«Siete proprio come vi vogliono i padroni: servi, chiusi e sottomessi. Se il padrone conosce 1000 parole e tu ne conosci solo 100 sei destinato ad essere sempre servo»: la frase, populista e rivoluzionaria, è di Don Lorenzo Milani, un prete che oggi sarebbe subito bannato nella pagina Facebook della ministra Boschi o di Lorenzo Guerini, due nomi a caso tra la folta schiera della mansuetudine che si simula cattolica nei politici nostrani.
Ieri Hollande, Merkel e Renzi si sono incontrati per un summit che avrebbe dovuto essere il primo passo per la grande soluzione europea. Wow, uno pensa, che esplosiva riunione di intelligenze internazionali. La Merkel, teutonica e stentorea, ha dichiarato che «serve ancora una richiesta ufficiale». In pratica, anche se potrebbe sembrare una barzelletta, i tre si sono pomposamente riuniti per convenire che manca l’oggetto della discussione: si legge dappertutto che il Regno Unito sia uscito dall’Europa ma a Bruxelles, non è nemmeno arrivato uno straccio di mail. Disdetta.
Ma non è solo questo, il punto: che tre persone si riuniscano sotto la coltre servile di fotografi e cronisti per salvare il mondo dimostra principalmente che la figura dei salvatori funziona non solo nei film americani ma anche nei simposi europei e soprattutto di avere capito veramente poco degli ultimi voti in giro per l’Europa. Un trio che si riunisce davanti a un caffè per fingere una rivoluzione istituzionale è il quadretto perfetto di un’Europa che strimpella questa patetica commedia.
Una volta, quando tutto sembrava molto più semplice, i dirigenti si facevano carico dei fallimenti e invece oggi no, oggi sono la malattia e la cura, i maggiorenti e i loro stessi oppositori, i demiurgi e gli schiavi. Tocca a noi provare ad essere diversi da come ci vorrebbero. Quell’ingranaggio lì, in alto, continua imperterrito come un carillon.
Mariano Rajoy è il vincitore delle elezioni spagnole: con il 33% e qualche voto in più rispetto a dicembre, il suo partito popolare è l’unico ad essere cresciuto rispetto a sei mesi fa. Male Ciudadanos, male il Psoe e male l’alleanza tra Podemos e Izquierda Unida che non ha pagato in termini di consensi e neppure di eletti.
Il quadro politico spagnolo non appare però più chiaro rispetto a tre giorni fa: c’è un vincitore e non c’è una maggioranza.
La partita è complicata, come lo era sei mesi fa: Rajoy ha dichiarato che cercherà di formare un governo entro luglio chiedendo appoggio ad altri: «Mi piacerebbe governare con il sostegno sufficiente, se non lo avremo, ricordiamoci che abbiamo quello di otto milioni di spagnoli» ha detto il leader della destra moderata spagnola. Dalla sua Rajoy ha un fattore: la stanchezza degli spagnoli. I suoi tre avversari non hanno formato una coalizione prima del voto di domenica e non intendono farlo ora. Davvero avranno tutti il coraggio di far tornare la gente alle urne? A quel punto, il primo partito potrebbe fare campagna come l’unico “responsabile”.
Il Psoe di Pedo Sanchez ha invece fatto sapere che non appoggerà una candidatura Rajoy né si asterrà nel caso questi si presenti alle Camere per chiedere un voto di fiducia. La chiusura e gli attacchi nei confronti di Podemos e Pablo Iglesias lasciano però intendere che i socialisti non sono neppure intenzionati a cercare di formare loro un governo. Mandando a dire «tocca a Rajoy l’iniziativa, decidere con chi parlare e di cosa», sperano forse in un qualche sbocco istituzionale tecnico all’italiana?
Il rebus è complicato da Ciudadanos che ha spiegato che non appoggerà un governo in continuità o che abbia dentro forze nazionaliste (baschi e catalani di centrodestra). Con il veto del leader di Ciudadanos Rivera non resterebbe che un governo dei due partiti tradizionali. Per i due partiti tradizionali del bipolarismo imperfetto spagnolo, formare un governo assieme significherebbe aprire autostrade a destra e sinistra alle due formazioni nuove ed emerse ammaccate dal voto di ieri.
Quanto alla sinistra, sia Podemos che Izquierda Unida hanno ribadito la volontà di rimanere alleati nonostante la perdita di un milione e passa di voti in sei mesi. L’esecutivo di Podemos ha commissionato studi demoscopici per cercare di capire meglio perché l’alleanza non ha funzionato e ha ribadito la propria contrarietà a un esecutivo di coalizione con Ciudadanos e Psoe a guida Sanchez. Il gruppo dirigente non pensa che il proprio No al tentativo del leader socialista fallito nei mesi scorsi sia alla base della sconfitta.
Di certo la Brexit e le paure che ha ingenerato, ha contribuito al buon risultato del partito di Rajoy. E di certo la Brexit peserà nel dibattito politico spagnolo a venire: c’è un flusso costante di britannici che comprano case e passano le vacanze in Spagna: se la Gran Bretagna precipitasse in una crisi vera, sarebbero guai per l’industria turistica spagnola.
