’autosospensione del farmaco specifico sulla Sla (il Riluzolo) affinché i capi gruppo di Camera e Senato mettano in calendario la discussione sulla Legge di iniziativa popolare (Lip) sul fine vita depositata oltre due anni fa dall’Associazione Luca Coscioni. «Eutanasia è un termine spesso frainteso per questo occorre un dibattito pubblico, e per smuovere i politici bisogna trovare forme di comunicazioni più efficaci» prosegue Fanelli che può ormai comunicare solo tramite un computer che “legge” il movimento dell’unico occhio che ancora gli funziona. «Via mail e via tweeet chiunque può rivolgersi direttamente ai capigruppo di Camera e Senato chiedendo la calendarizzazione del dibattito in Parlamento.

Chi è interessato troverà indirizzi e account su possibile.com e nella pagina facebook Iostoconmax». Secondo una stima per difetto ogni anno in Italia i malati terminali, ad esempio di tipo oncologico, sono oltre 200mila. Numeri che dovrebbero far riflettere chi ha la responsabilità di valutare una proposta che regola l’eutanasia e le disposizioni di fine vita. Tuttavia, osserva Fanelli, «insieme a tante altre situazioni come la mia, incredibilmente, i diritti dei morenti sono costantemente trascurati». Difatti, come ricorda nella sua lettera, da quando nel settembre del 2013 è stata depositata la Lip a nulla sono valsi le innumerevoli istanze di malati e familiari, i due appelli dell’Associazione Coscioni accompagnati dalle firme di 82 deputati e senatori, l’invito a legiferare della presidente della Camera, Laura Boldrini, e dell’ex presidente della Repubblica Sergio Napolitano. «Nel nulla sono finiti i nostri appelli sia scritti che videoregistrati al presidente Mattarella e a papa Bergoglio. É inaccettabile che vengano trattati così migliaia di malati terminali, costretti dall’assenza di una legge sul fine vita a subire dolori e sofferenze inutili. Noi parliamo di dolore, di malattia, di morenti. Rivendichiamo il diritto alla libertà e alla dignità, di tutti».

Ma le settimane passano e i disagi psicofisici aumentano. E con essi nuovi dolori, nuove incapacità. Nonostante ciò Fanelli si dice fiducioso: «C’è l’interesse di Laura Boldrini e di diversi parlamentari che si stanno schierando a favore di una legge sul fine vita. E c’è quello dimostrato da numerose persone della società civile e della comunità cattolica che insieme ad alcuni parroci hanno espresso l’esigenza di fare chiarezza sul tema “eutanasia”. Questo significa che gli italiani sono pronti ad affrontare la questione».
Un dibattito pubblico oltre che politico è indispensabile. Non solo per una questione di esercizio della democrazia. Ma anche perché vi si potrà fare chiarezza sulla distinzione, e quindi sulla possibilità o meno di chiedere l’eutanasia, tra le situazioni patologiche che non hanno più alcuna possibilità di cura e altre, invece, come ad esempio la depressione, per le quali una cura è possibile.

«Il Parlamento ha il dovere di calendarizzare la discussione sulla proposta di legge di iniziativa popolare per l’eutanasia legale e il testamento biologico» ribadisce Marco Cappato, tesoriere dell’associzione Coscioni e promotore della campagna “Eutanasia legale”. «Non sono io a dirlo, o Max Fanelli, Walter Piludu, Luigi Brunori e Ida Rescenzo (le persone malate che si sono rivolte al Parlamento) ma è l’articolo 71 della Costituzione, uno dei più disapplicati e bistrattati, che prevede che “il popolo esercita l’iniziativa delle leggi”». Peraltro, prosegue Cappato, «la richiesta di calendarizzazione non riguarda solo coloro che aderiscono anche al merito della nostra proposta, ma investe altrettanto coloro che sono contrari, ai quali però chiediamo di assumersi le proprie responsabilità e a rendere conto della propria posizione in un dibattito alla luce del sole dove finalmente sia rispettato il diritto dei cittadini a conoscere per deliberare».

Il tesoriere dell’Associazione Coscioni si aspetta una particolare sensibilità al tema da parte del Gruppo del Movimento 5 stelle. «Grillo motivò ufficialmente la partecipazione alle elezioni in ragione del fatto che il Parlamento non aveva preso in considerazione la loro proposta di legge “per il Parlamento pulito”. Ora in Parlamento il Movimento 5 Stelle c’è, e con una presenza tale da poter condizionare i lavori dell’aula. Spero che vorranno farlo». Infine il problema dell’informazione, o meglio, della disinformazione. «Finora – spiega Cappato – non è mai accaduto che una trasmissione televisiva nazionale abbia organizzato un dibattito sulla legalizzazione dell’eutanasia. Se ne è potuto parlare solo a partire da vicende individuali, come quelle di Welby o Englaro. Max Fanelli ora ha paventato la possibilità di passare dall’autosospensione delle terapie allo sciopero della fame. Non sarebbe stato necessario, se solo il servizio pubblico radiotelevisivo avesse adempiuto al proprio compito e impedito ai Parlamentari di ignorare quella maggioranza di italiani che sono favorevoli a sostituire l’eutanasia clandestina praticata oggi con l’eutanasia legale sul modello del Belgio e dell’Olanda».

Il plagio di Melania Trump e il massacro sui social

Il discorso di Melanie Trump ha avuto un certo successo in rete. Non esattamente nella direzione voluta dalla convention repubblicana, però. La responsabilità è di Meredith McIver, dipendente delal compagnia di Donald, che dopo essersi consultata con Melania, che le ha detto che ammira Michelle, ha letto e riletto quel discorso e poi, per sbaglio, ha infilato le citazioni in quello preparato per la potenziale first lady repubblicana. La gaffe è destinata a essere ricordata per tre ragioni: il pressappochismo dell’organizzazione, che non è un bel segnale su come lavora il team Trump, l’aver negato e fornito risposte improbabili per un giorno e mezzo per poi raccontare la verità, il fatto che la moglie del candidato repubblicano nominato da un popolo che odia Obama si dica fan di Michelle. Infine, sembra che l’aver utilizzato una dipendente della compagnia del nominato e non un membro dello staff della campagna, possa anche rappresentare una violazione delle leggi che regolano le campagne elettorali. Ecco una rassegna di meme e tweet tradotti e contestualizzati che scherzano sul plagio operato da chi ha scritto il discorso della potenziale first lady repubblicana.

 

E poi ha detto “Con il minor aiuto possibile” (citazione della risposta di Melania sulla scrittura del suo discorso)

 

“Ho imparato a lavorare sodo mentre, come ragazza nera, crescevo in un contesto di povertà nel Southside di Chicago” (la bio di Michelle Obama)melania-poor-black-girl

“Sono così fiera delle mie figlie Malia e Sasha” (i nomi delle figlie di Obama)melaniatrumpmeme4

“Ho fatto un sogno” (il sermone della montagna di Martin Luther King)melaniatrumpmeme1

 

“Mio padre Alabama, mia madre Lousiana, mischi quei negri con il creolo e crei una Texas bama”

(Un verso di Formation, l’ultimo singolo di Beyoncé)
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Tre tweet di Jesse Williams, attore in Grey’s Anatomy militante della causa afroamericana: l’hashtag è “Citazioni famose di Melania Trump”. Seguono una serie di versi gangsta rap stranoti

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“Dopo aver visto il discorso di Melania ho capito che Trump ha ragione: Gli immigrati rubano agli americani che lavorano sodo” (Melania è nata in Slovenia e naturalizzata cittadina Usa)

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“Melania ha rubato il discorso a Michelle. Tutti vogliono fare i neri…fino a quando non arriva la polizia”

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Restituitemi il discorso (La foto è quella di Michelle che chiede Bring back our girls)Michelle-Obama-bring-back-m

 

“Sono una donna fiera di essere nera e indipendente”melania-trump-rnc-speech-memes

 

Diploma di scrittura di discorsi alla Trump University (I corsi a pagamento, noti per essere una specie di truffa, offerti da Trump)melania-trump-university