Reggio Calabria Lungomare Falcomatà con uno scorcio della città
foto Franco Cufari
(DEMANIO)
L’aria si surriscalda a Reggio Calabria, e non solo per lo scirocco che da giorni soffoca la città. Lettere minatorie, incendi e devastazioni. Il Comune di Reggio è sotto tiro. E il più preoccupante dei segnali è arrivato la notte tra sabato e domenica, quando l’auto dell’assessore ai Lavori pubblici, Angela Marcianò, è stata data alle fiamme.
Trentotto anni, avvocato, consulente di Nicola Gratteri e componente della commissione parlamentare anti criminalità e corruzione, Marcianò è stata eletta nel 2014, all’indomani dello scioglimento per mafia del Comune, e oggi è assessore della giunta guidata da Giuseppe Falcomatà.
«Sono molto scossa», ha ammesso Marcianò, che però ha aggiunto decisa: «Non faremo un passo indietro». E il sindaco di Reggio Calabria rincara la dose: «Se qualcuno pensa di intimidirci ha sbagliano i conti, l’azione di rinnovamento e di contrasto alla criminalità organizzata inaugurata dal governo cittadino non indietreggerà di un millimetro».
L’attentato arriva a pochi giorni dalla prima Marcia nazionale degli amministratori sotto tiro che si è svolta lo scorso venerdì a Polistena (Rc), organizzata da Avviso Pubblico. L’associazione degli enti locali contro le mafie ha censito episodi di minacce a sindaci, assessori e funzionari in almeno 227 comuni italiani.
A quattro giorni dal referendum, il quadro politico britannico è esploso. Dodici ministri ombra del governo laburista si sono dimessi chiedendo le dimissioni di Jeremy Corbyn – e in giornata si dimetteranno una serie di viceministri – il partito conservatore è in preda al caos, con le fazioni favorevoli e contrarie alla leadership di Boris Johnson che affilano i coltelli. Poi ci sono l’Europa, i mercati, la trattativa con Bruxelles e il difficile rapporto con la Scozia. I titoli delle banche sono di nuovo crollati – la Royal Bank of Scotland è ai livelli del 2009, quando era sull’orlo del fallimento e venne salvata con soldi pubblici – e la sterlina continua a perdere nei confronti di dollaro ed euro, nonostante il Cancelliere dello Scacchiere Osborne abbia tentato di tranquillizzare sulla situazione prima dell’apertura dei mercati. Hollande e Merkel hanno fatto sapere oggi che non ci saranno colloqui informali sulla Brexit: quando Londra chiederà di far scattare l’articolo 50, si comincerà a discutere. Un modo per mettere pressione sul Regno Unito.
Se la destra non sta bene, la sinistra è in preda a una guerra civile. La rivolta contro Corbyn covava dal giorno della sua elezione a leader e poche ore dopo il risultato del referendum è esplosa. Uno solo, tra i ministri ombra non legati al leader laburista, solo una non ha lasciato, mentre alcuni suoi alleati si sono dimessi, dicendosi convinti che il leader della sinistra non abbia le caratteristiche per far vincere il partito. Le dimissioni sono una pioggia, anche da parte di figure non nemiche: la Segretaria alla Casa, Blackman-Woods si è dimessa spiegando di non avere differenze politiche, ma di non aver visto, durante la campagna referendaria, un leader all’opera. E dopo un incontro con lo stesso Corbyn, si sono dimessi anche Lisa Nandy e Owen Smith e altri tre, la prima era una potenziale concorrente di sinistra per la leadership del partito, l’opinion maker e giovane firma della sinistra britannica, Owen Jones la incoraggiava. Tom Watson, vice di Corbyn, anche lui eletto, quindi con un mandato, ha chiesto al leader di «riconsiderare la sua posizione», non un invito alle dimissioni, ha specificato, ma alla riflessione. Si dice così, in politica, ma anche quello di Watson, che è un abile manovratore, è un missile. Anche i più vicini al leader ammettono che una nuova corsa per la leadership a questo punto è probabile.
A guidare la rivolta, che nei retroscena del Guardian è un piano studiato a tavolino, è Hilary Benn, figlio dell’ex leader della sinistra interna Tony, che probabilmente è stato una figura di riferimento proprio per Corbyn. Benn, Segretario ombra per gli Affari esteri, ha avuto posizioni diverse dal capo del partito sulla Siria e sul programma nucleare Trident e la sua nomina era un ramoscello d’ulivo nei confronti dell’ala del Labour sconfitta da Corbyn durante il voto sulla leadership. Dopo alcune dichiarazioni e le notizie uscite sul complotto anti Corbyn, questi lo ha rimosso dalla sua posizione. Il licenziamento di Benn ha determintao dimissioni in serie. In due giorni 15 su 23 hanno lasciato
Il clima nel Labour è tra i peggiori possibili: il ministro ombra per i rapporti con il Parlamento, Bryant, è arrivato a dire che nella discussione privata avuta prima delle dimissioni, Corbyn si è rifiutato di dire cosa ha votato al referendum – un modo per suggerire che potrebbe aver votato Leave.
La vera grande preoccupazione di una parte importante del Labour, non solo orfani del blairismo, è che si vada presto al voto e che il partito sia impreparato, manchi di una strategia credibile. Questo hanno ribadito proprio i segretari che si sono dimessi oggi, sostenendo che «non è più un problema di quei deputati che si oppongono a Jeremy fin dall’inizio. Corbyn non sa unire il partito, serve una nuova leadership». Si dice che la decisione di dimettersi dei ministri ombra che hanno visto il leader oggi sia stata causata da quella che hanno percepito come arroganza da parte di John McDonnell, Cancelliere ombra dello Scacchiere e tra i più forti alleati di Corbyn. Il giorno dopo il referendum McDonnell ha dichiarato: «Jeremy non va da nessuna parte, il momento è difficile, dobbiamo negoziare con l’Europa ed è il momento della sinistra di stare unita».
La verità è che sempre più figure importanti del partito, anche sostenitori di Corbyn, ritengono che occorra una nuova contesa per la leadership. Con una controindicazione: pochi mesi fa migliaia di giovani entusiasti accorsero a votare per Corbyn, cosa penseranno oggi se il loro leader venisse defenestrato da quello che appare come un colpo di mano? Certo è che se questa rivolta caotica non si placherà, l’immagine del partito laburista sarà davvero compromessa.
Una brutta situazione, visto che l’ala destra del partito conservatore, che parla di privatizzare il sistema sanitario nazionale ed è contraria a ogni intervento pubblico in economia, rischia seriamente di prendere in mano le redini del governo. Tra le voci anti-Johnson c’è anche la superstar televisiva degli chef britannici, il giovane che ha insegnato agli inglesi a cucinare, Jamie Oliver, si è schierato contro l’ex sindaco di Londra scrivendo su Instagram: «Ti prego di una cosa Gran Bretagna evita di darmi Boris fuckin Johnson come primo ministro o con te ho chiuso. La mia fede in noi stessi sarà persa per sempre. Non possiamo permettere che accada restando a guardare».
Theresa May, l’alternativa a Johnson alla guida dei Tories
L’alternativa a Johnson sembra essere Theresa May, Segretario agli Interni che ha fatto campagna per il Remain. In caso di sua vittoria si potrebbero evitare nuove elezioni. Vincesse l’ex sindaco di Londra, invece, si tornerebbe a votare: la sua piattaforma è molto diversa da quella di Cameron.
Per concludere tornano utili le parole di Alistair Darling, che si è speso molto per la campagna per rimanere in Europa e da Cancelliere dello Scacchiere ha gestito la crisi finanziaria che colpì il Regno Unito assieme agli Stati Uniti nel 2008: «Non abbiamo un governo, non abbiamo un’opposizione e le persone che ci hanno trascinato in questo caos si nascondono e abbiamo un gap di quattro mesi prima di avere un nuovo premier. Sono più preoccupato oggi che non all’esplosione della crisi finanziaria del 2008».
Par tibi, Roma, nihil. Niente è comparabile a te, Roma. Quando, alla vista della Capitale e delle sue rovine, Hildebert de Lavardin pronunciò queste le parole era su per giù il 1100. Oggi, alla vista dello stesso spettacolo, qualsiasi viaggiatore giunto nell’Urbe potrebbe dire la stessa cosa. E Par tibi, Roma, nihil è anche il titolo della mostra, realizzata a partire da un’idea di Monique Veaute e curata da Raffaella Frascarelli, per unire arte antica e opere contemporanee nella splendida cornice del foro Palatino. Proprio fra le monumentali rovine che un tempo costituivano il cuore vibrante della Città eterna, infatti, sarà possibile, fino al 18 settembre, imbattersi nelle installazioni di 36 artisti contemporanei fra i quali spiccano i nomi di Kounellis, Chen Zhen, Buren, oltre a quelli di esponenti più giovani come Vascellari, Senatore, Arena e di grandi autori internazionali come Khader Attia, Michal Rovner, Pascale Marthine Tayou.
L’esposizione inoltre è anche l’occasione per offrire al pubblico un’anteprima della 31esima edizione del Romaeuropa Festival che, con la direzione artistica di Fabrizio Grifasi, da settembre a novembre, regalerà nuova vita ai luoghi simbolo della Capitale grazie ad una serie di eventi. Arti visive, musica, teatro e performance invaderanno spazi spesso dimenticati dalla collettività e vissuti ormai più come uno sfondo molto suggestivo che come qualcosa di ancora vivo e carico di una memoria capace di trascendere le epoche.
Death of the monument, Marko Lulic – ph. Luciano Mandato
Il progetto Patrimonio storico e creazione contemporanea, nel quale rientra anche Par tibi, Roma, nihil ha infatti l’obiettivo di riuscire a riavvicinare i lembi della storia e fondere in un unico scenario senza tempo la bellezza di oggi e di ieri, coinvolgendo quanto più possibile i visitatori.
David Crossing the Moon, Pascale Marthine Tayou; courtesy Galleria Continua – ph. Luciano Mandato
Kounellis
Promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’area archeologica centrale di Roma che ha ideato il progetto congiuntamente con la Fondazione Romaeuropa Arte e Cultura, in collaborazione con Nomas Foundation, la mostra offre inoltre l’occasione per aprire spazi chiusi da tempo al pubblico: lo Stadio Palatino e il peristilio inferiore della Domus Augustana, cui si aggiungono la terrazza e le Arcate Severiane e, per la prima volta oggetto di un intervento artistico, l’area della Meta Sudans, tra l’Arco di Costantino e il Colosseo.
Personale è politico, Valerio Rocco Orlando courtesy Galleria Tiziana di Caro, Napoli – ph. Luciano Mandato
L’impatto sullo spettatore in effetti è impressionate. Ci si trova immediatamente immersi, e parte attiva soprattutto grazie alle performance, di un dialogo costante fra il monumentale passato della Roma capitale dell’impero, il presente e il futuro. «Le opere della collezione Nomas – spiega la curatrice Raffaella Frascarelli – dialogano con l’identità di Roma, in bilico tra la suggestione dell’antico e le contraddizioni socio-politiche generate dalla trasmissione e mutazione della sua immagine. Al centro del dibattito critico l’appropriazione della memoria storica, la manipolazione ideologica delle masse operata dall’arte antica, la creazione di un mito del potere, la dittatura attiva della religio, la strutturazione di Lex e Ius, il paradosso globale e le contraddizioni dell’eredità culturale. Un viaggio di dissenso all’interno del mito di Roma, una rilettura anarchica dei dispositivi di stratificazione della storia, un’esperienza di self-education che induce lo sguardo a un ruolo attivo, dischiudendo prospettive aperte a un consumo culturale consapevole e critico».
L’impatto sullo spettatore in effetti è impressionate. Ci si trova immediatamente immersi, e parte attiva soprattutto grazie alle performance, di un dialogo costante fra il monumentale passato della Roma capitale dell’impero, il presente e il futuro
Ad attivare letteralmente i visitatori, trasformandoli quasi in novelli Indiana Jones, è sicuramente anche il progetto artistico di Nico Vascellari che spiega: «Concepisco gli spazi della mostra come un punto di partenza per creare un tragitto con il quale percorrere Roma durante tutto il periodo della mostra Ogni giorno infatti preleverò un qualcosa dai luoghi della mostra per portarlo e nasconderlo in un luogo della città che verrà svelato sulle mie pagine social (www.instagram.com/nicovascellari www.facebook.com/vascellarinico). C’è tempo fino alle 24 del giorno in cui ciascun oggetto è stato nascosto per rivendicare al mio studio la scoperta. Una volta ricevuta questa rivendicazione l’oggetto verrà autenticato come mia opera che diverrà di proprietà di chi l’ha trovato. Il progetto è pensato per estendere a tutta la città il luogo e il tempo della mostra e rinnovarne continuamente attenzione e presupposti».
A tracciare un fil rouge tra ieri e oggi sarà anche “Palamede, la storia” lo spettacolo di Alessandro Baricco con Valeria Solarino, in scena dal 4 – 9 luglio proprio allo Stadio di Domiziano al Palatino e sempre inserito all’interno delle iniziative che preannunciano il Romaeuropa Festival.
Alessandro Baricco
Per realizzare lo spettacolo Baricco ha scavato come un archeologo fra testi antichi e testimonianze, riportando alla luce la straordinaria storia di Palamede, eroe della guerra di Troia quasi del tutto dimenticato dalle cronache ufficiali e soprattutto completamente cancellato dalla più famosa di queste: l’Illiade di Omero. «Pochi lo sanno – racconta lo scrittore – ma Palamede è il nome di uno degli eroi achei che andarono ad assediare Troia. Io non l’avevo mai sentito prima di mettermi a studiare l’Iliade per portarla a teatro, anni fa. In mezzo a tutte quelle storie indimenticabili mi capitò di incontrare la sua. Era talmente pazzesca che l’ho tenuta da parte per anni e poi mi son messa a studiarla sul serio: alla fine ne ho fatto un spettacolo teatrale che ho intitolato Palamede, l’eroe cancellato. L’ho fatto per un teatro molto particolare, l’Olimpico di Vicenza: là dentro era come un orologio che ticchettava senza errori. In teoria era quel Palamede che si era pensato di portare al Palatino. Poi però ho visto il posto: magnifico, solenne, vagamente magico. Ora: io, riguardo a posti come quelli ho una mia idea. Sono come enormi e antichissimi strumenti musicali: non bisogna andare a farci il teatro, bisogna suonarli. Che poi vuol dire partire da come sono fatti loro e cercare di farli risuonare con qualche storia, o visione, o magia. Quindi ecco quello che succederà: porteremo la storia di Palamede nello Stadio di Domiziano, e cercheremo di far suonare quei muri. Si tratta di far accadere la storia».
«Io, riguardo a posti come quelli ho una mia idea. Sono come enormi e antichissimi strumenti musicali: non bisogna andare a farci il teatro, bisogna suonarli».
Alessandro Baricco, scrittore
E ad aiutare Baricco in questa magia “orchestrale” Valeria Solarino che sulla scena trasformata in un teatro sacro in cui gli spettatori sono una comunità, evocherà fantasmi e figure mitologiche che hanno, forse, un tempo abitato quei luoghi negli echi e nei ricordi di chi un tempo era passato di lì.
Un momento nell'aula del Senato durante comunicazioni del presidente del Consiglio dei Ministri in vista del Consiglio europeo. Roma 27 Giugno 2016, ANSA/GIUSEPPE LAMI
«Il voto inglese pesa come un macigno sulla storia europea» dice Matteo Renzi, che però coglie l’occasione per rispolverare il suo profilo ottimista, anzi euro-ottimista. «Ciò che è accaduto nel Regno Unito può essere la più grande occasione per l’Europa», aggiunge infatti. L’occasione per dimostrare che «l’Europa è l’Europa che combatte una battaglia di giustizia sociale e non quella delle sole procedure burocratiche». Come dargli torto? Bisognerebbe proprio fare in modo che sia cosi. Bisognerebbe sì.
Nel discorso di #Renzi alla Camera non ci sono le parole per cambiare l’Europa. Fiscal Compact, bilancio europeo, trattati. Nulla di nulla
Bisognerebbe però dire qualcosa di più, cosa che per ora il premier non fa, non prendendo ad esempio di petto il tema del bail in (come gli ricorda col solito eccesso polemico Alessandro Di Battista) né il problema delle politiche economiche tedesche, su cui invece molti economisti hanno ormai acceso i riflettori. Ci dice Emiliano Brancaccio – per dire – che dietro il Brexit c’è il tema della redistribuzione interna ai Paesi europei, «l’eccezionale divaricazione, anche tra i tassi di occupazione». E lì la Germania è il problema, per ora.
Con il suo intervento in parlamento, poche ore prima del vertice a tre, con Francia e Germania, e alla vigilia del Consiglio Ue, il primo post Brexit, comunque, Matteo Renzi si iscrive nel fronte, con Hollande (e secondo il ministro delle finanze francese, Michel Sapin, anche con Merkel), di chi dice che ormai il dato è tratto, e che tirarla per le lunghe può solo fare più danni. «Tutto può fare l’Europa», dice giustamente Renzi, «tranne che aprire una discussione di un anno sulle procedure. Oggi, vista l’affluenza straordinaria al referendum in Gran Bretagna, tutto possiamo fare tranne che fare finta di niente». Un po’ come sostiene Romano Prodi, insomma: «Francia e Italia», lo ha anticipato il professore, «devono dire che non si può far finta di nulla». Fanno solo male, secondo Prodi, «fantasiose» e anzi «patetiche» idee come quella della petizione per rifare il referendum.
Intervento alla Camera di Dibba sull’EU. Non una parola su EU. É certamente più facile dare del ladro a Renzi che non avere un’idea su UE.
Ma suonano così un po’ generiche, anche perché già sentite negli ultimi due anni, le parole di Renzi. Che va a Berlino, lui e l’Italia, «a testa alta, con le sue idee», per dire «con forza», che servono «più crescita e investimenti, meno austerity e burocrazia». «Lo diciamo da due anni». Appunto.
Nel 36esimo anniversario della strage di Ustica , il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, «auspica che si riescano a rimuovere le opacità purtroppo ancora persistenti». Lo ha scritto in un telegramma alla presidente dell’associazione parenti delle vittime, Daria Bonfietti. «È una domanda di giustizia quella che le famiglie rappresentano», sottolinea il presidente. E forte è la domanda di verità che l’associazione non si stanca di rilanciare. Come si evince da questo intervento di Daria Bonfietti che pubblichiamo di seguito:
Vogliamo arrivare alla piena verità. Questa è la richiesta pressante che ci accompagna in tutte le iniziative per questo 36esimo anniversario della strage di Ustica.
Concludere il cammino verso la verità significa chiarire fino in fondo la dinamica dell’incidente, individuare con precisione gli aerei aggressori e definire le singole specifiche responsabilità.
È la conclusione a cui deve arrivare la magistratura, nella consapevolezza delle difficoltà, della mancanza degli elementi definitivi che, dopo le distruzioni operate dai militari in Italia, ci possono venire soltanto dalla collaborazione internazionale. Ribadiamo dunque che questo deve essere il grande impegno del nostro Governo.
Il 27 giugno 1980, in una normale serata, un aereo civile precipitava nel Tirreno, portando alla morte 81 innocenti cittadini italiani: le bugie inghiottirono la verità, proprio come l’aereo era sprofondato in fondo al mare. Un cedimento strutturale si disse, la tragica ovvietà che gli aerei cadono. E il dolore dei parenti fu avvolto da un colpevole silenzio. Poi le voci di pochi e l’impegno dell’associazione svegliarono le coscienze, seguì una grande mobilitazione dal basso, anche le indagini della Magistratura presero, pur tra difficoltà di ogni tipo, finalmente vigore.
Si arrivò alla Sentenza-ordinanza del Giudice Priore: «L’incidente al DC-9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il DC-9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti».
Più di recente le sentenze definitive della Cassazione di Palermo hanno ribadito che il DC9 Itavia è stato abbattuto e hanno condannato il ministero dei Trasporti per non aver salvaguardato la vita dei cittadini, mentre il ministero della Difesa è stato condannato per i tanti comportamenti militari che hanno ostacolato il raggiungimento della verità.
Poi nel 2007 il Presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, ha esplicitamente parlato di responsabilità dei francesi per un loro attacco non riuscito a Gheddafi e questa affermazione ha fatto formalmente riaprire le indagini. Altre attendibili ricostruzioni chiamano in causa gli americani impegnati in una situazione di grande tensione tra Egitto e Libia. In entrambi i casi siamo all’interno di ricostruzioni che rimandano tutte, anche con protagonisti in parte diversi, ad una battaglia in cielo completamente compatibile con la ricostruzione del giudice Priore.
Nel 36° Anniversario, la strage di Ustica viene ricordata dall’associazione guidata da Daria Bonfietti che riunisce i parenti delle 81 vittime della strage con una rassegna che a Bologna parte il 27 giugno e arriva fino al 10 agosto . Nel Giardino della Memoria di via di Saliceto, davanti al Museo per la Memoria di Ustica, va in scena De Facto, opera poetica elettronica tratta dagli atti dell’istruttoria del giudice Rosario Priore. Poi l’incontro con il sottosegretario De Vincenti, durante il quale per la prima volta si confronteranno sulla “Direttiva Renzi” rappresentanti del governo e un gruppo di storici. Il Museo diventa teatro della performance degli studenti dell’Istituto Comprensivo Zappa del Quartiere Navile, a conclusione di un percorso educativo, nato dalla convenzione tra ministero dell’Istruzione e l’ associazione dei parenti delle vittime. E ancora: Lo spettacolo vincitore del Premio Scenario per Ustica e l’intervento della Compagnia della Fortezza che porta il suo messaggio con un forte coinvolgimento del pubblico, ma accendono la riflessione sul presente anche gli spettacoli delle Compagnie Abbondanza-Bertoni e Castello-Cosentino. Questo grande abbraccio di pubblico attorno al Museo si concluderà nella notte del 10 agosto con la magia della poesia, con Paolo Billi e i “suoi” ragazzi del Pratello. «Ancora una volta, questi diversi linguaggi dell’Arte vogliono essere il nostro strumento per ricordare e ribadire l’impegno per la verità». (s.m)
Battuta d’arresto per i centri antiviolenza a Roma. Chiuso il Casale Rosa. Questa mattina alle 10,30 sono arrivati i vigili urbani e i referenti del Comune a cui le responsabili del servizio Sos Donna h24, gestito dalla cooperativa Befree, hanno consegnato le chiavi. Il bando è scaduto e non c’è stata alcuna proroga, come invece aveva stabilito il prefetto Tronca per altri centri che però sono case rifugio, ospitano cioè le donne vittime di soprusi o di atti di violenza da parte del proprio partner. Ma se Sos Donna – che ormai da anni ha creato una rete con istituzioni, forze dell’ordine e ospedali – per il momento chiude, ha un futuro traballante anche l’altro centro, lo storico Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, al centro di una vertenza Regione-Comune.
Venerdì, dopo ore di protesta e mobilitazione in Campidoglio con striscioni e flash mob, la sindaca Virginia Raggi ha incontrato una delegazione di donne responsabili di associazioni e cooperative sociali che gestiscono sportelli e centri antiviolenza capitolini a rischio chiusura. «Virginia Raggi si è impegnata pubblicamente per salvare Sos Donna e per rifare bandi scaduti. Ha chiesto la documentazione relativa a tutti i centri», afferma Angela Ammirati di Befree. L’impressione, dopo l’incontro, è stata positiva, raccontano le donne dei centri, la sindaca ha detto «che i centri antiviolenza non vanno chiusi» anche se nell’immediato avrebbe potuto fare poco. All’incontro erano presenti tra associazioni e cooperative Befree, Una stanza tutta per sé, Lucha y siesta, Dalia, Donna Lisa. «Il Comune di Roma non ha idea del patrimonio che ha, noi invece siamo consapevoli del patrimonio che rappresentiamo per le donne», ha detto una operatrice dopo l’incontro. Come appunto Casale Rosa, in via Grottaperfetta, alla periferia di Roma, un luogo che è diventato, come dice Oria Gargano, presidente di Befree un «centro di mediazione sociale» con il territorio, grazie ai laboratori per i bambini e agli eventi culturali e d’incontro che vi sono organizzati. Sos Donna h 24 esiste da sei anni e dall’agosto del 2014 ha sede in questo bel casale dal colore rosa. Adesso, chiuso il servizio, le donne che venivano seguite sono state indirizzate agli altri due sportelli di Befree, lo storico Sportello Donna all’ospedale San Camillo e l’altro, al centro di Torre Spaccata.
Ma se il Casale Rosa per il momento è chiuso, rimangono aperti dei problemi notevoli, come spiega Emanuela Donato, responsabile di Sos Donna. «Là dentro sono rimasti i dati sensibili, le relazioni relative a 2000 donne che abbiamo seguito in passato e che stiamo seguendo tuttora. La preoccupazione è che questo materiale, importante anche per vicende giudiziarie in corso per le quali noi veniamo periodicamente convocate nei tribunali, possa essere a rischio». Adesso la responsabilità della custodia è del Comune, visto che il servizio è comunale, questo tengono a precisare le responsabili di Sos Donna che hanno firmato in questo senso un verbale. Ma in caso di occupazione dei locali – il casale era stato in precedenza occupato – da parte di esterni, cosa accadrà di tutto quel materiale?
Per quanto la medicina abbia da tempo dimostrato che non esiste alcun nesso fra vaccino trivalente e autismo, alcuni giudici si ostinano a non tener conto dell’evidenza scientifica e della truffa, ben nota e documentata, che è alla base di questa pericolosa bufala. Un caso clamoroso fu quello che riguardò la procura di Trani nel 2014 che aprì un’inchiesta sul vaccino trivalente dopo la denuncia da parte dei genitori di due bambini ai quali è stata diagnosticata una «sindrome autistica ad insorgenza post vaccinale».
Ora un nuovo caso di falso nesso fra vaccino e autismo riguarda il vaccino tetravalente contro tetano, differite ed epatite B e pertosse: il Tar della Sicilia impone al ministero alla Sanità di risarcire un ragazzo autistico di Agrigento che vi si sottopose nel 2000. Alla base c’è la decisione del tribunale civile che nel 2014 sostenne un rapporto di causa-effetto tra medicinale e patologia riconoscendo alla famiglia un danno di 250mila euro che il ministero non ha saldato.
Della infondata correlazione fra vaccini e autismo abbiamo scritto molte volte su Left, raccogliendo le voci dei maggiori esperti sul campo. Forse però è utile richiamare ancora una volta per sommi capi la vicenda, perché questa pervicace convinzione non è innocua, perché induce i meno informati a non vaccinare i propri figli.
Dunque veniamo ai fatti. Studi autorevoli e indipendenti dalle case farmaceutiche hanno smentito qualsiasi nesso fra vaccino e autismo. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) già nel 2013 bacchettò l’Italia, dopo la sentenza del tribunale di Rimini che riportava in campo pregiudizi infondati verso il vaccino trivalente. E ancora oggi ribadisce: «I dati epidemiologici disponibili mostrano che non c’è evidenza di una connessione tra MPR e i disordini dello spettro autistico».
Ben nota è la frodeche ha è alla base questa perniciosa credenza: tutto cominciò nel 1998 con un articolo che il medico inglese Andrew Wakefield pubblicò su The Lancet, ipotizzando una stretta relazione fra autismo e vaccini. Lo studio esaminava le vicende di dodici bambini che, a detta del medico che poi fu processato, avrebbero sviluppato marcati disturbi del comportamento in seguito alla somministrazione del vaccino. Nell’articolo si parlava anche di sintomi legati a disturbi intestinali e di una fantomatica sindrome detta “enterocolite autistica” (di fatto inesistente). All’inizio degli anni Duemila esplose il caso Wakefield in Inghilterra: il medico fu osannato dai media fin quando, nel 2000, una serrata inchiesta del Sunday Times lo smascherò portando alla luce che aveva intascato 55mila sterline per confezionare ad hoc quell’articolo che doveva servire come “pezza d’appoggio” per estorcere risarcimenti ad aziende produttrici di vaccini. Nel 2010 The Lancet non solo ritirò lo scritto di Wakefield ma lo cancellò dai suoi archivi. Due anni dopo, con una sentenza dell’Alta Corte britannica, il medico è stato radiato dall’Albo e gli è stato vietato di esercitare la professione.
La leggenda di un nesso fra vaccini e autismo non è innocua. Produce panico non giustificato dai dati della letteratura scientifica. E ha conseguenze nefaste: la mancata vaccinazione di massa, per esempio, impedisce oggi di raggiungere l’obiettivo possibile di debellare morbillo parotite e rosolia, malattie comuni ma che possono avere pericolose complicanze. Un bambino su mille può andare incontro ad encefaliti e avere danni ulteriori. Che nel 2016 un bambino possa morire di morbillo è inaccettabile, perché le protezioni per evitarlo ci sono. Checché ne pensino alcuni giudici mal informati da consulenti (sui quali varrebbe la pena di fare una inchiesta approfondita). «Noi medici – dice il pediatra Alberto Villani dell’ospedale Bambino Gesù – dovremmo dedicare più tempo a spiegare ai genitori perché è importante vaccinare. Bisogna dire che ci possono essere alcune piccole contro indicazioni come la febbre ma anche che il rapporto rischio/beneficio è del tutto sbilanciato su quest’ultimo. Non è un caso che tetano, polio, difterite siano sparite dalle nostre vite. I vaccini sono uno strumento meraviglioso e affidabile».
20 luglio 2016
L’importante presa di posizione della Federazione degli Ordine dei medici:
la Federazione degli Ordini dei Medici (Fnomceo) prende posizione in modo chiaro sui vaccini: i medici che sconsigliano i vaccini infrangono il codice deontologico, e vanno incontro a procedimenti disciplinari che possono arrivare alla radiazione. La Fnomceo ha presentato un documento circostanziato sul tema. «Noi siamo pronti a fare la nostra parte – ha spiegato il segretario Luigi Conte – sono già in corso e sono stati fatti procedimenti disciplinari per medici che sconsigliano i vaccini. Si può arrivare anche alla radiazione».
Il dato elettorale spagnolo conferma senza stravolgere il risultato del 2015, ossia un Paese diviso in molte parti, con i due partiti tradizionali che hanno perso peso, ma non continuano a perderne, anzi, e le due grandi novità che si confermano, ma rimangono al palo. Il premier uscente (e supplente in mancanza di nuove maggiorane) Mariano Rajoy è il vincitore delle elezioni: il suo PP cresce sia in termini di seggi, che percentuali (oggi 33%, sei mesi fa 28,7%) più di quanto non perda il più piccolo e centrista dei due nuovi schieramenti politici spagnoli, Ciudadanos. Il partito di Rajoy aumenta i voti, unico partito, nonostante il calo degli elettori: lo spostamento vero di ieri, oltre a a un po’ di voti persi da Ciudadanos e da UnidosPodemos, è questo. Il PP supera anche i socialisti in Andalusia, un sorpasso significativo – dove non è primo non è il Psoe a primeggiare.
L’avanzata del PPE non trasforma però gli equilibri parlamentari e rende lo stesso difficile il formarsi di una coalizione di centrodestra o comunque una maggioranza appesa a un filo. Per ottenere astensioni o formare una maggioranza, il primo partito votato dovrà cedere, negoziare. Ma quanto e su cosa? Rajoy per ora ha detto che il suo partito sarà all’altezza delle aspettative e si è detto felice che in Spagna abbiano «vinto i democratici e gli amanti della libertà». L’alleanza di sinistra Unidos Podemos si conferma al millimetro in termini di seggi alle Cortes di Madrid, ma cala in termini percentuali di voto di Podemos e Izquierda Unida, anzi perde un paio di punti e molti voti.«Non sono buoni risultati, né quel che ci aspettavamo», ha detto alla stampa il direttore della campagna di Podemos Íñigo Errejon, primo a parlare, ribadendo che la mano tesa al Psoe per formare una coalizione resta nonostante la delusione – che comunque giunge nonostante una sostanziale tenuta. Il patto Unidos Podemos non è riuscito a portare più gente alle urne o a confermare i propri voti. La chimica dell’alleanza non ha funzionato e la sinistra (Psoe compreso) dovrà ragionare su cosa fare in futuro.
Nonostante il risultato non sia quello sperato, l’alleanza sembra destinata a durare: a domande diretta, Pablo Iglesias ha risposto: «L’ho già detto: sì». Se ci sono stati spostamenti siginificativi oltre ai voti in uscita da Ciudadanos verso il PPE, lo sapremo nelle prossime ore, quando avremo delle analisi. Certo che il sorpasso ai danni del Psoe non c’è stato e che i voti presi nel dicembre 2015 non si sono sommati ieri notte.
Il leader del Psoe, Pedro Sanchez ha risposto, per ora, con un attacco diretto a Iglesias: «Potevano votare un governo progressista, che mandasse a casa Rajoy, non lo ha fatto per ambizioni personali». Paese. Intanto il Psoe, che non viene superato, ma perde seggi e voti (non percentuale) rispetto al peggior voto della sua storia. Il non sorpasso diventa motivo di gongolare. Un po’ poco. I toni duri di Sanchez fanno pensare a una prima apertura a un governo ampio per “riforme” con Rajoy e Rivera. O qualcosa di simile. A sinistra la porta sembra chiusa. Vedremo i dati sul voto dei giovani e se siamo davanti a un altro voto in stile Brexit, con le generazioni più adulte contrapposte nell’urna ai giovani, ma il traffico sui social network evidenzia una gran delusione di molti under30.
Per ora insomma le posizioni sono ferme e Ciudadanos, eventuale alleato possibile di Rajoy, vede accrescere il suo peso politico nonostante il calo di consensi. Rivera ribadisce: «il centro è vivo ed esiste, ma dobbiamo ragionare sul perché non siamo riusciti a portare i nuovi elettori di nuovo a votare». Rivera parla di legge elettorale ingiusta, cita numeri e sembra chiedere, appunto, una nuova legge elettorale e un ricambio molto forte nell’eventuale governo che dovrà appoggiare: «non vogliamo corruzione (leggi PPE) e non vogliamo populismo (leggi Podemos). Detto da Rivera è poco credibile: «A Psoe e PPE dico: sediamoci attorno a un tavolo, ma se si parla di poltrone noi non ci stiamo». Ciudadanos prega che PPE e Psoe un invito lo facciano.
L’unica grande novità del voto sta nel calo dell’affluenza alle urne, a dire il vero scontata, che votare due volte in pochi mesi senza che il quadro politico sia sostanzialmente cambiato, non invita i cittadini a pensare che votando daranno una svolta alla situazione del Paese.
Dalla vittoria di Gonzalez nel 1979 a oggi, il calo della partecipazione al voto